Perché e come Beppi di (o da) Lusiana
divenne uno degli arbitri
della Partita Mondiale di Calcio della Filosofia

di Claudio Simeoni

Partita di calcio mondiale della filosofia

 

Quel giorno l'operaio smontò dal turno in fabbrica alle 14. Troppo presto per tornare a casa. Così decise di recarsi in Piazza Mercato per osservare il via vai delle persone.

Si scoprì a meditare sui suoi vuoti di memoria. Quei frammenti di sogno che ogni tanto affluivano alla sua coscienza consapevole di osservare un vissuto che non riusciva a collocare nei suoi ricordi.

Due frasi stavano cozzando nella sua testa. Quel "E' arrivato" e quel "Sei arrivato". Era come se dentro di lui un'attesa si fosse sciolta e il lui che attendeva sé stesso riconosceva che il sé stesso era arrivato. Era il luogo, il dove e il quando di quell'arrivo che non capiva.

Dopo un po' decise di alzarsi dai gradini della casa comunale e si diresse verso la fila di bar, dall'altra parte della strada. Avrebbe scelto, come al solito, un bar gestito da personale di nazionalità cinese. Un personale gentile, discreto che, qualunque cosa fosse successa, si sarebbe, comunque, fatto gli affari propri.

"Qualcosa stava per succedere" pensò l'operaio. Qualunque cosa fosse, comunque, ora si sarebbe preso una birra. Mentre si avviava al bar scelto per l'occasione si accorse che le persone nella piazza stavano diminuendo velocemente. Non vi fece molta attenzione.

Si sedette e ordinò una birra alla spina. Dopo un po' la cameriera gli portò la birra. L'operaio distrattamente fece qualche osservazione sul sole in quella giornata luminosa e la cameriera dopo aver annuito, prima di andarsene disse: "Quando arrivi nel tempo annuncia a tutti che il grande dio Pan è morto!".

L'operaio alzò di scatto gli occhi, ma la cameriera gli voltava le spalle e si era avviata velocemente all'interno del bar.

L'operaio iniziò a pensare. Come poteva essere morto il Dio Pan? Poi lo sguardo gli cadde sui suoi piedi e mise ad osservare degli zoccoli iniziando a pensare. "Il Dio Pan non è morto perché abita nell'uomo, ma se avessero ucciso l'uomo, che ne sarebbe del Dio Pan? Se il cuore del Dio Pan cessa di battere nell'uomo, che ne sarebbe dell'uomo?"

Nel tavolino di fronte al suo si sedette un uomo dall'aspetto abbastanza vecchio che iniziò a parlare di quando lui era giovane e a Venezia frequentava il Ponte delle Guglie. Raccontava di quanto era giovane quando quell'imbecille di Alessandro Magno, per fare lo spiritoso, gli tolse il calore del sole facendogli ombra col suo corpo.

Discorsi che l'operaio seguiva distrattamente, come se fossero stati rumori di fondo di una realtà che stava cambiando forma. L'operaio non era interessato alla realtà che si stava modificando. Aveva imparato che la sua memoria era piena di vuoti e che quando il mondo sarebbe cambiato alla sua percezione avrebbe dimenticato cose e vissuti.

L'operaio sussultò un attimo quando il vecchio del tavolino difronte gli puntò una torcia sul volto. "Che fai?" chiese l'operaio. "Cerco l'uomo!" Rispose il vecchio. "E ti serve una pila con questa luce?" chiese ancora. "Tu vedi luce?" ribadì il vecchio "Io vedo solo l'oscurità negli uomini che vivono in un mondo buio, privo di consapevolezza. Uomini che brancolano cercando cose che desiderano e ciechi davanti a cose che potrebbero. Cerco l'uomo, un uomo che illumini."

L'operaio lo guardò un attimo. Era vecchio, molto più vecchio di quanto il suo aspetto faceva apparire. Poi disse: "E' difficile che tu possa trovare un uomo che illumini questa oscurità se tu stesso non diventi luce in questa oscurità. Come puoi riconoscere una luce se tu stesso appartieni al rumore di fondo di una realtà indistinta che fa del buio la condizione oggettiva della propria esistenza? E se, e dico se, dovessi scorgere una luce nell'uomo, che fai? Ti metti in ginocchio davanti alla luce? Ma tu" aggiunse l'operaio "che lavoro hai fatto nella tua vita?"

"Io sono un cercatore di verità che ha rifiutato gli agi del mondo vivendo nella modestia, nella continenza e nella povertà." Rispose orgoglioso di sé il vecchio e poi continuò: "Ho fatto quello che stai facendo tu: ho cercato l'uomo!"

In quel momento l'operaio iniziò a ricordare: "Io non cerco né l'uomo, né un uomo o una donna. Io cerco..." ma si fermò nel parlare perché gli occhi del vecchio lo stavano fissando e questo all'operaio non piaceva.

