Ceo, Coio e i filosofi fondamentalisti contro esistenzialisti
fase n. 8, azione 41

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Capitolo 42
Gli Dèi riflettono sui filosofi

di Claudio Simeoni

Continua dal precedente...

Sei capace di giocare a calcio?

"Che cos'è la conoscenza?" Chiese Yahweh.

Beppi di (o da) Lusiana alzò gli occhi dal fuoco e guardò con meraviglia Yahweh.

"Perché mi guardi in questo modo?" Chiese Yahweh.

"Tu non eri colui che tutto ha creato e che tutto conosce nell'universo?" Chiese a sua volta Beppi di (o da) Lusiana.

"Lui è l'increato, il mai nato" Intervenne Fanes "Lui ritiene di essere la conoscenza assoluta e non ha coscienza di cosa sia il non conoscere e scoprire che, oltre a ciò che si sa, c'è dell'altro da sapere, da conoscere, da esplorare, lo ha lasciato esterrefatto." Poi Fanes continuò "Lui è verità in essere e non ritiene di liberare sé stesso dalla non conoscenza, dal non conoscere per illuminare la propria mente con nuova o altra conoscenza. Lui non può sapere che cos'è la conoscenza e che cosa significa il conoscere."

Yahweh osservò Fanes e chiese: "Tu sai che cos'è la conoscenza?"

"Io sono uscito dall'uovo luminoso, dal Caos, all'inizio del tempo e dello spazio. Sono emerso come necessità della materia che si espandeva nell'universo e io stesso, con la materia, mi sono trasformato e a trasformarsi erano tutti i me stessi all'interno di ogni frazione di materia che si trasformava, si adattava, diventava cosciente di sé, modificava sé stessa modificando il presente in cui viveva. Io cambiavo, mutavo, accumulando sapere e conoscenza in virtù delle trasformazioni della materia. Poi, anch'io iniziai a diventare cosciente e consapevole e anch'io iniziai a sussurrare le possibilità alla materia di trasformarsi. Io so che cos'è la conoscenza perché c'è stato un tempo in cui io non avevo conoscenza, ma ero espressione di una necessità impellente che rese cosciente e consapevole la materia che iniziò ad accumulare conoscenza sulla realtà del mondo in cui viveva. Questa attività mi conferì coscienza di me stesso e delle mie possibilità. Solo che io non mi posso separare dalla materia e dall'energia dell'universo perché io sono espressione della materia e dell'energia e senza la materia e l'energia io non esisto. In questa situazione io sono destinato a trasformarmi, ad accumulare conoscenza, ma non posso separarmi dal corpo che mi manifesta perché io sono quel corpo in essere."

Beppi di (o da) Lusiana ascoltava e disse: "Il che significa che tu sei anche me mentre Yahweh, Allahu Akbar sono oggetti diversi da me. Tu sei nella vita mentre Yahweh, Allahu Akbar sono fuori della vita, del suo scorrere, del suo trasformarsi. Io accumulo conoscenza. La mia "specie della natura" accumula conoscenza perché vivono e si trasformano; Yahweh, Allahu Akbar non accumulano conoscenza perché non si trasformano. Rimane una domanda a cui non avete mai dato una risposta: perché voi avreste creato il mondo e l'uomo?"

Allahu Akbar sorrise: "Noi non abbiamo creato il mondo o l'uomo, è l'uomo che ci ha creato. Noi eravamo strumenti di un uomo che dominava altri uomini e siamo diventati sostanza che persiste. L'uomo che ci ha "creato" riteneva di avere una "verità", un'"interpretazione del mondo assoluta e immodificabile" e noi siamo diventati espressione di quella volontà, prodotti da coloro che a quella volontà hanno voluto credere e riversare in essa la propria energia vitale."

"Allora" chiese ancora Beppi di (o da) Lusiana "Che cos'è la conoscenza?"

"Io sono la conoscenza e la necessità della conoscenza!" proruppe improvvisa una voce che sembrava apparire da ogni parte.

