Sigmund Freud

Le biografie dei giocatori - trentasettesima biografia

Capitolo 120

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Sigmund Freud

 

Il 6 maggio 1856 Sigismound Schlomo Freud nasce a Freiberg in Moravia sotto l'Impero Austriaco. Oggi la città, col nome di Ptibor, è nel territorio della Repubblica Ceka.

Il padre di Sigismund era Jacob Freud sposato in terze nozze ad Amalia Nathanson. I genitori e Freud erano ebrei che si stabilirono a Vienna dopo problemi in Ucraina dove commerciavano in lana.

Pur non ricevendo un'educazione rigidamente ebraica, Sigismund, il nome poi cambiato in Sigmund, si appassionò profondamente alla cultura ebraica e all'uso dei libri sacri degli ebrei. Era il periodo in cui a Vienna erano forti le spinte antisemite.

Per otto anni frequentò l'Istituto Superiore "Sperl Gimnasyum" per poi iscriversi nel 1873 all'università di medicina di Vienna. Entrò in conflitto con gli insegnanti per le vessazioni discriminanti in quanto ebreo. Questo ritardò il conseguimento della laurea che avvenne solo nel 1881.

Freud ebbe come guida lo psicologo Ernst Wilhelm von Brucke, un positivista antivitalista che riconduceva tutte le manifestazioni psicologiche ad alterazioni chimico-fisiche dell'individuo.

Nel 1881 Freud si laurea in medicina e dopo quattro anni ottiene la docenza in neuropatologia. Ottiene anche una borsa di studio che usa per andare a Parigi alla Salpetrière per lavorare con Charcot, il maggior neurologo di quei tempi. A Parigi entra in contatto con Josef Breuer.

Fra il 1882 e il 1885 Freud si fidanza con Martha Bernays che lavora all'ospedale di Vienna.

Nel 1885 Freud, qualche giorno prima di compiere 29 anni, brucia tutto suo archivio. Quanto aveva scritto in "14" anni è stato distrutto. Non è rimasto più traccia sul come è pervenuto alle sue conclusioni.

Nel 1886 Freud si sposa, dopo numerosi rinvii, e inizia ad esercitare a Vienna come specialista delle malattie nervose dove sperimenta l'uso della cocaina sia sui pazienti che su sé stesso.

1887 Stringe amicizia con Wilhelm Fliess, medico-biologo berlinese. L'amicizia che durerà fino al 1904 e fornirà a Freud una serie di idee a fondamento delle sue tesi. Fra le altre il concetto di "bisessualità" e il concetto sulla sessualità infantile.

Fra il 1892 e il 1895 Freud, in collaborazione con Breuer, scrive gli studi sull'isteria in cui afferma che l'isteria è un'affezione funzionale, come le altre nevrosi, senza lesioni organiche sottraendo i fenomeni prodotti dall'isteria alla convinzione che questi fossero prodotti dall'utero.

Nel 1893 Freud scrive "Il meccanismo psichico dei fenomeni isterici". In questo testo Freud mette a punto i risultati delle sue osservazioni nella collaborazione con Breuer.

Scrive Freud:

Più forte è il trauma, maggiore è la reazione adeguata. La reazione più adeguata, comunque, è sempre un atto. Ma, come ha argutamente osservato uno scrittore inglese, l'uomo che per primo lanciò al suo nemico un insulto invece che una freccia, fu il fondatore della civiltà.
Perciò le parole sostituiscono i fatti, ed in certe occasioni (per esempio nella confessione), ne sono l'unico sostituto. Dunque, a fianco della reazione adeguata, ne esiste una che è meno adeguata. Se poi non c'è alcuna reazione al trauma psichico, il ricordo di esso conserva l'affetto che aveva inizialmente. Cosicché, se qualcuno che è stato attaccato, non può vendicarsi restituendo il colpo oppure ingiuriando, nasce la possibilità che il ricordo dell'avvenimento richiami in lui ancora una volta l'affetto che esisteva originariamente. Un insulto che è stato restituito, anche solo a parole, viene ricordato in modo del tutto differente da uno che è stato solo subìto; l'uso linguistico definisce significativamente un insulto sofferto in silenzio come una «mortificazione» (Kriinkung, letteralmente «che affligge»). Così, se per qualche motivo non può esserci reazione al trauma psichico, esso conserva il suo valore affettivo originale, e quando qualcuno non può liberarsi dell'aumento dello stimolo attraverso la «abreazione», è possibile che l'avvenimento in questione resti per lui un trauma psichico. Incidentalmente, un meccanismo psichico sano ha altri metodi per trattare l'affetto di un trauma psichico anche se gli vengono negate la reazione motoria e la reazione verbale - cioè può lavorare su di esso con delle associazioni, producendo idee contrastanti. La persona che è stata insultata, anche se non restituisce il colpo o non risponde con un insulto, può egualmente ridurre l'affetto dell'offesa richiamando idee contrastanti come quelle del proprio valore, dell'indegnità del nemico e così via. Un uomo sano, che reagisca o no all'insulto, riesce sempre ad ottenere che l'affetto, originariamente molto forte nella sua memoria, perda infine la sua intensità e che, in ultimo il ricordo, perduto il suo affetto, cada nell'oblio e si logori.
Ora, abbiamo visto che nei pazienti isterici ci sono solo impressioni che non hanno perduto il loro affetto, ed il cui ricordo è rimasto vivido. Ne segue, perciò, che nei pazienti isterici questi ricordi, che sono divenuti patogeni, assumono una posizione eccezionale per quanto riguarda il processo di logoramento; e l'osservazione dimostra che, nel caso di tutti gli eventi che hanno determinato dei fenomeni isterici, abbiamo a che fare con traumi psichici che non sono stati completamente abreati, non sufficientemente trattati. Possiamo quindi asserire che i pazienti isterici soffrono di traumi psichici non completamente sottoposti ad abreazione. Vediamo due gruppi di condizioni in cui i ricordi diventano patogeni. Nel primo gruppo i ricordi a cui si possono far risalire i fenomeni isterici hanno come contenuto delle idee che coinvolgono un trauma talmente grande che il sistema nervoso non aveva avuto forza sufficiente per trattarlo, oppure delle idee per cui la reazione era impossibile a causa di ragioni sociali (questo accade spesso nella vita coniugale); o infine, il soggetto può semplicemente rifiutarsi di 'reagire, può non voler reagire al trauma psichico. Nell'ultimo caso il contenuto del delirio isterico risulta spesso essere l'insieme di idee che il paziente nel suo stato normale ha rifiutato, inibito e represso con tutte le sue forze (per esempio, le idee erotiche e blasfeme che si presentano nel delirio isterico delle suore). In un secondo gruppo, invece, la ragione dell'assenza di una reazione non è nel contenuto del trauma psichico, ma in altre circostanze. Infatti scopriamo molto spesso che il contenuto e le cause determinanti dei fenomeni isterici sono fatti abbastanza insignificanti di per sé, che hanno però acquistato grande importanza perché sono accaduti in momenti particolarmente significativi, quando la predisposizione del paziente era aumentata in modo patologico. Per esempio, il senso di paura può essere nato mentre venivano provate altre sensazioni molto violente e può aver acquistato tanta importanza proprio per questa ragione. Gli stati di questo genere sono di breve durata e sono, per così dire, privi di legami con il resto della vita mentale del soggetto. Mentre si trova in uno stato di auto ipnosi di questo tipo il paziente non può liberarsi per associazione dell'idea che gli si presenta, come potrebbe fare in stato di veglia. In base alla notevole esperienza che abbiamo di questi fenomeni, pensiamo che sia probabile che in ogni isteria ciò che entra in causa sia uno stato rudimentale di quella che viene chiamata (in francese) «double conscience», coscienza sdoppiata e che la tendenza ad una dissociazione di questo tipo sia, insieme all'apparizione improvvisa di stati di coscienza anormali che proponiamo di chiamare ipnoidi, il fenomeno basilare dell'isteria.
Prendiamo in considerazione, ora, il modo in cui la nostra terapia agisce. Essa appaga uno dei più grandi desideri umani - il desiderio di rifare qualcosa. Qualcuno ha subìto un trauma psichico senza reagirvi in modo sufficiente. Lo portiamo a provarlo una seconda volta, ma sotto ipnosi; ed ora lo costringiamo a completare la sua reazione al trauma. Egli potrà così liberarsi dell'affetto dell'idea, che era stato, per così dire, «bloccato», e porre fine all'azione dell'idea stessa. Così curiamo non l'isteria, ma alcuni dei suoi sintomi, portando il paziente a completare una reazione incompleta. Non bisogna dunque pensare che si sia ottenuto molto, con questo, per la terapeutica dell'isteria. L'isteria, come la nevrosi, ha cause più profonde; e sono queste cause più profonde che stabiliscono le limitazioni, spesso notevoli, del successo del nostro trattamento.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Il meccanismo psichico dei fenomeni isterici, 1893, Newton, 1992 p. 127 – 128

Nel 1893 appare negli scritti di Freud il concetto di "doppia coscienza". Appare anche l'idea che l'insorgenza delle reazioni isteriche nasce come risposta alle azioni del mondo sull'individuo. E' il mondo che chiede all'individuo di adeguarsi e l'individuo risponde al mondo con uno stato psichico di sofferenza, in questo caso le manifestazioni isteriche, perché l'individuo non vuole piegare sé stesso ai desideri del mondo.

In questa situazione, per quanto si possa agire sull'individuo perché migliori la qualità della sua vita, va curato il mondo perché è il mondo, la società, che produce individui malati.

Questo è il limite che Freud non ha mai voluto superare. Nella strategia psicoanalitica è l'individuo che va adattato ad una società che lo rende sofferente, ma non deve essere rimossa la capacità della società di produrre la sofferenza nei singoli individui.

Gli studi sull'isteria lo dimostrano. L'isteria appare come una reazione di difesa soggettiva delle donne rispetto ad una struttura repressiva che le vuole aderire ad una morale imposta alla quale oppongono resistenza. Una resistenza psicologica che si traduce anche sul piano fisico con delle manifestazioni fisiche che rendono difficoltosa la vita di quelle donne.

La strategia può consistere nel migliorare la vita di chi è affetto da questa sindrome, ma è necessario modificare la struttura della società affinché non costringo più le donne a difendersi rinchiudendosi in una psiche che riversa quel dolore sul loro corpo.

Noi, dice Freud, non curiamo l'isteria, ma alcuni sintomi che vengono manifestati dall'isteria. Non colpiamo la malattia, ma i sintomi esteriori della malattia. Non colpendo le cause che hanno prodotto l'isteria, il paziente vive ancora nella sua condizione di malato isterico, ma non pone più il problema dell'isteria alla società in cui vive.

L'isteria è una risposte che le donne mettono in atto per difendersi dai fenomeni repressivi che la società mette in atto nei loro confronti. Per impedire che le donne si ammalino di isteria è necessario impedire alla società di reprimere le donne sia sul piano morale, sessuale, familiare che nella condizione del lavoro. La cura dell'isteria passa attraverso la modifica della struttura di controllo messa in atto sulla donna sia dall'ambiente parentale che dall'ambiente sociale.

La donna isterica pone un problema alla società. La sua malattia è un'accusa al sistema sociale che l'opprime. Freud agisce sui sintomi. I sintomi lasciano la donna malata, ma la donna malata non esprimendo nella società le condizioni della sua malattia, assolvono la società dal delitto di repressione nei confronti della donna. La società è innocente. Vedete, non è malata, non presenta i sintomi, ma dentro di lei la sofferenza continua ad agire anche quando è privata la rappresentazione sintomatica.

La donna è ricondotta al suo ruolo sociale, non è più malata, è rimessa nello schema subendo una doppia violenza. La violenza alla quale ha reagito esprimendo le condizioni della sua malattia e la violenza di essere privata dei sintomi per sottostare ulteriormente alla repressione che ha prodotto in lei la malattia.

Da questo possiamo iniziare a capire in che cosa consiste il lavoro di Freud che si fa garante del buon funzionamento della repressione nella civiltà.

Nel 1895 Freud pubblica "Studi sull'Isteria".

Scrive Freud in "Studi sull'Isteria":

Se avessi interrotto il trattamento psichico a questo punto, il caso di Fràulein von R. non avrebbe certo contribuito a chiarire la teoria dell'isteria. Ma io continuai la mia analisi perché credevo fermamente che i livelli più profondi della sua coscienza avrebbero fornito la chiave sia delle cause che dei determinanti specifici dei sintomi isterici. Quindi decisi di interrogare direttamente la paziente in uno stato di coscienza allargata e di domandarle quale impressione psichica aveva avuto cui si potesse riportare la prima comparsa dei dolori alle gambe.
[…]
Ella restò in silenzio per diverso tempo e poi, dietro mia insistenza, ammise di aver pensato a una sera in cui un giovanotto l'aveva accompagnata a casa dopo un ricevimento, alla conversazione avuta con lui e ai sentimenti con i quali era tornata a casa al letto del padre ammalato. Il primo accenno a quel giovane diede il via a un nuovo filone di idee di cui a poco a poco io estrassi il contenuto. Qui c'era di mezzo un segreto, perché ella non ne aveva messo a parte nessuno, salvo una comune amica, riguardante i suoi rapporti col giovanotto e le speranze riposte in essi. Egli era figlio di una famiglia, che risiedeva nei pressi della loro proprietà, con la quale erano in rapporti di amicizia da tanto tempo. Il giovanotto, anch'egli orfano, era devotamente affezionato al padre di lei e ne seguiva i consigli nell'intraprendere la propria carriera. Egli aveva esteso la propria ammirazione per il padre alle signore della famiglia. Numerosi ricordi - essersi dedicati alla lettura insieme, aver avuto scambi d'idee - e osservazioni di lui riferite da terzi, testimoniarono il graduale sviluppo in lei della convinzione che egli la amava e la comprendeva e che il matrimonio con lui non avrebbe comportato quei sacrifici da parte sua che ella temeva nel matrimonio in genere. Purtroppo egli era appena più anziano di lei e ancora ben lontano dall'essere autosufficiente. Ma lei era fermamente decisa ad aspettare.
Dopo che il padre si era gravemente ammalato ed ella era stata tanto presa dall'assistenza, i suoi incontri con l'amico divennero sempre più rari. Quella serata che aveva prima ricordato aveva segnato in effetti il culmine dei suoi sentimenti, ma neppure allora v'era stato alcun éclaircissement tra di loro. In quell'occasione ella si era lasciata persuadere, dalle insistenze della famiglia e dello stesso padre ad andare a un ricevimento dove probabilmente lo avrebbe incontrato. Lei aveva voluto affrettarsi per tempo a casa ma era stata sollecitata a rimanere e aveva ceduto quando egli aveva promesso di accompagnarla. Non aveva mai provato un così forte sentimento verso di lui come quella sera mentre lui la stava accompagnando a casa. Ma quando giunse a casa a tarda ora in quello stato psichico felice, trovò il padre peggiorato e si rimproverò amaramente per aver dedicato tanto tempo al proprio divertimento. Fu questa l'ultima volta che lasciò il padre malato per tutta una serata. Dopo la morte del padre il giovane sembrava sfuggirla per riguardo al suo dolore. Le vicende della vita lo trassero in altre direzioni. Lei dovette assuefarsi poco per volta al pensiero che l'interesse di lui nei suoi riguardi era stato deviato da altre persone e che ormai lo aveva perduto. Ma questa delusione del primo amore le faceva ancora male ogni volta che ci pensava.
Pertanto io dovevo ricercare le cause dei primi dolori isterici in questa relazione e nella scena descritta sopra. Il contrasto tra i sentimenti di felicità, che ella si era concessa di godere in quell'occasione, e il peggioramento delle condizioni del padre, trovato al ritorno a casa creavano un conflitto, una situazione di incompatibilità. La conseguenza di questo conflitto fu che l'idea erotica venne espunta dall'associazione e lo stato affettivo 1egato a questa idea fu impiegato per intensificare o rinfocolare un dolore fisico presente simultaneamente o poco prima. Dunque si trattava di un esempio del meccanismo di conversione a scopo di difesa, che altrove ho descritto particolareggiatamente.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Studi sull'isteria, Newton, 1992 p. 226 – 227

Freud pensa di aver guarito la paziente, ma non ha affrontato quanto la paziente gli ha raccontato. La cura di questa paziente va avanti con delle deviazioni di Freud dall'argomento principale. Convinto che la paziente sia guarita, la paziente parte con la madre per Vienna a trovare la sorella maggiore.

Freud non dice alla paziente che suo padre gli stava rubando la vita e che lei, tutto sommato, era solo una sorte di pretesto con cui il suo presunto "innamorato" giustificava la ricerca di una figura paterna. Lei era diventata l'oggetto d'uso di un padre malato e di un vicino altrettanto malato il cui interesse era per la sua relazione psicologica con suo padre.

Il bisogno sessuale della paziente di Freud era stato frustrato, umiliato, negato. La sua libido era repressa e lei viveva non solo la repressione della propria libido nel momento presente, ma la repressione, con l'imposizione di doveri, che le era stata imposta nell'infanzia.

Questa donna era prigioniera di un'educazione che la costringeva ad obbedire a dei doveri anziché vivere per liberare la propria sessualità dalle costrizioni.

Per combattere l'imposizione dei sensi di colpa è necessario combattere le norme sociali che impongono i sensi di colpa, ma, dal momento che l'uomo non è creato ad immagine di un dio pazzo e cretino, è necessario sostituire il sistema educazionale con dei sistemi educazionali diversi di approccio all'infanzia che sostituiscano gli approcci che impongono i sensi di colpa e, di conseguenza, modificare le risposte soggettive di adattamento come reazione di difesa ad imposizioni davanti alle quali l'infanzia è disarmata.

Continua Freud e conclude l'esperienza sopra citata:

Ho poco da aggiungere sull'ulteriore sviluppo del caso di Fraulein Elisabeth von R. Qualche settimana dopo che ci eravamo congedati ricevetti una lettera disperata della madre. Mi diceva che, al primo tentativo di discutere con la figliola dei suoi affari di cuore, la ragazza si era ribellata violentemente e da allora soffriva di nuovo di forti dolori, e inoltre era indignata verso di me per aver tradito il suo segreto. Era assolutamente inavvicinabile e la cura era stata un fallimento totale. «Che si doveva fare adesso?», mi chiedeva. Elisabeth non voleva aver più nulla a che fare con me. Io non detti una risposta diretta. Cominciai col pensare che Elisabeth, dopo aver lasciato la mia cura, aveva fatto un nuovo tentativo di respingere l'intervento materno e di rifugiarsi nuovamente nell'isolamento. Però sentivo anche una sorta di convincimento che tutto sarebbe finito bene e che la pena che mi ero data non era stata inutile. Due mesi dopo, esse erano di ritorno a Vienna e il collega, cui dovevo la presentazione di questo caso, mi dette la notizia che Elisabeth si sentiva perfettamente bene e si comportava come se in lei non ci fosse nulla di anormale, sebbene di tanto in tanto soffrisse di leggeri dolori. Dopo di allora lei stessa mi ha inviato analoghi messaggi e ogni volta prometteva di venire a farmi visita. Ma è una caratteristica delle relazioni personali, che sorgono in seguito a cure del genere, che non sia mai venuta. Secondo quanto mi assicura il collega, ora deve essere considerata guarita. I rapporti del cognato con la famiglia sono rimasti immutati.
Nella primavera del 1894 seppi che doveva andare a un ballo privato, al quale riuscii a farmi invitare, e non mi lasciai sfuggire l'occasione di vedere la mia ex-paziente volteggiare in un'allegra danza. In seguito, ella aveva sposato di sua propria volontà un uomo che non conoscevo.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Studi sull'isteria, Newton, 1992 p. 236

Era evidente fin da subito la sofferenza della ragazza la cui struttura erotica era stata frustrata dal padre che la voleva come serva. Il problema era tutto lì: la riduzione di un individuo all'obbedienza e alla sottomissione.

La reazione isterica, la somatizzazione del dolore alle gambe, era una reazione soggettiva alla violenza con cui un'educazione gli imponeva di privarsi delle sue possibilità sessuali per rispondere ai doveri imposti rispetto al padre.

L'energia sessuale è l'energia della vita. Se l'energia sessuale non si veicola nel mondo perché subentrano elementi coercitivi, l'energia sessuale finisce per ripiegarsi su sé stessa e danneggiare lo stesso corpo che non la esprime.

Gli elementi di analisi, Freud li aveva sotto il naso. Nel 1925 Wilhelm Reich lavorando nella clinica fondata da Freud rilevò come molti problemi avevano una relazione stretta con le condizioni sociali che reprimeva la sessualità degli individui in funzione di doveri a cui quegli individui erano obbligati a rispondere. Freud aveva tutti gli elementi per comprendere come le condizioni in cui i pazienti vivevano erano determinanti nel provocare la loro malattia psichica.

La domanda importante è questa: perché Freud non vide che la dimensione sociale era la causa del disagio psicologico? E perché chiama il disagio psicologico indotto dall'educazione: malattia?

Un'altra domanda andrebbe posta: che cos'è il "malato" in relazione a Freud?

E' solo una fonte di guadagno monetario? E' un oggetto con cui lo psicoanalista si diverte? C'è del "perverso" nel diventare i confidenti dei problemi intimi delle persone. Ne sanno qualche cosa i confessori cattolici. In fondo, non sono forse persone indifese, oggetti di possesso del prete cattolico che le confessa o dello psicoanalista? Il prete cattolico, come lo psicoanalista, non esercitano forse una forma di potere su quelle persone che costringono ad aprirsi al loro giudizio o alle loro analisi? C'è molta libido in questo tipo di rapporto. Questo lo dobbiamo sempre tener presente quando parliamo di Freud.

Per ambiente, in campo psichiatrico, si intende un ambiente psichico che interviene sulla struttura pulsionale ed emotiva dell'individuo al di là dei mezzi o dei metodi che tale ambiente adotta per intervenire sugli individui. Questo ambiente non rientra nell'analisi dello psicanalista che considera l'individuo come un soggetto separato dal mondo in cui è cresciuto e vive.

Scrive Freud:

E' vero che reazioni affettive abnormi di questo genere sono tipiche dell'isteria. Però esse si hanno anche indipendentemente da questa malattia. Ciò che esse significano è un più o meno elevato grado di turbamento nervoso, non l'isteria. Tali fenomeni non possono essere descritti come isterici se si manifestano in conseguenza di un'emozione che, sia pure di grande intensità, ha una base obiettiva, ma soltanto se compaiono con evidente spontaneità quali manifestazioni di una malattia. Queste manifestazioni, come è stato dimostrato da molte osservazioni tra cui le nostre, si basano su rievocazioni che fanno rivivere l'emozione originale, o piuttosto che la farebbero rivivere se invece non si avessero, come in effetti si hanno, quelle reazioni. Si può tenere per certo che attraverso la coscienza di ogni persona ragionante, mentre la mente è in riposo, scorre un fiume di idee e di ricordi. Queste idee sono così poco vivaci che non lasciano traccia di sé nella memoria, per cui a posteriori non è possibile dire come erano formate le associazioni. Però, se sorge un'idea legata originariamente a una forte emozione, questa sarà rivissuta con maggiore o minore intensità. L'idea in tal modo «colorita» dall'emozione, emerge nella coscienza chiaramente e vivamente. L'intensità dello stato affettivo, che può essere suscitato da un ricordo, è molto variabile a seconda del grado di «logoramento» subìto a opera di diverse influenze, e soprattutto dal grado di «abreazione» subìto dall'emozione originale. Nella nostra «Comunicazione preliminare» abbiamo rilevato con che variabile intensità lo stato affettivo dell'ira, per un'offesa ad esempio, sia rievocato dal ricordo, a seconda che l'offesa sia stata rintuzzata o sia stata sopportata in silenzio. Se nell'occasione originaria il riflesso psichico si fosse espletato nella sua pienezza, il suo ricordo susciterebbe un quantitativo di eccitazione molto minore. In caso contrario il ricordo porterà sempre alle labbra del soggetto le espressioni d'ira, originariamente soppresse, che avrebbero rappresentato il riflesso psichico allo stimolo originario. Se l'emozione originaria non si è scaricata attraverso un riflesso normale, ma con uno «abnorme», quest'ultimo sarà parimenti scatenato dalla rievocazione. L'eccitazione derivante da un'idea emotiva è «convertita» (Freud) in un fenomeno somatico.
Qualora questo riflesso abnorme divenisse totalmente facilitato da frequenti ripetizioni, potrebbe, a quanto pare, assorbire l'energia operante delle idee scatenatrici, in modo cosi integrale che l'emozione in se stessa emergerebbe solamente in grado minimo, o per nulla affatto. In tal caso la «conversione isterica» sarà completa. Inoltre, l'idea, che ormai non produce più alcuna conseguenza psichica, può essere trascurata dal soggetto, o può essere prontamente dimenticata se emerge come una qualsiasi altra idea non accompagnata da uno stato affettivo.
Sarà più facile ammettere la possibilità di un'eccitazione cerebrale, che debba aver dato origine a un'idea sostituita in questo modo da un'eccitazione di qualche via nervosa periferica, se richiameremo alla mente il corso invertito di eventi che segue allorché un riflesso preformato manca di verificarsi. Sceglierò un esempio quanto mai banale: il riflesso dello starnuto. Se una stimolazione della mucosa nasale, per una ragione qualsiasi, non riesce a scatenare questo riflesso preformato, insorge, come è noto a tutti, un senso di eccitazione e tensione. Questa eccitazione, che non ha potuto scaricarsi per la via motoria, a questo punto, inibendo tutte le altre attività, si diffonde nel cervello. Questo esempio tratto dalla vita di ogni giorno, ci dà il modello di quanto avviene quando un riflesso psichico, anche il più complesso, non può scatenarsi. L'eccitamento, che abbiamo descritto prima come caratteristico dell'istinto di vendetta, è essenzialmente lo stesso. E noi possiamo seguire lo stesso processo fino alle più elevate regioni delle conquiste umane. Goethe aveva la sensazione di non aver chiuso un'esperienza fin tanto che non l'avesse scaricata in un'attività artistica creativa. Era questo, nel suo caso, il riflesso preformato inerente alle emozioni, e fino a che esso non era stato scaricato, persisteva in lui un tormentoso incremento di eccitazione.
L'eccitazione intracerebrale e il processo eccitatorio nelle vie periferiche hanno entità corrispondenti: la prima si accresce se, e fino a quando, manca la scarica riflessa; si riduce e scompare quando essa sia stata trasformata in eccitazione nervosa periferica. Dunque sembra concepibile che non sia ingenerata alcuna emozione percepibile, se l'idea, che avrebbe dovuto provocarla, scatena immediatamente un riflesso abnorme nel quale l'eccitazione si scarica non appena generata.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Studi sull'isteria, Newton, 1992 p. 264 – 265

Freud tende a rinchiudere le problematiche isteriche all'interno di una fragilità innata dell'individuo ritenendo che a "pari sollecitazioni" vengono date delle risposte differenti.

L'idea di fondo che guida l'analisi di Freud è che l'uomo sia creato ad immagine e somiglianza di Dio, ne consegue che, dato uno stimolo, se due individui reagiscono in maniera diversa, devono essere necessariamente diversi. Gli sfugge un piccolo particolare. Gli sfugge che quegli individui non hanno subito un solo stimolo, ma hanno subito stimoli fin dalla nascita e fin dalla nascita si sono adattati a sequenze infinite di stimoli procedendo nella ricerca di felicità che, date le condizioni sociali, era la ricerca del minor dolore e della migliore sicurezza di sopravvivenza soggettiva.

Questo significa che quando arriva lo stimolo che, secondo la psicoanalisi determinerebbe la causa scatenante l'isteria, un infinito numero di stimoli a cui il soggetto ha risposto in precedenza, hanno manipolato il soggetto portandolo ad un punto di rottura.

Il nocciolo su cui va posto l'accento, è l'emozione. Le idee razionali, le idee pensate, non hanno corpo, non hanno sostanza, sono semplici opinioni della ragione. Diventano idee solo quando sono portatrici di un carico emotivo. Nello stesso tempo il carico emotivo che si esprime nella direzione atta a produrre quelle idee, può essere evocato solo quando, vere o immaginarie, si presentano le condizioni per le quali quelle idee, potrebbero veicolarsi dispiegando il loro carico emotivo. E' il carico emotivo non veicolato che rimane come potenza dell'espressione di idee che possono essere richiamate.

Il sesso è un'emozione. L'attività sessuale veicola le emozioni soggettive e la sua attrattiva, al di là delle funzioni corporee, è data dalla possibilità di dispiegare le emozioni nel rapporto sessuale. Dispiegare le emozioni significa liberarle da una prigione in cui il carico emotivo continua ad esistere in potenza senza poter portare a termine la sua funzione primaria che è quella del rilassamento dopo la scarica emotiva. Il rilassamento dopo il rapporto sessuale modifica i soggetti che hanno partecipato al rapporto sessuale stesso.

Per Freud esiste una sorta di innatismo che predisporrebbe l'individuo alla malattia. Solo che qui non stiamo parlando id malattie che la scienza attuale può ricondurre ad alterazioni genetiche, siamo davanti a risposte soggettive a stimolazioni sociali.