L'operaio iniziò a fissare a sua volta il vecchio e disse: "Diogene, sei nato, sei cresciuto, hai mangiato e hai vissuto di relazioni con gli uomini, ma tu, che cosa hai dato agli uomini? Hai pagato la vita con monete false e contraffatte mentre gli uomini sudavano bruciando, attimo dopo attimo, la loro esistenza fino alla morte."

Poi l'operaio continuò: "Cosa cerco io? Non lo so. Io non so ora, cosa io sono e pertanto non so che cosa devo trovare. In fabbrica è facile. Metto insieme le merci, le sposto, le preparo per la spedizione. Il carico deve essere pronto in tempi relativamente stabiliti. Cosa sono? In quel momento sono merce che manipola merce e come merce riconosco la merce che manipolo. Ma ora qui, cosa sono?"

Diogene se ne stava andando con la sua pila, ma fu inseguito dalla cameriera che pretendeva che pagasse la consumazione. Diogene rivoltò le sue tasche per dimostrare alla cameriera che non aveva nulla. La cameriera gli strappò la pila dalle mani dicendo: "Gentile sì, fessa no!" E se ne andò.

L'operaio che aveva assistito alla scena non riuscì a trattenere il sarcasmo: "E ora, come lo cerchi l'uomo?" a lui rispose Diogene "Avresti potuto pagarmela la consumazione!" "Avrei potuto", concluse l'operaio prima di andarsene. "Ma io non credo nella virtù della povertà, io credo nel lavoro. Magari non troppo perché l'eccesso è fatica che distrugge, ma un po' di lavoro ripaga gli uomini del loro lavoro. E poi, io i mendicanti per necessità li distinguo dai mendicanti per opportunità."

La piazza e le strade ora erano deserte. C'era solo un uomo seduto sui gradini del municipio di Marghera. Un solo uomo che stava sniffando cocaina sui gradini del municipio. "E la Polizia Locale, dove sono?" Si interrogò l'operaio. Eppure, avevano l'ufficio vicino. Poi si ricordò che il mondo era cambiato e in quel mondo non c'era nessuna Polizia Locale. Veramente, osservando come quell'uomo era vestito e per il fatto che assumere cocaina in pubblico pareva essergli indifferente, nemmeno quell'uomo avrebbe dovuto essere lì.

Incuriosito l'operaio si avvicinò

Osservò quegli occhi. Occhi pieni di vuoto. Un vuoto profondo, che si facevano vuoto abissale, affamato di prede.

L'uomo vedendo avvicinarsi l'operaio alzò gli occhi dalla sua occupazione.

L'operaio pensò: "Tò un altro con una pila in pieno giorno!"

L'operaio si avvicinava mentre l'uomo proruppe dicendo:

"Cerco Dio! Cerco Dio!".

Poi quell'uomo continuò dicendo:

"Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a-venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli Dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare Dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!"

L'operaio osservava la disperazione folle di un uomo che si pensava abbandonato da un padrone che egli stesso pensava di aver ucciso Dio. Andava cianciando, come un folle, affermando che Dio era morto che loro lo avevano ucciso, ma non una parola sulla natura di quel Dio; non una parola sui motivi della sua morte; non una parola sui motivi della sua esistenza.

Che Dio era che veniva ucciso da uomini che lo consideravano quanto di più sacro poteva esistere?

"Assassinare un Dio!" Pensò l'operaio "è possibile solo assassinando l'uomo; solo distruggendo l'uomo si può distruggere gli Dèi. C'è un solo Dio che esiste al di fuori degli uomini, il Dio che si vanta di aver macellato l'umanità col diluvio universale. Solo che quel Dio è creato dal desiderio immaginato degli uomini, come possono gli uomini uccidere un Dio che immaginano, se non modificando i parametri e i desideri della loro immaginazione?"

Mentre l'operaio così pensava, l'uomo, dopo aver sniffato altra cocaina, continuò dicendo:

"Vengo troppo presto - proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni: eppure son loro che l'hanno compiuta!",

"Ecco un altro" pensava l'operaio " che annuncia "in verità, in verità vi dico" sparando sciocchezze come se rubasse, raccogliendole, carote in un campo che non ha né piantato né seminato. Ha bisogno di parlare col suo Dio. Si sente perduto nel mondo. Troppe volte ha obbedito. Ha continuato ad eseguire ordini senza chiedersi perché e per come. Un altro che è fuggito davanti alla vita cercando un padrone a sua immagine e somiglianza. Ma quando si cerca il vuoto si vuole ignorare che il vuoto ti sta cercando perché il vuoto si nutre di chi cerca il vuoto per dare un senso alla propria esistenza."

Poi, guardando la chiesa del santo cattolico che guarda Piazza del Municipio, l'operaio lo sentì dire:

"Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?"

"No!" Sbottò l'operaio rivolto all'uomo "Sono la tua tomba. La tomba di tutti coloro che cercano Dio anziché nutrire il Dio che avrebbero potuto essere. Sono tombe nelle quali un Dio si nutre della vita dei suoi fedeli. Gli ruba la vita negando loro il futuro divino a cui avrebbero diritto. No! Non avete ammazzato quel Dio perché quel Dio vi sta ammazzando uno ad uno e voi lo cercate allo stesso modo con cui cercate eroina e cocaina."