Gli arbitri si guardarono un po' attorno, ma nulla era cambiato, tutto era come prima, solo la voce aveva interrotto i loro discorsi.

"Quando la materia divenne consapevole generando Urano Stellato, l'emozione delle galassie ebbe la necessità di veicolarsi nel mondo in cui esistevano e questa necessità portò Urano Stellato a generare la conoscenza che si sedimentò sopra all'Intento, Eros, come strumento della consapevolezza per poter scegliere la direzione della trasformazione soggettiva nelle proprie veicolazioni emotive. Le veicolazioni emotive, a loro volta, alimentano la conoscenza del singolo Essere accumulando esperienza: questo portò alla mia nascita. Chiamatemi come volete, Ceo o Kòios, o, ancora Coio, io sono la sostanza di ogni conoscenza che ogni coscienza accumula dentro sé stessa nell'intero universo. Per contro, io sono l'essenza che agisce dentro ad ogni coscienza spingendola a veicolare le proprie emozioni nel mondo in cui vive per accumulare esperienza. Io sono l'esperienza accumulata che spinge ogni vivente ad accumulare altra esperienza. In questo modo il cosciente manipola la sua energia vitale, plasmandola, e nello stesso tempo alimenta la mia energia vitale e la mia coscienza. Io sono nato dall'emozione veicolata da ogni materia consapevole ed agisco affinché ogni materia consapevole veicoli al meglio le proprie emozioni nel mondo in cui è nata. Io ho aiutato Crono ad evirare Urano Stellato e a mettere in moto i mutamenti e il divenire che Urano non era in grado di pensare e da quando la materia ha iniziato a trasformarsi io sono divenuto con essa."

"Le cose che essi prevedono non le predicono illuminando la mente, come avviene nella rivelazione divina: poiché essi non hanno l'intenzione di perfezionare l'anima umana con la conoscenza delle verità, ma piuttosto di sviarla dalla verità. Essi invece, fanno queste predizioni talora alterando l'immaginativa, o nel sonno, mostrando nel sogno alcuni indizi del futuro; o nella veglia com'è evidente nel caso degli ossessi e dei pazzi, i quali predicono delle cose future; oppure mediante certi segni esterni, come il volo o il canto degli uccelli, le figure trovate nelle viscere degli animali, quelle risultanti da determinati punti, e con altre cose del genere, che sembrano dipendere dal caso; talora poi apparendo visibilmente, e predicendo a parole le cose future."