Scrive Freud:

Quasi ad ogni fase di questa trattazione, sono stato costretto ad ammettere che la maggior parte dei fenomeni che ci siamo sforzati di comprendere può trovare fondamento, tra l'altro, in una idiosincrasia innata, il che sfida qualsiasi spiegazione che cerchi di andare oltre la semplice descrizione dei fatti. Tuttavia la capacità di ammalarsi d'isteria è anch'essa sicuramente legata a un'idiosincrasia dell'individuo, per cui un tentativo di definirla con maggior precisione non sarà forse del tutto inutile. Ho spiegato prima perché non posso accettare l'opinione di Janet che la disposizione all'isteria si basi su una debolezza psichica innata. Il medico pratico, che nella sua qualità di dottore di famiglia, osserva i componenti di famiglie isteriche di tutte le età, sicuramente tenderà a considerare che tale disposizione sia legata a un eccesso piuttosto che a un difetto. Gli adolescenti che in seguito diventeranno isterici, sono in massima parte vivaci, ben dotati e pieni di interessi intellettuali prima di cadere malati. Spesso la loro energia è notevole. Tra di loro si trovano ragazze che si alzano di nascosto la notte per attendere a studi che i genitori hanno loro vietato per paura dello strapazzo. La capacità di formulare giudizi ben fondati non è certo più ricca in loro che negli altri ma è raro trovare in loro una torpida inerzia intellettiva o la stolidità. La sovrabbondante produttività delle loro menti ha indotto un mio amico ad affermare che gli isterici sono il fiore dell'umanità, senza dubbio altrettanto sterile ma altrettanto bello quanto i fiori doppi.
La loro vivacità e irrequietezza, la loro bramosia di sensazioni e di attività mentali, la loro intolleranza della monotonia e della noia, possono essere spiegate come segue: essi appartengono a quelle persone il cui sistema nervoso, mentre è in riposo, libera più energia di quanta non ne abbia bisogno. Al momento dello sviluppo puberale, e in conseguenza di esso, questo eccesso di base è incrementato dal potente aumento dell'eccitazione che deriva dal destarsi della sessualità, ossia dalle ghiandole sessuali. Da quel momento in poi vi è un surplus di energia nevrotica libera, disponibile per la produzione di fenomeni patologici.
Ma perché questi fenomeni si manifestino sotto l'aspetto di sintomi isterici, è evidente che deve esistere, nell'individuo in questione, un'altra idiosincrasia specifica, dato che, in fin dei conti, la grande maggioranza di persone vivaci ed eccitabili non diventa isterica. In precedenza sono riuscito a dare di questa idiosincrasia solo una definizione vaga e poco illuminante: «abnorme eccitabilità del sistema nervoso». Ma possiamo andar oltre e dire che questa anormalità risiede nel fatto che in queste persone l'eccitazione dell'organo centrale può diffondersi negli apparati nervosi periferici, e anche negli apparati nervosi degli organi vegetativi, i quali si trovano isolati da forti resistenze dal sistema nervoso centrale. Può darsi che questo concetto dell'esistenza di un eccesso di eccitazione costantemente presente, e che può diffondersi negli apparati sensori, vasomotori e viscerali, possa già di per sé solo rendere conto di taluni fenomeni patologici.
In persone di questo tipo, appena la loro attenzione sia forzatamente concentrata su una parte del corpo, quella che Exner definisce «facilitazione da attenzione» in una via di conduzione sensoria, viene a superare il livello normale. L'eccitazione libera e fluttuante viene - ed in effetti così accade - deviata verso questa via e si instaura un'iperalgesia locale. In conseguenza, qualsiasi dolore, comunque provocato, raggiunge il massimo dell'intensità e qualsiasi sofferenza diventa «tremenda» e «insopportabile». Inoltre, mentre nelle persone normali un dato quantitativo di eccitazione, dopo aver sensibilizzato una via sensoriale, la abbandona sempre, in questi casi ciò non avviene. Di più: questa quantità non solo permane, ma è costantemente accresciuta dall'influsso di nuove eccitazioni. Per questo una lieve lesione a un'articolazione porta all'artralgia, e le sensazioni dolorose da turgore delle ovaie portano alla nevralgia ovarica cronica e, siccome gli apparati nervosi del sistema circolatorio sono più accessibili all'influenza cerebrale che nelle persone normali, troviamo palpitazioni nervose del cuore, tendenza alla sincope, facilità all'eccessivo arrossimento e impallidimento, e così via.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Studi sull'isteria, Newton, 1992 p. 286 – 287

L'innatismo praticato da Freud è al limite dell'offensivo. Dice Freud che l'isteria è legata "a un'idiosincrasia dell'individuo", dunque, i fattori che generano l'isteria sono propri dell'individuo, di quello specifico individuo. Afferma ancora Freud che "Il medico pratico, che nella sua qualità di dottore di famiglia, osserva i componenti di famiglie isteriche di tutte le età, sicuramente tenderà a considerare che tale disposizione sia legata a un eccesso piuttosto che a un difetto. Gli adolescenti che in seguito diventeranno isterici, sono in massima parte vivaci, ben dotati e pieni di interessi intellettuali prima di cadere malati". E' come se dicesse che l'individuo vivace e ben dotato è predisposto a diventare isterico. Anziché dire che l'individuo vivace e ben dotato ha una grande percezione dei fenomeni del mondo, coglie la parte emotiva delle sollecitazioni che gli giungono dal mondo interpretando immediatamente la violenza delle azioni che lo vogliono sottomettere privandolo della sua libertà di espandere la sua intelligenza e la sua libido nel mondo. Pertanto, mette in atto strategie di adattamento difensive che in alcune storie del divenuto delle persone generano l'isteria.

Solo che si tratta sempre di un ambiente parentale o sociale malato che tenta di sottomettere alla propria malattia le persone, le donne in questo caso. La ribellione alla violenza che sottomette e che addomestica non viene rivolta verso l'esterno della persona, ma spesso si confina nella persona generando i conflitti che sfociano nelle patologie psichiche come l'isteria. Sarebbe sufficiente, per ipotesi, che la bambina prendesse un coltello e colpisse sua madre e suo padre per eliminare il problema della futura insorgenza dell'isteria, ma forse andrebbe incontro a ben altri problemi sociali.

Non possiamo affermare che un bambino ben dotato e pieno di interessi intellettuali che vive in un ambiente stimolante possa sviluppare l'isteria. L'essere ben dotati e cercare interessi intellettuali non è sintomo di malattia. Ma se l'ambiente mette in atto azioni repressive contro la vivacità o contro gli interessi intellettuali per ridurre il bambino ad una condizione di donna madre di famiglia e angelo del focolare, è facile che la risposta siano i sintomi isterici.

Quando Freud dice che "Tra di loro si trovano ragazze che si alzano di nascosto la notte per attendere a studi che i genitori hanno loro vietato per paura dello strapazzo.", dice esattamente la causa che produce l'isteria. La violenza dei genitori, che Freud non coglie, è la vera causa dell'isteria che in ultima analisi è una ribellione psicologica alla violenza imposta.

Cosa fa Freud? Aiuta ad addomesticare la donna cercando di esorcizzare le manifestazioni esteriori dell'isteria in modo da costringerla a vivere nel dolore per la repressione subita.

In questo modo arriviamo agli insulti di Freud alla donne malate quando dice "Ma perché questi fenomeni si manifestino sotto l'aspetto di sintomi isterici, è evidente che deve esistere, nell'individuo in questione, un'altra idiosincrasia specifica, dato che, in fin dei conti, la grande maggioranza di persone vivaci ed eccitabili non diventa isterica.".

La grande maggioranza di persone vive in una grande maggioranza di ambienti parentali diversi e la grande maggioranza delle persone ha, ognuna di loro, storie di trasformazioni soggettive come risposte a sollecitazioni oggettive che sono tutte diverse l'una dall'altra.

Freud non si pone il problema sociale. La società gli è estranea. Non lo riguarda. Si sente una sorta di padrone e dominatore della società.

Tutto avviene dentro alla donna. E' lei debole e fragile, non sono le condizioni sociali che l'hanno resa debole e fragile.

A questo punto, che cosa deve fare la psicoanalisi? Ricondurre il paziente ad aderire ad un ipotetico modello di "individuo sano".

Mi sono soffermato a lungo sull'isteria come espressa da Freud perché pone le basi di tutta la psicoanalisi fino ai giorni nostri ed è significativo per comprendere i lavori di Freud. Ancor oggi, anche per responsabilità di Freud, il nostro sistema giuridico non vuole riconoscere come concausa del delitto la compartecipazione e l'istigazione dell'ambiente sociale.

Il 16 ottobre 1887 nasce la prima figlia Mathilde. A questa figlia Freud ha dato il nome della moglie di Breuer.

Il 07 dicembre 1889 nasce il secondo figlio di Freud, Jean Martin.

Il 19 febbraio 1891nasce il figlio Oliver. In quello stesso anno Freud si sistema a Vienna al 19 di Berggasse.

Il 6 aprile 1892 nasce il figlio Ernst.

Il 12 aprile 1893 nasce la figlia Sophie.

Il 3 dicembre 1895 nasce la figlia Anna.

Il 23 ottobre del 1896 Minna Barnays, sorella della moglie va a vivere con loro per 43 anni. Avrà un'intensa frequentazione sessuale con Freud per tutto il tempo.

1892-95 Freud si distacca dalle teorie di Breuer. Inizia a lavorare per la costruzione di una teoria psicologica. Psicanalisi è un termine che Freud introduce nel 1896.

Nel 1895 Feud scrive "Ossessioni e fobie". Anche in questo testo i problemi sessuali sono il fondamento delle turbe psichiche delle persone, ma anziché agire liberando la pratica sessuale e liberare le persone dai problemi, Freud procedeva ad aumentare il dolore psichico imponendo ulteriori regole morali.

Scrive Freud:

CASO 1. Una ragazza si rimproverava per cose che sapeva assurde: aver rubato, aver coniato monete false, essere coinvolta in un complotto, ecc., a seconda di quel che le capitava di aver letto nel corso della giornata.
Ricostruzione dell'idea sostituita: si rimproverava per la masturbazione che praticava in segreto senza riuscire a smettere. Fu curata con un'oculata sorveglianza che le impediva di masturbarsi.
CASO 2. Un giovanotto, studente di medicina, soffriva di un'ossessione con simile. Egli si rimproverava ogni sorta di atti immorali: aver ucciso il cugino, aver violentato la sorella, aver appiccato il fuoco a una casa, ecc. Arrivò al punto di doversi voltare indietro per strada per vedere se avesse ucciso l'ultimo passante.
Ricostruzione: era stato fortemente colpito dall'aver letto in un libro di medicina che la masturbazione, che egli soleva praticare, distruggeva la morale dell'individuo.
CASO 3. Diverse donne si lamentavano di un impulso ossessivo a buttarsi dalla finestra, a colpire i figlioli con coltelli, forbici, ecc.
Ricostruzione: ossessioni basate su tentazioni tipiche. Si trattava di donne che, non essendo affatto soddisfatte del loro matrimonio, erano costrette a lottare con i desideri e le idee voluttuose da cui erano continuamente turbate alla vista di altri uomini.
CASO 4. Una ragazza, perfettamente sana e intelligente, dimostrava un odio incontrollabile nei confronti delle domestiche della casa. Era cominciato in rapporto con un domestica impertinente e si era trasferito da una domestica all'altra al punto di rendere impossibili le faccende di casa. Il sentimento era un misto di odio e disgusto. Ella forniva una spiegazione dicendo che la volgarità di queste ragazze rovinava la sua idea dell'amore.
Ricostruzione: questa ragazza era stata testimone involontaria di una scena d'amore in cui la madre aveva avuto parte. La ragazza si era coperta il volto, si era turata le orecchie e aveva fatto il possibile per dimenticare, perché il fatto la disgustava e le avrebbe reso impossibile rimanere con la madre che amava teneramente. Riuscì nei suoi sforzi; però la sua ira all'idea che il suo concetto dell'amore era stato profanato, persistette dentro di lei e questo stato emotivo ben presto si collegò all'idea di una persona che potesse prendere il posto della madre.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Ossessioni e fobie, Newton, 1992 p. 328 – 329

Freud attribuisse la responsabilità della formazione di ossessioni e di fobie alla masturbazione. Negli esempi che riporta, non colloca le persone nell'ambiente parentale. Non colloca le persone nell'ambiente che genera idee preconcette. D'altro canto è difficile pensare che Freud potesse pensare ad idee preconcette dal momento che attribuiva le fobie alla masturbazione e non all'ambiente che criminalizzava la masturbazione. La stessa ragazza che si crea un'ossessione per aver visto la madre mentre aveva un rapporto sessuale è stata violentata precedentemente e la sua struttura psichica era condizionata da una moralità criminale e inumana. In questo condizionamento ha visto la madre violare le stesse regole che le erano state imposte e Freud non si pone il problema sulla qualità della violenza che la ragazza ha subito dal quale nasce l'ossessione, ma la responsabilità è della ragazza. Sai quante ragazze hanno visto le loro madri avere un rapporto sessuale con un uomo? E allora perché solo lei si è ammalata? Sicuramente, per Freud aveva qualche cosa che non andava: lei era da ricondurre nello schema sociale.

Freud non si rende conto di quanto criminale sia la sua frase "Fu curata con un'oculata sorveglianza che le impediva di masturbarsi.". Con questa idea di Freud hanno fatto violenza a milioni di ragazzi costruendo degli adulti malati pieni di ossessioni, fobie e paranoie.

Tutte le fobie riportano alla sfera sessuale e nel 1896 Freud scrive "Ereditarietà ed etiologia delle nevrosi". In quel testo rileva il ruolo della sessualità repressa come elemento scatenante la malattia mentale.

Scrive Freud in "Ereditarietà ed etiologia delle nevrosi" nel 1896:

La nevrosi d'angoscia presenta un quadro clinico assai più ricco: irritabilità, stati di attesa angosciosa, fobie, accessi di angoscia completi o rudimentali, accessi di paura o di vertigine, tremori, sudorazione, congestione, dispnea, tachicardia, diarrea cronica, vertigine locomotoria cronica, iperestesia, insonnia, ecc. E facile dimostrare che tale nevrosi è la conseguenza specifica di vari disturbi della vita sessuale, che hanno tutti una caratteristica in comune. La continenza forzata, l'eccitazione sessuale frustrata - ossia eccitazione non scaricata da un atto sessuale - il coito imperfetto o interrotto - che non termina con la voluttà -, sforzi sessuali che superano la capacità psichica del soggetto, ecc., sono tutti agenti, financo troppo frequenti nella vita moderna, che sembrano convergere nella caratteristica comune di rappresentare un perturbamento delle funzioni psichiche e somatiche negli atti sessuali, impedendo la partecipazione psichica necessaria a liberare l'economia nervosa dalla tensione sessuale. Tali osservazioni, che, forse, contengono in germe la spiegazione teorica del meccanismo funzionale della nevrosi in questione, ci fanno già da sole sospettare che, per ora, non è possibile un'esposizione completa e veramente scientifica dell'argomento, e che sarebbe necessario affrontare il problema fisiologico della vita sessuale da un nuovo punto di vista. Infine, dirò che la patogenesi della nevrastenia e della nevrosi d'angoscia può benissimo fare a meno della collaborazione della disposizione ereditaria. Questo è il risultato dell'osservazione quotidiana, ma se l'ereditarietà è presente, l'evoluzione della nevrosi subirà gli effetti della sua poderosa influenza.
Per quanto riguarda la seconda classe delle grandi nevrosi, isteria e nevrosi ossessiva, la soluzione del problema etiologico è sorprendentemente semplice ed uniforme. Sono debitore dei risultati da me ottenuti a un nuovo metodo di psicoanalisi, il procedimento esplorativo di Josef Breuer. E un po' complicato, ma insostituibile, dato che si è dimostrato talmente fecondo nella sua capacità di illuminare gli oscuri cammini dell'ideazione inconscia. Grazie a questo procedimento, che qui non è il caso di descrivere, i sintomi isterici vengono ricondotti alla loro origine, che si trova sempre in qualche evento della vita sessuale del soggetto, atto a provocare una emozione angosciosa. Risalendo nel passato del paziente, passo per passo, sempre con la guida della concatenazione di sintomi organici e dei ricordi e pensieri che insorgono, venivo a raggiungere, alla fine, il punto di inizio del processo patologico ed ero costretto a vedere che, in fondo a tutti i casi che sottoponevo ad analisi, si ritrovava sempre la stessa cosa: l'azione di un agente che deve essere considerato come la causa specifica dell'isteria.
Questo agente, in effetti, è una reminiscenza legata alla vita sessuale, ma è tale che possiede due caratteristiche della massima importanza. L'evento, del quale il paziente mantiene un ricordo inconscio, è un'esperienza precoce dei rapporti sessuali con effettiva eccitazione dei genitali, conseguente a un abuso sessuale perpetrato da un'altra persona, e il periodo della vita, in cui ha luogo questo evento fatale è l'infanzia, fino all'età di otto-10 anni, prima che il fanciullo abbia raggiunto la maturità sessuale. Questa dunque, è l'etiologia specifica dell'isteria: un'esperienza sessuale passiva prima della pubertà.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Ereditarietà ed etiologia delle nevrosi, Newton, 1992 p. 365

A queste osservazioni Freud fa seguire riflessioni su tredici casi avuti in analisi da cui si riscontra che la violenza sessuale sui minori, anche di due anni, era un fatto comune, abituale, normale. Una pratica che veniva messa in atto, ma della quale non bisognava parlarne perché nessuno doveva creare scandalo parlando di sesso.

La pedofilia e la pederastia erano condizioni normali ed abituali in campo cristiano e tale pratica produceva individui malati e instabili che rendevano malata e instabile l'intera società.

Ancora una volta, nonostante i casi clinici, Freud non individua la radice della malattia nella società, ma vuole cortocircuitarla all'interno dell'individuo in modo che la società non diventi consapevole dell'intero meccanismo che portava alla sua instabilità emotiva e sociale.

Nei tempi di Freud i bambini non erano soggetti di diritto sociale. I bambini erano oggetti posseduti dai genitori che ne disponevano a piacimento. I bambini erano oggetti come oggetti sono per Freud le persone. Perché non curare l'ambiente che ha prodotto quel trauma? Perché l'ambiente, per Freud, è come Dio. E' il Dio, va volontà agente. Qualsiasi cosa fa Dio, il bambino e il futuro adulto si devono adeguare. Dio non si processa, non si condanna. Si condanna l'adulto violentato da bambino perché si è adattato e trasformato per la violenza subita mentre, chi ha messo in atto la violenza viene da Freud assolto, protetto o ignorato.

A questo punto appare legittimo porsi una domanda: lo psicoanalista, che di fatto legittima l'ambiente che genera violenza sull'infanzia e che è, esso stesso, ambiente nei confronti dell'infanzia, in quali complicità è coinvolto?

Il problema era sessuale, ma non stava nella sessualità della persona, stava nella repressione sessuale che la società cristiana metteva in atto contro le persone per impedire loro di veicolare nel mondo la loro pulsione sessuale ed esporre le proprie emozioni. Nello stesso tempo, la società cristiana, mediante il principio del possesso degli individui da parte di Dio (o di chi ne fa il ruolo) promuove la violenza nei confronti degli individui deboli che devono essere costretti a pensare sé stessi come oggetti d'uso.

Come nel caso della masturbazione, la repressione è quanto Freud difende. Le persone, per questo Freud, vanno liberate dalla pulsione sessuale che intervenendo sul sistema nervoso crea le patologie che Freud incontra.

Nel 1897 Freud inizia l'autoanalisi.

Nel 1899 Freud termina di scrivere "L'interpretazione dei sogni". Come Nietzsche si considerava il messia dell'eterno ritorno, così Freud si considerava una sorta di profeta del sogno. Nel trattato Freud formula la sua concezione dell'inconscio.

Ed è il concetto di inconscio che ci permette di capire la direzione nella quale Freud sta portando la psicoanalisi.

Scrive Freud in "L'interpretazione dei sogni":

Non a caso parlo del «nostro» inconscio. Perché così non intendo dire lo stesso che l'inconscio dei filosofi o l'inconscio di Lipps. Essi usano il termine semplicemente per indicare il contrasto con il cosciente: la tesi che essi sostengono con tanto ardore e difendono con tanta energia è che oltre al cosciente ci siano anche processi psichici inconsci. Lipps arriva al punto di affermare che tutto ciò che è psichico esiste inconsciamente e che una parte di esso esiste anche coscientemente. Ma noi non abbiamo richiamato i fenomeni dei sogni e della formazione dei sintomi isterici per dimostrare questa tesi; l'osservazione della vita normale della veglia basterebbe da sola a dimostrarla al di là di ogni dubbio. L'elemento nuovo che abbiamo appreso dall'analisi delle formazioni psicopatologiche e del primo anello di quella classe, il sogno, si trova nel fatto che l'inconscio (cioè, lo psichico) è una funzione in due sistemi separati e che questo è valido nella vita normale come in quella patologica. Quindi ci sono due tipi di inconscio, che non sono ancora stati distinti dagli psicologi. Sono entrambi inconsci nel senso usato dalla psicologia; ma nel nostro senso uno di essi, che chiamiamo Inc., non può accedere alla coscienza, mentre chiamiamo l'altro Prec. perchè le sue eccitazioni, dopo aver osservato certe regole e subìto una nuova censura, ma indipendentemente dall'Inc., possono raggiungere la coscienza. Il fatto che le eccitazioni per raggiungere la coscienza debbano passare attraverso una serie prefissata o gerarchia di istanze (che ci vengono rivelate dalle modificazioni operate dalla censura) ci ha permesso di costruire un paragone spaziale. Abbiamo descritto i rapporti dei due sistemi tra loro e con la coscienza dicendo che il sistema Prec. si erge come uno schermo tra il sistema Inc. e la coscienza. Il sistema Prec. non solo sbarra l'accesso alla coscienza, ma controlla anche l'accesso alla capacità di movimento volontario e regola la distribuzione di un'energia di occupazione mobile, di cui ci è nota una parte in forma di attenzione. Dobbiamo anche evitare la distinzione tra «supercosciente» e «subcosciente», che è diventata così popolare nella letteratura più recente delle psiconevrosi, poiché tale distinzione sembra proprio voler sottolineare l'equivalenza di ciò che è psichico e ciò che è conscio. Ma quale ruolo svolgerà nel nostro schema la coscienza, che una volta era così onnipotente e nascondeva tutto il resto? Solo quello di un organo sensorio per la percezione di qualità psichiche. In seguito ai concetti su cui si basa il nostro tentativo di un quadro schematico, possiamo considerare la percezione cosciente solo come la funzione propria di un particolare sistema, per il quale sembra adatta l'abbreviazione C. Per quanto riguarda le sue proprietà meccaniche, consideriamo questo sistema simile ai sistemi percettivi P., cioè eccitabile da qualità, ma incapace di trattenere le tracce delle alterazioni e quindi privo di memoria. L'apparato psichico che è rivolto al mondo esterno con il suo organo sensorio dei sistemi percettivi, rappresenta esso stesso il mondo esterno rispetto all'organo sensorio della C., la cui giustificazione teleologica consiste in questa situazione. Anche qui troviamo il principio della gerarchia delle istanze, che sembrano dominare la struttura dell'apparato. Le eccitazioni arrivano all'organo sensorio della C. da due direzioni; dal sistema P., la cui eccitazione, determinata da qualità, è probabilmente sottoposta a una nuova revisione prima di diventare una sensazione cosciente, e dall'interno dell'apparato stesso, i cui processi quantitativi sono sentiti qualitativamente nella serie piacere-dispiacere quando, sottoposti a determinati cambiamenti, penetrano nella coscienza. Quei filosofi che si sono accorti della possibilità di strutture di pensiero razionali e notevolmente complesse, senza la partecipazione della coscienza, hanno trovato difficoltà nell'assegnare una funzione qualsiasi alla coscienza; sembrava loro che non potesse essere altro che un'immagine riflessa superflua del processo psichico completo. L'analogia tra il nostro sistema C. e i sistemi percettivi elimina per noi questo imbarazzo. Sappiamo che la percezione dei nostri organi sensori ha l'effetto di dirigere una catessi di attenzione verso le vie lungo le quali si sta diffondendo l'eccitazione sensoria; l'eccitazione qualitativa del sistema percettivo regola la scarica della quantità mobile nell'apparato psichico. Possiamo attribuire la stessa funzione all'organo sensorio sovrapposto al sistema C. Con la percezione di nuove qualità, esso contribuisce nuovamente a dirigere le quantità mobili di catessi e a distribuirle in maniera conveniente. Con l'aiuto della sua percezione del piacere e dispiacere, influenza la scarica delle catessi all'interno di quello che è altrimenti un apparato inconscio, che opera mediante lo spostamento delle quantità. Sembra probabile che in un primo momento il principio del dispiacere regoli lo spostamento di occupazioni automaticamente. Ma è molto possibile che la coscienza di queste qualità aggiunga una seconda regolazione più discriminante, che può anche opporsi alla prima e che completa l'efficienza dell'apparato mettendolo in grado, contrariamente al progetto originario, di occupare e elaborare ciò che è associato con la scarica di dispiacere. Apprendiamo dalla psicologia delle nevrosi che questi processi di regolazione compiuti dall'eccitazione qualitativa degli organi sensori, hanno una parte importante nell'attività funzionale dell'apparato. Il dominio automatico del principio del dispiacere primario e la conseguente limitazione imposta sull'efficienza vengono interrotti dai processi di regolazione sensoria, che agiscono a loro volta automaticamente. Riteniamo che la repressione (che, pur essendo utile al principio, porta in ultima analisi ad una dannosa perdita di inibizione e di controllo mentale) influenzi tanto più facilmente i ricordi che le percezioni, perché i primi non possono ricevere altra catessi dall'eccitazione degli organi sensori psichici. E vero che un pensiero che deve essere scartato, da un lato, può diventare cosciente perché ha subìto la repressione; ma, d'altro canto, avviene a volte che un pensiero di questo tipo venga represso solo perché per altri motivi è stato ritirato dalla percezione cosciente. Questi sono alcuni cenni di ciò di cui ci avvantaggiammo nel nostro procedimento terapeutico per sciogliere le repressioni che sono state già effettuate.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, L'interpretazione dei sogni, Newton, 1992 p. 790 – 791

Freud afferma l'esistenza di due inconsci di cui uno, che chiama pre-inconscio, funge da separatore fra la coscienza e l'inconscio vero e proprio. Le esperienze sono immagazzinate nell'inconscio e il pre-inconscio funge da barriera che separa il ricordo di quelle esperienze impedendo loro di giungere alla coscienza.

Da qui il lavoro del psicoanalista che forzando le barriere poste dal pre-inconscio costringe almeno una parte dell'inconscio a rilasciare le informazioni immagazzinate e permette al pre-inconscio di consentire loro di giungere, sia pur frammentate, alla coscienza.

L'inconscio e il pre-inconscio non sono soggetti attivi nella formazione delle idee soggettive, ma sono magazzini passivi di esperienze rimosse che vanno richiamate alla coscienza.

Questa idea della relazione fra la coscienza, il pre-inconscio e l'inconscio determina, di fatto, una separazione fra l'uomo e il mondo dove tutta l'esperienza del vissuto soggettivo viene circoscritta alla vita razionalmente vissuta e pensata del singolo individuo e non alle relazioni che l'individuo costruisce nella sua vita.

Per quanto riguarda l'interpretazione dei sogni, Freud si limita all'insorgenza emotiva del desiderio e alla rappresentazione delle emozioni che nel sogno si realizzano mediante allucinazioni visive, tattili, uditive e olfattive. Ma rimane sempre un riflesso della vita quotidiana e il sogno altro non è che una rappresentazione simbolica di un vissuto soggettivo che è stato rimosso dalla coscienza. Tanto più l'individuo è sofferente, tanto più riversa nel sogno la sua sofferenza evocando immagini. In sostanza, rivivendo nel sogno, secondo Freud, sotto forma di "simboli" i propri stati emotivi. Lo psicoanalista, interpretando gli oggetti-simbolo del sogno, interpreta la qualità della sofferenza del soggetto.

In sostanza, lo psicoanalista interpreta il sogno dove il "malato" rappresenta le condizioni e le cause della sua malattia mediante simboli onirici. Peccato che i simboli onirici (limitandoci a questi casi) sono simboli onirici che riguardano il soggetto e non sono simboli onirici oggettivabili. Lo stesso oggetto, elevato a simbolo, ha un infinito numero di interpretazioni e tutte quelle interpretazioni, fatte dallo psicoterapeuta, sono oggettivamente false rispetto al soggetto perché solo il soggetto conosce (potrebbe conoscere) il reale valore del sogno in quanto, solo il soggetto, viene attraversato dall'impulso emotivo che il sogno genera. Da questo presupposto abbiamo il fallimento della psicoanalisi nel capire le persone mediante l'interpretazione dei loro sogni.

L'altro discorso che Freud vuole ignorare è che le esperienze dell'individuo non sono solo le esperienze della vita quotidiana così come vengono razionalmente descritte. Nella vita quotidiana si formano un'infinità di relazioni, la gran parte di carattere emotivo, che, anche se sono presenti some "sensazioni", costruiscono un apparato di conoscenza che pur essendo interno all'individuo, non giunge mai alla coscienza e, quando qualche cosa giunge alla coscienza, giunge sotto forma di sensazione, di intuizione, di rivelazione.

Il sogno non è solo rivelatore di desideri. Il dormire implica la sospensione della coscienza razionale e in quella sospensione giungono le intuizioni di un corpo che abita il mondo. Un corpo vivente, per cui un corpo che si emoziona in ogni relazione che vive nel mondo. Affermare che il subconscio è un magazzino di esperienze razionali rimosse, significa che non esiste altra vita dell'uomo se non quella razionale e non esiste nessun'altra esperienza se non quelle descrivibili per forma e quantità.