L'uomo si fermò di colpo e osservò quello strano operaio che disprezzava il Dio che lui cercava. Ma non disprezzava quel Dio per ciò che era, ma per ciò che faceva agli uomini saccheggiando la loro esistenza. L'uomo guardò ancora una volta la chiesa e poi riprese a sniffare cocaina. In fondo, la cocaina era il suo Dio. Dio non aveva mai risposto alle sue suppliche, la cocaina sì!

Scendere dal Cervino per tornare a casa. La stagione era finita. Il viaggio era lungo per tornare sull'Altipiano di Asiago. Un po' di corriera, quando c'erano soldi, un po' di autostop, faticoso per uomini soli non più giovani, e tanto, tanto, camminare lungo strade che non sempre erano ben curate. Beppi, con le sue idee di uguaglianza sociale, a poco a poco si avvicinava all'Altopiano che aveva lasciato per migrare in Svizzera dove c'era lavoro, ma ora stava tornando verso la casa che aveva lasciato. Il padre e il fratello erano morti, rimaneva solo la madre ormai anziana. Se andava bene, al paese avrebbe trovato un lavoro da operaio per sistemare strade o scavare fosse nelle quali seppellire i morti. Una casa, una stalla, un pezzo di bosco e un orto, lo stavano aspettando.

L'operaio, lasciata Piazza del Municipio entrò nel parco di Piazza sant'Antonio. Osservò. Gli alberi erano stati da poco piantati, lo ricordava bene, eppure erano alti, enormi. Si fermò un attimo per guardarli alzando la testa e ascoltando il suono degli uccelli. A volte gli parve di sentire: "Sei arrivato! Era ora.". Attribuì questo sentire ad una sorta di allucinazioni e non vi pose attenzione.

Però, questi alberi, enormi, che avrebbero dovuto essere alti poco più di una figura umana, questo era strano.

Si era distratto nel guardare gli alberi e quando giunse alla fine del parco, ancora del verde si estendeva davanti a lui in una valle stretta.

Notò il suono del silenzio rotto da un battere la terra che sentiva in lontananza.

Si diresse in quella direzione e a fatica vide un uomo molto vecchio che alzava ed abbassava la zappa conficcandola di poco in terra mentre tentava di strappare delle erbe.

L'operaio stette un po' a guardarlo finché costui, alzato lo sguardo lo salutò dicendo: "Ancora niente acqua quest'anno!". "Sì! E' un anno secco" Rispose l'operaio mentre l'uomo riprese a strappare erbacce. "Crescono veloci mentre zucche e rape non crescono." Riprese l'uomo che sembrava felice di aver trovato un ascoltatore a cui parlare. "Porco Dio, ancora una ghe ne se!" sbottò l'uomo quando la zappa andò a sbattere contro un sasso più grande degli altri. L'uomo prese un ferro da un portaoggetti e iniziò a scavare per liberare il sasso dalla terra e toglierlo. L'operaio commentò: "Stiamo tirando bestemmie!" "A chi?" chiese l'uomo "al porco? Al porco che si pensa padrone di tutto e che pretende di essere il padrone? Anche a calci lo prendo se lo trovassi!"

L'operaio rimase perplesso. Non cercava un uomo e non cercava un Dio. Che cosa stava, in realtà, cercando? Cercava un figlio della Natura che avesse il potere di affrontare Dèi senza essere soggiogato dal loro "potere".

Lo aveva trovato.

"Come ti chiami?" chiese l'operaio.

"Beppi" rispose l'uomo.

"Beppi" ripeté l'operaio "Qui siamo nel paese di Lusiana, se non mi sbaglio" L'uomo annuì.

"Io ti chiamerò Beppi di (o da) Lusiana! E tu sei il quarto!"

"Il quarto di cosa?" Chiese Beppi di (o da) Lusiana.

"Lo saprai. Però potrai prendere a calci il Dio che associ al porco."

"Mi piacerebbe" disse Beppi di (o da) Lusiana.

Sulla panchina di Piazza Mercato l'operaio allungò una gamba giusto in tempo per fare lo sgambetto ad un borseggiatore che stava tentando di sfilargli il borsello. Il borseggiatore cadde e l'operaio si affrettò a recuperare il borsello.

Il borseggiatore lo guardò e disse: "Sei arrivato! Era ora." Dopo di che si alzò e fuggì via non senza essersi sentito dire dall'operaio: "Ma va a cagare!".

Poi l'operaio si alzò e lentamente si avviò verso casa attraversando una pizza gremita di gente.

Marghera, 08 novembre 2022

 

Nota: le frasi dell'uomo che consuma cocaina sono prese da Nietzsche, La gaia scienza, ed. Adelphi, 1977, 125 (L'uomo folle)

 

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Ultima formattazione 26 gennaio 2022

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