Tommaso d'Aquino, Somma contro i gentili, Mondadori, 2009, p. 947

"Il sapere e la veggenza sono sempre stati associati" Iniziò a dire Coio "questo perché conoscere, sapere, alimenta la necessità di intuire e permette di agire nel mondo. Chi agisce attraverso la conoscenza e il sapere è come se prevedesse il risultato delle sue azioni. Non si tratta di un'azione "magica" mediante la quale un individuo prevede, ma si tratta della capacità dell'individuo di osservare e interagire col mondo. Lo spettatore esterno osserva le decisioni dell'individuo, non vede né gli sforzi che l'individuo ha fatto per interagire col mondo; né le sue decisioni con le quali ha messo in atto i suoi adattamenti soggettivi; né la formazione della sua esperienza. Lo spettatore esterno vede solo le decisioni della persona ed è colto dalla meravigli come se quella persona avesse letto un futuro anziché agire affinché quel futuro si realizzasse. E' proprio della persona che interagisce col mondo far sorgere dentro di sé l'intuizione interpretando i segnali che giungono dal mondo. Il segnale che giunge dal mondo quando l'individuo ritiene che sia un segnale, l'individuo su quel segnale blocca la sua attenzione. I quel momento si ferma il dialogo interno, la coscienza si apre e dal profondo dell'individuo emerge un'intuizione, fenomeni che la ragione dell'individuo ha scartato o vuole, normalmente, ignorare. La conoscenza di un soggetto ha la caratteristica di essere fatta con tutto il corpo; poi, la ragione seleziona i segnali e i fenomeni e blocca la maggior parte dei segnali e dei fenomeni impedendo loro di giungere alla coscienza. La ragione ragiona su fenomeni già conosciuti e già descritti. Poi, arriva un segnale dal mondo; l'individuo blocca per un attimo il suo dialogo interno; apre la sua coscienza alla parte più profonda della sua percezione e nuovi fenomeni, nuove intuizioni, nuove possibilità si affacciano, per un attimo alla coscienza. Il nuovo può giungere alla coscienza. L'uomo può pensare che questo sia dovuto al segnale che arriva dal mondo, in realtà ha aperto la propria coscienza, dominata dalla ragione, all'intuizione emotiva che ha fornito alla coscienza nuovi elementi con cui pensare, descrivere e analizzare il mondo. Dopo l'arrivo dell'intuizione, la ragione riprende il controllo, ma non è più la stessa ragione. E' diventata una diversa ragione che fa proprio il nuovo che è merso dal profondo dell'individuo entrando nella sua coscienza. A volte l'intuizione entra nella coscienza attraverso il sognare. Nel dormire e nel sognare il controllo della ragione sulla coscienza è molto basso e questo consente all'intuizione emotiva di presentarsi alla coscienza mediata dal fatto che, in fondo, è solo un sogno. Il corpo dell'uomo abbraccia un immenso di conoscenza, ma la ragione deve proteggere l'uomo da quest'immenso. L'immenso della conoscenza sono io, il Titano Coio, e la ragione è Zeus che mi ha relegato nel Tartaro per abitare la coscienza degli uomini. Ma gli uomini e le donne coraggiose sanno far tacere Zeus nella loro coscienza e per un attimo, con grande attenzione, possono aprire le porte del Tartaro permettendo all'intuizione emotiva, a me, di accedere alla coscienza e di soccorrere gli uomini che anziché espandersi si chiuderebbero in una coscienza, controllata dalla ragione, che delira di una ragione infinita e assoluta."

"Ma in questi tre ambiti, nei quali vengono misurate tutte le cose divine, la preghiera prepara la nostra amicizia con gli Dèi e ci procura i tre vantaggi della teurgia che provengono da loro: quello che tende all'illuminazione, quello che tende ad un'azione comune e quello che, muovendo dal fuoco del sacrificio, tende ad un perfetto riempimento della nostra anima. E ora la preghiera precede i sacrifici, ora invece interviene durante il rito sacro, ora conclude i sacrifici, e nessuna opera sacra è compiuta senza le suppliche contenute nelle preghiere."

Giamblico, I misteri degli egiziani, BUR, 2003,p. 377

"La preghiera è il nemico della conoscenza" Continua Coio "Questo perché la preghiera impone costrizione emotiva. La preghiera uccide le emozioni delle persone e senza emozioni non ci possono essere relazioni fra l'uomo e gli Esseri del Mondo fra cui gli Dèi. La preghiera separa l'uomo dal mondo, lo costringe in sé stesso. La preghiera separa gli uomini dagli Dèi rendendo gli uomini estranei alla vita. Agli Dèi non piacciono coloro che supplicano. Nella vita, a volte, si presentano problemi enormi che appaiono insormontabili, ma gli uomini che affrontano coraggiosamente la loro vita hanno sempre eserciti di Dèi al loro fianco. Hanno eserciti di Dèi al loro fianco, non hanno Dèi che fanno il lavoro al posto loro. Gli Dèi aiutano e supportano, ma non sostituiscono la passione e l'impegno delle persone nell'affrontare la loro vita. Con la preghiera non c'è nessuna illuminazione che possa condurre alla conoscenza, al massimo le persone possono concentrare le loro emozioni dentro sé stesse e produrre allucinazioni e illusioni attraverso le quali illudersi di essere nella benevolenza di qualche Dio continuando a sacrificare le loro emozioni per alimentare questa illusione. Con la preghiera l'individuo compie il sacrificio di sé stesso uccidendo il fuoco che arde dentro di lui in onore di un'illusione che lo consola nel suo fallimento esistenziale. La preghiera è l'atto con cui l'individuo rinuncia a vivere. E' l'atto con cui l'individuo si fa eunuco per servire un'illusione che si ciba della sua energia emotiva."

"Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No, certo! Ma io non ho conosciuto il peccato se non per mezzo della legge. Difatti, avrei ignorato la concupiscenza se la legge non mi avesse detto: "Non desiderare". Ma il peccato, poi, approfittando dell'occasione di questo precetto, ha suscitato in me ogni sorta di cupidigie; poiché senza legge il peccato è morto. Un tempo, senza legge, io vivevo; ma venuto il precetto, il peccato si ridestò ed io morii: sicché il precetto che doveva darmi la vita, diventò occasione di morte. Poiché il peccato, colta l'occasione del precetto, mi sedusse e per mezzo di esso mi uccise. Sicché la legge è santa, e santo, giusto e buono è il precetto."

Paolo di Tarso, Lettera ai Romani 7, 7-12

"Siamo davanti ad un gioco di parole finalizzato a costruire inganno." Riprende il discorso Coio "Di quale legge sta parlando Paolo di Tarso? Dei dieci comandamenti che il suo Dio ha imposto ai sui seguaci. La domanda che si pone Paolo di Tarso è la seguente: la legge è peccato? Il suo Dio, nell'imporre la legge agli uomini, ha commesso un delitto? Quello che Paolo di Tarso chiama "peccato". Paolo di Tarso risponde: no, certo! Ora, se Paolo di Tarso avesse detto che il suo Dio non ha peccato nell'imporre la legge a Paolo di Tarso, non avrei da obiettare, ma il Dio di Paolo di Tarso ha imposto la legge a tutti gli uomini affinché tutti gli uomini si sottomettessero a Dio. Non ha imposto una legge che aiuta l'uomo, ha imposto una legge che impedisce e rende difficoltosa la vita dell'uomo. Dunque, il Dio di Paolo di Tarso ha commesso un delitto contro l'umanità. La risposta sarebbe, a questo punto, che la legge è criminale allo stesso modo in cui il Dio di Paolo di Tarso è un criminale al pari di Paolo di Tarso che legittima una legge criminale. Di che cosa si preoccupa Paolo di Tarso? Della legge? No! Paolo di Tarso si preoccupa di rimanere nelle grazie del padrone obbedendo agli ordini del padrone senza porsi il problema se il suo padrone obbedisce alle sue stesse leggi. Paolo di Tarso dice che "il peccato" ha approfittato della presenza della legge "per suscitare in me ogni sorta di cupidigie; poiché senza legge il peccato è morto". Il peccato, come oggetto esterno all'uomo e all'azione, prende la "scusa" che il Dio di Paolo di Tarso ha imposto i dieci comandamenti per suscitare in Paolo di Tarso la "cupidigia" e costringerlo a "peccare" dal momento che, senza la legge che vieta la "cupidigia", Paolo di Tarso poteva esercitare la "cupidigia" senza per questo peccare. Paolo di Tarso non si pone il problema sul perché il suo padrone impone a lui una legge che gli vieta di fare delle cose. Si pone solo il problema che lui deve obbedire per rientrare nelle grazie del suo padrone. Dal momento che per Paolo di Tarso violare la legge significa peccare e morire alla grazia di Dio, Dio, imponendo i Dieci Comandamenti, ha fatto in modo che Paolo di Tarso morisse facendo le stesse azioni che faceva prima che la legge gli venisse imposta da Dio. Dal momento che la legge dei Dieci Comandamenti, imposta da Dio ha "ucciso" Paolo di Tarso e con lui tutti gli uomini e le donne che non si sono sottomesse a quella legge facendo una strage, Paolo di Tarso afferma che fare una strage di uomini e donne (sia pur simbolica stando alla farneticazione retorica), è una cosa santa e giusta: "Sicché la legge è santa, e santo, giusto e buono è il precetto.". Da cui derivano tutte le leggi sociali dove gli uomini devono essere sottomessi ad una gerarchia che non si limita alla censura per le loro azioni, ma procede a macellarli, incarcerarli, condannarli attraverso leggi che non servono gli uomini, ma servono la libertà della gerarchia, che rappresenta Dio, di violentare e stuprare gli uomini che non si sottomettono per come la gerarchia vuole sottometterli.

"Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi"."

Vangelo di Matteo 20, 8 - 16

"Qual è l'oggetto che il padrone acquista?" Riflette Coio "Cosa hanno ceduto gli operai in cambio della paga? Cosa ha chiesto quel padrone agli operai? Cosa aveva convenuto di vendere quell'operaio a quel padrone? Secondo quel padrone, quando gli operai hanno convenuto, gli operai hanno ceduto la loro vita al padrone. In sostanza, il padrone ha fissato un prezzo per l'operaio al momento del contratto senza rendere consapevole l'operaio dei termini del contratto. La caratteristica dell'operaio non è quella di cedere sé stesso senza limiti di tempo. Questa è la caratteristica dello schiavo. L'operaio si fa pagare per unità di tempo che dedica al lavoro. Lo schiavo viene pagato una tantum al mercato o con i debiti contratti. Cosa pretende lo schiavo dal padrone? Non può pretendere nulla perché è proprietà privata e nell'uso della proprietà privata il padrone può essere "più o meno buono". Ma se la persona che lavora per lui viene pagata in base alle unità di tempo che dedica al lavoro, è un operaio. Coloro che lavorano per Gesù proprietario della vigna non sono operai, ma schiavi. Schiavi che non hanno diritto di rivendicare nulla perché il padrone dà e toglie allo schiavo a seconda del suo capriccio. Qui si parla di un rapporto di schiavitù che viene spacciato come un rapporto fra un "datore di lavoro" e "operai" privati del diritto di contrattazione perché il padrone dà e toglie a seconda del proprio tornaconto personale. Impiegheranno molto tempo gli operai per comprendere la necessità di contrattare e ricontrattare ogni impegno di lavoro proprio perché le società cristiane tendono a trasformare le persone in schiave per l'uso indiscriminato e arbitrario di ogni padrone."

"Inoltre gli Altri non sono né simili né dissimili rispetto all'Uno, né la somiglianza e la dissomiglianza sono in loro: se infatti fossero simili e dissimili o avessero in sé somiglianza e dissomiglianza, gli Altri dall'Uno in qualche maniera avrebbero in se stessi due affezioni opposte tra loro"

Platone, Tutti gli scritti, Parmenide, Bompiani, 2014, p. 409

"Gli Altri non sono uguali all'Uno" Continua Coio "E l'Uno non desidera che gli Altri siano uguali a sé. L'uguaglianza non si misura dalla forma o dalla quantità, ma dalla relazione che entrambi hanno nella relazione. Gli Altri sono compresi nell'Uno del Parmenide, ma quando l'Uno del Parmenide è, gli Altri non sono. Quando gli Altri sono, l'Uno non è. Ma dell'Uno si parla della "coscienza e della consapevolezza" che all'Uno manca quando si parla della "consapevolezza e della coscienza" che negli altri è in atto. L'Uno persiste. Ma per dire che l'Uno è Uno è necessario che l'Uno abbia "coscienza e consapevolezza di sé", ma se l'Uno ha coscienza e consapevolezza di sé, gli Altri non hanno consapevolezza e coscienza di sé, ma riflettono la coscienza e la consapevolezza dell'Uno che è mentre gli altri non sono essendo essi stessi l'Uno. L'Uno, come ipotizzato da Platone, ha la stessa materia degli altri, ma differisce dagli altri proprio per il tempo in cui la "coscienza e la consapevolezza" è negli altri o nell'Uno. Mentre le trasformazioni degli altri conducono alla coscienza e alla consapevolezza dell'Uno, la coscienza e la consapevolezza dell'Uno conduce necessariamente solo nel nulla della "coscienza e della consapevolezza". L'unica trasformazione possibile della coscienza e della consapevolezza dell'Uno è la sua trasformazione nel nulla della coscienza. Un nulla della coscienza in cui permane solo il corpo, la materia e l'energia, privi di coscienza e di consapevolezza. Privi di volontà esistenziale. Da quella materia, privata della coscienza e della consapevolezza, può emergere solo Lui" E Coio, mentre così diceva, puntò il suo sguardo su Fanes "inconsapevolezza dalle ali d'oro che si dibatte nella materia inconsapevole. Quel dibattersi porta all'emergere di coscienze come Altri che, sommando la propria volontà d'esistenza alla necessità che li ha resi consapevoli, iniziano il loro ciclo delle trasformazioni. Mentre gli Altri divengono, l'Uno non esiste perché è nell'attesa che le coscienze degli Altri porti a termine il loro ciclo delle trasformazioni. E anche noi, come Esseri Umani, siamo gli Altri il cui ciclo delle trasformazioni porta all'Uno che ora non è!"