Se questo fosse stato vero, la psicoanalisi non avrebbe fallito.

L'uomo e la donna vivono emotivamente le relazioni col mondo e il loro corpo produce esperienze che non giungono alla coscienza così, quanto emerge dal profondo, non necessariamente è riconducibile ad un vissuto ricordato, spesso è riconducibile ad un vissuto immaginato o desiderato. Immaginare e desiderare sono due attività emotive legate all'abitare il mondo dell'uomo e della donna.

Nel 1906 Freud inizia la corrispondenza con Jung. Questo rapporto permette di allargare la società psicoanalista di Vienna e farla uscire dall'idea generale che sia una "cosa solo ebraica". Jung alimenta gli interessi per la psicoanalisi a Zurigo e con la sua attività fa diventare la psicoanalisi parte della cultura tedesca.

Nel 1907 c'è un'altra distruzione degli archivi di Freud. Freud brucia e distrugge tutto il suo archivio e per la seconda volta non avremo più traccia sul come è pervenuto alle sue conclusioni filosofiche.

Consideriamo la teoria dei sogni dell'infanzia di Freud.

Scrive Freud in "Il sogno" del 1911:

Riferirò quindi alcuni esempi di sogni che ho raccolto da bambini. Una bimba di diciannove mesi non aveva ricevuto cibo per tutta la giornata, poiché la mattina aveva avuto un attacco di vomito; la bambinaia disse che era stata male per aver mangiato delle fragole. Durante la notte, dopo questa giornata di fame, si udì che diceva il suo nome nel sonno e aggiungeva: «Fragole, fragoloni, frittata, pappa!». Stava quindi sognando di mangiare e sottolineava con particolare enfasi proprio quella ghiottoneria di cui già si aspettava a ragione di ricevere modeste porzioni nel prossimo futuro. Un bambino di ventidue mesi fece un sogno simile di un banchetto che gli era stato negato. Il giorno prima lo avevano costretto a offrire allo zio in dono un cestino di ciliege fresche, di cui naturalmente gli era stato permesso di assaggiare un solo esemplare. Si svegliò con l'allegra notizia: «Hermann mangiato tutte le ciliege!». Un giorno una bambina di tre anni e tre mesi fece una gita su un lago. Il viaggio evidentemente non fu abbastanza lungo per lei, poiché pianse quando dovette scendere dalla barca. La mattina dopo raccontò che durante la notte era stata in gita sul lago: aveva continuato il viaggio interrotto. Un bambino di cinque anni e tre mesi mostrava segni di insoddisfazione durante una passeggiata nei dintorni del Dachstein. Ogni volta che si vedeva una nuova montagna, chiedeva se era il Dachstein e alla fine si rifiutò di andare a vedere una cascata con il resto della compagnia. Il suo comportamento fu attribuito a stanchezza, ma trovò una spiegazione migliore quando la mattina successiva egli raccontò che aveva sognato di scalare il Dachstein. Evidentemente aveva pensato che l'escursione si sarebbe conclusa con la scalata del Dachstein e si era rattristato perché la montagna promessa non era in vista. Egli creò nel sogno quanto il giorno precedente non gli aveva dato. Una bambina di sei anni fece un sogno del tutto simile. Durante una passeggiata il padre aveva abbreviato la meta prevista, poiché si stava facendo tardi. Sulla via del ritorno ella aveva notato una targa che indicava il nome di un'altra località e il padre le aveva promesso che l'avrebbe portata anche là un'altra volta. La mattina dopo salutò il padre con la notizia che aveva sognato che erano stati in tutti e due i posti.
L'elemento comune in tutti questi sogni di bambini è evidente: hanno tutti realizzato desideri che erano stati attivi durante il giorno, ma che non erano stati soddisfatti. I sogni erano semplici e palesi realizzazioni di desideri.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Il sogno, Newton, 1992 p. 804

Il sogno si trasforma in una difesa in cui il bisogno represso del bambino si realizza e nella soddisfazione di realizzarsi la struttura emotiva si veicola e si distende anziché rinchiudersi nella repressione e soggettivare le possibili malattie psicosomatiche.

Quando la repressione dell'esistenza dei bambini è troppo violenta e tale da toccare la struttura emotiva profonda, allora nemmeno il sognare può produrre la difesa da quel tipo di repressione della vita del bambino. La repressione produce malattia e traumi che condizioneranno l'intera esistenza dell'individuo diventato adulto.

Il desiderio non realizzato è un'emozione repressa. E' un atto di violenza con cui l'oggettività sociale o parentale ha agito sull'individuo per adeguarlo alle condizioni da lei pensate.

Un atto di violenza che si può definire come un vero e proprio stupro della struttura emotiva. La bambina non può mangiare, il bambino non può prendersi le ciliegie, il bambino non può scalare la montagna che desidera, la bambina non può raggiungere la località desiderata. Sono tutte forme di violenza repressiva con cui si è impedito all'emozione di felicità di dispiegarsi nel mondo. Il danno non è irreversibile, il corpo si ripara e permette all'emozione di dispiegarsi nel sogno.

Questo per i bambini, e per gli adulti?

Il sogno non è più in grado di veicolare le emozioni negate e represse. La repressione emotiva si accumula e sfocia in malattie. Però è il mondo che agisce sull'individuo reprimendone le emozioni, non è l'individuo inadeguato che davanti alla repressione si ammala.

Si tratta di curare il mondo anziché curare l'individuo. Ma come si può curare il mondo quando il mondo trova molto più semplice violentare i bambini per adeguarli alla sua morale piuttosto che agire sugli adulti affinché adeguino la loro morale e le loro scelte in funzione della crescita del bambino per una società diversa?

Non siamo davanti ad un Freud che dice "Non posso curare il mondo, ma almeno curo il singolo"; qui siamo davanti ad un Freud che dice "dal momento che sei malato, fa in modo che la tua malattia mi renda felice!".

Nel 1901 Freud pubblica "Psicopatologia della vita quotidiana" nel quale esprime la sua teoria sui "lapsus" in relazione alle teorie relative che circolavano nella sua epoca.

Da questo testo è ricavato il termine "lapsus freudiano" che è quell'errore di parole o di termini che secondo Freud rivelerebbero delle idee che il soggetto vuole tenere nascoste. Quelle idee che possono essere inappropriate se espresse nella condizione quotidiana, vengono mascherate da idee contrarie che vengono dichiarate. Però le idee nascoste impegnano la struttura emotiva e "le risposte automatiche", che provengono, secondo Freud, dalle emozioni interferiscono con le idee manifestate mediante il linguaggio creando il "lapsus". Lo sforzo di repressione dell'idea "inopportuna" è uno sforzo di repressione di sé stesso che si rivela con degli errori nel linguaggio. In sostanza, all'interno di un discorso che elogia un "capo politico", per fare un esempio, al posto della parola "dicitura" emerge la parola "dittatura" o cose simili, capaci di rivelare il reale sentimento di chi sta facendo quel discorso in relazione all'oggetto del discutere.

Scrive a tal proposito Freud:

Ma non in tutti i casi è altrettanto facile - come nell'esempio di Meringer - dimostrare che i lapsus consistenti nella sostituzione di una parola da parte del suo contrario derivano da un'opposizione interiore contro il significato della frase che si vuole o si deve pronunciare. Abbiamo ritrovato un meccanismo analogo analizzando l'esempio di aliquis, in cui l'opposizione interiore si è manifestata nella dimenticanza, anziché nella sostituzione da parte del suo contrario. Ma, per comprendere questa differenza, occorre osservare che non c'è un termine col quale aliquis presenti lo stesso rapporto di opposizione che c'è tra «aprire» e «chiudere»; inoltre, la parola «aprire» è talmente usuale che la sua dimenticanza costituisce indubbiamente un fatto eccezionale.
Poiché gli ultimi esempi di Meringer e Mayer ci dimostrano che il disturbo del linguaggio, noto come lapsus, può essere provocato sia dall'influenza di suoni o parole (che agiscono per anticipazione o retroattivamente della frase che si vuole dire), sia da parole che non rientrano in questa frase, esterne ad essa ed il cui stato d'eccitazione si rivela solo attraverso la formazione di lapsus, anzitutto vogliamo capire se esiste, tra queste due categorie, una separazione netta e precisa, e, in caso affermativo, da quali elementi noi possiamo desumere se un certo caso concreto appartiene all'una o all'altra categoria. Nella sua opera sulla Psicologia dei popoli Wundt, che si occupa dell'evoluzione del linguaggio, s'interessa anche dei lapsus e sarà bene tener conto di alcune sue considerazioni in proposito.
Secondo Wundt, nei lapsus e fenomeni analoghi, si ritrovano sempre determinati influssi psichici. I
"Innanzitutto, noi ci troviamo di fronte ad una condizione positiva, che consiste nella produzione libera e spontanea di associazioni fonetiche e verbali provocata dai suoni emessi. A fianco di questa condizione positiva ce n'è un'altra, negativa, che consiste nella soppressione o nell'attenuazione del controllo della volontà e dell'attenzione; anche questa condizione agisce come funzione volitiva. Questo gioco dell'associazione può manifestarsi in molti modi: può accadere che un suono sia emesso per anticipazione o che riproduca quelli precedenti; che un suono emesso abitualmente finisca con l'intercalarsi tra altri suoni; oppure, infine, che parole assolutamente estranee alla frase, ma i cui suoni siano in qualche modo associati a quelli che si vuole pronunciare, esercitino su questi ultimi un'azione perturbatrice. Ma in qualunque forma questo gioco d'associazione si presenti, si tratta sempre di differenze di orientamento, o eventualmente di campo d'azione, delle associazioni in gioco, mai di differenze nella loro natura generale.
In certi casi è abbastanza difficile individuare a quale categoria appartenga un certo disturbo, e viene da domandarsi se non sarebbe più esatto attribuirlo all'azione simultanea e combinata di varie cause, secondo il principio della complicazione delle cause" (pp. 380 e 381).
Queste osservazioni di Wundt mi sembrano senz'altro interessanti ed istruttive. Forse, secondo me, sarebbe il caso d'insistere, più di quanto non faccia Wundt, sul fatto che l'elemento positivo, quello che favorisce il lapsus, cioè il rilassamento della funzione inibitrice dell'attenzione, e quello negativo, cioè il cedimento dell'attenzione inibitrice, agiscono quasi sempre simultaneamente, dimodoché questi due fattori rappresentano due condizioni, ugualmente indispensabili, d'un solo processo. E proprio in conseguenza dell'azione inibitrice dell'attenzione, o, per esprimerei più esattamente, grazie a questo rilassamento, che si stabilisce il libero svolgersi delle associazioni.
Tra gli esempi di lapsus che io stesso ho raccolto, ben pochi possono essere riportati unicamente ed esclusivamente a ciò che Wundt chiama «azione per contatto di suoni». Oltre all'azione per contatto, io vi trovo quasi sempre un'azione perturbatrice di qualcosa di esterno al discorso che si vuole fare; questo elemento perturbatore può essere costituito da una sola idea, rimasta inconscia, ma che si manifesta attraverso il lapsus e che in genere può essere riportata alla coscienza solo con un'analisi approfondita, oppure da un movente psichico più generale che si oppone a tutto il contesto del discorso.

Tratto da: Freud, Opere 1886 – 1905, Psicologia della vita quotidiana, Newton, 1992 p. 859 – 860

Mentre Wundt parla di sostituzione meccanica per associazione di suoni, Freud rileva come non sempre esiste quest'associazione meccanica di suoni (spesso relative alla dislessia o a forme lievi di dislessia), ma come di fondo ci sia la relazione fra struttura emotiva che esprime il desiderio in relazione all'oggetto di cui si parla e la necessità di reprimere il desiderio e la tensione emotiva per mascherare sé stessi al mondo. Wundt è considerato il padre della psicologia mentre Freud è il fondatore della psicanalisi.

Il "lapsus freudiano" che svela la menzogna del soggetto è diventato un oggetto di trattazione fantascientifica e cinematografica. La psicoanalisi ha lavorato molto in quella direzione, ma il mascheramento messo in atto dalle persone di "cose inopportune da non dire" spesso non va nella direzione della "menzogna" ma va nella direzione di un opportunismo contingente specialmente per le persone particolarmente sensibili alla dimensione emotiva del mondo che li circonda. Non rivela una condizione "patologica" e spesso rivela, piuttosto, una deviazione da parole usate abitualmente che si sostituiscono a parole nuove. Come quel giornalista televisivo del partito avverso al "premier in carica" che alla parola "crescita" sostituisce la parola "decrescita" perché ha tenuto decine di discorsi sull'imminente crisi economica. Noi viviamo adattandoci al mondo e spesso il linguaggio che usiamo non si adatta così velocemente come vorremmo.

Nel 1902 Freud è nominato professore all'università di Vienna e a casa di Freud nasce la "Società psicoanalitica del mercoledì".

Nel 1905 escono i "Tre saggi sulla Teoria sessuale" che diventeranno una delle pietre miliari della psicoanalisi. Viene pubblicato anche "Il motto di spirito".

Nel primo saggio Freud tratta la "perversione" in campo sessuale e, con essa, la bisessualità della quale tenta di dare una spiegazione in questi termini.

Scrive Freud nel primo dei "Tre saggi sulla teoria sessuale":

La cosa notevole in queste anormalità è però che esse rendono imprevedibilmente facile capire la formazione normale. Un certo grado di ermafroditismo anatomico, infatti, è proprio della normalità; in nessun individuo di normale formazione maschile o femminile mancano le tracce dell'apparato dell'altro sesso che, o continuano a sussistere, senza avere una funzione, come organi rudimentali, oppure sono state trasformate per assumere altre funzioni. La concezione che risulta da questi fatti anatomici da lungo tempo noti è quella di una struttura originariamente bisessuale, che nel corso dell'evoluzione si è mutata fino alla monosessualità con scarsi residui del sesso atrofizzatosi.
Riuscì naturale trasferire questa concezione nel campo psichico e intendere l'inversione nelle sue sottospecie come espressione di un ermafroditismo psichico. Per decidere la questione bastava ormai che l'inversione coincidesse di regola con i segni psichici e somatici dell'ermafroditismo.
Ma questa giustificata aspettativa è rimasta delusa. Non si devono rappresentare cosi vicine le relazioni tra il presunto ermafroditismo psichico e quello dimostrabile anatomico. Ciò che si riscontra negli invertiti è frequentemente un abbassamento della pulsione sessuale in genere e una lieve atrofizzazione anatomica degli organi. Di frequente: niente affatto però di regola o anche solo nella maggior parte dei casi. Bisogna perciò riconoscere che inversione ed ermafroditismo somatico sono in complesso reciprocamente indipendenti.
Inoltre si attribuisce grande valore ai caratteri sessuali cosiddetti secondari e terziari e se ne sottolinea la frequente presenza negli invertiti. Anche qui vi è molto di pertinente, ma non si deve dimenticare che i caratteri sessuali secondari e terziari appaiono in genere assai spesso nell' altro sesso e determinano così segni di ermafroditismo senza che per questo l'oggetto sessuale si dimostri mutato nel senso di un'inversione.
L'ermafroditismo psichico guadagnerebbe in consistenza se, parallelamente all'inversione dell'oggetto sessuale, si avesse almeno il capovolgimento delle altre qualità, pulsioni e caratteristiche della psiche in quelle tipiche dell'altro sesso. Ma una tale inversione di carattere è lecito attendersela con una certa regolarità soltanto nelle donne invertite, negli uomini la più completa virilità psichica è conciliabile con l'inversione. Se si vuole insistere nel postulare un ermafroditismo psichico, bisogna aggiungere che le sue manifestazioni in vari campi si dimostrano assai scarsamente condizionate l'una dall'altra. Lo stesso del resto vale anche per 1'ermafroditismo somatico; secondo Halban anche le singole atrofizzazioni degli organi e i caratteri sessuali secondari sono piuttosto indipendenti nel loro presentarsi.
La teoria della bisessualità è stata enunciata nella sua forma più rozza da un portavoce degli invertiti maschili: cervello femminile in corpo maschile. Purtroppo non conosciamo i caratteri di un "cervello femminile", e sostituire a un problema psicologico un problema anatomico è cosa vana quanto ingiustificata. Il tentativo di spiegazione di Krafft-Ebing appare più esattamente formulato di quello di UIrichs, sostanzialmente però non se ne discosta. Krafft-Ebing opina che la disposizione bisessuale conferisce all'individuo centri cerebrali maschili e femminili unitamente agli organi sessuali somatici; questi centri si sviluppano soltanto all'epoca della pubertà, perlopiù sotto l'influenza della ghiandola genitale da essi indipendente nella predisposizione naturale. Ma per i centri maschili e femminili vale quel che si è detto del cervello maschile e femminile, e tra l'altro non sappiamo neppure se ci sia permesso supporre per le funzioni sessuali luoghi ben delimitati nel cervello, come per esempio avviene per il linguaggio.'
Dopo queste disamine due idee purtuttavia sussistono: a) che anche per l'inversione si debba prendere in considerazione una predisposizione bisessuale, solo che non sappiamo in che cosa questa disposizione al di là della strutturazione anatomica consista; b) che si tratta di disturbi i quali riguardano la pulsione sessuale nel suo sviluppo.
OGGETTO SESSUALE DEGLI INVERTITI. La teoria dell'ermafroditismo psichico presuppone che l'oggetto sessuale dell'invertito sia opposto a quello normale. L'uomo invertito subirebbe come la donna il fascino derivante dalle qualità virili del corpo e dell'anima, sentirebbe sé stesso come donna e cercherebbe l'uomo. Ma, sebbene ciò sia pertinente per tutta una serie di invertiti, è ben lontano dal rivelarci una caratteristica generale dell'inversione. Non vi è dubbio che una gran parte degli invertiti maschi ha mantenuto il carattere psichico della virilità, porta con sé caratteri secondari relativamente scarsi dell'altro sesso e nel suo oggetto sessuale cerca tratti psichici propriamente femminili. Se fosse diversamente, non si capirebbe per quale scopo la prostituzione maschile che si offre agli invertiti - oggi come nell'antichità - imiti le donne in tutte le manifestazioni esterne dell'abbigliamento e del contegno; altrimenti questa imitazione dovrebbe offendere l'ideale degli invertiti. Tra i Greci, presso i quali gli uomini più virili appaiono tra gli invertiti, è chiaro che non il carattere virile del fanciullo bensì la sua prossimità fisica alla donna come anche le sue qualità psichiche femminili - la timidezza, il ritegno, il bisogno di imparare, di essere aiutato - accendevano l'amore dell'uomo. Divenuto uomo, il fan- ciullo cessava di essere oggetto sessuale per l'uomo e magari diventava egli stesso un pederasta. In questo caso dunque l'oggetto sessuale, come in molti altri casi, non è lo stesso sesso bensì l'unione dei caratteri dei due sessi, quasi il compromesso tra un impulso che richiede l'uomo e un altro che richiede la donna, ferma restando la condizione della virilità del corpo (dei genitali), per così dire il rispecchiamento della propria natura bisessuale. La situazione è più univoca nella donna; nelle donne invertite attive si riscontrano assai spesso i caratteri somatici e psichici dell'uomo; al loro oggetto sessuale esse richiedono la femminilità, sebbene anche qui, a vedere le cose più da vicino, si dovrebbe avere un panorama più variopinto.

Sigmund Freud, La vita sessuale – Tre saggi sulla teoria sessuale, Boringhieri, 1976, p. 40 – 44.

Wilhelm Fliess accuserà Freud di avergli rubato molte idee e fra queste anche l'idea della bisessualità. I rapporti fra Freud e Wilhelm Fliess si erano interrotti un anno prima.

Interpretando la bisessualità nei termini cristiani ed ebraici di "perversione" Freud ha contribuito all'emarginazione di tutti coloro che avevano spinte sessuali diverse contribuendo a restringerli nelle associazioni sociali o religiose per soli uomini. La scelta di Freud è chiara, anziché liberare l'omosessualità, ha contribuito a circoscriverla come malattia con i caratteri di perversione. In sostanza, una cosa che andava repressa.

Non si trattava di comprendere un meccanismo dell'esistenza umana, ma per Freud si trattava di imporre dei meccanismi di giudizio rispetto ad un'apparente devianza sessuale che doveva avere delle spiegazioni in quanto il modello di uomo era il modello creato da Dio. Il modello "ermafrodita" non spiegava nulla. Era solo un'idea priva di ogni fondamento. Oggi sappiamo che l'uomo non è altro che una donna mancata e che la diversificazione della struttura fisica avviene all'incirca nel secondo mese di gravidanza. Il fatto che il bambino nasca uomo o donna è determinato da numerosi fattori che oggi vengono studiati mediante "statistica" in quanto non esistono elementi certi che determinino la sessualità del nascituro. Anche la combinazione del cromosoma X e Y determinano il sesso fisico, ma non è chiaro come il sesso fisico assuma caratteri psicologici maschili, femminili o come si combinino fra loro nel determinare le predilezioni sessuali nel mondo.

Sta di fatto che Freud rinchiude l'omosessualità nell'ambito della perversione e pone le basi per la criminalizzazione dell'omosessualità che diventerà uno dei punti chiave delle motivazioni per lo sterminio nazista assieme all'essere ebreo e all'essere rom.

Anche l'interpretazione della sessualità infantile viene analizzata, interpretata e descritta nella forma di perversione pensata da Freud. Appare più un'idea che Freud proietta sul bambino che non un tentativo di capire il bambino da parte di Freud. Appare come un atto morboso di Freud capace distillare nell'infante idee sessuali che l'infante non aveva piuttosto che capire lo sviluppo della sessualità infantile.

Anche l'interpretazione da parte di Freud su una "sessualità" del bambino in chiave di erotismo sessuale sembra una ricerca di legittimazione della violenza sessuale che i bambini subiscono nell'ambiente vissuto da Freud. Anziché censurare i comportamenti dell'ambiente nei confronti dell'infanzia, Freud, come i preti cattolici, cerca nei bambini le cause della violenza sessuale che gli adulti mettono in atto nei confronti dei bambini

Scrive Freud nel secondo saggio sulla "teoria sessuale":

Non può se non rallegrarci trovare che sull'attività sessuale del bambino non abbiamo più molte cose importanti da imparare dopo che ci è diventata comprensibile la pulsione che muove da una singola zona erogena. Le differenze più evidenti si riferiscono alla condotta necessaria per il soddisfacimento, che per la zona labiale consisteva nel succhiamento e che deve essere sostituita secondo la posizione e la natura delle altre zone da altre azioni muscolari.
ATTIVITà DELLA ZONA ANALE. La zona anale è, analogamente alla zona labiale, appropriata per la sua posizione a mediare un appoggio della sessualità ad altre funzioni del corpo. L'importanza erogena di questa zona del corpo dobbiamo rappresentarcela come molto grande sin dall'inizio. Dalla psicoanalisi si viene poi a sapere, non senza meraviglia, quali trasformazioni normalmente subiscano gli eccitamenti sessuali che ne derivano, e quanto frequentemente questa zona mantenga per tutta la vita una parte notevole di eccitabilità genitale. I disturbi intestinali, casi frequenti negli anni dell'infanzia, fanno in modo che a questa zona non manchino intensi eccitamenti. Il catarro intestinale nell'età più delicata rende "nervosi", come si dice; in malattie nevrotiche di età più matura esso ha un influsso determinante sulle manifestazioni sintomatiche della nevrosi, alla quale esso mette a disposizione la vasta gamma dei disturbi intestinali. Con riguardo all'importanza erogena, che si conserva almeno in forma modificata, della zona dello sbocco intestinale, non sono disprezzabili le influenze emorroidali, alle quali la vecchia medicina attribuiva tanto peso per spiegare stati nevrotici.
I bambini che utilizzano l'eccitabilità erogena della zona anale si tradiscono nella ritenzione delle masse fecali, finché queste, con il loro accumularsi, eccitano violente contrazioni muscolari e nel loro passaggio attraverso l'ano possono esercitare un forte stimolo sulla mucosa. Si ha qui naturalmente, accanto alla sensazione dolorosa, quella di voluttà. Uno dei più evidenti segni premonitori di eccentricità o nervosismo in età più matura è che un lattante si rifiuti ostinatamente di vuotare l'intestino quando è messo sul vaso, dunque quando lo vuole la persona che ne ha cura, e riservi perciò al suo capriccio questa funzione. Naturalmente ciò che gli importa non è di sporcare il letto; si preoccupa soltanto di non lasciarsi sfuggire il piacere che accompagna la defecazione. Gli educatori, dunque, hanno ancora una volta una giusta intuizione, quando chiamano "cattivi" quei bambini che si "riservano" queste funzioni. Il contenuto intestinale che fungendo da massa stimolante su una superficie mucosa sessualmente sensibile si comporta come il predecessore di un altro organo che entrerà in azione solo dopo la fase dell'infanzia, ha d'altro canto per il lattante altri importanti significati. Evidentemente è trattato come una parte del proprio corpo, rap-presenta il primo" regalo", con la cui alienazione può essere espressa a docilità, con il cui rifiuto può essere espressa la sfida del piccolo essere verso il suo ambiente. Come "regalo" assume poi il significato di H bambino, che, secondo una delle teorie sessuali infantili [vedi oltre p. 95], viene acquisito mangiando e partorito attraverso l'intestino.
La ritenzione, inizialmente volontaria, delle masse fecali da parte del bambino, allo scopo di utilizzarle per lo stimolo, diremo cosi masturbatorio, della zona anale, o di adoperarle in relazione alle persone che si prendono cura di lui, è del resto una delle radici dell'occlusione così frequente nei nevropatici. Tutta l'importanza della zona anale si riflette poi nel fatto che sono assai pochi i nevrotici i quali non abbiano le loro particolari usanze e cerimonie scatologiche, da essi avvolte nel massimo segreto. In bambini di una certa età non è affatto rara la stimolazione propriamente masturbatoria della zona anale con l'aiuto del dito, provocata da prurito determinato centralmente o alimentato perifericamente.

Sigmund Freud, La vita sessuale – Tre saggi sulla teoria sessuale, Boringhieri, 1976, p. 84 – 86

Questo breve estratto sulla sessualità della primissima infanzia non parla di come la primissima infanzia vive la sua sessualità, ma parla di come Freud crede che la prima infanzia viva la sua sessualità. In sostanza Freud parla dell'idea che ha un adulto della sessualità del bambino e, nel farlo, giustifica l'azione di perversione e di repressione dell'adulto nei confronti del bambino.

Milioni di bambini sono stati torturati perché "si facevano la cacca addosso" ed erano considerati cattivi e perversi.

Freud è "figlio del suo tempo", come qualcuno dice. Un tempo in cui la violenza sui bambini era la norma in campo cristiano ed ebreo e Freud cerca di giustificare la violenza sui bambini cercando le cause della violenza nei bambini stessi. Così la masturbazione sui ragazzi viene repressa con un'azione feroce e si lascia, per contro, libero spazio allo stupro sui ragazzi di adulti in particolare dei religiosi protestanti, cattolici ed ebrei.

Tutta l'analisi di Freud sulla sessualità infantile appare come una risposta ad una domanda che Freud si fa: che cosa proverei o farei io se fossi un bambino di 6 mesi che fa quelle cose che io osservo? In sostanza, due sono i livelli su cui lavora Freud. Uno è l'osservazione delle azioni del bambino, l'altro è l'interpretazione delle azioni del bambino su cui Freud proietta il sé stesso (adulto) pensandosi bambino.

Da questa analisi ne esce che la sessualità del bambino altro non è che l'idea della sessualità che un adulto attribuisce al bambino e questa, è il fondamento della violenza che i bambini subiscono mediante l'ideologia creazionista.

