Dioniso e gli arbitri

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Prologo della seconda fase

di Claudio Simeoni

Sei capace di giocare a calcio?

Mentre lo sforzo di Freud per un ultimo tiro verso la porta avversaria falliva e le squadre si avviavano lentamente negli spogliatoi il mondo tutto intorno svaniva dalla nebbia dell'indistinto. I quattro arbitri calpestavano l'erba del campo da gioco mentre gli spalti a poco a poco si stavano svuotando.

Gli arbitri si guardavano sconsolati. Nessuno aveva vinto. Tutti gli sforzi sono apparsi vani. I quattro arbitri, Yahweh, Fanes, Beppi di (o da) Lusiana e Allahu Akbar sembravano non aver parole mentre si portavano al centro del campo da gioco.

"Cosa abbiamo dimostrato?" Chiese Fanes a tutti gli altri.

"Follia e realtà" disse Bepi da Lusiana più a sé stesso che non agli altri arbitri "Le immagini dell'esistenza sono reali e illusorie nello stesso tempo. La realtà nella quale i filosofi vivono e che descrivono non è un oggetto in sé, ma è la realizzazione di un desiderio che prende forma e trasformandosi in un oggetto vivente si insinua nella vita degli uomini pretendendo che gli uomini lo facciano loro. Chi è un filosofo" proseguì Bepi da Lusiana "se non la malattia mentale che non è stata circoscritta e trattenuta da una camicia di forza?"

"Eppure", prese a sussurrare Yahweh "I filosofi affermano non solo la mia esistenza, ma testimoniano la mia bontà. Testimoniano la verità del mondo che io ho creato per loro. I filosofi mi riconoscono come il creatore del mondo e in questo c'è la verità della mia esistenza!"

"Già" sussurrò Fanes "Se non fosse per loro, tu non esisteresti. Tu sei il loro desiderio e ti rappresenti come loro desiderano rappresentarti perché rappresentarti è il desiderio di rappresentare sé stessi. Piccoli e squallidi uomini che anelano all'onnipotenza e, non potendola raggiungere, immaginano l'onnipotenza dispiegata in un sé stessi che svegliatosi da un sonno eterno decise di creare il mondo. Io ero la coscienza che apparve quando si ruppe con una grande deflagrazione l'uovo luminoso in un oscuro universo. Io sono l'oscuro che porta la luce che anela all'oscurità per giungere ad una nuova luce. Io sono la materia che si agita creando il tempo e producendo le forze cosmiche dell'esistenza. Io sono la materia che progetta sé stessa, io sono la materia che si è ammalata e ha creato le illusioni. Io sono il reale e il fallimento del reale."

"Si" disse Allahu Akbar "Un'illusione che smuove le montagne e dice loro di gettarsi a mare. Questo perché gli uomini che si illudono vivono l'illusione come fosse la loro realtà quotidiana e nulla è vero se non l'illusione che stanno vivendo. Non è importante il vero, è importante ciò che l'uomo creda sia il vero e se quel vero è illusorio, l'illusione cancella la realtà che l'uomo sta vivendo e si sostituisce ad essa portando il desiderio dell'uomo a trionfare nel suo fallimento."

Mentre gli arbitri stavano riflettendo, uno spettatore, anziché uscire dallo stadio, aveva scavalcato le transenne e si avviava verso gli arbitri al centro del campo. Aveva il passo incerto, spesso barcollava, ma anziché cadere, come sembra stesse per fare in ogni momento, si rimetteva in piedi con gesti armoniosi. Le mani erano impegnate. Con la mano sinistra trascinava un lungo bastone e con la mano destra reggeva una bottiglia dal che gli arbitri, che lo guardavano avanzare, dedussero che fosse ubriaco. L'uomo continuava ad avanzare seminudo e con una ghirlanda di foglie d'edera che gli avvolgevano la fronte.