"Va qui notato di sfuggita, che taluni spiriti trovano piena soddisfazione solo in ciò che viene conosciuto intuitivamente. Causa ed effetto dell'essere nello spazio, intuitivamente manifestato, è ciò che essi cercano: una dimostrazione euclidea, o una soluzione aritmetica di problemi geometrici non li attira. Altri spiriti all'opposto domandano concetti astratti, che soli si prestano all'applicazione e alla comunicazione; essi hanno pazienza e memoria per i principi astratti, formule, dimostrazioni in lunghe serie di sillogismi, e calcoli, i segni dei quali rappresentando le più complicate astrazioni. La differenza è caratteristica."

Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione vol. 1, Laterza, 1986, p. 98

"Le persone nascono in un mondo in cui veicolano le loro emozioni e che alle loro azioni risponde accogliendole, rifiutandole o mediando. Mentre il mondo subisce le azioni dei nuovi nati, risponde con altre azioni che costringono i nuovi nati ad adattarsi. Così gli uomini si adattano. Si adattano anche quando crescono nella pancia della loro madre. Si adattandosi ai segnali emotivi che dalla madre giungono al feto, ma in quegli adattamenti subiscono una trasformazione. La loro trasformazione è costretta in una direzione di adattamento fin dai primissimi mesi di vita quando gli Esseri Umani adulti non capiscono il neonato mentre il neonato analizza le condizioni emotive in cui è nato e mette a punto le sue strategie d'esistenza. Se una società stabilisce le condizioni generali per poter divenire e vivere n essa, l'ambiente parentale stabilisce fin nei minimi particolari le condizioni adattative del nuovo nato fin da quando è nella pancia della madre. E' come se l'ambiente parentale ergesse dei muri attorno al nuovo nato costringendolo a sviluppare quelle "specificità psico-emotive", solo quelle, per poter sopravvivere. Il nuovo nato non ha idea del mondo in cui è nato e non ha idea se quel mondo gli consente di sopravvivere, ma lui vuole sopravvivere e per farlo è disposto ad adattarsi a condizioni che l'ambiente parentale gli impone anche se adattamenti e trasformazioni diverse, in futuro, gli sarebbero state più favorevoli. Il nuovo nato sacrifica una parte delle proprie possibilità in cambio di una certa sicurezza di sopravvivere nel nuovo ambiente. Da qui lo sviluppo del carattere che non è altro che adattamento soggettivo delle possibilità di veicolare le proprie emozioni nel mondo in cui l'individuo è nato. L'Essere Umano, come ogni altro Essere della Natura, non è creato ad immagine e somiglianza di un Dio pazzo, cretino e deficiente, ma è il prodotto dell'adattamento soggettivo alle variabili oggettive incontrate sia quand'era in pancia della madre che nei primi anni in cui è nato. A mano a mano che dalla nascita il bambino cresce, si forma il carattere e l'adattamento emotivo all'ambiente va a fissarsi in maniera sempre più profonda nell'individuo che in questo modo difende il proprio divenuto da ogni possibile cambiamento. Se al momento della nascita l'individuo era malleabile nella sua struttura psico-emotiva e, dunque, nel carattere e nella direzione della sua intelligenza, a mano a mano che l'individuo cresce diventa sempre più rigido diventando, di fatto, l'uomo e la donna che il sistema sociale in cui vive ha voluto che sia con le sue predilezioni, le sue esigenze, le sue idee e la sua volontà."