Freud conclude in questo modo il terzo saggio sulla teoria sessuale:

AZIONE POSTERIORE DELLA SCELTA OGGETTUALE INFANTILE Nemmeno chi ha felicemente evitato la fissazione incestuosa della sua libido è completamente immune dalla sua influenza. Un'evidente eco di questa fase di sviluppo è il primo serio amore che un giovane uomo, come avviene frequentemente, riserva a una donna matura, e il fatto che la ragazza voglia un uomo anziano e autorevole; in questo caso è possibile, rispettivamente, far rivivere l'immagine della madre e del padre. La scelta oggettuale avviene sempre per libero appoggio a questi modelli. Innanzitutto, l'uomo cerca l'immagine mnestica della madre così come lo domina dagli inizi dell'infanzia; si accorda perfettamente con tutto ciò il fatto che la madre ancora vivente si opponga a questo rinnovamento e lo accolga con ostilità. Data questa importanza delle relazioni infantili con i genitori per la successiva scelta dell'oggetto sessuale, è facile capire che ogni perturbamento di queste relazioni dell'infanzia produce le più gravi conseguenze per la vita sessuale dopo la maturazione; anche la gelosia dell'amante non è mai priva di radici infantili, o perlomeno di rafforzamento infantile. Perfino gli screzi fra i genitori, il loro matrimonio infelice, determinano la più grave predisposizione a uno sviluppo sessuale disturbato o a una malattia nevrotica dei figli.
L'inclinazione infantile per i genitori è certamente la traccia più importante ma non l'unica che, rinnovata nella pubertà, indicherà poi la strada per la scelta oggettuale. Altri spunti della stessa origine permettono all'uomo di sviluppare, sempre rifacendosi alla sua infanzia, più di un'unica serie sessuale, di formare condizioni assai varie per la scelta oggettuale.
PREVENZIONE DELL'INVERSIONE Un compito cui la scelta oggettuale non può sottrarsi è quello di non mancare il sesso opposto. Come è noto, questo compito viene assolto non senza una certa ricerca a tentoni. I primi moti dopo la pubertà molto spesso vanno per una strada sbagliata, ma senza danno durevole. Dessoir ha giustamente attirato l'attenzione sulla regolarità con cui si riscontrano amicizie fanatiche di ragazzi e ragazze per persone del loro sesso. La massima potenza che impedisce una durevole inversione dell'oggetto sessuale è certamente l'attrazione esercitata dalle caratteristiche dei sessi opposti; non è questa la sede per spiegare tale attrazione. Ma questo fattore non basta da solo a escludere l'inversione; ad esso si aggiungono sempre elementi ausiliari di ogni genere. Prima di tutto l'inibizione autoritaria esercitata dalla società; dove l'inversione non è considerata un delitto, si può costatare che essa corrisponde perfettamente alle inclinazioni sessuali di non pochi individui. Per l'uomo, poi, si può supporre che il ricordo d'infanzia della tenerezza della madre e di altre persone di sesso femminile, alle quali egli era affidato da bambino, contribuisca energicamente a dirigere la sua scelta sulla donna, mentre l'intimidazione sessuale precoce subita da parte del padre e la posizione di concorrenza nei suoi riguardi lo distoglie dal sesso eguale. I due momenti valgono anche per la ragazza, la cui attività sessuale è sottoposta alla tutela particolare della madre, cosi che ne deriva un rapporto ostile verso il proprio sesso, che influisce decisamente sulla scelta dell'oggetto nel senso ritenuto normale. L'educazione dei ragazzi per opera di persone di sesso maschile (schiavi, nel mondo antico) sembra favorire l'omosessualità; nella nobiltà attuale la frequenza dell'inversione può essere compresa un po' meglio considerando che si adoperano domestici di sesso maschile, come anche che la madre ha per i suoi figli una sollecitudine personale minore. In molte persone isteriche risulta che la precoce scomparsa di uno dei due genitori (morte, divorzio, estraniamento), dopodiché quello rimasto aveva concentrato su di sé tutto l'amore del bambino, fissa le condizioni per il sesso della persona in seguito scelta come oggetto sessuale e quindi rende possibile l'inversione duratura.

Sigmund Freud, La vita sessuale – Tre saggi sulla teoria sessuale, Boringhieri, 1976, p. 118 – 120

E' indubbio che Freud ha fatto una grande operazione filosofico-sociale, quella di aver introdotto il discorso sul sesso e il ruolo della sessualità nel discorso filosofico. Dopo Freud, pur spacciato come un discorso medico, una scelta di medicina, si parla di sesso nella vita dell'uomo e della donna. Il sesso diventa espressione di un corpo desiderante in un mondo di corpi desideranti in cui la sessualità si adatta e, nello stesso tempo, adatta il corpo che, qualora la sessualità incontra ostacoli, si adatta a sua volta producendo la malattia.

Lo stesso vale per l'imprinting sessuale imposto nell'infanzia dove la pura violenza sui bambini non viene censurata da Freud, ma è una realtà dalla quale procedere per il lavoro psicoanalitico di un soggetto "disturbato".

Con Freud il sesso non è pura violenza come espresso dal cristianesimo, ma è espressione di un corpo che manifesta una psiche e una pulsione. Questo è sicuramente il contributo positivo dato da Freud alla filosofia. La filosofia fa resistenza perché si rifiuta di prendere in considerazione l'individuo come soggetto desiderante, lo tratta come individuo privo di desideri in un mondo in cui l'unico soggetto desiderante deve essere Dio.

Solo Freud non agisce per liberare la sessualità, ma agisce per mantenere l'ordine del suo tempo e delle condizioni in ci il cristianesimo costringe la società.

Detto questo, rimane il concetto sulla sessualità freudiano in cui la sessualità deve essere rimossa dal controllo dell'individuo per essere controllata dalla società (da Dio) che si esprime nell'individuo mediante il controllo dell'Io che funge da regolatore e da freno dell'espressione di vita sessuale espressa dall'Es. Un Io che trova il suo superuomo nel Super-Io che, come Io di specie, diventa l'ideale morale dell'Io teso a controllare e fermare la pulsione sessuale.

Questo Io di Freud diventa lo Stato, diventa Dio, diventa il senso delle religioni e il senso della civiltà il cui scopo è negare la pulsione di vita data dall'espressione sessuale per trasformare l'uomo nell'oggetto posseduto dalla "civiltà".

La società agisce attraverso la famiglia per violentare l'infanzia che si trova ad esistere in un mondo di diritti negati in cui Freud continua ad agire per rafforzare la negazione dei diritti dell'infanzia. In Italia sarà necessario arrivare quasi al 2000 perché la violenza sui bambini diventi un reato contro la persona e non un reato contro la morale. A questo rallentamento per il riconoscimento dei diritti sociali della persona, ha contribuito Freud e i "Tre saggi sulla teoria sessuale".

Data la necessità di Freud di introdurre la sessualità come oggetto del discutere filosofico, questa sessualità viene veicolata in una serie di "idee di verità" che servono a minarne e ostacolarne l'espressione nel mondo.

Freud non è in grado di legare la sessualità e le emozioni. Rimangono due cose distinte.

Per Freud la sessualità è solo l'atto sessuale e questo va distinto a tutte le altre manifestazioni dell'uomo.

Il concetto dell'omosessualità come tendenza e scelta nell'infanzia è quanto fa dire a Freud che l'omosessualità è una malattia concordando con altri nel suo tempo. Solo che le sue affermazioni non vengono circoscritte al campo psicoanalitico, ma entrano nel progetto di psichiatria di massa alimentando le tesi dell'omosessualità come malattia e perversione da curare e da reprimere.

Grazie a Freud e all'istituto Goering, gli omosessuali saranno rinchiusi nei campi di sterminio.

Per Freud la sessualità è una pulsione da combattere e da controllare. Una pulsione perversa che deve essere controllata nelle "giuste espressioni". In questa direzione Freud procede affiancando la chiesa cattolica, la chiesa protestante e anche l'ebraismo. La novità non sta nelle idee di Freud sul sesso, ma il fatto che Freud ne parli. La novità nella storia è che la sessualità non è più confinata nell'ambito privato, ma è dibattuta dalla cultura anche se, come ricorderà Reich più tardi, si parlerà raramente della funzione del sesso, ma si parlerà più di perversioni perché sono le perversioni e le possibilità che eccitano i partecipanti alle discussioni.

Anche per Freud, come per i cattolici e i protestanti, la sessualità appartiene all'ambito dell'istinto animale e va repressa perché solo con la repressione della sessualità si genera il controllo degli uomini e dal controllo degli uomini nasce, secondo l'ideologia freudiana, la civiltà.

Nel 1905 Freud pubblicherà anche "I motti dello spirito" un lungo discorso sulla comicità e la trasgressione verbale. In quel suo discorso tralascerà l'aspetto più importante e cioè l'umiliazione dell'individuo mediante le parole. Le aggressioni emotive mediante l'insulto spacciato per "satira" o "comicità". Un insulto che può essere fatto solo dall'individuo socialmente più forte sull'individuo socialmente più debole e che costringe l'individuo socialmente più debole a sottomettersi e a subire rinchiudendo dentro di sé il dolore o a reagire in maniera violenta per "lavare l'offesa".

Nel 1906 Freud inizia la corrispondenza con Jung e scrive un piccolo testo dal titolo "La psicanalisi e l'accertamento dei fatti nei procedimenti legali".

Scrive Freud:

Nel 1901 pubblicai uno scritto in cui dimostravo che tutta una serie di azioni ritenute immotivate sono al contrario rigidamente determinate, e in tale misura ho contribuito alla limitazione del fattore arbitrario nella psicologia. Io presi, come esempi, lievi lapsus di memoria, lapsus linguae e lapsus calami, e il mettere gli oggetti in un posto insolito e dimenticarsene. Dimostravo che quando qualcuno commette un lapsus verbale non lo commette per caso e che non è semplicemente una difficoltà di pronuncia o una somiglianza nel suono ad esserne responsabile. In ogni caso invece si può scoprire un contenuto ideazionale di disturbo - ossia un complesso - che ha alterato il senso di ciò che si intendeva dire sotto la forma apparente di un lapsus verbale. Inoltre, ho esaminato le piccole azioni che vengono compiute per caso e apparentemente noi di proposito - per es. le abitudini di giocherellare con qualcosa, - e ho dimostrato che sono «azioni sintomatiche», collegate a un significato nascosto, e intese a dare a questo espressione discreta. Ho scoperto, inoltre, che neanche il nome di battesimo può venire alla mente arbitrariamente, senza essere stato determinato da qualche potente complesso ideazionale. Persino i numeri aritmetici che si crede vengano scelti a caso si possono far risalire all'influenza di un complesso nascosto di questo tipo.
Pochi anni dopo, un mio collega, Alfred Adler, poté convalidare questa, che è una delle mie più sorprendenti asserzioni, con alcuni esempi lampanti (Adler 1905). Una volta abituatisi a quest'idea del determinismo nella vita psichica, si è giustificati a dedurre dalle Scoperte della psicopatologia della vita quotidiana che le idee che si presentano al soggetto nel corso di un esperimento associativo possono anch'esse non essere arbitrarie, bensì determinate da un contenuto ideazionale operante in lui.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, La psicanalisi e l'accertamento dei fatti nei procedimenti legali, Newton, 1992 p. 93

E ancora:

Vi interesserà sapere, dal punto di vista della vostra professione, come noi medici procediamo nella psicoanalisi. Dopo che il paziente ci ha fatto un primo racconto della sua storia, gli chiediamo di abbandonarsi ai pensieri che gli vengono spontaneamente e di direi senza alcuna riserva critica tutto ciò che gli viene in testa. Come vedete, noi partiamo dall'assunto, che egli non condivide minimamente, che questi pensieri spontanei non saranno scelti arbitrariamente bensì determinati dalla loro relazione con il suo segreto - ossia col suo «complesso» - e si possono, per così dire, considerare derivati .da quel complesso. Noterete che questo assunto è identico a quello col cui aiuto voi potete interpretare gli esperimenti associativi. Ma sebbene noi abbiamo istruito il paziente a seguire la regola di comunicare tutti i pensieri che gli vengano in mente, egli, tuttavia, sembra incapace di farlo. Presto comincia a nascondere ora un pensiero, ora un altro. Naturalmente adduce varie ragioni per spiegare ciò: o che il pensiero non era affatto importante, o che non era pertinente, o che non aveva nessunissimo significato. Noi allora gli chiediamo di direi il pensiero malgrado queste obbiezioni e seguiamo questa traccia, poiché proprio il fatto della sua critica ci dimostra che il pensiero appartiene al «complesso» che stiamo cercando di scoprire. In questo comportamento del paziente, riconosciamo una manifestazione della «resistenza» presente in lui, di cui non ci liberiamo mai per tutta la durata del trattamento. Sottolineerò brevemente che questo concetto di resistenza ha acquistato per noi la massima importanza per capire l'origine di una malattia come pure il meccanismo per curarla.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, La psicanalisi e l'accertamento dei fatti nei procedimenti legali, Newton, 1992 p. 95

Al potere giudiziario interessa un sistema che individui le patologie delittuose nei rei. Un tale sistema è stato ampiamente usato allo stesso modo della fisionomia lombrosiana. Ma come per la fisionomia lombrosiana ci si è dimenticato che l'uomo non è creato uguale da un dio pazzo e cretino, ma è divenuto per adattamento soggettivo come risposta alle sollecitazioni del mondo. Ove le sollecitazioni specifiche del mondo sullo specifico soggetto sono la vera variabile che porta a distinguere i comportamenti del soggetto dai comportamenti di un altro soggetto a parità di cause apparenti nell'unità di tempo presa in considerazione.

L'idea creazionista che sta alla base dell'idea freudiana è quella che porta al fallimento totale della pratica. Sono state sviluppate tecniche da "tracciatori di profili", ma queste tecniche hanno una possibilità solo quando l'ambiente del reo coincide con l'ambiente del "tracciatore di profili", altrimenti il "tracciatore di profili" piega le risposte del reo al suo conosciuto finendo per torturare il presunto reo perché non gli dà le risposte consone all'ambiente in cui lui è vissuto. I torturatori cristiani facevano così con le donne indicate come streghe.

In sostanza, ciò che appare a Freud un mezzo per indagare le intenzioni di una persona e metterla al servizio dei tribunali, si è rivelato un vicolo cieco. Sensazioni ed emozioni appaiono sul volto delle persone, piccoli movimenti ripetuti rivelano momenti di stress emotivo o azioni di difesa psicologica. Là si fermano. L'analisi non va oltre. Non può andare oltre perché l'analista rimane comunque un soggetto diverso e separato dall'analizzato, dal paziente, che segue i propri percorsi di espressione. Questi percorsi di espressione sono suoi come individuo anche se alcuni caratteri sembrano essere comuni a tutta la specie umana. Sorridere appartiene a tutte le persone, perché io sorrido, appartiene alla mia personale interpretazione del mondo. Indubbio che alcune volte si può capire perché io sorrido, ma non è utilizzabile come metodo generalizzato perché il mio sorridere segue i miei pensieri espressi da un corpo che è divenuto in maniera diversa da ogni altro individuo.

Nel 1907 Freud scrive "Comportamenti ossessivi e pratiche religiose". Le sue idee sulle "religioni" sono ben espresse nelle conclusioni di questo breve scritto.

Scrive Freud:

Alcuni elementi di questa situazione si rilevano anche nell'ambito della vita religiosa. Anche la formazione di una religione sembra poggiare sulla repressione e sulla rinuncia a certi impulsi istintuali. Questi, però, non sono soltanto componenti della pulsione sessuale, come nelle nevrosi: si tratta di pulsioni egoistiche, socialmente dannose, che pure, di solito, non sono esenti da elementi sessuali. In fin dei conti, un senso di colpa conseguente a una continua tentazione, e un'aspettativa angosciosa sotto la forma di timore della punizione divina ci erano noti nel campo religioso ben prima che in quello delle nevrosi. Anche nella vita religiosa la pressione delle pulsioni si rivela quale processo inadeguato e interminabile, forse a cagione della commistione con componenti sessuali, forse per una proprietà generale delle pulsioni. In effetti, l'abbandonarsi completamente al peccato è più frequente tra le persone religiose che tra i nevrotici, e tale abbandono porta a nuove forme di attività religiosa, ossia a pratiche penitenziali, che trovano la loro corrispondenza nella nevrosi ossessiva. Una caratteristica curiosa e ridicola della nevrosi ossessiva è, come abbiamo potuto notare, che i suoi cerimoniali riguardano piccole attività quotidiane e si estrinsecano sotto forma di regolamenti assurdi e di restrizioni a questi collegate. Non ci sarà possibile comprendere questa notevole caratteristica del quadro clinico finché non ci saremo resi conto che il processo mentale della nevrosi ossessiva è dominato dal meccanismo dello spostamento psichico, scoperto da me per la prima volta nella costruzione dei sogni. Apparirà già chiaro, dai pochi esempi di comportamento ossessivo riportati, che il simbolismo di tali attività e i particolari della loro esecuzione scaturiscono da uno spostamento dall'elemento effettivo e importante ad uno di scarso valore che ne prende il posto (per esempio, da un marito a una sedia). Questa tendenza allo spostamento modifica a poco a poco il quadro clinico e, alla fine, riesce a trasformare una cosa, evidentemente quanto mai banale, in una della massima importanza e urgenza. Non si può negare che nell'ambito religioso vi sia, parimenti, una analoga tendenza a uno spostamento dei valori psichici, e nello stesso senso, così che gli insignificanti cerimoniali della pratica religiosa a poco a poco si trasformano nell'elemento essenziale, facendo passare in seconda linea il pensiero sottostante. Questo spiega il perché delle riforme delle religioni, riforme che agiscono in senso retroattivo, essendo intese a restaurare l'originario equilibrio di valori.
Il carattere di compromesso dei comportamenti nevrotici è meno facile a individuarsi nelle corrispondenti pratiche religiose. Eppure, anche in questo caso ci ricordiamo di tale caratteristica delle nevrosi quando poniamo mente alla frequenza, in nome ed, evidentemente, per riguardo verso la religione, proprio di quegli atti che sono proibiti dalla religione stessa (quali estrinsecazioni delle pulsioni da questa represse). Tenendo presenti queste somiglianze e analogie, ci si potrebbe azzardare a considerare la nevrosi ossessiva come la controparte patologica della formazione di una religione, e a descrivere la nevrosi come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi ossessiva universale. La somiglianza fondamentale risiederebbe nella basilare rinuncia all'estrinsecazione di pulsioni costituzionalmente presenti, mentre la differenza essenziale si troverebbe nella natura di queste pulsioni, che nella nevrosi hanno un'origine esclusivamente sessuale mentre nella religione traggono origine dall'egoismo. Una progressiva rinuncia alle pulsioni costituzionali, la cui estrinsecazione potrebbe generare la soddisfazione primaria dell'Io, risulta essere uno degli elementi fondamentali dello sviluppo della civiltà umana. Una parte di questa rimozione delle pulsioni è devoluta alle religioni, in quanto queste esigono dall'individuo che sacrifichi alla divinità il proprio piacere pulsionale: «La vendetta mi appartiene», dice il Signore. Ci sembra di rilevare, nello sviluppo delle antiche religioni, che molte cose cui il genere umano aveva rinunciato in quanto «iniquità» fossero state sacrificate alla divinità e fossero tuttora permesse in suo nome, di modo che il rimettere alla divinità le pulsioni malvage e socialmente dannose rappresentava il mezzo col quale l'umanità si svincolava dal loro dominio. Per tal ragione non è certamente casuale il fatto che tutte le qualità umane, compresi i misfatti che ne scaturiscono, fossero attribuiti in misura illimitata agli antichi dèi, né contraddice a ciò il fatto che, nonostante questo, all'uomo non fosse concesso di giustificarsi appellandosi all'esempio divino.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, La psicanalisi e l'accertamento dei fatti nei procedimenti legali, Newton, 1992 p. 152 - 153

Appare evidente, da quanto Freud afferma, come egli interpreta le religioni nella stessa forma del cristianesimo e dell'ebraismo e si rifiuta di prendere in considerazione ogni altra forma religiosa che non sia quella dell'ebraismo, del cristianesimo allargando, forse, sul buddismo, l'induismo e l'islamismo. Solo che prima di loro c'erano altre religioni che non esercitavano il controllo delle persone mediante la morale sessuale. Pertanto, le riflessioni di Freud sono molto parziali.

Le religioni di cui parla Freud sono l'ebraismo, il cristianesimo, l'islamismo, il buddismo e l'induismo. Egli rileva come al centro di quelle religioni ci sia la repressione sessuale e la sessualità repressa genera le nevrosi religiose proprie dell'ebraismo, del cristianesimo, dell'islamismo, dell'induismo e del buddismo quando non vengono mediate da una società "laica" che protegga l'individuo dalla violenza di quelle religioni.

Quelle religioni sono veicolazione di malattia mentale e solo la malattia mentale prodotta dal desiderio negato, dal senso di colpa, dallo smarrimento per l'incapacità di agire e vivere nel mondo che si traduce nell'individuo in una violenta e ossessiva ricerca di una sicurezza propria del disperato. Dopo di che la malattia mentale, le nevrosi, gli stati angosciosi devono riprodurre sé stessi negli individui e lo fanno mediante la repressione sessuale. Mediante la violenza con cui viene imposta la morale coercitiva sull'infanzia dalle religioni considerate da Freud.

La malattia mentale si veste da religione e nel farlo distrugge tutte le religioni che non sono portatrici di malattia mentale. Queste ultime sono disarmate davanti alla repressione. Hanno accolto la nuova religione come una fra le tante religioni e questa ha proceduto ad un sistematico annientamento delle religioni concorrenti e ha proceduto ad esercitare la violenza, la violenza sessuale ed emotiva, sull'infanzia per produrre individui malati sufficientemente disperati per essere asserviti al principio speranza.

Quando si affrontano persone religiose cristiane, ebree, musulmane, induiste o buddiste si discute su due piani diversi. Da un lato c'è la loro dottrina, scritta, oggettiva, sui cui principi si può discutere, dibattere, controbattere, opporsi, condividere o scontrarsi. Dall'altro lato c'è la struttura psichica del cristiano, dell'ebreo, dell'induista, dell'islamico, del buddista che non può vivere se quella struttura ideale viene messa in discussione perché la sua struttura emotiva si identifica in quella struttura religiosa e queste persone non sono in grado di dibattere loro stessi se non quando una condizione oggettiva violenta distrugge le loro possibilità di vivere in quell'idea religiosa.

Nelle antiche religioni non c'era iniquità. Erano adeguate al loro tempo e non sottomettevano la struttura emotiva dell'uomo imponendogli la malattia mentale per poterne controllare la sessualità.

Le cose cambiarono con l'arrivo dell'ebraismo e del cristianesimo, ma Freud si guarda bene dall'accusare ebraismo e cristianesimo di essere le organizzazioni funzionali alla distruzione dell'uomo. Esattamente come farà con il nazismo.

Nel 1908 Freud scrive "Fantasie erotiche e loro rapporto con la sessualità". In questo scritto Freud mette in relazione le fantasie erotiche con le nevrosi e altre malattie mentali. Le malattie mentali si alimentano con le fantasie erotiche che entrano nell'inconscio dell'individuo mediante la masturbazione. In altre parole, la masturbazione renderebbe, secondo Freud, gli individui, pazzi.

Scrive Freud:

Le fantasie inconsce o sono state inconsce da sempre e si sono formate nell'inconscio, o - come più frequentemente si verifica - una volta erano fantasie consce, sogni ad occhi aperti, e poi sono state deliberatamente dimenticate divenendo inconsce attraverso la «rimozione». L'argomento in seguito può esser rimasto lo stesso o può aver subito delle alterazioni, sicché le fantasie inconsce presenti sono derivate da quelle una volta consce. Ora una fantasia inconscia ha una connessione importantissima con la vita sessuale del soggetto, poiché è identica alla fantasia che è servita a dargli la soddisfazione sessuale durante un periodo di masturbazione. A quel tempo l'atto masturbatorio (nel senso più ampio del termine) era composto di due parti: l'evocazione della fantasia e un qualche comportamento attivo per ottenere al suo apice un auto-appagamento. Questa combinazione, come è noto, era semplicemente una saldatura. In origine l'azione era un procedimento puramente autoerotico al fine di ottenere piacere da una zona particolare del corpo, che definiremo erogena. In seguito, questa azione si fuse con una rappresentazione di desiderio sorta dalla sfera dell'amore oggettuale e servì come realizzazione parziale della situazione in cui culminava la fantasia. Susseguentemente, quando il soggetto rinuncia a questo tipo di soddisfazione fantastico - masturbatorio, l'azione viene abbandonata, mentre la fantasia da conscia diventa inconscia. Se non subentra nessun altro tipo di soddisfazione sessuale e il soggetto continua nell'astinenza senza riuscire a sublimare la sua libido - cioè, a deviare la sua eccitazione sessuale verso scopi più alti -, si crea la condizione perché la sua fantasia inconscia riviva e prolifichi, e, almeno per quel che riguarda qualche parte del suo contenuto, si manifesti, con tutta la forza del bisogno di amore, sotto forma di sintomo patologico.
In questo modo le fantasie inconsce sono i precursori psichici immediati di tutta una serie di sintomi isterici che non sono altro che fantasie inconsce portate alla luce attraverso la «conversione»; e per quanto i sintomi siano somatici, spesso derivano dalla cerchia delle stesse sensazioni sessuali e delle innervazioni motorie che hanno originariamente accompagnato la fantasia allorché era ancora conscia. In questo modo l'abbandono dell'abitudine di masturbarsi è in realtà superato, e lo scopo dell'intero processo patologico, che è quello del ripristino dell'originaria soddisfazione sessuale primaria, viene così raggiunto - anche se mai completamente, - è vero, tuttavia sempre con una certa approssimazione. Chiunque studia l'isteria, quindi, distoglie presto il proprio interesse dai sintomi per indirizzarlo alle fantasie da cui i sintomi hanno origine. La tecnica della psicoanalisi ci mette in grado anzitutto di risalire dai sintomi alle fantasie inconsce e quindi di renderle consce al paziente. Con questo mezzo si è trovato che il contenuto delle fantasie inconsce di un individuo isterico corrisponde completamente alle situazioni in cui i pervertiti ottengono consciamente soddisfazione; e se a qualcuno non viene in mente alcun esempio di situazioni simili, ha solo da ricordare i famosi spettacoli offerti dagli imperatori romani, gli eccessi selvaggi che naturalmente erano determinati solo dal potere enorme e incontrollato in possesso degli autori delle fantasie. Le manie dei paranoici sono fantasie della stessa natura, benché siano fantasie divenute immediatamente consce. Si fondano sulle componenti sadomasochistiche della pulsione sessuale, e possono anche trovare pieno riscontro in certe fantasie inconsce dei soggetti isterici. Conosciamo anche casi - casi che hanno anche la loro importanza pratica - in cui gli isterici non danno espressione alle loro fantasie in forma di sintomi ma come realizzazioni consce, e in questo modo ideano e inscenano assalti, violenze o atti di aggressione sessuale.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, Fantasie erotiche e loro rapporto con la sessualità, Newton, 1992 p. 170 – 171

La fantasia erotica diventa un contenuto dell'inconscio capace di determinare i comportamenti dell'individuo inducendolo alla malattia mentale.

La fantasia erotica è il rimosso che arriva ad abitare l'inconscio e da quest'inconscio condiziona la vita sessuale delle persone. Per Freud l'inconscio può essere pensato solo come contenitore delle fantasie erotiche che possono essere "sempre state" e formatesi nell'inconscio, oppure erano fantasie consce che furono rimosse e relegate nell'inconscio. L'inconscio di Freud è un magazzino nel quale vengono riposti gli scarti della vita consapevole. Prima che iniziasse la vita consapevole l'inconscio era vuoto, una tabula rasa.

Le fantasie erotiche assumono per Freud la centralità della vita psichica dell'uomo. Siamo arrivati al punto che non è la libido che chiede di veicolarsi nel mondo e per farlo alimenta non solo il corpo, ma mette in moto anche la necessità psichica che interviene ad occupare il pensiero astratto con l'eccitazione, ma è la veicolazione dell'eccitazione mediante la fantasia che mette in moto la libido.

E' indubbio che la libido, essendo l'energia stessa della vita, chiede di poter veicolarsi in ogni istante dell'esistenza umana e davanti a sollecitazioni del pensiero astratto o dei segnali del mondo preme per essere veicolata. Rimane il fatto che le fantasie erotiche sono uno strumento di cui la libido si serve e non le padrone della libido.

La cosa cambia quando la repressione sessuale necessita di determinare i limiti repressivi entro i quali permettere comunque alla libido di esprimersi. Si reprime la masturbazione. Si reprimono i rapporti sessuali, si reprimono le possibilità di vivere sessualità. Cosa resta? Una libido bloccata in sé stessa che occupando il corpo alimenta le "fantasie erotiche" che hanno cessato di essere "fantasie erotiche" per trasformarsi in "manifestazioni allucinatorie" di un disagio psichiatrico. Il disagio da malattia psichiatrica indotta mediante la repressione diventa, nelle mani di Freud e degli psicoanalisti, il giocattolo con cui controllare uomini e donne.

La malattia mentale si trasforma in paranoia, nevrosi, depressione, stati d'angoscia che vive in stati allucinatori e in alterazioni della capacità del giudizio nel mondo. Però non stiamo parlando del meccanismo della libido, stiamo parlando degli effetti della repressione sessuale.

Nel 1908 Freud scrive "La morale sessuale "civile" e il nervosismo moderno". In questo testo Freud pone le basi per la formazione del suo concetto di società e di civiltà che, provenendo da Freud, diventerà uno dei concetti fondanti la società nazista e l'oscurantismo cristiano che annienterà lo sviluppo sociale della prima metà del XX secolo e gran parte della seconda metà fino al 1968.