Avanzava lentamente, ma decisamente. Gli arbitri si accorsero che muoveva la bocca ma non compresero le sue parole fino a quando non fu abbastanza vicino. Diceva, ripetendo e cantilenando: "Mescola le bacche d'edera con il vino e schiaccia tutto nel tino. Uva e bacche d'edera trasformano l'illusione nella tua realtà. Se ti nascondi nell'illusione sfuggi ai Titani. Se affronti la realtà devi affrontare i Titani. E i Titani squartano la vita. Ogni Titano pretende il sé stesso di cui sei fatto. Di te nulla rimane se non quello che ne hai fatto di ogni frammento di Titano che viveva dentro di te." Guardò i quattro arbitri in un lungo attimo di silenzio. Poi, continuò: "Quando i Titani si svegliano dentro i viventi, non cessa la vita di un qualunque vivente, ma cessa vita di ognuno di voi!"

"Io sono Dioniso" si presentò "Il nato tre volte figlio della terra, del cielo e dall'infinito. Voi" proseguì Dioniso rivolto agli arbitri "quante volte siete morti?"

Yahweh, Fanes, Beppi di (o da) Lusiana e Allahu Akbar sgranarono gli occhi guardando stupiti Dioniso che oscillava malfermo sulle gambe.

Bepi da Lusiana lo guardò negli occhi dicendo col suo accento Veneto: "Na volta iero anca mi come de ti, sempre imbriago. Dopo go smesso e anca se adeso son vecio, un imbriago lo vedo subito. Forse xe meio che ti vada fora dal campo e ti va a farte na dormia."

Con un gesto da stupire un giocoliere di un circo, l'asta che Dioniso trascinava a malapena apparve dritta nella sua mano e dopo averla alzata fino al ginocchio la batté sulla terra impugnandola come un guerriero impugna un'alabarda. Il forte legno di corniolo fece vibrare il suolo e gli arbitri videro il tirso con tutto il potere del nato tre volte.

Gli occhi di Dioniso brillavano e, mentre fissava Bepi da Lusiana, disse: "Sì sono ubriaco. Mescolo edera e uva per viaggiare nelle illusioni, creo mondi che imprigionano la mia coscienza, mondi oscuri per poter osservare la luce di un presente che ancora non è. Ma l'oscuro del mondo reale è la luce della morte che trasforma il reale in un diverso reale annullando l'illusione nella quale progetto una speranza che mi allontana dall'oscuro reale che potrebbe portarmi alla luce di un reale che il reale in cui vivo teme inducendomi a rifugiarmi nell'illusione di un mondo immaginario che mi protegge dall'oscurità annullando nella dissoluzione l'esistenza. Si! Sono ubriaco d'edera e uva che mi consentono di camminare nell'oscurità dei fuochi della vita dove nulla è mai uguale a ciò che appare e ciò che appare inganna alimentando l'illusione di chi coltiva la speranza".

Il tirso vibrava nell'aria quando Allahu Akbar iniziò a parlare: "Io sono la speranza dei disperati. Evocato là dove i venti caldi bruciano la terra. Porto conforto agli uomini le cui gole sono arse dalla sete e li ristoro prospettando una conquista dopo una conquista. Essi sono Allahu Akbar mentre avanzano fra gli infedeli e le loro spade non sono illusioni, sono sangue e sono emozioni che sgorgano bagnando la terra. Io sono il reale che dispiega il futuro davanti ai loro occhi. Io, Allahu Akbar, non sono "grande", loro sono grandi quando proclamano Allahu Akbar."

Dioniso sollevò lentamente il braccio destro in cui teneva stretta una bottiglia e la porse ad Allahu Akbar dicendo: "Forse è bene che tu beva un po'. Le hai ascoltate le tue parole? Hai detto di essere l'illusione dei disperati. Uomini e donne che non arano le loro emozioni, non mietono dalle loro relazioni, non colgono dagli alberi che hanno piantato né battono il ferro o costruiscono il loro futuro possibile mettendo pietra su pietra, ma usano spade facendo sanguinare la vita e come tanti vampiri si nutrono del sangue dei loro figli. Non c'è la morte che attende costoro, c'è il nulla perché nulla hanno costruito, ma hanno alimentato solo l'illusione della conquista con cui depredavano uomini che vivevano in un reale in cui trasformavano l'esistente. Che ne è di te quando gli uomini consumano sé stessi annullandosi nell'illusione? L'illusione non sopravvive all'illuso e l'illuso vive solo per trasmettere l'illusione vampirizzando le persone, i suoi figli, che avrebbero potuto vivere nel reale. Per te non ci sono le fredde acque di Mnemosine a cui ti potresti abbeverare. Il fuoco dell'illusione ha arso la gola di tutti coloro che ti hanno immaginato. La gloria della conquista, il muoverti fra corpi inerti ed insanguinati, ti permette di lenire il dolore che ti porta a desiderare il nulla. Il nulla come ideale del fallimento esistenziale: e vuoi che i Titani non distruggano ciò che già hai distrutto?"