"Offrire, di fronte ad Essere e tempo, la dimostrazione che in esso il "popolo" e la "comunità del popolo" non sono affatto posti e nominati come centri di senso, è come, di fronte a un abete, dimostrare che esso non sa offrire le stesse prestazioni di una macchina da corsa. Alla fine l'abete, in quanto abete, è sempre capace di compiere ciò di cui un'automobile da corsa non sarà mai capace, per quanto chiassoso e imponente possa essere il suo arrivo. Allo stesso modo Essere e tempo vuole qualcosa che, restando in silenzio, percorre di gran lunga tutto ciò che si può dire del "popolo" nella "filosofia apparente" che nel frattempo è diventata quanto mai smaniosamente "nazionalista"."

Martin Heidegger, Quaderni neri, Bompiani, 2015, p. 383

"Il termine di "comunità del popolo" è un altro modo per indicare gli uomini come "gregge di Dio" o "gregge del padrone"." Continua Coio "Nel termine "popolo" ogni singola persona perde la propria individualità, diventa un insieme senza forma e senza diritti. Il gregge del pastore, la mandria del mandriano. E' il pastore, il mandriano, Dio, il soggetto, la persona portatrice di diritti; il popolo, il gregge, la mandria, ha il solo diritto di obbedire, di seguire il pastore, il mandriano, Dio. In queste condizioni concettuali la mandria, il gregge, tende a chiudersi su sé stesso legandosi al proprio pastore, al proprio mandriano, che riconoscono come persona negando a sé stessi lo status di persone. E la mandria separa sé stessa da altre mandrie, da altri greggi, La visione nazionalistica è la visione del gregge i cui soggetti hanno nell'identità nazionale la loro identificazione in contrapposizione, spesso violenta, con altre identità nazionali che rispettano solo in base a rapporti di forza. Non esiste il concetto di tempo nell'identità nazionale perché, chi si identifica in una identità nazionale, non concepisce il concetto di trasformazione, di divenire. L'identità nazionale è una verità, immobile e assoluta, che non può essere modificata se non viene travolta da un atto di violenza che, distruggendo il delirio di onnipotenza che caratterizza quell'identità nazionale, costringe i sopravvissuti a rivedere i contenuti della loro "identità nazionale" del loro "volk"."

Poi, Coio fece seguire un minuto di silenzio prima di concludere dicendo: "La conoscenza non è un elenco di cose più o meno immaginate e desiderate. La conoscenza è l'interpretazione astratta delle condizioni che gli Esseri vivono nel mondo. Interpretazione delle condizioni che ritorna per migliorare le azioni che il soggetto mette in atto nel mondo. La conoscenza non è un parto della fantasia. La conoscenza è il prodotto dell'analisi anche quando questa analisi è prodotta col corpo e non con una ragione che pensa a descrivere il mondo. Un'analisi vissuta con tutto il corpo che abita il mondo perché tutto il corpo percepisce, analizza, abita trasformandosi continuamente in un mondo che continuamente si trasforma mentre, al contrario, la ragione vuole fermare le trasformazioni del mondo nella forma che lei è in grado di descrivere descrivendo una verità che è solo farneticazione di un attimo in un tempo che, al contrario, è infinito. Conoscere è vivere la trasformazione."

Come l'arrivo di Coio non aveva modificato l'ambiente nebbioso in cui gli arbitri stavano in ascolto, così il silenzio di Coio non modificò l'ambiente nebbioso in cui gli arbitri continuavano ad alimentare il piccolo fuoco del loro bivacco di fortuna al centro del campi di calcio.

 

Continua...

Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.

 

Marghera, 13 agosto 2021

 

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