Scrive Freud:

La pulsione sessuale - o, più correttamente, le pulsioni sessuali, poiché l'indagine analitica ci insegna che la pulsione sessuale è composta di molti costituenti separati o pulsioni componenti probabilmente è molto più sviluppata nell'uomo che nella maggior parte degli animali superiori; ed è certamente più costante poiché ha quasi interamente superato la periodicità a cui invece sono legati gli animali. Questa pulsione mette straordinarie quantità di forze a disposizione dell'attività civile e lo fa in virtù della caratteristica particolarmente marcata che gli permette di sostituire i suoi scopi senza che vi sia materialmente una diminuzione d'intensità. Questa capacità di cambiare il suo scopo originariamente sessuale con un altro, non più sessuale ma in relazione psichica col primo scopo, è detta capacità di sublimazione. In contrasto con questa capacità di sostituibilità, in cui risiede il suo valore per la civiltà, la pulsione sessuale può anche mostrare una fissazione particolarmente ostinata che la rende inservibile e che talora può farla degenerare in quelle che sono state descritte come anormalità. L'originaria forza della pulsione sessuale varia probabilmente da individuo a individuo; certamente varia la proporzione di essa adatta alla sublimazione. Ci sembra che sia la costituzione innata di ciascun individuo a decidere in primo luogo quanta parte della sua pulsione sessuale sarà possibile sublimare e usare. In aggiunta a questo, gli effetti dell'esperienza e le influenze intellettuali sul suo apparato mentale riescono a causare la sublimazione di una parte ulteriore di essa. Comunque non è certo possibile estendere indefinitamente questo processo di sostituzione, più di quanto non lo sia nel caso della trasformazione del calore in energia meccanica nelle nostre macchine. Una certa soddisfazione sessuale diretta sembra essere indispensabile per la maggior parte degli organismi, e una deficienza in questa soddisfazione, che varia da individuo a individuo, dà luogo a fenomeni che a causa degli effetti deleteri sulla funzione e della qualità soggettiva di spiacevolezza si devono considerare come malattie. Ulteriori prospettive si aprono allorché prendiamo in considerazione il fatto che la pulsione sessuale nell'uomo originariamente non serve affatto agli scopi della riproduzione, ma ha come fine il raggiungimento di particolari tipi di piacere. Essa si manifesta in questo modo nell'infanzia dell'uomo, nel corso della quale raggiunge lo scopo di ottenere piacere non solo dagli organi genitali ma anche dalle altre parti del corpo (le zone erogene), e può quindi trascurare tutti gli altri oggetti che non gli siano convenienti. Noi chiamiamo questo stadio lo stadio dell'autoerotismo, e, a nostro avviso, l'educazione del bambino ha il compito di limitarlo perché restare a lungo in questo stadio renderebbe incontrollabile e inservibile in seguito la pulsione sessuale. Lo sviluppo della pulsione sessuale procede pertanto dall'autoerotismo all'amore dell'oggetto e dall'autonomia delle zone erogene alla loro subordinazione, alla supremazia degli organi genitali, messi al servizio della riproduzione. Durante questo sviluppo una parte dell'eccitazione sessuale fornita dal corpo stesso del soggetto viene inibita dal momento che non serve alla funzione riproduttiva e nei casi favorevoli è portata alla sublimazione. Le forze che possono essere impiegate per le attività culturali sono così ottenute in grande misura attraverso la repressione di quelli che conosciamo come elementi perversi dell'eccitazione sessuale.
Si possono distinguere tre stadi di civiltà se si pone mente a questa evoluzione della pulsione sessuale; il primo in cui la pulsione sessuale può essere esercitata liberamente senza considerare gli scopi della riproduzione; il secondo, in cui tutta la pulsione sessuale è repressa ad eccezione di quella che serve agli scopi della riproduzione; e il terzo in cui soltanto la riproduzione legittima è concessa come scopo sessuale. Questo terzo stadio è riflesso nella moralità sessuale «civile» d'oggigiorno. Se prendiamo come media il secondo stadio dobbiamo sottolineare che un certo numero di persone, a causa della loro organizzazione, non riescono a far fronte alle sue richieste. In intere classi di individui lo sviluppo della pulsione sessuale, come lo abbiamo descritto sopra, che va dall'autoerotismo all'amore dell'oggetto - scopo finale l'unione degli organi genitali - non è stato ancora correttamente e sufficientemente portato a termine. Come conseguenza di questi disturbi dello sviluppo si verificano due tipi di dannose deviazioni dalla sessualità normale - cioè, la sessualità che serve alla civiltà; e la relazione esistente tra questi due tipi è quasi quella esistente tra il positivo e il negativo.
In primo luogo (non tenendo conto degli individui la cui pulsione sessuale è eccessiva e irreprimibile) ci sono le differenti varietà di pervertiti, in cui una fissazione infantile su uno scopo sessuale preliminare ha impedito alla supremazia della funzione riproduttiva di stabilirsi, e gli omosessuali o invertiti, nei quali lo scopo sessuale è stato sviato dal sesso opposto, in modo ancora non completamente chiaro. Se gli effetti deleteri di questi due tipi di disturbo dello sviluppo sono minori di quel che ci si potrebbe attendere, lo si deve proprio alla complessità della pulsione sessuale, che rende possibile alla vita sessuale di una persona il raggiungimento di un'utile forma finale anche se una o più componenti della pulsione sono state escluse dallo sviluppo. La costituzione delle persone invertite - gli omosessuali - è, in verità, spesso distinta da una particolare attitudine della loro pulsione sessuale alla sublimazione culturale.
Le forme più pronunciate delle perversioni e dell'omosessualità, specie se esclusive, rendono, è vero, coloro i quali ne sono soggetti, socialmente inutili e infelici; sicché si deve riconoscere che le esigenze culturali anche del secondo stadio sono una fonte di sofferenza per una certa parte dell'umanità. Il destino delle persone che differiscono costituzionalmente dagli altri è vario, secondo che essi siano dotati di una pulsione sessuale forte in senso assoluto o comparativamente debole. Nel secondo caso - dove la pulsione sessuale in generale è debole - i pervertiti riescono a reprimere totalmente le inclinazioni che li mettono in conflitto con le richieste morali dello stadio di civiltà a cui appartengono. Ma questo dal punto di vista ideale, è anche la sola cosa in cui essi riescono; poiché, per effettuare la repressione della pulsione sessuale, essi usano le forze che altrimenti impiegherebbero in attività culturali. Essi sono, come dire, inibiti interiormente e paralizzati esteriormente. Ciò che diremo in seguito circa l'astinenza richiesta agli uomini e alle donne dal terzo stadio di civiltà è valido anche per costoro.
Dove la pulsione sessuale è molto intensa, ma perversa, ci sono due possibili sbocchi. Il primo, sul quale non ci soffermeremo oltre, è che la persona in questione resta un pervertito e deve subire le conseguenze della sua deviazione dalla norma della civiltà. Il secondo è molto più interessante. E che, sotto l'influenza dell'educazione e delle esigenze sociali, una repressione delle pulsioni perverse riesce certo ad ottenersi, ma è un genere di repressione che in realtà non è affatto repressione. Si può parlare più propriamente di una repressione mancata. Le pulsioni sessuali inibite, è vero, non sono più espresse come tali, - e questo rappresenta il successo dell'operazione - ma trovano espressione in altri modi, che sono tanto dannosi al soggetto e lo rendono tanto inutile alla società quanto avrebbe potuto fare la soddisfazione delle pulsioni represse in forma immodificata. Questo costituisce il fallimento dell'operazione, che a lungo andare vanifica il successo. I fenomeni sostitutivi che emergono in conseguenza della repressione della pulsione costituiscono quelle che noi chiamiamo malattie nervose, o più precisamente, psiconevrosi.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, La morale sessuale "civile" e il nervosismo moderno, Newton, 1992 p. 182 – 184

In questa breve citazione c'è tutto il concetto di civiltà ed uso della civiltà di Freud. L'individuo per Freud è un oggetto d'uso di una "società" che lo usa per sé stessa. E' la società che si sostituisce a Dio nell'esercitare il possesso dell'individuo che deve funzionare per quello che la società vuole che quell'individuo funzioni. Ma il termine società è un termine che inganna. La società è formata da individui e la qualità degli individui forma la società. La società in quanto tale non piega gli individui a sé stessa, è la società che procede nelle sue trasformazioni, nei suoi mutamenti, adattandosi alla qualità degli individui che la compongono. Al contrario, Dio o lo Stato assolutista, voluto da Freud, determinano la qualità degli individui mettendo in atto azioni repressive che intervengono sulla sfera emotiva dell'individuo discriminando fra le sue possibilità di agire nel mondo e reprimendo la sua sessualità impedendo all'individuo di usarla per migliorare la sua qualità della vita in funzione dell'uso che il padrone vuole fare dell'individuo stesso.

Scrive Onfry in Crepuscolo di un idolo a proposito della posizione di Freud sulla masturbazione:

Sotto la penna di Freud è possibile trovare una critica sorprendente dell'onanismo. Sorprendente, perché la lucidità del personaggio a proposito della brutalità della repressione sessuale avrebbe potuto far credere che il piacere solitario potesse esser concepito come uno sbocco possibile e inoffensivo della tirannia dei corpi: com'è possibile mettere sotto accusa, condannare, inseguire, con la stessa testarda ostinazione dei più pedanti confessori cristiani, un soddisfacimento ottenuto senza danni per sé e per gli altri?
A leggere i Dibattiti della Società psicoanalitica di Vienna si resta stupiti, tale è la condizione di arretratezza mentale che gli psicoanalisti rivelano sull' argomento. TI famoso manuale del Dottor Samuel Tissot (1728-1797) che prediceva le peggiori malattie ai masturbatori, ha trovato una discendenza intellettuale nella maggior parte delle tesi sostenute dagli psicoanalisti a questo proposito. L'Onanisme, sottotitolo Dissertation sur les maladies produites par la masturbation [Dissertazione sulle malattie prodotte dalla masturbazione], fu un best-seller europeo costruito sulla prevenzione di questa pratica sessuale banale, presentata come estremamente dannosa per la salute. Freud segue le orme di Tissot e perde 1'occasione che avrebbe potuto fare di lui un medico dei Lumi sessuali.
Tra il 25 maggio 1910 e il 24 aprile 1912, la Società psicoanalitica dedica undici sedute alla questione dell' onanismo, e tutte mostrano l'aeropago convinto della nocività di questa pratica -la loro immancabilmente! La prima seduta è intitolata «Discussione sugli effetti nocivi della masturbazione». TI tono è subito evidente. Freud afferma infatti che la «nevrastenia è causata dalla masturbazione eccessiva» senza nemmeno prendersi la briga di precisare quando comincia l'eccesso.
Grazie alla sofistica, non è la masturbazione in quanto tale che gli psicoanalisti condannano, quanto le fantasie che l'accompagnano! Siamo in una logica identica a quella del prete nel confessionale: la colpa più che nel gesto risiede nei cattivi pensieri. Senza prove e senza dimostrazioni, ma sempre in base al principio del performativo che trasforma un'affermazione soggettiva in verità oggettiva, gli ana- listi dell'assemblea associano l'onanismo alle fantasie d'incesto, all' omosessualità e alla perversione!
La logica freudiana che ricorre alla sofistica per rafforzare il performativo va avanti su questo come sugli altri temi: questi fantasmi corrispondono a una realtà, e anche se il masturbatore non se ne ricorda, ciò non costituisce una prova della sua inesistenza, ma della sua rimozione. Il gesto onanista rimanda dunque, anche se il masturbatore persiste nel diniego, anzi soprattutto in questo caso, al fantasma dell'unione sessuale con la madre, a quello della copulazione col simile sessuale, e ciò nella più pura logica dello sviamento di una sessualità considerata normale da parte di Freud, in altre parole genitale ed eterosessuale.
L' onanismo deve essere sconsigliato per un certo numero di ragioni: è un atto antisociale col quale l'individuo si oppone alla società, in quanto mostra in effetti che non ha bisogno di essa; è un atto troppo semplice col quale la persona si abitua a non fare sforzi per piacere o sedurre; è un atto derealizzante col quale il soggetto mette il reale in secondo piano e si accontenta di fantasmagorie e di immaginario; è un atto edonista che rende difficile accettare le restrizioni necessarie richieste dalla società nella vita sessuale; è un atto regressivo che riporta l'individuo allo stadio sessuale infantile nel quale si radica la nocività psichica fondatrice delle psiconevrosi; è un atto innaturale perché nelle donne ha un carattere maschile.
Nessuna argomentazione accompagna questa serie di critiche enunciate in modo perentorio: come può questo gesto mettere in pericolo, addirittura distruggere la società? Non è un gesto contro, ma un gesto che si compie senza la società. Perché in materia sessuale la complessità dovrebbe essere preferibile alla semplicità? In nome di che cosa? Chi ci dice che la relazione sessuale considerata classica, in altre parole la penetrazione genitale tra un uomo e una donna, si nutre meno di fantasmi e più di realtà rispetto alla pratica masturbatoria?

E ancora:

La seduta del 22 novembre 1911 ritorna sull'argomento. Freud prende la parola per esaminare le relazioni che il masturbatore ha con le sue fantasie incestuose. L'impossibilità di avere una relazione sessuale con la propria madre spiegherebbe i gravi stati depressivi nei quali si troverebbe il discepolo di Onan! Freud traccia un quadro del masturbatore: ha paura delle riunioni; tende a stare da solo; manifesta una diffidenza eccessiva; nell'adolescenza, si distingue per una «aspirazione morbosa alla sincerità»; è avido di amicizia autentica; è privo di spontaneità; teme di essere osservato da tutti; in certe occasioni, non può servirsi delle sue mani; ha una mania fanatica a sacrificarsi per qualcosa; ma è o egoista o iperaltruista.
[…]
Si rese necessaria una seduta supplementare, che consentì a Freud di riprendere la storia di Onan nella Bibbia e spiegare come mai il masturbatore abbia una relazione incestuosa con la madre. «Se si concepisce l'atto di Onan in senso simbolico, significa che ha dato il suo sperma alla Madre (Terra-Madre). TI suo è dunque un peccato d'incesto». Ecco perché ogni masturbazione si accompagna a un senso di colpa.
Ora Freud non ignora la vera storia di Onan, in quanto la cita sin dall'inizio della sua dimostrazione. Onan spande il suo seme per terra non per commettere un incesto simbolico, ma per rifiutare l'incesto reale, in quanto Dio gli aveva ordinato di fecondare la moglie del fratello morto. Onan aveva rifiutato di avere una relazione sessuale con la cognata (una situazione che poteva ricordare a Freud un certo numero di cose) e, per fare questo, aveva commesso il gesto all'origine della sua celebrità. Ma Freud vuole ignorare la lezione del testo, il rifiuto dell'incesto, per fargli dire il contrario: l'incesto simbolico tramite l'assimilazione della Terra alla Madre.

Tratto da: Michel Onfray, Crepuscolo di un idolo, Tea, 2011, pag. 365 – 368

Il grande equivoco sull'analisi della sessualità fatta da Freud è questo: i lavori di Freud vanno nella direzione di rendere schiavo l'individuo, non nella direzione di liberare la sua sessualità e promuovere la sua personalità in una società formata da individui.

Freud è chiuso all'interno dell'ideologia assolutista e di questa ideologia assolutista si fa sacerdote e aguzzino per garantire all'assolutismo una migliore gestione degli individui trasformati in bestiame umano.

E' in quest'ottica che inizia la corrispondenza di Freud con Jung ed è in quest'ottica che era in atto la relazione con Adler.

Nel 1908 viene fondata da Freud e altri la società psicoanalitica di Vienna e si tiene il primo congresso di psicoanalisi a Salisburgo.

Nel 1908 Freud scriverà un testo destinato a costruire tanto dolore con un'analisi squinternata sulla sessualità dell'infanzia in cui attribuisce all'infanzia delle "idee innate" sul sesso anziché censurare una società che impone a quei bambini le sue idee sulla sessualità al fine di distruggerne la crescita. Il testo è "Teorie sessuali infantili" del 1908.

Scrive Freud:

La prima di queste teorie prende le mosse da quella trascuratezza per la differenza tra i sessi che ho indicato, al principio di questo articolo, come caratteristica dei bambini. Essa consiste nell' attribuire a tutti, femmine comprese, il possesso del pene, quale il maschietto ha osservato su se stesso. Che il pene sia, fin dall'infanzia, la zona erogena principale e l'oggetto autoerotico sessuale fondamentale, deve avere considerato un elemento della costituzione sessuale «normale». L'apprezzamento per il suo valore si riflette logicamente nell'incapacità del maschietto di immaginare un altro individuo, simile a lui, ma privo di questa componente essenziale. Quando un maschietto vede i genitali della sorellina, quello che dice dimostra che il suo pregiudizio è talmente forte da falsare la percezione. Non osserva l'assenza del pene, ma dice invariabilmente, quasi a scopo di consolazione e per mettere le cose nella giusta luce: «Il suo ... è ancora molto piccolo, ma quando lei sarà più grande diventerà più grosso». L'idea della donna provvista di pene ritorna nella vita successiva, nei sogni degli adulti: il sognatore, in stato di eccitazione sessuale notturna, getta a terra una donna e la denuda per prepararla al rapporto e, a questo punto, si trova davanti a un membro virile ben sviluppato e, con questo, si interrompono il sogno e l'eccitazione. I molti ermafroditi dell'antichità classica riproducono fedelmente questa idea, ritenuta universalmente vera durante l'infanzia. Possiamo osservare che essi non provocano disgusto nella maggioranza delle persone normali, mentre le autentiche conformazioni ermafroditiche dei genitali, che talvolta la natura permette, suscitano quasi sempre il massimo orrore.
Se questa idea della donna provvista di pene diventa «fissa» in un individuo durante l'infanzia - così da resistere a tutte le influenze della vita successiva e da renderlo, divenuto uomo, incapace di concepire l'oggetto sessuale privo di pene questo individuo, anche se sotto altri rispetti potrebbe condurre una vita sessuale normale, necessariamente diventerà omosessuale e andrà in cerca del suo oggetto sessuale tra quegli uomini che, per via di altre caratteristiche fisiche e psichiche, richiamano alla sua mente le donne. Quando, più tardi, conoscerà la vera donna, questa non potrà rappresentare per lui l'oggetto sessuale, perché priva dell'attrattiva sessuale essenziale, ed effettivamente, con il concorso di altre impressioni dell'infanzia, la donna potrà apparigli persino ripugnante. Il bambino, sottoposto essenzialmente a stimolazioni a livello del pene, abitualmente finirà col procurarsi una sensazione di piacere stimolandoselo con la mano. Colto in flagrante dai genitori o dalla bambinaia sarà terrorizzato dalla minaccia che il pene gli venga tagliato. L'effetto di questa «minaccia di castrazione» è proporzionale al valore attribuito all'organo per cui è straordinariamente profondo e persistente. Le leggende e i miti recano la testimonianza dello sconvolgimento della vita emotiva del bambino e dell'orrore che si accompagna al complesso di castrazione, complesso che, in seguito, viene ricordato dalla coscienza con altrettanto aborrimento. I genitali femminili, quando, più tardi, cadranno sotto l'osservazione del soggetto, appariranno all'omosessuale come un organo mutilato che, richiamando alla mente la minaccia di castrazione, desterà in lui orrore anziché piacere. Questa reazione non subirà alcun mutamento, nemmeno quando l'omosessuale apprenderà dalla scienza che il presupposto infantile che le donne hanno il pene non è, in fin dei conti, tanto errato. L'anatomia ha riconosciuto che, nell'ambito del pudendo femminile, il clitoride è l'omologo del pene, e la fisiologia dei processi sessuali è riuscita a precisare che questo piccolo pene, che non si sviluppa mai, durante l'infanzia si comporta effettivamente come un pene vero e proprio, dato che è sede di eccitazioni che inducono la bambina a toccarselo; questa eccitabilità conferisce caratteristiche mascoline all'attività sessuale della bambina, così che, all'epoca della pubertà, si rende necessaria un'ondata di rimozione che elimini la sessualità a carattere maschile e faccia emergere la donna. In effetti la funzionalità sessuale di molte donne è ostacolata da un persistente attaccamento all' eccitabilità clitoridea (per cui rimangono insensibili nell'amplesso), oppure dal sopravvenire di un processo di rimozione talmente intenso che i suoi effetti si traducono in parte in formazioni isteriche compensatorie. Tutto questo sembrerebbe confermare che vi è un fondo di verità nella teoria sessuale infantile che le donne posseggono un pene come gli uomini.
E' facile osservare come le bambine siano pienamente d'accordo col fratello su questo punto. Nasce in loro un grande interesse per quella parte del corpo del maschio, ma, ben presto, a questo interesse si aggiunge l'invidia. Si sentono vittime di un'ingiustizia. Compiono dei tentativi per orinare nella posizione resa possibile per il maschio dal fatto di avere un pene di grandi dimensioni; e quando una bambina afferma che «preferirebbe essere un maschio», noi sappiamo qual è la manchevolezza che, nel suo desiderio, vorrebbe correggere. Se i maschietti potessero seguire gli indizi forniti loro dall'eccitazione del pene, si avvicinerebbero un altro po' alla soluzione del loro problema. Il fatto che il bambino si sviluppa nel corpo materno non è, ovviamente, una spiegazione sufficiente. Come fa ad entrarvi? Come si inizia il suo sviluppo? E probabile che il padre entri in qualche modo nella faccenda: egli dice che il bambino è anche il suo bambino. Anche il pene deve entrare in qualche modo in questi fatti misteriosi; la dimostrazione è data dall'eccitazione a livello del pene che si accompagna a queste attività mentali del bambino. A questa eccitazione si collegano impulsi di cui il fanciullo non sa darsi una spiegazione: un'oscura necessità a compiere atti violenti, a premere, a rompere, ad aprire violentemente un foro che si trova in un punto indeterminato. A questo momento il bambino sembrerebbe ben avviato nel senso di intuire l'esistenza della vagina, traendone la conclusione che un'incursione del genere, operata dal pene del padre entro il corpo della madre, è l'atto per mezzo del quale nel corpo della madre si crea il bambino. Ora, però, un dubbio insuperabile interviene a interrompere l'indagine. Infatti questa è ostacolata dalla teoria che anche la madre è provvista di un pene come l'uomo e perciò il fanciullo non riesce a scoprire l'esistenza della cavità destinata ad accoglierlo. Si comprenderà che l'insuccesso di questi sforzi intellettuali induce il bambino a rinunciarvi e a dimenticarsene. Comunque, queste meditazioni e questi dubbi rappresentano il prototipo di qualsiasi futuro lavoro intellettuale inteso alla soluzione di problemi, mentre il primo insuccesso esercita un effetto negativo sull'intero avvenire del bambino. Il fatto di ignorare la vagina fa sì che i bambini concepiscano un'altra teoria sessuale. Se il bambino si sviluppa nel corpo della madre, per esserne poi estratto, la sua fuoriuscita non può avvenire che attraverso l'unica apertura esistente, cioè l'ano. Il bambino deve essere evacuato come un escremento, come una scibala fecale. In una fase più avanzata dell'infanzia, quando il medesimo problema costituisce l'oggetto di riflessioni solitarie o di discussioni tra maschietti, si arriva probabilmente alla spiegazione che il bambino emerge dall' ombelico, che si apre, o dal ventre, che deve essere tagliato per estrarne il neonato, similmente a quanto accade al lupo nella favola di Cappuccetto Rosso. Queste teorie sono espresse ad alta voce e, in seguito, sono ricordate coscientemente; infatti non contengono più nulla di riprovevole. Questi stessi bambini hanno ormai completamente dimenticato che, negli anni precedenti, avevano creduto a un'altra teoria della nascita, ora eliminata dal sopravvenire della rimozione della componente sessuale anale.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, Teorie sessuali infantili, Newton, 1992 p. 196 – 198

Cosa ha in realtà incontrato Freud? La sua sessualità. La sua soggettività che proiettava come "idea innata" sui bambini. Attorno a lui tutte le prove confermavano che la sua percezione della sua sessualità era una cosa naturale in quanto sviluppo di un'"idea innata", ma non si rendeva conto che non erano le "idee innate " dei bambini, bensì le idee che gli adulti imponevano ai bambini mediante le lor azioni e le loro scelte alle quali i bambini finivano per adattarsi.

Sono gli individui adulti che istigano nelle bambine l'invidia del pene. Sono le analisi freudiane che alimentano l'idea negli infanti e quando gli infanti vengono portati da Freud perché manifestano quelle tendenze, Freud non si chiede in quale ambiente tali idee sono state sviluppate. Non solo, ma la curiosità dello psicanalista non fa altro che alimentare, coltivare e rafforzare quelle idee nei bambini.

Oggi sappiamo, a differenza dei tempi di Freud, il ruolo dei neuroni specchio e come il bambino che vive in un ambiente (l'alta borghesia viennese) fortemente impregnato di sessismo e di interesse per il sesso sia come pratica che come negazione per istillare il peccato, non fa altro che adattare il neonato ad una condizione sessuale alla quale gli adulti chiedono di aderire.

In sostanza è Freud che veicola l'idea della superiorità del pene rispetto alla vagina ed è Freud che alimenta l'osservazione della mancanza del pene con tutte le qualità di inferiorità della donna rispetto all'uomo proprio nella mancanza del pene. In sostanza, è Freud che alimenta l'inferiorità sociale della donna indicando al bambino la sua superiorità sulla donna dovuta al fatto che lui ha il pene.

Freud si sente superiore alle donne perché lui ha il pene e ricerca affannosamente la conferma della sua teoria istillandola nei bambini. In sostanza Freud non analizza sé stesso, ma giustifica il sé stesso quand'era bambino nell'ambiente impregnato di sesso in cui è cresciuto. Analizzare sé stesso era una cosa apparentemente importante. Significava mettere in pratica una forma di "conosci te stesso" come individuo innato creato da Dio, ma se avesse riconosciuto un sé stesso divenuto per adattamento soggettivo alle sollecitazioni del mondo, allora avrebbe dovuto processare il proprio divenuto, mettere in discussione tutti i fenomeni che dal mondo erano giunti fino a lui e che lo avevano costretto ad adattarsi e a trasformarsi in funzione di come lui è divenuto. Ma se Freud incontrava le stesse "idee" nei bambini piccolissimi, allora egli non doveva processarsi perché non aveva responsabilità dell'innatismo ideale che in lui si esprimeva.

Questa teoria di Freud è stata fatta propria dai preti pedofili ed è stata la giustificazione culturale di tutta la violenza che gli adulti hanno messo in atto sull'infanzia per costruire altri adulti malati che costruivano una società malata.

Nel 1909 è invitato con Jung in America a tenere una serie di cinque conferenze sulla psicanalisi. In quell'anno scriverà "l'uomo dei topi".

Nel 1910 Freud rompe con Adler che si distacca da Freud perché era in disaccordo con le idee di rimozione, sessualità infantile ed inconscio.

Fra il 1910 e il 1918 Freud, fra le altre cose, scrive "Contributi alla psicologia della vita amorosa" in cui ribadisce la sua guerra contro la masturbazione.

Scrive Freud:

La prima è la più antica. Nasce sin dai primissimi anni dell'infanzia, si forma sulla base degli interessi dell'istinto d'autoconservazione ed è diretta verso i membri della famiglia e verso coloro che si occupano del bambino. Sin dall'inizio porta seco contributi provenienti dagli istinti sessuali - componenti d'interesse erotico - che si possono già vedere più o meno chiaramente anche nell'infanzia e comunque sono in seguito scoperti nei nevrotici mediante la psicoanalisi. Questa corrente corrisponde alla scelta oggettuale primaria del bambino. In questo modo si viene a sapere che le pulsioni sessuali trovano i loro primi oggetti attaccandosi alle valutazioni fatte dagli istinti dell'Io, proprio come i primi appagamenti sessuali sono provati nell'attaccamento alle funzioni corporali necessarie per la conservazione della vita. L' «affetto» dimostrato dai genitori e da coloro che si occupano del bambino, affetto che raramente non tradisce la sua natura erotica («il bambino è un giocattolo erotico»), arricchisce notevolmente i contributi dati dall'erotismo alle cariche dei suoi istinti dell'Io, e li porta ad un livello tale che necessariamente avranno una parte importante nel suo successivo sviluppo, specie in certe circostanze propizie.
Queste fissazioni di tenerezza del bambino persistono per tutto il periodo infantile e sono costantemente accompagnate dall'erotismo, che di conseguenza viene deviato dalle sue mete sessuali. Quindi nell'età puberale ad esse si unisce la poderosa corrente «sensuale» che non sbaglia più bersaglio. Sembra seguire sempre i vecchi sentieri e caricare gli oggetti della scelta infantile primaria di quote di libido che ora sono più forti. Qui, però, urta contro gli ostacoli della barriera contro l'incesto eretti nel frattempo; di conseguenza cercherà appena possibile di passare da questi oggetti, che sono inadatti nella realtà, ad altri oggetti estranei con cui poter svolgere una vera vita sessuale. Questi nuovi oggetti saranno scelti sul modello (immagine) di quelli infantili, ma col passare del tempo attrarranno a sé l'affetto che era legato ai vecchi oggetti. L'uomo lascerà il padre e la madre - secondo il comando biblico - e si legherà alla moglie: affetto e sensualità sono allora uniti. La massima intensità di passione sensuale porterà con sé la più alta valutazione dell'oggetto: normale sopravvalutazione dell'oggetto sessuale da parte dell'uomo. Due fattori decideranno la riuscita o meno di questo progresso nel corso evolutivo della libido. Primo, la quantità di frustrazione nella realtà che si oppone alla nuova scelta oggettuale e ne riduce il valore per la persona interessata. Non ha dopo tutto alcun senso compiere una scelta oggettuale se non si lascia al soggetto nessuna possibilità di scegliere o se non c'è la prospettiva di poter scegliere qualcosa di adatto. Secondo, v'è la quantità di attrazione che possono esercitare gli oggetti infantili a cui si deve rinunciare e che è in proporzione alla loro carica erotica nell'infanzia. Se questi due fattori sono abbastanza forti, entra in azione il meccanismo generale che crea la nevrosi. La libido volge le spalle alla realtà, viene dominata dall'attività immaginativa (il processo di introversione) rafforza le immagini dei primi oggetti sessuali e si fissa ad essi. L'ostacolo eretto contro l'incesto, però, costringe la libido ritornata a questi oggetti a restare nell'inconscio. L'attività masturbatoria svolta dalla corrente sensuale, che ora fa parte dell'inconscio, contribuisce a rafforzare questa fissazione. Se il progresso che non è riuscito nella realtà si completa ora nella fantasia, e se gli oggetti sessuali originari vengono sostituiti da altri nelle situazioni fantastiche che conducono all'appagamento masturbatorio, lo stato di cose resta inalterato. In conseguenza di questa sostituzione le fantasie possono accedere alla coscienza, ma nessun passo avanti è stato compiuto per quel che riguarda la collocazione della libido nella realtà. In tal modo può accadere che tutta la sensualità di un giovane si fissi sugli oggetti incestuosi nell'inconscio, o per dirla in altre parole, sulle fantasie incestuose inconsce. Ne segue allora come risultato un'impotenza totale, che è forse ulteriormente confermata da un simultaneo indebolimento reale degli organi che compiono l'atto sessuale.
Per determinare lo stato noto specificamente come impotenza psichica bastano anche condizioni meno gravi. Qui evidentemente l'intera carica della corrente sensuale non si nasconde dietro la corrente affettuosa ma resta abbastanza forte e non inibita da assicurare uno sbocco parziale nella realtà. L'attività sessuale di tali persone mostra i segni chiarissimi, comunque, di non avere dietro di sé l'intera forza motrice psichica dell'istinto. Essa è incostante, facilmente turbata, spesso non svolta in modo adeguato e non accompagnata da molto piacere. Ma soprattutto, è costretta ad evitare la corrente affettuosa. E stata così posta una restrizione alla scelta oggettuale. La corrente sensuale che è rimasta attiva cerca solo oggetti che non evochino le figure incestuose ad essa proibite; se una donna produce un effetto capace di destare un'alta ammirazione di carattere psichico, vediamo che questa impressione non si traduce in un'eccitazione sensuale ma in semplice affetto privo di tracce erotiche. In queste persone l'intera sfera dell'amore resta divisa nelle due direzioni rappresentate nell'arte dall'amore sacro e dall'amore profano (o animale). Quando amano, non desiderano, e quando desiderano, non possono amare. Cercano oggetti che non richiedono il loro amore, al fine di tenere lontana dagli oggetti che amano la loro sensualità e conformemente alle leggi della «sensibilità del complesso» e del «ritorno del rimosso», l'impotenza psichica compare tutte le volte che un oggetto scelto con lo scopo di evitare l'incesto richiama alla mente per qualche caratteristica, spesso anche secondaria, l'oggetto proibito.
La principale misura protettiva presa dagli uomini contro il verificarsi di un disturbo del genere a causa di questa scissione del loro amore, consiste in una devalorizzazione psichica dell'oggetto sessuale, riservando così la sopravvalutazione che normalmente gli si rivolge, all'oggetto incestuoso e ai suoi rappresentanti. Non appena si realizza la condizione di devalorizzazione, la sensualità può esprimersi liberamente e si possono sviluppare notevoli capacità sessuali e un alto grado di piacere. A questo risultato contribuisce anche un altro fattore. Le persone in cui non è avvenuta una adeguata confluenza delle correnti affettuose e sensuali, di solito non si comportano in amore in modo molto raffinato: hanno conservato infatti scopi sessuali perversi la cui irrealizzazione è avvertita come una grave perdita di piacere, mentre la loro realizzazione sembra possibile solo con un oggetto sessuale devalorizzato e disprezzato. Possiamo ora capire i motivi che si nascondono dietro le fantasie del ragazzo delle quali abbiamo parlato nel primo di questi «Contributi», ossia quelle in cui la madre viene degradata al livello di una prostituta. Tali fantasie rappresentano degli sforzi, almeno nell'immaginazione, volti a colmare nell'amore l'abisso esistente tra le due correnti, e, degradando la madre, tendenti ad acquisirla come oggetto di sensualità.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, Contributi alla psicologia della vita amorosa, Newton, 1992 p. 444 - 445

La guerra alla masturbazione è considerata da Freud la madre di tutte le battaglie. La masturbazione è il fondamento di ogni perversione, diventa l'idea eversiva contro la civiltà. La masturbazione è il male e l'origine di ogni malattia mentale.