"Io ho portato gli uomini fuori dal deserto" disse, rivolto a Dioniso, Yahweh " Io sono il Signore, il loro Dio, che li ha fatti uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Per quaranta anni ho condotto il mio popolo nel deserto e poi li ho portati nella terra che ho promesso loro. E loro avevano speranza nella mia promessa e questa speranza li ha salvati. Hanno fatto come io ho detto loro sterminando uomini, donne e bambini affinché si appropriassero di ciò che altri avevano costruito diventando padroni delle loro case, delle loro terre e del loro bestiame. Io Yahweh sono la loro promessa, la loro speranza, sono l'ideale che guida la loro spada e che annienta i loro nemici. Io sono il creatore del loro mondo. Come avrebbero potuto sopravvivere senza il pensiero che Yahweh guida e benedice le loro azioni? Il dolore degli uomini è il mio nutrimento, il loro dolore è il profumo dell'olocausto che alimenta la mia vita che si realizza in ognuno di loro in una perenne ricerca di un dolore da provocare e rinnovare. Per rinnovare il dolore ho venduto loro un Gesù ammazzandolo sulla croce affinché ricordassero che da loro io desidero solo il loro dolore, la loro sofferenza, il loro fallimento. Con questo io alimento la mia esistenza. Io esisto grazie a loro che creano dolore in mio onore."

"E' così" disse tristemente Dioniso "figlio e padre del dolore nel mondo è Yahweh. Colui che odia la felicità della vita e degli uomini. Colui che ordina ai suoi "uomini" di ammazzare donna, uomo e bambino diverso dai suoi uomini".

"Nella partita di calcio" continuò Dioniso "avete rappresentato tutto questo. Il dolore che annienta gli uomini. Gli uomini che attendono l'annientamento. Il desiderio che tenta di aprirsi la strada nel dolore per tendere a realizzare una felicità negata".

"Ghe gera anca qualcos'altro" intervenne Bepi da Lusiana "ghe gera gente che non se meteva in senocio e che non volea crear dolore. Ghe gera filosofi che i portava i mattoni e sacchi di sabbia sulle spalle per costruire un diverso presente".

"E' vero", sussurrò Dioniso come se fosse ormai assente dalla discussione "troppa gente col dolore trasforma i viventi in letame, ma più letame diffondi sulla terra e più vigorosi diventano alcuni alberi capaci di rifiutare il dolore e la sofferenza. Ma come si può pensare alla vita in questo modo? Il genocidio dei molti per il rigoglio di alcuni? Bella è la cavalcata dell'eroe sul suo cavallo bianco, ma la strada su cui cavalca è lastricata di cadaveri e mentre gli uomini guardano il magnifico cavaliere, dimenticano i cadaveri che formano la strada e non si avvedono di essere essi stessi i cadaveri che lastricano quel sentiero".

Dioniso alzò lentamente lo sguardo e fissò, contemporaneamente, tutti e quattro gli arbitri sussurrando: "I vostri corpi non hanno compreso cosa è successo in questa partita di calcio fra i filosofi. Due di voi sono partoriti dalle illusioni degli uomini, uno di voi è l'intento della vita, ma solo uno di voi può diventare un Dio morendo e rinascendo luce nell'oscuro che ci circonda. Per questo io Dioniso..." e mentre lo diceva fece roteare il tirso nella mano puntandolo dritto al viso degli arbitri "io vi racconterò che cosa è successo in questa partita di calcio in cui i filosofi si sono misurati."

Col tirso Dioniso costrinse gli arbitri a sedersi in mezzo al campo di gioco e iniziò il suo racconto non prima di aver bevuto dalla bottiglia che portava in mano.

 

Continua...

Il significato della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.

 

 

Marghera, 01 dicembre 2019

 

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Ultima formattazione 26 gennaio 2022

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