Partita di calcio mondiale della filosofia
Anche se in quel capannone c'erano forni per la fusione dell'alluminio che lo fondevano a settecento gradi, nelle notti d'inverno il freddo diventava pungente.
L'alluminio fuso entrava nello stampo, prendeva forma e dopo qualche secondo lo stampo si apriva e l'operaio con una tenaglia afferrava quell'oggetto ancora rovente e lo depositava su un piano per il raffreddamento.
Il crogiolo versava l'alluminio fuso nello stampo, lo stampo si apriva, l'operaio afferrava l'oggetto rovente con una tenaglia e lo poneva sul piano di raffreddamento. Minuto dopo minuto, ora dopo ora fintanto che Aurora non mostrava le rosee dita e un altro operaio prendeva il suo posto per continuare quel lavoro.
Ogni tanto l'operaio metteva un pane di alluminio grezzo nel forno, vi aggiungeva un po' di titanio e molibdeno continuando il lavoro con lo stampo.
Per l'ennesima volta l'operaio aprì il bocchettone del forno per introdurre un nuovo pane di alluminio e notò il diverso colore che aveva assunto il fuoco. Controllò la temperatura e tornò ad osservare quello strano fenomeno. Quando mai l'alluminio fuso assumeva il colore brillante dell'oro? Era metallo fuso, ma quella tonalità non la conosceva.
"Tu non sei venuto da me. Ho atteso. Non venivi, eppure mi manipolavi ogni giorno, in ogni istante. Così ho deciso, io sarò il secondo."
"Tu sarai il secondo?" trasalì l'operaio "Secondo di cosa?" Chiese.
Poi, improvvisamente ricordò Giobbe e quando aveva deciso che il primo doveva essere Yahweh.
Ma perché lo aveva dimenticato?
"E questo è nulla" disse quella voce che insisteva ad uscire dall'alluminio fuso "prova ad aprire le porte dell'Erebo, misurati con Caos e vedi se riesci a ricordare qualche cosa quando varchi la porta per tornare nel tuo mondo abituale."
"Guardati attorno, se tu non fossi in un diverso mondo della percezione, questo forno sarebbe esploso."
"Tu chi sei?" chiese l'operaio
"Io sono fuoco che arde. Questo universo prese vita quando io presi fuoco e si spegnerà quando si spegnerà il fuoco che io sono." A parlare era l'alluminio fuso.
"Hai creato l'universo?" Chiese l'operaio a cui era tornata la memoria del compito che doveva svolgere.
"No! Io non creo, nacqui ed esistetti. Inconsapevolezza consapevole in un immenso di materia-energia priva di consapevolezza che io ho acceso, pezzo per pezzo facendo sorgere consapevolezza e necessità. Io non ho né creato né trasformato. Io esisto e la mia esistenza è motore della trasformazione di una materia e di una energia che passano dallo stato del non-essere allo stato di coscienza. Io sono Eros, la potenza che dispiega la vita attraverso la materia e l'energia."
"Raccontami!" chiese l'operaio.
"Ti dirò cosa non ero per farti capire che cosa ero e sono!" Disse Eros.
Eros iniziò:
Tutto era oscuro. Dentro e fuori di me.
Eppure io ero luce che brillava nell'oscurità
Io non vedevo me stesso mentre il buio mi circondava.
Non c'era respiro
Non c'era cuore che batteva.
Se ci fosse stato movimento non lo potevo sapere perché il buio era uguale in ogni dove.
Non avevo un nome.
Non avevo una forma.
Fui consapevole, fin da subito, che io ero; ed ero qualche cosa che definivo come IO, diverso dal buio che mi circondava e che mi conteneva.
Come il buio era privo di luce e di forme, così era anche privo di suoni, ed io non so se potevo percepire qualche cosa perché non c'era nulla da percepire se non quel buio che appariva cosa altra da me.