C'è in Freud questa volontà di proiettare il proprio desiderio sessuale attribuendolo al bambino e ad una sorta di innatismo della perversione sessuale nella relazione madre e figlio.

L'incesto viene alimentato dall'immaginazione sessuale del bambino che in età adulta cerca di riprodurre la relazione incestuosa che gli è stata negata nell'infanzia. Questa volontà di Freud di ridurre l'azione della libido al puro rapporto sessuale e vedere l'atto sessuale come scopo di un bambino di pochi mesi in cui tutta la sua libido è concentrata ad alimentare i suoi processi di crescita e di adattamento al mondo, ha qualche cosa di perverso e malato che si agita dentro Freud.

Nel 1918 c'è un'altra distruzione fatta da Freud delle sue carte, in particolare della corrispondenza. Freud si vergogna molto di quello che scrive. L'idea generale è che Freud scriva e poi cerca le conferme di quanto ha affermato, dal momento che non trova conferme, brucia le sue carte così da far sparire le sue idee prive di fondamento e ricomincia con altre idee di cui cerca disperatamente delle prove attraverso la psicanalisi.

Fra il 1912 e il 1913 Freud scrive "Totem e tabù" nel quale riprende le idee della filosofia positivista, della sociologia, per definire la sua idea sul divenuto dell'umanità. In sostanza, in "Totem e tabù" Freud riprende le idee razziste e colonialiste di Emile Durkheim che hanno il solo scopo di elevare la razza bianca a dominatrice del mondo.

Si tratta di punti di vista sull'uomo non cristiano, ingiuriosi, offensivi e spesso costruiti dai missionari cristiani per dare un senso alle usanze dei popoli distorcendole e calunniandole per far riconoscere in loro le assonanze col cristianesimo. Questa operazione dei missionari cristiani, messa a funto fin dal IV secolo d. c. è funzionale per imporre il cristianesimo.

Freud si affianca alla diffusione di questo odio perché lo trova funzionale a spiegare molti comportamenti che pensa di individuare nei suoi pazienti.

Il "totemismo" e "l'animismo" sono un'invenzione ottocentesca con cui la sociologia ha legittimato il colonialismo chiamando le popolazioni "selvagge". In Freud anziché essere trattati come oggetti di fantasia diventano una verità dalla quale far derivare la propria concezione sociale.

Scrive Freud, fra l'altro, in Totem e Tabù:

Inevitabilmente avviene che lavori i quali si propongono di applicare alle scienze morali le prospettive psicoanalitiche, finiscono per fornire al lettore insufficienti nozioni su tutti e due i rami. Perciò essi si limitano a suscitare un interesse e a suggerire allo specialista idee che egli può tener presenti nel suo lavoro. Questo difetto sarà maggiormente avvertito in un capitolo che tratta la vastissima dottrina denominata animismo.
In senso stretto, animismo è la teoria delle rappresentazioni che riguardano l'anima; in senso lato, quella dell'essere spirituale in generale. Si distingue ancora l'animatismo, la dottrina dell'animazione della natura che a noi appare inanimata, al quale si ricollegano l'animalismo e il manismo. Sembra che il termine animismo, una volta usato per indicare un certo sistema filosofico, abbia ricevuto il suo attuale significato da E. B. Tylor. Tutti questi termini sono derivati dallo studio della particolarissima concezione che della natura e dell'universo hanno i popoli primitivi, sia quelli ora scomparsi, sia quelli tuttora esistenti. Secondo questa concezione il mondo sarebbe popolato di un'infinità di esseri incorporei, benefici o ostili all'uomo; a questi spiriti e a questi demoni si attribuiscono i fenomeni naturali, e si crede che essi siano l'anima non solo delle piante, ma anche di tutti gli oggetti inanimati. Meno ci colpisce il terzo e forse il più importante punto di questa primitiva «filosofia naturale», perché non ce ne siamo noi stessi allontanati abbastanza, pur avendo parecchio limitato la credenza negli spiriti e spiegato i fenomeni naturali come azione di impersonali forze fisiche. Infatti i popoli primitivi credono ad una simile «animazione» anche per i singoli esseri umani. Le persone umane, essi pensano, racchiudono anime che possono abbandonare la loro dimora e trasmigrare in altri esseri umani; queste anime sono la fonte delle attività spirituali ed entro un certo limite indipendenti dai «corpi». In origine le anime erano concepite come molto simili a individui, e solo in seguito ad una lenta evoluzione si sono liberate di ogni elemento materiale per arrivare a un alto grado di «spiritualizzazione».
La maggior parte degli autori propende per l'ipotesi che in questa concezione dell'anima sia il nucleo originario del sistema animistico, cioè che gli spiriti corrispondano ad anime divenute indipendenti e che anche le anime degli animali, delle piante e degli oggetti furono foggiate in analogia con le anime umane. In che modo gli uomini primitivi sono pervenuti alla strana concezione dualistica su cui si basa il sistema animistico? Si pensa attraverso l'osservazione dei fenomeni del sonno, sogno compreso, e della morte che tanto gli somiglia, e nel tentativo di dare una spiegazione a queste situazioni così familiari ad ognuno. Punto di partenza di questa teoria sarebbe stato in primo luogo il problema della morte. Il proseguimento della vita, l'immortalità, costituirebbe per i primitivi un fatto naturalissimo. L'immagine della morte si è formata solo più tardi ed è stata ammessa con esitazione; ancora per noi è un'idea priva di sostanza e senza un chiaro significato. Per quanto riguarda la parte che nell'elaborazione delle teorie animistiche possono avere avuto altre osservazioni ed esperienze, come le immagini oniriche, le ombre, le immagini riflesse dallo specchio ecc., si sono svolte animate discussioni, che, però, non hanno ancora dato un risultato positivo.
Se di fronte ai fenomeni che si sono imposti alla sua riflessione l'uomo primitivo ha reagito conformando delle rappresentazioni psichiche e trasponendole poi sugli oggetti del mondo esterno, il suo comportamento è tuttavia ritenuto assolutamente naturale e niente affatto problematico. Riguardo alla circostanza che le medesime rappresentazioni animistiche sono apparse nelle epoche e nei popoli più disparati, Wundt dice che esse «sono il necessario risultato psicologico d'una coscienza creatrice di miti, e che si dovrebbe considerare l'animismo primitivo come l'espressione spirituale dello stato di natura degli uomini, nella misura in cui esso offra possibilità di accesso alle nostre osservazioni. Già Hume aveva fornito la spiegazione della animazione di oggetti inanimati nella sua Natural History of Religion, quando scriveva: «E l'universale tendenza dell'uomo concepire tutti gli esseri come simili a sé, ed attribuire agli oggetti tutte le caratteristiche che gli sono più familiarmente note e di cui è intimamente cosciente».
L'animismo è un sistema di pensiero; esso non si limita a fornire la spiegazione di un fenomeno singolo, ma consente di vedere in una certa prospettiva l'intero universo come un complesso unico. Secondo gli eruditi, nel volgere dei tempi l'umanità ha avuto tre di questi sistemi, tre grandi concezioni del mondo: quella animistica (mitologica), quella religiosa e quella scientifica. Quella sorta per prima, l'animismo, è forse la più coerente e la più completa, ed illustra maggiormente l'essenza del mondo. Questa prima concezione cosmica da parte dell'uomo è una teoria psicologica. Usciremmo dai limiti del nostro compito se volessimo constatare in che misura essa ancora sussista nella vita presente, ridotta a superstizione o come fondo vivente del nostro linguaggio, della nostra fede e della nostra filosofia.
Tenendo presenti queste tre tappe, possiamo affermare che l'animismo stesso, senza essere ancora una religione, contiene in sé le premesse da cui in seguito sorgeranno le religioni. E pure evidente che il mito si fonda su premesse animistiche; ma i particolari del rapporto fra mito ed animismo non sono ancora chiari nei loro punti sostanziali.
Il nostro lavoro psicoanalitico d'accostamento al soggetto avrà inizio da un altro lato. Sarebbe errato credere che gli uomini siano stati indotti a creare il loro prima sistema cosmico per sola tendenza speculativa. In questo tentativo deve aver avuto la sua parte l'esigenza pratica di controllare il mondo. Perciò non ci stupiremo nell'apprendere che, parallelamente al sistema animistico, procede un sistema riguardante il modo di governare gli uomini, gli animali e gli oggetti, o, piuttosto, i loro spiriti. Tale sistema, conosciuto come «stregoneria e «magia», è denominato da S. Reinach la «strategia dell'animismo»; io preferisco, con Hubert e Mauss, considerarlo la sua «tecnica».
Il concetto di stregoneria può essere distinto da quello di magia? Ciò è possibile quando, con un po' di arbitrio, si è disposti a non tener conto delle oscillazioni del linguaggio comune. Allora la stregoneria appare essenzialmente come la tecnica d'influire sugli spiriti, trattandoli come uomini in simili circostanze; perciò placandoli, conciliandoseli, propiziandoseli, spaventandoli, spogliandoli della loro potenza, facendoli soggiacere al proprio potere, con gli stessi mezzi che si sono rivelati validi per i vivi. Ma la magia è cosa ben diversa; essa, in definitiva, non tiene conto degli spiriti, e si vale invece di speciali procedure, non della banale metodica psicologica. Ci renderemo facilmente conto che la magia costituisce la parte più originaria e più importante della tecnica animistica, dato che fra i metodi con cui si usa trattare con gli spiriti ci sono anche quelli magici, e la magia viene applicata anche in casi in cui secondo noi, non è stata ancora realizzata la spiritualizzazione della natura.
La magia deve servire agli scopi più diversi: sottomettere i fenomeni naturali al volere dell'uomo, difendere l'individuo da nemici e pericoli e fornirgli la possibilità di danneggiare gli avversari. Il principio su cui le pratiche magiche si basano, o, meglio, il principio della magia, è così chiaro che tutti gli specialisti furono costretti a riconoscerlo. A prescindere dalla valutazione che egli ne fa, può essere espresso concisamente con le parole di E. B. Tylor: «confondendo un legame ideale con un legame reale». Per illustrare questo carattere ci serviremo di due gruppi di pratiche magiche.
Una delle pratiche magiche più diffusamente impiegate per arrecare danno ad un nemico consiste nel forgiarsi, con un qualunque materiale, una sua immagine. La somiglianza importa poco. Si può anche «eleggere» come sua immagine un oggetto qualunque. Tutto ciò che viene fatto a questa immagine si ripercuote anche sull'odiato originale; nel punto in cui la prima viene lesa, anche il secondo si ammala. Invece di usare questa tecnica magica per la soddisfazione delle inimicizie private, la si può mettere al servizio della devozione, e usarla per proteggere gli dèi contro i demoni malvagi.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, Totem e tabù, 1992 p. 597 – 600.

Freud riprende le idee di Durkheim e le usa per legittimare le malattie che rileva psicoanaliticamente affermando, di fatto che "che tutti gli uomini "selvaggi" sono malati come i suoi pazienti e manifestano le stesse analogie con la superstizione dei suoi pazienti.

A Freud non passa minimamente per l'anticamera del cervello che le presunte superstizioni sono state imposte dai missionari cristiani e quanto viene studiato nelle "popolazioni selvagge" non è la cultura di quelle popolazioni, ma la distorsione culturale operata dai missionari per imporre loro la sottomissione al loro dio.

Tutta l'interpretazione animistica e totemica messa in atto dalla filosofia positivista non è altro che un grande inganno che ha lo scopo di costruire una sorta di "evoluzionismo" religioso che alla sommità della scala viene messo il monoteismo cristiano ed ebraico come evoluzione naturale di idee religiose precedenti.

E' l'inganno della sottomissione.

Come Freud guarda al bambino con la testa di un adulto che vede nella pratica sessuale l'unico intento della vita, così i missionari cristiani prima e gli antropologi poi, seguendo le direttive dei missionari, interpretano i culti estranee al cristianesimo come una sorta di primitivismo cristiano attribuendo ai "selvaggi" norme e idee proprie dei cristiani. Come il concetto di anima, inventato da un Platone che i popoli dell'Africa, dell'Oceania o del Sud-America non hanno mai letto.

Le popolazioni dell'Africa, del Sud America o dell'Oceania non hanno mai visto l'universo come un sistema unico, hanno sempre distinto tutte le personalità che incontravano nell'universo che loro abitano. Sono consapevoli di vivere in un mondo di viventi e non in un mondo muto a misura del deserto di emozioni silenziose proprio dell'ideologia ebraica e cristiana.

Queste emozioni che si presentano loro, non le chiamano "anime", ma le chiamano "emozioni", espressione di viventi la cui struttura corporea è differente da quella umana. Poi arrivarono i missionari cristiani che presero le loro credenze e le interpretarono per imporre loro il cristianesimo. Dopo 200 anni (e anche più) arrivano gli antropologi a studiare le idee di questi "selvaggi". Gli antropologi non studiano le idee di quelle culture, ma studiano le idee dei missionari cristiani imposte a quelle culture e gli adattamenti culturali che la violenza dei missionari ha prodotto. Lo stesso è per Freud e la sessualità infantile. Freud non studia lo sviluppo dell'idea della sessualità nell'infanzia, ma studia il risultato dell'attività degli adulti come interpretata da quel singolo bambino nel suo sviluppo specifico.

Nel 1913 Freud rompe i rapporti con Jung.

Nel 1914 Freud scrive "Introduzione al narcisismo" in questo libro ci racconta come viene imposta al bambino la tendenza narcisistica. Anche queste idee di Freud sono state alla base di molte sofferenze dell'infanzia.

Scrive Freud:

Il narcisismo primario infantile da noi presunto e che forma uno dei postulati della nostra teoria della libido, non è tanto facile da cogliersi con l'osservazione diretta, mentre è confermato piuttosto da inferenze di provenienza diversa.
Se ci mettiamo ad osservare l'atteggiamento affettuoso che mostrano i genitori verso i loro bambini, dobbiamo riconoscere che si tratta di una ripresa e di una ripetizione del loro proprio narcisismo, ormai da tempo abbandonato.
Il fatto è che la sopravvalutazione, indice quanto mai valido, e già da noi ravvisato come impronta narcisistica in caso di scelta oggettuale, domina, come tutti sappiamo, il loro atteggiamento emotivo. Ecco allora i genitori trovarsi quasi in una specie di coazione ad attribuire al bambino ogni virtù e perfezione - cosa che un osservatore neutrale non condividerebbe - e di nascondere e dimenticare tutti i suoi difetti. (Ricordiamo che la negazione della sessualità nei bambini è in rapporto con questo atteggiamento.) Per di più, essi tendono a reprimere, a vantaggio del bambino, l'operatività di tutte le acquisizioni culturali che il loro stesso narcisismo è stato costretto a rispettare, e a rinnovare a suo favore pretese di privilegi già da lungo tempo dimesse.
Il bambino se la dovrà passare meglio dei suoi genitori, egli non dovrà patire quei bisogni di cui essi hanno riconosciuto l'estrema importanza nell' esistenza.
Malattia, morte, rinunce a divertimenti, restrizioni di desideri non lo toccheranno; a suo vantaggio saranno abolite le leggi della natura e della società; egli sarà di nuovo veramente il centro e il nocciolo dell'Universo, «Sua Maestà il bambino», come un tempo fantasticammo noi stessi. Il bambino verrà ad esaudire tutti quei sogni di desiderio che i genitori non hanno mai realizzato - e così il maschietto diventerà un grande uomo, un eroe, al posto di suo padre, e la ragazza sposerà un principe, a tardiva compensazione per la madre. Quanto al punto più vulnerabile nel sistema narcisistico, e cioè l'immortalità dell'Io, messa a dura prova dalla realtà, ecco che la sicurezza si raggiunge cercando rifugio nel bambino. L'amore dei genitori, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il loro narcisismo risorto, che, trasformato in amore dell'oggetto, rivela inconfondibilmente il suo carattere originario.
I disturbi a cui è esposto il narcisismo originario del bambino, le reazioni con le quali egli cerca di difendersene, e le vie che è di necessità costretto a seguire, sono tematiche che proporrei di lasciare in sospeso, costituendo esse del resto un importante terreno di ricerca che ancora deve essere esplorato.
La sua parte più significativa può comunque essere individuata sotto il profilo del «complesso di castrazione» (angoscia relativa al pene, per i ragazzi; invidia del pene, nelle ragazze) e trattata in rapporto agli effetti prodotti da remore precoci all'attività sessuale.
Di solito lo studio psicoanalitico ci mette in grado di seguire le vicissitudini a cui vanno incontro le pulsioni libidiche allorché esse, separate dalle pulsioni dell'Io, vengono a queste contrapposte; ma, nel caso specifico del complesso di castrazione, il nostro studio ci permette inoltre di dedurre l'esistenza di un periodo e di una condizione psichica in cui i due gruppi di pulsioni, operanti ancora all'unisono e inscindibilmente frammisti, fanno la loro comparsa come interessi narcisistici. E da questo contesto che Adler ha ricavato la sua teoria della «protesta virile», protesta che ha elevato a dignità di quasi unica forza movente non solo nella formazione del carattere ma anche in quella delle nevrosi, teoria che egli non fonda su una tendenza narcisistica, e perciò sempre libidica, ma su valutazioni sociali. Il lavoro psicoanalitico ha riconosciuto sin dagli inizi l'esistenza e l'importanza della «protesta virile», ma in contrasto con Adler, la considera di carattere narcisistico e la fa originare dal complesso di castrazione.
Certo che la «protesta virile» interviene nella formazione del carattere, alla cui genesi essa partecipa insieme a molti altri fattori, ma essa ci appare assolutamente inadeguata a spiegare i problemi delle nevrosi, che Adler per altro considera solo in funzione della loro utilità per le pulsioni dell'Io.
Quanto a me non mi sembra assolutamente possibile situare all'origine delle nevrosi una base così striminzita come il complesso di castrazione, per quanto prepotente esso possa evidenziarsi nelle resistenze che i maschi offrono alla cura di una nevrosi.
Si dà anzi il caso che io mi sia imbattuto in nevrosi in cui la «protesta virile» o, come diciamo noi, il complesso di castrazione, non ha svolto nessuna funzione patogena, o addirittura non si è manifestato per niente.
L'osservazione di adulti normali ci mostra come la loro antica megalomania si sia afflosciata, e sono anche scomparsi quei tratti psichici da cui si poteva inferire il loro narcisismo.
Che cosa è accaduto in questi casi alla libido dell'Io?
Dobbiamo presumere che è passata in blocco nell'investimento oggettuale?
Ora, una possibilità del genere è in aperta contraddizione con l'orientamento generale della nostra impostazione; un accenno a una soluzione diversa ce lo offre invece la psicologia della rimozione.
Sappiamo infatti che i moti pulsionali libidici subiscono la sorte della rimozione patogena allorché vengono in conflitto con le idee etiche e culturali dell'individuo.
Con ciò non vogliamo affatto dire che l'individuo in questione possiede solo una conoscenza a livello intellettivo di tali idee; diciamo invece che egli ne fa un modello per se stesso e si sottopone alle pretese che esse gli impongono. La rimozione, si è detto, scaturisce dall'Io; potremmo dire ora, con più precisione, che scaturisca dalla stima che 1'Io ha per se stesso. Le sensazioni, le esperienze, gli impulsi, i desideri a cui si abbandona un dato individuo o che, per lo meno, vengono da lui elaborati coscientemente, saranno invece respinti con somma indignazione da un altro o addirittura soffocati prima che possano arrivare a coscienza.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, Introduzione al narcisismo, Newton, 1992 p. 807 – 809.

Al centro del discorso di Freud c'è la repressione della libido in funzione del controllo dell'individuo. Sembra quasi che ogni discorso di psicanalisi sia assolutamente strumentale e in funzione della distruzione dell'uomo per soddisfare interessi altri a cui l'uomo si deve sottomettere.

La nascita della patologia narcisistica viene collocata da Freud nel rapporto che viene instaurato dai genitori con il bambino. Fra bambino e genitori sia in atto una vera e propria guerra dove il bambino si deve assicurare il controllo emotivo dei genitori mentre i genitori non hanno strumenti emotivi per dialogare emotivamente con il bambino. Di fatto il bambino mette in atto strategie di sopravvivenza nei confronti dei genitori e questi riversano sul bambino il loro divenuto. Riversano quel sé stessi che hanno costruito adattandosi in ogni momento della loro esistenza. Quel sé stessi è il modello che offrono al figlio e al quale il figlio si adatta mettendo in atto, in quel sé stessi, le proprie strategie d'esistenza.

Solo che la tendenza narcisistica non nasce dalle attenzioni dei genitori per il figlio, ma nasce dall'identificarsi del bambino con Gesù e fuori dal rapporto parentale. Se è vero che il bambino potrebbe diventare un tiranno nei confronti dei genitori, è altrettanto vero che dipende dai genitori e la sua "tirannia" è sempre circoscritta. Al contrario, fuori dall'ambiente parentale il bambino si identifica col dio degli ebrei e dei cristiani. Si identifica con la sua onnipotenza e si identifica con quell'assolutismo per cui l'intero mondo sociale deve ruotare attorno a lui. Il narcisismo impone al soggetto di mettere in atto tutte le azioni possibili affinché il mondo sia a lui sottomesso: come lo psicoanalista con i suoi pazienti sul lettino.

Nel 1920 Freud scrive "Al di là del principio del piacere", ma in realtà non scrive nulla. Nel senso che non esiste un al di là del principio del piacere e il suo scritto termina senza conclusioni, come è iniziato, e senza un'ipotesi suffragata da fatti.

Nel 1920 muore la figlia Sofia di febbre spagnola.

Nel 1921 Freud pubblica "Psicologia collettiva e analisi dell'Io" che non è altro che una riflessione sulle teorie di Le Bon.

Freud scrive in questa riflessione:

Ma per ragioni di cui in seguito ci si renderà conto, noi insisteremo in modo particolare su una distinzione alla quale gli autori non hanno ancora prestato abbastanza attenzione, quella tra i gruppi senza un capo e i gruppi guidati da un capo. E, in netta opposizione rispetto a quanto fanno gli altri, non prenderemo come punto di partenza per le nostre ricerche una formazione collettiva semplice ed elementare, ma un gruppo permanente, tipico, con un grado di organizzazione molto elevato. Gli esempi più interessanti di queste formazioni ci sono forniti dalla Chiesa, cioè dalla comunità dei fedeli, e dall'Esercito. La Chiesa e l'Esercito sono gruppi artificiali, la cui coesione, cioè, è mantenuta da una coercizione esterna che nello stesso tempo si oppone alle modificazioni della loro struttura. In genere si fa parte di un gruppo di questo tipo senza essere stati consultati in anticipo se lo si desidera o no; non si è liberi di entrarvi o di uscirne come si vuole, ed i tentativi di evasione sono severamente puniti o subordinati a certe condizioni rigorosamente stabilite. Per il momento non abbiamo bisogno di sapere perché queste associazioni abbiano bisogno di simili garanzie. Quello che c'interessa è che questi gruppi altamente organizzati, protetti contro ogni possibilità di disgregazione, rivelano certe particolarità che negli altri non appaiono in modo manifesto. Nella Chiesa (e ci è utile prendere come esempio quella cattolica) e nell'Esercito, per quante differenze possano presentare sotto altri aspetti, regna la stessa illusione, quella della presenza, visibile od invisibile, di un capo (il Cristo nella Chiesa cattolica, il comandante in capo nell'Esercito) che ama allo stesso modo tutti i membri della collettività. Tutto il resto è collegato a questa illusione; se questa scomparisse, l'Esercito e la Chiesa si disgregherebbero ben presto, nella misura permessa dal grado della coercizione esterna. Per quanto riguarda l'amore con cui il Cristo ama nello stesso modo tutti i suoi fedeli, senza eccezione e senza distinzione, esso è chiaramente espresso in queste parole: «tutto ciò che voi fate ad uno qualunque dei miei fratelli più umili, lo fate a me». Egli ha nei confronti degli individui che compongono la massa dei fedeli, l'atteggiamento di un fratello maggiore; egli sostituisce per loro il padre. La Chiesa è animata da un soffio di democrazia in quanto tutti sono uguali davanti al Cristo, perché tutti hanno un ugual diritto al suo amore. Siamo spinti ad insistere sull'analogia tra la comunità cristiana ed una famiglia, e sul fatto che i fedeli si considerano come fratelli nell'amore che il Cristo ha per loro, da una ragione profonda. Indubbiamente, il rapporto che lega ogni individuo al Cristo è la causa del rapporto tra ciascuno degli individui e gli altri. Lo stesso avviene nell'esercito; il capo è il padre che ama nello stesso modo tutti i suoi soldati, ed è per ciò che questi ultimi sono legati gli uni agli altri dal rapporto di cameratismo. Dal punto di vista strutturale, l'Esercito si distingue dalla Chiesa per il fatto di essere composto da una gerarchia stratificata: ogni capitano è, come il comandante in capo, il padre della propria compagnia, ogni sottufficiale il padre della propria sezione. Vero è che anche la Chiesa presenta una gerarchia di questo tipo, ma che non vi ha la stessa parte, in quanto si suppone che il Cristo conosca in precedenza i bisogni dei fedeli e si preoccupi di loro meglio di quanto non potrebbe fare un uomo eretto a capo.
Contro questa concezione della struttura libidica dell'Esercito si obietterà giustamente che essa non tiene conto delle idee di patria, di gloria nazionale, ecc., che tanto contribuiscono a mantenere la, sua coesione. E' facile ribattere a questa obiezione dicendo che questi elementi di coesione sono di un ordine assolutamente diverso e per nulla semplice quanto si crede; e si può aggiungere che gli esempi di grandi capitani, come Cesare, Wallenstein, Napoleone, dimostrano che queste idee non sono affatto indispensabili per il mantenimento della coesione di un esercito. Più in là parleremo della possibile sostituzione del capo da parte di un'idea direttiva e dei rapporti sussistenti tra l'uno e l'altra. Quelli che trascurano questo fattore libidico dell'Esercito, anche quando non è il solo ad agire, non commettono solo un errore teorico ma creano anche un pericolo pratico. D'altronde il militarismo prussiano, che era altrettanto poco accessibile alla psicologia quanto alla scienza tedesca, ha dimostrato le conseguenze di questo errore e di questo pericolo nella grande guerra europea. E stato riconosciuto che le nevrosi di guerra che hanno disgregato l'esercito tedesco rappresentavano una protesta dell'individuo contro la parte che gli era assegnata, e si può affermare, sul fondamento della relazione di E. Simmel; che il primo posto tra le cause di queste nevrosi dev'essere attribuito al modo crudele e disumano in cui i capi avevano trattato i loro uomini. Se si fosse tenuto maggior conto di questa esigenza libidica dei soldati, i quattordici punti del presidente Wilson non avrebbero trovato tanto facilmente credito ed i capi militari tedeschi non si sarebbero visti distruggere nelle mani il magnificò strumento di cui disponevano. Osserviamo che in questi due gruppi (Esercito, Chiesa) ogni individuo è unito da legami libidici al capo (il Cristo, il comandante in capo) da una parte, a tutti gli altri membri della comunità, dall'altra. Ci riserviamo di esaminare ulteriormente i rapporti sussistenti tra questi due tipi di legami, se essi siano della stessa natura ed abbiano la stessa importanza ed in quali termini psicologici li si potrebbe descrivere. Ma riteniamo di poter già ora rimproverare agli autori di non aver tenuto sufficientemente conto dell'importanza del capo nella psicologia collettiva, mentre la scelta del primo oggetto delle nostre ricerche ci ha posto in condizioni molto più favorevoli. Riteniamo di aver trovato la strada giusta per spiegare il fenomeno fondamentale della psicologia collettiva, cioè l'assenza di libertà che caratterizza l'individuo che fa parte di un gruppo. Infatti, dato che l'individuo è unito da solidi legami affettivi a due centri diversi, non avremo difficoltà a spiegare con questa circostanza anche la modificazione e la limitazione della sua personalità che sono state osservate e notate da tutti gli autori.

Tratto da: Freud, Opere 1905 – 1921, Psicologia collettiva e analisi dell'Io, Newton, 1992 p. 1154 – 1155

Appare evidente il concetto di democrazia proposto da Freud: "Siete tutti uguali in ginocchio davanti a me!" dove il concetto di uguaglianza in ginocchio davanti al capo, è il concetto da cui scaturisce l'obbedienza. Le persone non sono uguali al capo, sono un gregge. Un gregge che deve funzionare in nome e per conto del capo. Non è che manchi la libertà, la libertà del gregge consiste nell'obbedienza al capo e il piacere del gregge consiste nel piacere di obbedire al capo.

Una cosa che funziona nella chiesa cattolica perché, mediante la coercizione sull'infanzia, la chiesa cattolica (come il protestantesimo, l'islam, l'ebraismo, l'induismo e il buddismo) controlla le persone "con tutto il loro cuore e tutta la loro anima". Ha costretto il bambino a pregare infinite volte, lo ha costretto a supplicare Gesù ogni volta che il bambino subiva violenza da chi si identificava con Gesù e ora il bambino è costretto ad amare Gesù anche quando Gesù lo sta stuprando (vedi le attività dei preti pedofili nella chiesa cattolica, oggi abbiamo vasta documentazione).

Un altro elemento di controllo messo in atto dalla chiesa cattolica è la forma del transfert. E' vero che nominalmente la chiesa cattolica è comandata da "Gesù", ma Gesù non è mai esistito e non esiste. In compenso esiste la gerarchia che comanda e che si fa "Gesù", dal papa cattolico ai cardinali, ai vescovi ai preti alla polizia, ai carabinieri, ai magistrati. Tanti Gesù che, non in nome loro, ma in nome di Gesù, dicono al gregge che cosa dice e vuole Gesù rinnovando la privazione ad ogni singolo membro del gregge di vivere per sé stesso e in sé stesso. Lo costringono a vivere in nome del padre che vive stuprando ogni singolo individuo del gregge in quanto lo priva della possibilità di vivere per sé stesso.

E lo psicanalista Freud brama infinitamente prendere il posto del padre nei confronti della persona che indica come "malata". Nei suoi confronti si fa "Gesù", il padre-padrone che dice a tutti i malati che sono uguali in ginocchio davanti a lui.

Il medesimo gioco del controllo viene messo in atto nell'esercito. Il capo si fa padre padrone dei suoi soldati che ai suoi ordini devono essere pronti a morire. Devono essere pronti a fare il sacrificio come "Gesù" sulla croce in nome del "Gesù", il loro capo, che a sua volta è tenuto a sacrificarsi agli ordini di un altro "Gesù" che è il capo a sua volta in una gerarchia in cui chi ordina il massacro scompare nell'alto dei cieli per beneficiare del sangue versato.

La democrazia non consiste nell'essere giuridicamente uguali fra le pecore del gregge, consiste nell'essere uguali con "Dio". Quando le pecore del gregge avranno gli stessi diritti di "Dio" e "Dio" sarà processato per delitto, allora si potrà parlare di democrazia.

Paragonare una religione, come la chiesa cattolica, la chiesa protestante, l'ebraismo, il buddismo, l'islamismo e l'induismo ad un esercito non è fuori luogo in quanto gli eserciti moderni hanno fatto proprio il modello della chiesa cattolica e delle varie religioni assolutiste. L'esercito sviluppa una sorta di dipendenza psicologica del soldato con il suo reparto e con il comando del reparto. Questa dipendenza psicologica funziona fintanto che l'esercito o le religioni menzionate non mettono in discussione i bisogni soggettivi del soldato e fintanto che i bisogni del soldato coincidono con i bisogni dell'esercito. Per esempio, in caso di un'invasione il soldato fa coincidere i propri bisogni con l'attività di difesa della nazione messa in atto dal proprio esercito. In caso di impiego dei soldati in un territorio a loro estraneo (guerra del Vietnam, Iraq, Afghanistan, ecc.) il soldato si sente estraneo a quella guerra e sviluppa facilmente forme di malattia psichiatrica (vedi i reduci USA).

Quando i bisogni del soldato non coincidono con quelli delle azioni dell'esercito, insorge l'insofferenza e la necessità emotiva di differenziare le proprie scelte personali dalle scelte dell'esercito. Sorge la necessità di disobbedire agli ordini dell'esercito. Il conflitto che si crea fra necessità del soggetto e necessità dell'esercito o si risolve con azioni risolutive (diserzione, ammutinamento, ecc.) oppure si risolve con la malattia mentale del soggetto che vedendo repressi i propri bisogni in una situazione assoluta cortocircuita la propria energia in sé stesso. I casi dei militari USA che vanno "fuori di testa" è una condizione quotidiana al giorno d'oggi, ma lo era anche ai tempi di Freud e di Napoleone.

Non si tratta, come dice Freud, di "trattare bene i propri soldati", ma si tratta di perseguire obbiettivi che i propri soldati ritengono necessari o hanno fatto propri. La differenza è fra l'impiego dell'esercito russo durante la prima guerra mondiale e l'attività dell'esercito russo al comando ti Trotskij contro l'invasione austroungarica, zarista, italiana, inglese, francese e giapponese che ha caratterizzato il periodo fra il 1918 e il 1922. Mentre la guerra dello zar era estranea ai soldati e questi hanno disertato, la necessità di fermare l'invasione delle potenze occidentali ha compattato i soldati sovietici nell'intento di salvaguardare lo Stato russo. Non importa se lo zar era "Gesù" quando i soldati lo hanno pensato come il nemico perché diventato estraneo e separato dalle loro necessità d'esistenza. I soldati hanno combattuto "Gesù".

Questo vale anche per le religioni. O la religione risponde ai bisogni e alle necessità degli uomini oppure la religione crea conflitto fra sé e i suoi fedeli che in qualche modo ne cercheranno il distacco.

La religione e l'esercito "credono" di possedere gli individui che chiamano soldati o fedeli, ma non possiedono la loro struttura emotiva che tende sempre a ribellarsi nel momento stesso in cui nasce il conflitto fra i bisogni degli individui e le imposizioni morali della religione o i doveri imposti dall'esercito o dallo psicoanalista.

Nel 1922 Freud pubblica "L'Io e l'Es". In questo libro Freud tenta di mettere ordine nella sua idea dell'esistenza nell'individuo di tre livelli, l'Io, il Super-Io e l'Es.

Scrive Freud:

Così abbiamo affermato ripetutamente che l'Io si forma in gran parte mediante identificazioni, le quali prendono il posto di investimenti che l'Es ha abbandonato; che fra queste identificazioni le prime assumono l'aspetto di una particolare istanza che, all'interno dell'lo, si contrappone come Super-io all'Io stesso; in seguito 1'Io, che nel frattempo si è rafforzato, può far fronte con maggiore efficacia agli influssi che provengono da tali identificazioni. La particolare posizione del Super-io nell'Io, o rispetto all'Io, è dovuta a un fattore che va considerato sotto due aspetti: in primo luogo il Super-io è la prima identificazione che si è compiuta, e ciò mentre 1'Io era ancora debole; in secondo luogo esso è l'erede del complesso edipico, e ha perciò introdotto nell'Io oggetti di importanza incomparabile. In certo qual modo il Super-io sta alle successive alterazioni dell'Io come la primitiva fase sessuale dell'infanzia sta alla successiva vita sessuale dopo la pubertà. Benché rimanga accessibile a tutte le influenze successive, il Super-io serba per tutta la vita il carattere che gli proviene dalla sua origine dal complesso paterno ossia la capacità di contrapporsi all'Io e di dominarlo. Esso sta a perpetua testimonianza della primitiva debolezza e dipendenza dell'Io, e mantiene il suo imperio anche sull'Io maturo. Come il bambino è stato coattivamente indotto a obbedire ai propri genitori, così 1'Io si sottopone all'imperativo categorico del proprio Super-io.
Ma il fatto di provenire dai primi investimenti oggettuali dell'Es, e dunque dal complesso edipico, ha anche un altro significato per il Super-io. Come abbiamo veduto questa derivazione lo mette in relazione con le acquisizioni filogenetiche dell'Es, e ne fa la reincarnazione di configurazioni precedenti dell'Io i cui sedimenti sono depositati nell'Es. In tal modo il Super-io resta permanentemente legato all'Es, e può presentarsi all'Io come rappresentante di quello. Esso è profondamente immerso nell'Es, ed è perciò più lontano dalla coscienza di quanto lo sia 1'Io. La cosa migliore per mettere nel dovuto rilievo queste relazioni è rifarsi ad alcune circostanze di fatto di natura clinica, le quali da tempo non rappresentano più una novità, ma che attendono ancora di essere discusse sotto un profilo teorico.
Vi sono persone le quali si comportano durante il lavoro analitico in un modo tutto particolare. Quando si dà loro speranza, quando ci si dimostra soddisfatti del modo come il trattamento procede, sembrano scontente, e invariabilmente il loro stato peggiora. All'inizio si pensa che ciò sia dovuto a un atteggiamento di sfida e al tentativo di dimostrare al medico la propria superiorità. In seguito però si giunge a una spiegazione più profonda e più giusta. Ci si rende conto che non solo queste persone non sopportano alcuna lode o apprezzamento, ma reagiscono ai progressi della cura in modo rovesciato. Ogni soluzione parziale da cui dovrebbe risaltare, come in effetti risulta con altri, un miglioramento o una temporanea remissione dei sintomi, suscita in costoro un momentaneo rafforzamento della sofferenza: peggiorano durante il trattamento invece di migliorare. Essi manifestano la cosiddetta "reazione terapeutica negativa". Non vi è dubbio che in questi pazienti qualche cosa si oppone alla guarigione, e che l'approssimarsi di quest'ultima è da essi temuto come un pericolo. Si dice che in queste persone non la volontà di guarire ha il sopravvento, ma il bisogno della malattia. Quando si analizza questa resistenza nel modo abituale, e pur vi si sottrae l'atteggiamento di sfida verso il medico e la fissazione ai modi in cui si configura il tornaconto della malattia, il più della resistenza continua tuttavia a persistere, e si dimostra l'ostacolo più forte sulla via della guarigione: più forte degli ostacoli a noi già noti, costituiti dalla inaccessibilità narcisistica, dalla impostazione negativa verso il medico e dall'ancorarsi al tornaconto della malattia. Si giunge alla fine alla persuasione che si tratta di un fattore per così dire "morale": di un senso di colpa che trova il proprio soddisfacimento nell'essere ammalato, e che non vuol rinunciare alla punizione della sofferenza. Bisogna così arrendersi a questa poco con- solante spiegazione. Ma questo senso di colpa è muto per il paziente, non gli dice che egli è colpevole; il paziente non si sente colpevole, ma ammalato. Questo senso di colpa si esprime solo come una resistenza, difficilmente riducibile, che si oppone alla guarigione. Ed è anche particolarmente difficile persuadere il malato circa questo motivo del suo restar malato: egli si atterrà alla spiegazione più semplice, e cioè che la cura analitica non costituisce il mezzo adatto per aiutarlo.
Quanto è stato ora descritto corrisponde alle situazioni più estreme; tuttavia, sia pure in forma attenuata, è presumibilmente applicabile a moltissimi casi, forse a tutte le forme relativamente gravi di nevrosi. Dirò di più: forse proprio questo fattore, e cioè l'atteggiarsi dell'ideale dell'Io, determina in modo decisivo la gravità di una malattia nevrotica. Non vogliamo perciò trascurare alcune osservazioni sul modo in cui il senso di colpa si estrinseca nelle diverse circostanze. Il normale e cosciente senso di colpa (la coscienza morale) non presenta difficoltà di interpretazione: esso è basato sulla tensione fra l'Io e l'ideale dell'Io, ed è l'espressione di una condanna dell'Io da parte della sua stessa istanza critica. E' presumibile che i noti sentimenti di inferiorità propri del nevrotico non se ne discostino gran che. In due affezioni che ci sono molto familiari, il senso di colpa è cosciente in modo spiccatissimo; l'ideale dell'Io si manifesta in queste forme con particolare rigore e infierisce contro 1'Io crudelmente. Accanto a una tale concordanza, si manifestano in questi due stati - la nevrosi ossessiva e la melanconia - alcune differenze nel comportamento dell'ideale dell'Io non meno significative. Nella nevrosi ossessiva (o meglio, in alcune delle sue forme) il senso di colpa è fortissimo, ma non riesce a legittimarsi di fronte all'Io. L'Io del malato tenta perciò di difendersi dall'imputazione di essere colpevole, ed esige dal medico di venire rafforzato nel suo rifiuto di questo senso di colpa. Sarebbe insensato accontentarlo, giacché non se ne caverebbe alcun risultato. L'analisi mostra in seguito come il Super-io sia influenzato da processi che sono rimasti ignoti all'Io. Ed effettivamente risultano rintracciabili gli impulsi rimossi che costituiscono il fondamento del senso di colpa. Il Super-io ha avuto in questo caso maggiori informazioni dell'Io a proposito dell'Es inconscio.
Ancor più forte è l'impressione che il Super-io abbia attratto a sé la coscienza nel caso della melanconia. Ma qui l'Io non osa sollevare obiezione alcuna si riconosce colpevole e si sottopone alla punizione. Comprendiamo tale differenza. Nel caso della nevrosi ossessiva si trattava di impulsi intollerabili che erano rimasti fuori dell'Io; nella melanconia invece 1'oggetto su cui si appunta lo sdegno del Super-io è stato, grazie a un'identificazione, assunto all'interno dell'Io stesso.
Il fatto che in queste due affezioni nevrotiche il senso di colpa raggiunga una intensità così straordinaria non è certo di per sé evidente; va detto tuttavia che il problema principale che caratterizza questa situazione va cercato altrove. Ce ne occuperemo più avanti, dopo aver trattato degli altri casi nei quali il senso di colpa rimane inconscio.
Ciò si verifica essenzialmente nell'isteria e negli stati di tipo isterico. Il meccanismo del rimanere inconscio è qui facilmente individuabile. L'Io isterico si difende dalla percezione penosa che su di lui incombe da parte della critica del suo Super-io, al modo stesso con cui usa abitualmente difendersi da un investimento oggettuale insopportabile, e cioè mediante un atto di rimozione. Dipende dunque dall'Io se il senso di colpa rimane inconscio. Sappiamo che in genere l'Io mette in opera le rimozioni al servizio e in nome del proprio Super-io: tuttavia questo è un caso in cui egli si avvale di questa stessa arma contro il suo severo padrone. Nella nevrosi ossessiva prevalgono, come è noto, i fenomeni della formazione reattiva, qui invece [nell'isteria], l'Io riesce soltanto a tener lontano il materiale a cui il senso di colpa si riferisce. Si può andar oltre e azzardare l'ipotesi che una grande parte del senso di colpa debba normalmente restare inconscia, dal momento che la formazione della coscienza morale è collegata intimamente al complesso edipico, il quale appartiene all'inconscio. Se qualcuno volesse sostenere la tesi paradossale che l'uomo normale non soltanto è molto più immorale di quanto egli creda, ma anche molto più morale di quanto egli sappia, la psicoanalisi, sulle cui scoperte poggia la prima parte dell'affermazione, non avrebbe nulla da obiettare neppure sulla seconda parte. Sorprendente è stata per noi la scoperta che una accentuazione di questo senso di colpa inc [inconscia] può trasformare gli uomini in delinquenti. Eppure è senza dubbio così. Si può individuare in molti delinquenti, specialmente giovani, un potente senso di colpa che preesisteva all'atto criminoso, e che quindi non ne è l'effetto bensì la causa: come se il poter collegare il senso di colpa inconscio a qualche cosa di reale e attuale fosse avvertito da costoro come un sollievo.
In tutte queste situazioni il Super-io lascia scorgere la sua indipendenza dall'Io cosciente e i suoi intimi rapporti con l'Es. Sorge ora - con riferimento al significato che abbiamo attribuito ai residui verbali preconsci, presenti nell'Io - il problema se il Super- io, quando è inc, consista in rappresentazioni verbali di questa specie, o in che cos'altro mai. A nostro modesto parere la risposta sarà che è impossibile misconoscere anche al Super-io un' origine dalle cose udite; esso è pur sempre una parte dell'Io e rimane accessibile alla coscienza in virtù di queste rappresentazioni verbali (concetti, astrazioni); tuttavia l'apporto di "energia di investimento" non deriva a questi contenuti del Super-io dalla percezione auditiva (e cioè dall'insegnamento o dalla lettura), ma da fonti che albergano nell'Es.
La domanda a cui ci eravamo riservati di rispondere in un secondo tempo era: come mai il Super-io si esprime essenzialmente come senso di colpa (o meglio come critica; il senso di colpa è la percezione che nell'Io corrisponde a questa critica), e manifesta una così straordinaria durezza e severità nei confronti dell'Io? Se consideriamo anzitutto la melanconia, troviamo che il Super-io ultrapotente che ha attratto a sé la coscienza infuria violentemente e senza pietà contro no, come se si fosse impadronito di tutto il sadismo disponibile nell'individuo. Secondo la nostra concezione del sadismo, dovremmo dire che la componente distruttiva si è depositata nel Super-io e viene utilizzata contro l'Io. Ciò che ora predomina nel Super-io è una sorta di baciIlocoltura della pulsione di morte, la quale, in effetti, riesce abbastanza spesso a spingere l'Io alla morte a meno che l'Io non si difenda per tempo dal proprio tiranno mediante la conversione in mania.

Sigmund Freud, L'Io e l'Es, scritto nel 1922 e pubblicato da Bollati Boringhieri 1982 p. 71 – 79

Col meccanismo dell'Io, Super-Io ed Es, Freud confina tutto il conflitto psicologico all'interno dell'individuo assolvendo le cause esterne dall'accusa di essere distruttive nei confronti dell'individuo.

Anche ammettendo una validità nei confronti di questa "tripartizione della psiche" dell'individuo, l'intera psiche si riunifica in un solo soggetto, appunto, l'individuo che agisce nel mondo in cui vive. Se dovessimo accettare la tripartizione freudiana dovremmo rimodularla nei contenuti e nella sua rappresentazione. Ammettiamo pure che l'Io sia la coscienza razionale agente nel momento in cui viviamo e ammettiamo la funzione del Super-Io intesa come ideale dell'Io o modello ideale di specie a cui l'Io tenderebbe. Rimane l'Es che non può essere associato all'istinto, ma deve rappresentare l'apparato emotivo e, come dice Freud, libidico della vita. Ne segue che l'Es diventa la pulsione di vita che spinge l'individuo ad agire nel mondo, mentre l'Io diventa la razionalità che nel mondo costruisce le relazioni razionali con altri individui della propria specie. E il Super-Io? L'eredità della specie, costruita con l'esperienza di milioni di generazioni, che oggi potremmo identificare con il DNA. Non si può attribuire, come fa Freud, la pulsione di morte all'Io. La pulsione di morte viene imposta all'Io dall'ambiente esterno come necessità di sottomissione. L'ambiente esterno pretende che l'Io si sottometta, obbedisca ad una morale preconfezionata; si sottometta a necessità sociali e per farlo distacca l'Io dall'Es. La pulsione di morte imposta all'Io rende l'Es un estraneo. La pulsione di morte pretende che l'individuo non si emozioni. Pretende di controllare le emozioni perché le emozioni costruiscono la vita mentre la pulsione di morte deve distruggere la vita del singolo individuo in funzione del suo dominio sociale.

Il conflitto, sempre volendo assumere le categorie dell'Io, Es e Super-Io, sono fra l'individuo e un mondo esterno malato che vuole distruggere la libertà dell'individuo di agire nel mondo. L'individuo, per contro, per agire nel mondo ha queste tre armi: l'Io, l'Es e il Super-Io.

Il Super-Io è il potere che la specie gli ha dato come patrimonio costruito in milioni di anni di esperienza; l'Es è la pulsione di vita che nell'individuo diventa pulsione di crescita e di trasformazione che gli permette di mettere in atto i migliori adattamenti possibili alle variabili oggettive nell'immenso mare delle emozioni in cui vive; l'Io come strumento razionale con cui può analizzare scientificamente la realtà e costruire le relazioni con altri uomini.

Nell'idea di Freud il conflitto è tutto nell'individuo. Le cause esterne che costringono l'individuo al conflitto vengono ignorate, sono legittimate a creare conflitto nell'individuo e l'individuo vive il conflitto senza poter opporsi alle cause esterne. Quando l'individuo è pervaso dal conflitto psicologico si trova nella situazione di non poter più attribuire le condizioni del conflitto all'esteriorità, ma deve affrontarlo tutto dentro sé stesso. Cause esterne che, secondo Freud hanno costruito un Io che combatte la pulsione di vita dell'Es in funzione di una perenne manifestazione di pulsione di morte che viene controllata dal tribunale del un Sper-Io quale prodotto dell'evoluzione della specie.

In questa visione freudiana se io dovessi uccidere un individuo, metterei fine al suo Io, cioè al suo divenuto razionale, al suo Es, cioè alla sua pulsione sessuale che è ciò che costruisce le sue relazioni col mondo, il suo Super-Io che è il divenuto della specie e ideale dell'Io. Cosa resta dell'uomo se questo venisse ucciso? Restano le condizioni dell'oggettività che hanno forgiato il suo Es, il suo Io e il suo Super-Io. Avrei annientato un prodotto dell'oggettività nella quale viviamo, ma avrei lasciato inalterata l'oggettività che può continuare a produrre individui come quelli che ho ucciso. Uccidendo quell'individuo non ho ottenuto nessun risultato mentre, se avessi agito per modificare l'oggettività, questa non avrebbe più potuto produrre individui come quello che avrei potuto uccidere.

Questo significa che Freud non ha mai agito per modificare l'uomo, ma ha agito per usare l'uomo nelle condizioni in cui l'oggettività lo ha prodotto.

Ha fatto in modo da lasciare inalterate le condizioni dell'oggettività in quanto a lui, e ad altri, serviva l'individuo malato quale fonte della propria fortuna economica e psicologica.

Questo modo di pensare di Freud è un modo di pensare proprio di una persona malata e, infatti, nel 1923 iniziano a manifestarsi evidenti i sintomi del cancro alla mascella.

Inizia per Freud una via dolorosa dentro la malattia.

Freud scriverà ancora. Nel 1925 pubblica "Inibizione, sintomo e angoscia".

Nel 1927 – 1929 Freud pubblica "L'avvenire di un'illusione" e il "Il disagio della civiltà".

Freud scrive in "Il disagio della civiltà":

L'esistenza di questa aggressività, che possiamo constatare in noi stessi e a ragione presupporre nell'altro, è il fattore di disturbo dei nostri rapporti col prossimo e costringe la civiltà a un grande dispendio di forze. A causa di questa ostilità primaria degli uomini tra loro la società civile è costantemente minacciata di rovina. L'interesse della comunanza di lavoro non basta a tenerla unita, gli impeti pulsionali sono più forti degli interessi razionali. La civiltà deve mettere in opera ogni mezzo per porre limiti alle pulsioni aggressive degli uomini, per rintuzzame le manifestazioni con formazioni psichiche reattive. Di qui dunque l'impiego di metodi diretti a spingere gli uomini a identificazioni e a rapporti amorosi con meta inibita, di qui le limitazioni della vita sessuale e di qui anche il precetto ideale di amare il prossimo come se stessi, che in realtà si giustifica col fatto che nient'altro contrasta tanto con la natura umana originaria. Nonostante tutti i suoi sforzi, la civiltà non ha finora ottenuto granché in questo senso. Essa spera di prevenire gli eccessi più grossolani della forza bruta avocando a se stessa il diritto di usare la forza contro i criminali, ma la legge non può far nulla per le manifestazioni di aggressività umana più caute e sottili. Ognuno di noi finisce col lasciar cadere come illusioni le aspettative che aveva fondato in gioventù sui propri simili, e può sperimentare quanto la vita gli sia resa aspra e dolorosa dalla loro malevolenza. Ciò non di meno sarebbe ingiusto rimproverare alla civiltà di voler escludere dalle attività umane la contesa e la competizione. Esse sono sicuramente indispensabili, ma essere avversari non vuol dire necessariamente essere nemici; dell'una cosa semplicemente si abusa a favore dell'altra.
I comunisti pensano di aver trovato il modo di liberarci dal male. L'uomo è senz'altro buono e ben disposto verso il suo prossimo, ma l'istituzione della proprietà privata ha corrotto la sua natura. Il possesso dei beni privati dà a uno il potere, e quindi la tentazione di maltrattare il prossimo; chi è escluso dal possesso inevitabilmente si ribella in odio all' oppressore. Se si abolisce la proprietà privata, se si mettono tutti i beni in comune e si ammettono tutti gli uomini al loro godimento, la malevolenza e l'ostilità tra gli uomini scompariranno. Poiché tutti i bisogni saranno soddisfatti, nessuno avrà motivo di vedere nell' altro un suo nemico e tutti si sobbarcheranno di buon grado al lavoro necessario. Io non ho niente a che vedere con la critica economica del sistema comunista, non posso stare a esaminare se l'abolizione della proprietà privata sia un bene e porti vantaggi. Ma sono in grado di riconoscere che la sua premessa psicologica è un'illusione priva di fondamento. Con l'abolizione della proprietà privata si sottrae alla voglia di aggressione dell'uomo uno dei suoi strumenti, certamente uno strumento forte, ma altrettanto certamente non il più forte. Con ciò però niente è cambiato quanto alle differenze di potere e influsso di cui l'aggressività abusa per i suoi scopi, né quanto all'essenza di questa. Essa non è stata creata dalla proprietà: dominava quasi senza limiti nei tempi primordiali, quando la proprietà era ancora una povera cosa, e si manifesta già nella stanza dei bambini, quando la proprietà ha appena abbandonato la sua forma anale originaria e costituisce il sostrato di tutti i rapporti teneri e amorosi tra gli esseri umani, forse con l'unica eccezione di quello tra la madre e il figlio maschio. Se si sopprime il diritto personale ai beni materiali, il privilegio resta ancora nei rapporti sessuali e diventa inevitabilmente fonte di grandissima invidia e asperrima ostilità fra persone altrimenti parificate. Se si elimina anche questo privilegio con la completa liberazione della vita sessuale, se si abolisce anche la famiglia, cellula germinale della civiltà, non si può certo prevedere quali nuove vie imboccherà l'evoluzione della civiltà, ma una cosa ci si può sicuramente aspettare: che questo tratto indistruttibile della natura umana la seguirà anche lì.
Chiaramente per gli uomini non sarà facile rinunciare a soddisfare questa loro tendenza aggressiva; a farlo non si sentono bene. Il vantaggio di una ridotta cerchia civile, che consenta alla pulsione di sfogarsi nell'animosità contro coloro che ne stanno fuori, non è da disprezzare. E' sempre possibile riunire una quantità anche rilevante di persone che si amano tra loro, sempreché ne restino altre per le manifestazioni di aggressività. Mi sono occupato una volta del fenomeno per cui comunità limitrofe e anche altrimenti vicine tra loro si osteggiano e scherniscono a vicenda, come gli spagnoli e i portoghesi, i tedeschi del Nord e del Sud, gli inglesi e gli scozzesi ecc. L'ho chiamato "narcisismo delle piccole differenze", che non contribuisce molto a spiegare la cosa. Ora si riconosce in ciò una soddisfazione comoda e relativamente innocua dell'aggressività, che consente ai membri della comunità di continuare a stare insieme. Il popolo ebraico disperso ai quattro venti si è acquistato in questo modo benemerenze meritevoli di riconoscimento per le civiltà dei popoli ospitanti; purtroppo tutti i massacri degli ebrei del Medioevo non bastarono a rendere quell'epoca più pacifica e sicura per i loro compagni cristiani. Dopo che l'apostolo Paolo ebbe posto l'amore universale tra gli uomini a fondamento della sua comunità cristiana, l'intolleranza del cristianesimo verso coloro che ne erano rimasti fuori divenne una conseguenza inevitabile; ai romani, che non avevano fondato la loro collettività statale sull'amore, l'intolleranza religiosa era rimasta estranea, sebbene per loro la religione fosse un affare di Stato e lo Stato fosse impregnato di religione. Non è stato neanche un caso incomprensibile che il sogno germanico del dominio del mondo abbia fatto appello all' antisemitismo come a un suo complemento, ed è cosa comprensibile che il tentativo di fondare in Russia una nuova civiltà comunista trovi il suo sostegno psicologico nella persecuzione della borghesia. Ci si chiede soltanto con preoccupazione che cosa faranno i sovietici una volta che abbiano sradicato la loro borghesia.
Se la civiltà impone così grandi sacrifici non solo alla sessualità ma anche all'aggressività dell'uomo, comprendiamo meglio come per l'uomo diventi difficile trovare in essa la sua felicità. In realtà l'uomo primitivo stava meglio quando non conosceva limitazioni delle sue pulsioni. D'altra parte però la sicurezza di poter godere a lungo una tale felicità era quanto mai esigua. L'uomo civile ha barattato una parte delle sue possibilità di essere felice contro una parte di sicurezza. Non bisogna però dimenticare che nella famiglia primitiva solo il capofamiglia godeva di tale libertà pulsionale; gli altri vivevano in un'oppressione schiavistica. Il contrasto tra una minoranza che godeva dei vantaggi della civiltà e di una maggioranza privata di questi vantaggi era dunque, in quei primordi della civiltà, spinto all' estremo. Sugli uomini primitivi oggi viventi abbiamo saputo, dopo più accurate ricerche, che la loro vita pulsionale non può essere affatto invidiata per la libertà; essa soggiace a limitazioni di altra natura, ma che sono forse più rigorose di quelle dell'uomo civile moderno.
Quando a ragione obiettiamo contro lo stato attuale della nostra civiltà che esso esaudisce in modo molto insufficiente le nostre aspirazioni a un assetto di vita che ci renda felici, che esso lascia sussistere ancora troppa sofferenza che probabilmente andrebbe evitata, quando con critica spietata ci sforziamo di mettere a nudo le radici della sua imperfezione, esercitiamo certamente un nostro buon diritto, e non perciò diventiamo nemici della civiltà. Possiamo aspettarci che a poco a poco sopravvengano nella nostra civiltà cambiamenti capaci di soddisfare meglio i nostri bisogni e di sfuggire a questa critica. Ma forse familiarizzeremo anche con l'idea che vi sono difficoltà che ineriscono all'essenza della civiltà e che non cederanno a nessun tentativo di riforma. Oltre ai compiti delle limitazioni pulsionali, a cui siamo preparati, ci sovrasta il pericolo di uno stato che si può chiamare "la miseria psicologica della massa". Questo pericolo incombe soprattutto là dove il legame sociale viene stabilito principalmente con l'identificazione dei partecipanti tra loro, mentre le personalità guida non pervengono a quell'importanza che spetterebbe loro nella formazione delle masse. Lo stato attuale della civiltà americana offrirebbe una buona occasione per studiare questo temuto danno della civiltà. Ma evito la tentazione di addentrarmi in una critica della civiltà americana, per non dare l'impressione che voglia servirmi io stesso di metodi americani.