Nessun pensiero attraversava la mia mente perché non c'erano oggetti pensabili al di fuori che il nero buio, unica realtà che, presentandosi alle mie sensazioni, mi rese consapevole della mia esistenza.
Io ero in un universo che non era; negato alla mia conoscenza perché da esso nessun fenomeno lo rappresentava.
Fu in questo modo che venni in essere mentre in me cresceva il desiderio di muovermi in quell'oscurità.
Io mi muovevo?
Non so!
So che la mia luce iniziò ad illuminare quel buio e i filamenti presero forma.
I filamenti.
Non era la parola "filamenti" e nemmeno era la forma "filamento".
Era il mio modo di essere coscienza in quel buio privo di forma che veniva acceso dalla luce che ero.
Cercai altre luci.
Luci diverse da me che a loro volta illuminavano quel buio inconsapevole con la loro consapevolezza.
Buio e luci.
La luce era la determinazione della mia esistenza e la luce erano le determinazioni che potevo scorgere in quel buio.
Il buio si muoveva attorno a me.
Ne divenni consapevole quando le luci dei filamenti che percepivo sembravano sparire e riapparire quasi fosse un gioco a cui io non ero stato invitato a partecipare.
Una pressione.
Improvvisa, un'onda era sorta nel buio della mia esistenza. Un'onda mi travolse. Per un attimo il buio si è illuminato.
Il buio era scomparso e la luce della mia coscienza divenne luce nella luce.
Avido, mi nutrii di quella luce e fui fortunato perché frammenti di quella luce divennero ciò che io sono e loro cominciarono a brillare della luce che io ero.
Poi, un po' alla volta, fui reimmerso nel buio, ma mi resi conto che io stavo brillando più di prima.
Il cibo emergeva nel buio della mia esistenza.
Io mi sentivo impotente e vivevo nell'attesa dell'apparire della luce che avvolgendomi mi nutriva,
Luci si muovevano davanti a me e, qualche volta, avevo l'impressione che l'insorgenza della ventata di luce che mi avvolgeva fosse in relazione ad altre luci che, simili a quello che io avevo la sensazione di essere, apparivano.
Poi, arrivata la vampata di luce, un po' dopo, quelle luci si allontanavano.
"Ecco" disse Eros "Io non ero quella coscienza; io non ero quella luce; io ero ciò che permise a quella materia, a quell'energia di diventare coscienza, di diventare luce, passando dall'inconsapevolezza, il suo buio che la rendeva indistinguibile dal buio da cui si scoprì circondata. Io sono colui che abita un universo silenzioso, privo di consapevolezza e che spinge ogni frammento di tutto l'universo alla consapevolezza."
"E con questo sono due!" disse l'operaio. "Ora dimmi come ti devo chiamare" chiese.
"Chiamami con gli antichi nomi di Fanes, Fanete oppure, se ti aggrada, chiamami Eros. Scegli tu, fa come vuoi!"
"Gestire un fuoco che parla è un lavoro extra." Protestò l'operaio mentre le pareti del capannone si fecero visibili. Alzò gli occhi al termometro del forno e si rese conto della necessità di ripristinare il livello dell'alluminio fuso che era calato molto. Ancora un'imprecazione: "Devo infilare almeno tre pani di alluminio, ci vorrà almeno mezz'ora per riprendere la temperatura."
"Fanes, Eros" L'operaio si scoprì a pronunciare quelle parole che doveva aver sentito da qualche parte, ma in quel momento non ricordava dove.
Finito il turno e ricevuto il cambio, l'operaio si fece una doccia prima di tornare a casa.
Giunto a casa si prese una birra dal frigorifero, si sedette sul divano e iniziò a riflettere sui vuoti di memoria che anche in quella giornata sembravano numerosi.
Poi si tuffò nel letto e iniziò i suoi sogni pieni di inquietudine.
"E' arrivato, sta operando!" sussurrò una voce.
"Fottiti!" gli rispose l'operaio ormai addormentato.
Marghera, 28 ottobre 2022
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