Freud, Il disagio della civiltà, Newton, 2010 p. 134 – 138

Una civiltà della quale Freud non sa dire nulla. Ha passato l'intera esistenza ad adattare gli individui perturbati ai dettami della "sua" civiltà che gli sono sfuggiti tutti i meccanismi d'azione della sua "civiltà" sulle persone.

La civiltà, per Freud, è violenza che viene esercitata sull'individuo affinché si sottometta ai dettami imposti. La civiltà per Freud è un organismo che deve distruggere l'uomo perché la civiltà è superiore all'uomo.

La distruzione dell'uomo da parte della civiltà si ha nell' ordine di "amare il prossimo come sé stessi" che significa che la civiltà di Freud non ammette contraddizioni o contrapposizioni al suo interno perché il dominatore della civiltà non tollera che gli uomini siano corpi desideranti proiettati in un futuro, ma piuttosto pecore di un gregge che gentilmente si contendono l'erba che stanno brucando.

La civiltà di Freud non è fatta di persone che lavorano per un futuro, ma è un campo di concentramento in cui i deportati sono obbligati ad obbedire alla morale imposta e a comportarsi come viene loro ordinato. Devono amare il loro prossimo per poter essere costretti ad odiare il nemico del loro padrone.

I comunisti, dice Freud, pensano di liberare gli uomini eliminando la proprietà privata. Ma i comunisti non vogliono eliminare la proprietà privata, vogliono eliminare la proprietà dei mezzi di produzione con cui vengono controllati e sottomessi gli uomini nella società.

In questo modo i comunisti non pensano che scompaiano le contraddizioni e le contrapposizioni fra gli uomini, pensano che ci saranno contrapposizioni diverse e che, sottraendo i mezzi di produzione dal controllo del singolo, costui non potrà usare il controllo del mezzo di produzione per schiavizzare altri uomini.

Il problema di Freud con il comunismo è molto profondo. Questo scritto è pubblicato nel 1929 e per le teorie freudiane della superiorità dell'uomo sulla donna è un vero disastro. I bolscevichi hanno vinto in Russia e Lenin ha proclamato la parità dei diritti fra uomini e donne. Il processo di uguaglianza in Russia seguirà alti e bassi, ma la strada è aperta e il freudismo che basa sé stesso sull'inferiorità della donna al punto tale da avere ne "l'invidia del pene" uno dei suoi cardini ideologici in cui la donna riconosce la propria inferiorità per non avere il pene.

Ma questo Freud non lo vuole dire, meglio parlare del concetto distorto della propaganda occidentale secondo cui i comunisti vogliono abolire la proprietà privata e nel farlo "perseguono la borghesia". Non si può perseguire la borghesia. E' la borghesia che riduce i cittadini ad essere oggetti di possesso e valore d'uso per i suoi scopi. Non si può perseguire i borghesi, ma sono i borghesi che perseguono gli uomini. Lo zar non ha un diritto divino per essere "il padre dei russi", lo zar è un delinquente che ha trasformato i russi in oggetto di possesso che devono obbedire ad una morale imposta. Ne segue che non può essere perseguitato lo zar, ma è lo zar che perseguita i russi trasformandoli in oggetti o, se preferite, servi della gleba.

Nella civiltà cristiana non esiste la felicità per l'uomo. Ma la felicità non è intesa come uno "stato in essere", ma è intesa come possibilità dell'uomo di sviluppare sé stesso, seguire i propri progetti senza dover possedere altri uomini in stato di schiavitù o di servaggio.

Nel 1932 c'è una corrispondenza fra Freud e Albert Einstein. Dalla corrispondenza viene fatto un libro da titolo "Perché la guerra" in cui Freud contesta le idee pacifiste di Albert Einstein schierandosi apertamente con le idee naziste sulla necessità della guerra.

Nella risposta ad una lettera di Albert Einstein del 30 luglio 1932, Freud conclude la sua lettera dicendo:

Vede che, quando si consulta il teorico estraneo al mondo per compiti pratici urgenti, non ne vien fuori molto. E' meglio se in ciascun caso particolare si cerca di affrontare il pericolo con i mezzi che sono a portata di mano. Vorrei tuttavia trattare ancora un problema, che nel Suo scritto Lei non solleva e che m'interessa particolarmente. Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei e io e tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile. Non inorridisca perché pongo la domanda. Al fine di compiere un'indagine come questa è forse lecito fingere un distacco di cui in realtà non si dispone. La risposta è: perché ogni uomo ha diritto alla propria vita, perché la guerra annienta vite umane piene di promesse, pone i singoli individui in condizioni che li disonorano, li costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui, distrugge preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, e altre cose ancora. Inoltre la guerra nella sua forma attuale non dà più alcuna opportunità di attuare l'antico ideale eroico, e la guerra di domani, a causa del perfezionamento dei mezzi di distruzione, significherebbe lo sterminio di uno o forse di entrambi i contendenti. Tutto ciò è vero e sembra così incontestabile che ci meravigliamo soltanto che il ricorso alla guerra non sia stato ancora ripudiato mediante un accordo generale dell'umanità. Qualcuno dei punti qui enumerati può evidentemente essere discusso: ci si può chiedere se la comunità non debba anch'essa avere un diritto sulla vita del singolo; non si possono condannare nella stessa misura tutti i tipi di guerra; finché esistono stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra. Ma noi vogliamo sorvolare rapidamente su tutto ciò, giacché non è questa la discussione a cui Lei mi ha impegnato. Ho in mente qualcos'altro, credo che la ragione principale per cui ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo fare a meno di farlo. Siamo pacifisti perché dobbiamo esserlo per ragioni organiche: ci è poi facile giustificare il nostro atteggiamento con argomentazioni. So di dovermi spiegare, altrimenti non sarò capito. Ecco quello che voglio dire: Da tempi immemorabili l'umanità è soggetta al processo dell'incivilimento (altri, lo so, chiamano più volentieri questo processo: civilizzazione). Dobbiamo ad esso il meglio di ciò che siamo divenuti e buona parte di ciò di cui soffriamo.
Le sue cause e origini sono oscure, il suo esito incerto, alcuni dei suoi caratteri facilmente visibili. Forse porta all'estinzione del genere umano, giacché in più di una guisa pregiudica la funzione sessuale, e già oggi si moltiplicano in proporzioni più forti le razze incolte e gli strati arretrati della popolazione che non quelli altamente coltivati. Forse questo processo si può paragonare all'addomesticamento di certe specie animali; senza dubbio comporta modificazioni fisiche; tuttavia non ci si è ancora familiarizzati con l'idea che l'incivilimento sia un processo organico di tale natura. Le modificazioni psichiche che intervengono con l'incivilimento sono invece vistose e per nulla equivoche. Esse consistono in uno spostamento progressivo delle mete pulsiona!i. Sensazioni che per i nostri progenitori erano cariche di piacere, sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili; esistono fondamenti organici del fatto che le nostre esigenze ideali, sia etiche che estetiche, sono mutate. Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i più importanti: il rafforzamento dell'intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l'interiorizzazione dell'aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono. Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l'atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un'intolleranza costituzionale, per così dire della massima idiosincrasia. E mi sembra che le degradazioni estetiche della guerra non abbiano nel nostro rifiuto una parte molto minore delle sue crudeltà.
Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l'influsso di due fattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l'evoluzione civile lavora anche contro la guerra.
La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L'hanno delusa.
Suo Sigm. Freud

Nota: reperita in internet all'interno di un progetto per la didattica dei contenuti.

Freud, Perché la Guerra.

L'altro, sicuramente ci vuole uccidere. Noi che siamo buoni e pacifici dobbiamo prepararci a fare la guerra e ad annientare l'altro che ci vuole uccidere. Freud aveva un grande amore per lo Zar che rendeva i poveri schiavi coerentemente con la sua idea di civiltà. I Bolscevichi avevano distrutto l'assolutismo dello Zar ed erano i malvagi che, nell'immaginario freudiano, avevano abbattuto Dio dal dominio dei celi.

Il nazismo sta arrivando al potere e Freud ha collaborato con il nazismo austriaco e con il fascismo italiano. Per Freud la civiltà è il nazismo austriaco e il fascismo italiano. Che costoro odiassero gli ebrei, a Freud non importava nulla. Lui era al di sopra degli avvenimenti sociali e le sue amicizie al governo nazista dell'Austria sembrava che lo avrebbero potuto proteggere.

Nel 1933 Freud si accorda con Max Eitingon e Felix Boehm (nazista emissario del III Reich) per allontanare dalla società psicoanalitica Wilheim Reich. Reich lavorava nei quartieri popolari di Vienna mentre Freud lavorava con l'alta borghesia di Vienna. Inoltre, il nazismo aveva adottato la psicanalisi come una propria scienza con l'Istituto Goring perché la psicanalisi era funzionante al controllo comportamentale dell'individuo.

Quando nel 1933 Dollfuss, cancelliere austriaco, porta l'Austria nell'ambito del nazismo, a Freud sta benissimo. Lo considera l'inevitabile storico. In Freud non esiste una parola contro il nazismo. Il nazismo considera le persone ebree come suoi nemici, ma considera l'ideologia ebraica come parte della sua ideologia fondante. Freud ha fatto proprio l'ebraismo ideologico, non si sente ebreo, si sente austriaco. Pertanto il nazismo è perfettamente da Freud nei suoi fondamenti ideologici. Questo a differenza di Reich che considera il fascismo e il nazismo malattie sociali.

Nel 1933, attraverso il padre di una paziente portatagli dall'Italia attraverso Edoardo Weiss, fondatore della società psicoanalitica italiana, Freud manda a Mussolini un suo libro, "Perché la guerra" su cui scrive la seguente dedica: "A Benito Mussolini, rispettosi saluti da parte di un vecchio che riconosce nella persona del dirigente un eroe della cultura. Vienna 26 aprile 1933" segue firma. [Fonte Onfray, Crepuscolo di un idolo p. 385].

Nonostante le simpatie di Freud per il nazismo, la sua origine ebraica lo emargina. Le sue opere vengono ritirate dalla circolazione dai nazisti e bruciate. Non furono bruciate perché in contraddizione con l'ideologia nazista, ma furono bruciate perché scritte da un ebreo. La sua fuga sarebbe stata favorita da Benito Mussolini che sarebbe intervenuto presso Hitler in suo favore, stando ad una testimonianza di Vittorio Mussolini. Nel frattempo, la figlia Anna che era stata arrestata dai nazisti, fu rilasciata e con il padre poté partire per Londra.

Ma la situazione di conflitto sociale si fa più aspra e Freud ne risente al punto tale che nel 1934 pubblica il libro "Mosè e il monoteismo", una sorta di ritorno all'infanzia quando, a dispetto del padre, si interessava di tematiche religiosi ebraiche che poi ha trasferito nel suo lavoro da psicoanalista.

Il 12 febbraio 1934 Freud manifesta le sue simpatie per il cancelliere austriaco nazista Dollfuss contro la minaccia dei socialdemocratici che creano "disordini". Da millecinquecento a duemila socialdemocratici muoiono in una manifestazione repressa nel sangue a cui seguiranno impiccagioni pubbliche.

Nel 1936 Freud viene a sapere che la corrispondenza con Flies è in vendita. Vorrebbe acquistarla per metà prezzo e poterla distruggere. Le lettere vengono acquistate dall'amante della figlia Anna, Marie Bonaparte e proibisce di consultarle fino a 100 anni dopo la morte di Freud. Oggi sappiamo che Mosè non è mai esistito, ma nella catastrofe che si sta apprestando in Europa, Freud dimostra di aver bisogno di un padre che lo consoli nel disagio che sta vivendo.

Così Freud immagina il supereroe Mosé e scrive:

Mi aspetto ora un rimprovero per questa mia costruzione che colloca Mosè, l'egizio, nell'epoca di Ekhnatòn, fa derivare la sua decisione di farsi carico del popolo ebraico dalle condizioni politiche a quel tempo esistenti nel paese e riconosce nella religione che egli dona o impone ai suoi protetti quella di Atòn, che in Egitto era crollata; il rimprovero cioè di aver costruito questo edificio di congetture con sicurezza eccessiva, non fondata sui dati materiali. Ritengo che il rimprovero sia ingiustificato. Nell'introduzione ho posto l'accento sul fattore del dubbio, l'ho messo per così dire fuori parentesi, e mi si dovrebbe dunque risparmiare la fatica di ritornarci a ogni posta dentro le parentesi. Proseguirò la discussione con alcune osservazioni critiche. Il punto nodale della mia tesi, la dipendenza del monoteismo giudaico dall' episodio monoteistico nella storia d'Egitto, è stato intravisto e accennato da diversi autori. Non vi riporterò qui quanto hanno detto, perché nessuno di loro è in grado di indicare come tale influenza si sia potuta compiere. Per me ciò è legato alla persona di Mosè, ma si devono menzionare anche altre possibilità, diverse da quella da me preferita. Non si può ritenere che il crollo della religione ufficiale di Atòn ponesse fine del tutto alla corrente monoteistica in Egitto. La scuola sacerdotale di On, dalla quale era scaturita, sopravvisse alla catastrofe e continuò forse ad attrarre nella sua orbita spirituale altre generazioni dopo Ekhnatòn. L'impresa di Mosè, dunque, è concepibile anche se egli non visse al tempo di Ekhnatòn e non ne subì la personale influenza; Mosè avrebbe potuto essere soltanto un seguace o un membro della scuola di Ono Tale possibilità sposterebbe la data dell'esodo e l'avvicinerebbe a quella comunemente ammessa (ovvero nel tredicesimo secolo); ma non c'è nient'altro che la raccomandi. La spiegazione dei motivi di Mosè andrebbe persa e non potremmo più affermare che l'esodo fu facilitato dall' anarchia imperante nel paese. I re successivi della diciannovesima dinastia stabilirono un governo forte. Tutte le condizioni esterne e interne favorevoli all'esodo si verificarono solo nel periodo immediatamente successivo alla morte del re eretico.
Gli Ebrei possiedono una ricca letteratura extrabiblica, in cui troviamo le leggende e i miti che nel corso dei secoli si formarono attorno alla figura grandiosa del loro primo capo e fondatore religioso, trasfigurandola e oscurandola. In questo materiale possono essere dispersi frammenti di una tradizione attendibile, i quali non hanno trovato spazio nel Pentateuco. Una leggenda di tal genere è quella che narra amabilmente come l'ambizione di Mosè si manifestò già nell'infanzia. Allorché il faraone, una volta, lo prese in braccio e per gioco lo tenne in alto, il bambino di tre anni gli strappò la corona dalla testa e la pose sulla sua. Il re fu preoccupato da tale presagio e non esitò a consultare i suoi savi in proposito. Un'altra racconta di sue vittorie militari, ottenute in qualità di generale egizio in Etiopia, e con riferimento a ciò si narra la sua fuga dall'Egitto perché aveva ragione di temere l'invidia di un partito di corte o del faraone stesso. La stessa rappresentazione biblica descrive Mosè con alcuni attributi che possono sembrare plausibili. Lo descrive come irascibile, facilmente infiammabile, come quando, sdegnato, uccide il sorvegliante brutale che percuote un operaio ebreo, o come quando, amareggiato per l'apostasia del popolo, spezza le Tavole della Legge che aveva portato dal monte di Dio; persino Dio lo punisce, infine, per un gesto d'impazienza, non è detto quale. Dal momento che una tale qualità non serve alla sua glorificazione, potrebbe corrispondere alla verità storica. Neppure si può negare la possibilità che alcuni tratti del carattere che gli Ebrei attribuivano all'immagine primitiva del loro Dio, chiamandolo geloso, severo e implacabile, provenissero, in realtà, dal ricordo che essi avevano di Mosè, poiché in effetti non era stato un dio invisibile a condurli via dall'Egitto, ma un uomo, Mosè. Un altro carattere attribuito a Mosè merita in modo particolare il nostro interesse. Sembra che egli fosse "tardo di lingua" [schwer von Sprache] , che soffrisse cioè di un impedimento o di un difetto di parola, tale da dover ricorrere nelle trattative col faraone all'aiuto di Aronne che è detto suo fratello. Anche questa potrebbe essere una verità storica e sarebbe un utile contributo per ridar vita alla fisionomia del grande uomo. Ma potrebbe avere anche un altro e più importante significato. Il racconto può riferirsi - deformandolo leggermente - al fatto che Mosè parlasse un'altra lingua e non era in grado di comunicare con i suoi neo-Egizi semiti senza un interprete, quanto meno all'inizio dei loro rapporti. Una nuova conferma, dunque, della tesi che Mosè era egizio.
Ma ora sembra che il nostro lavoro sia giunto, per il momento, a un termine. Non possiamo trarre altre conseguenze dalla nostra ipotesi, sia essa dimostrata o meno, che Mosè era egizio. Nel racconto biblico su Mosè e l'esodo nessuno storico può vedere altro che una pia immaginazione [fromme Dichtung] che ha trasformato una tradizione remota per piegarla alle proprie intenzioni. Non sappiamo quale fosse la tradizione originaria; ci piacerebbe scoprire quali fossero tali intenzioni deformatrici, ma restiamo all'oscuro per la nostra mancata conoscenza degli eventi storici. Non può forviarci il fatto che nella nostra ricostruzione non ci sia spazio per alcuni pezzi forti della narrazione biblica, come le dieci piaghe, il passaggio del Mar Rosso, la solenne consegna della legge sul Monte Sinai. Eppure non può lasciare indifferenti scoprire di trovarci in contraddizione con i risultati della attuale ricerca storica obiettiva.
Tali storici moderni, il cui rappresentante può essere considerato Eduard Meyer, concordano con il testo biblico in un punto decisivo. Anch'essi ritengono che le tribù ebraiche, dalle quali in seguito trasse origine il popolo d'Israele, assunsero a un certo punto una nuova religione. Tale avvenimento, però, non ebbe luogo in Egitto, e neppure ai piedi di un monte della penisola del Sinai, ma in una località chiamata Meribah-Qadesh, un'oasi caratterizzata dall' abbondanza di sorgenti e di pozzi situata nel tratto di terra nel Sud della Palestina, tra l'estremità orientale della penisola del Sinai e il confine occidentale dell'Arabia. Impararono qui a venerare un dio, Yahweh, probabilmente dalla vicina tribù araba dei Madianiti. Presumibilmente anche altre tribù vicine erano seguaci di questo dio. Di certo Yahweh era un dio vulcanico. Ebbene, l'Egitto è privo di vulcani e anche i monti della penisola del Sinai non furono mai vulcanici; si trovano invece vulcani, che possono essere stati attivi sino a tempi recenti, lungo il confine occidentale dell'Arabia. Una di tali montagne dovette essere il Sinai-Oreb che si riteneva essere la sede di Yahweh . Nonostante tutti i rimaneggiamenti che subì il testo biblico, l'immagine primitiva del carattere del dio - secondo Eduard Meyer - può essere così ricostruita: è un demone sinistro, sanguinario che si aggira di notte ed evita la luce del giorno.
Il mediatore tra dio e il popolo nella fondazione di questa religione aveva il nome di Mosè. Egli era il genero del sacerdote madianita Ietro e ne custodiva il gregge nel momento in cui ricevette la chiamata divina. Anche a Qadesh riceve la visita di Ietro, che gli dà consigli.
Sebbene sostenga di non aver mai dubitato che il racconto della dimora in Egitto e della catastrofe degli Egizi contenga un certo nucleo di verità storica, Eduard Meyer non sa chiaramente come collocare e valutare tale fatto da lui stesso ammesso. E disposto a far discendere dagli Egizi solo l'usanza della circoncisione. Anzi, arricchisce la nostra precedente argomentazione con due importanti riferimenti. Il primo a Giosuè che ordina al popolo la circoncisione «per liberarsi dal vituperio di Egitto», il secondo è una citazione di Erodoto, secondo cui i Fenici (ossia gli Ebrei) e i Siri della Palestina riconoscono essi stessi di aver appreso tale usanza dagli Egizi. Ma, per quanto riguarda un Mosè egizio, ha poco da aggiungere: «Il Mosè che noi conosciamo è l'antenato dei sacerdoti di Qadesh, quindi una figura della leggenda genealogica, una figura in relazione con un culto, non una personalità storica. Infatti, a parte coloro che accettano in toto la tradizione come verità storica, nessuno di coloro che lo considerano una figura storica ha saputo ancora dargli un qualche contenuto, descriverlo come un'individualità concreta, o indicare che cosa abbia compiuto e quale sia stata la sua opera storica».
Di contro Meyer non si stanca di sottolineare la relazione di Mosè con Qadesh e Madian: «La figura di Mosè, la quale è strettamente legata a Madian e ai luoghi di culto nel deserto ... ». E inoltre: «Questa figura di Mosè è allora inseparabilmente collegata con Qadesh (Massa e Meriba), e a ciò si aggiunga la parentela acquisita con il sacerdote madianita. Il collegamento con l'esodo, al contrario, e tutta la vicenda giovanile sono assolutamente secondari e sono soltanto la conseguenza dell'inserimento di Mosè in una storia leggendaria coerente e continua Meyer mostra anche come i temi che riguardano la storia giovanile di Mosè siano in seguito del tutto abbandonati: Mosè a Madian non è più un egizio e nipote del faraone, ma un pastore cui Yahweh si rivela. Nel racconto delle piaghe non si parla più delle sue antiche relazioni, che pur, con facilità, potevano essere efficacemente usate, e l'ordine di uccidere i figli maschi degli Israeliti è completamente dimenticato. Per quanto riguarda l'esodo e la rovina degli Egizi Mosè non ha alcun ruolo, e neppure è menzionato. Il carattere eroico, che la leggenda della sua infanzia presuppone, manca del tutto nel Mosè posteriore; egli è solamente l'uomo di dio, il taumaturgo dotato da Yahweh di poteri soprannaturali.
Non possiamo evitare l'impressione che questo Mosè di Qadesh e Madian, al quale la tradizione attribuì persino l'erezione di un serpente di bronzo come dio salutifero, sia del tutto diverso dal gran signore egizio da noi supposto, il quale rivelò al popolo una religione in cui ogni magia e incantesimo erano proibiti con la massima severità. Il nostro Mosè egizio non è forse meno diverso dal Mosè madianita di quanto lo sia il dio universale Atòn dal demone Yahweh che siede sulla montagna divina. E concedendo una qualche credibilità alle scoperte degli storici recenti, dobbiamo ammettere che il filo che abbiamo dipanato partendo dall'ipotesi che Mosè fosse egizio si è rotto ora per la seconda volta. E questa volta, come sembra, senza speranza di poterlo riannodare.

Freud, Mosè e il monoteismo, Newton, 2010, p. 50 – 54

La necessità di dare una ragione al monoteismo è diventata l'ultima preoccupazione di Freud. Mosè non è mai esistito. Non è mai esistita la schiavitù degli ebrei in Egitto. L'Egitto per gli ebrei è una sorta di "luogo mitico" dal quale Dio li ha tratti fuori dalla schiavitù per renderli schiavi di Dio.

Sappiamo che Ekhnatòn era malato e che la sua malattia lo portava al delirio di onnipotenza. Quando Ekhnatòn morì, l'Egitto ritornò ai culti precedenti alimentati dai culti locali.

Quando gli egittologi scopersero la storia di Ekhnatòn i cristiani e gli ebrei pensarono di aver scoperto l'origine del loro culto. In realtà il culto degli ebrei fu sono un'invenzione fatta dai capi degli ebrei deportati a Babilonia per impedire agli ebrei di integrarsi con la popolazione babilonese. La stessa invenzione ebraica della circoncisione fu fatta a Babilonia, probabilmente imitando una pratica egiziana, allo scopo di marchiare gli ebrei e impedire in questo modo che si integrassero con gli altri popolo a Babilonia.

Freud esprime un bisogno fantastico di un padre da evocare in un ritorno alla religione ebraica, sia pur come impulso emotivo, mentre la sua vita si sta concludendo. E' fuggito a Londra e lì può scrivere di Mosè senza essere perseguitato dai nazisti. Ora c'è Dio, c'è Mosè, questo Io e Super-Io delle civiltà moderne.

Il forte vento della civiltà in cui Freud viveva si sta trasformando in tempesta e Freud si è comprato una via di fuga dalla tempesta che egli stesso ha contribuito a scatenare.

Nel 1938 Freud si compra un passaggio per fuggire all'estero. Lascia l'Austria e si rifugia a Londra. In Austria lascia le sue sorelle che moriranno in un campo di sterminio nazista. Quel rifiuto di analizzare la società, così caparbiamente perseguito, gli ha rivelato di aver costruito una società ostile.

Freud per la sua malattia di cancro alla bocca iniziata nel 1923 subisce 32 operazioni. Subisce l'asportazione della mascella. Nonostante l'asportazione della mascella Freud continuerà a fumare una scatola di sigari al giorno. Il consumo di cocaina e l'abuso di sigari ne hanno distrutto il fisico facendo del dolore una costante degli ultimi dieci anni della sua esistenza.

Ora Freud è in salvo a Londra. E' fuggito dal nazismo con l'aiuto del nazismo, ma non è fuggito da sé stesso. Il 23 settembre 1939 a Freud malato di cancro viene fatta un'iniezione che ne provoca la morte. Il suo corpo verrà cremato.

Il 2 novembre 1951 muore la moglie di Freud. La donna non ha mai letto un libro di Freud. Negli anni 20 la moglie di Freud aveva confidato allo psicoanalista francese René Laforgue che considerava le teorie del marito "una forma di pornografia". [fonte: Onfray, Crepuscolo di un idolo p. 467 ed. Tea, 2011]

Nota: alcune note biografiche sono state ricavate da Onfray, Crepuscolo di un idolo, Editore Tea, 2011

 

Marghera, 05 febbraio 2019

 

 

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Claudio Simeoni

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Guardiano dell'Anticristo

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