Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio
Agostino d'Ippona con i suoi intrighi di palazzo ha fatto in modo che Ippona, una grande città fortificata, fosse distrutta dai vandali.
Agostino d'Ippona nasce il 13 novembre 354 d. c. a Tagaste (Souk Ahras). Morirà il 28 agosto del 430.
La vita di Agostino d'Ippona viene desunta dall'autobiografia di Agostino d'Ippona che va sotto il nome di "Confessioni". Non si tratta di una biografia, ma di un vero e proprio manuale per diffondere odio sociale nei confronti delle persone più fragili che, anziché mettersi in ginocchio davanti al suo dio, pretendono di comportarsi da persone.
Scrive Agostino d'Ippona a proposito della sua infanzia:
"Chi mi richiamerà alla mente il peccato della mia infanzia, perché nessuno è puro dal peccato innanzi a te, neanche l'infante la cui vita sulla terra è di un solo giorno? Chi me lo ricorderà? Forse qualunque bambino piccino così, in cui io vedo ciò che non ricordo di me? Quale era dunque il mio peccato di allora? Forse cercare avidamente le mammelle piangendo? Infatti se lo facessi ora, cercando avidamente non le mammelle ma gli alimenti adeguati ai miei anni, verrei deriso e rimproverato a buon diritto. Facevo, dunque, allora cose riprovevoli, ma siccome non potevo capire il rimprovero, si evitava ragionevolmente di sgridarmi."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le confessioni, ed. Piemme, 1993, p. 33 – 34
Non si tratta di un elemento autobiografico, ma una vera e propria direttiva con cui criminalizzare l'infanzia trasformando i desideri di crescita del bambino in crimini che Agostino chiama "peccati".
Per Agostino d'Ippona, il neonato che cerca la mammella è un criminale che va contro la morale imposta dal suo Dio.
L'ambiente famigliare in cui Agostino cresceva era un ambiente famigliare basato sulla violenza, la costrizione e l'umiliazione costante e sistematica. Una violenza che Agostino interiorizza e la riproduce in quella forma, patologicamente malata, in cui chi mette in atto azioni violente nei confronti del più debole, deride il violentato affermando che è per il suo bene, è per educarlo, è per metterlo sulla retta via. La violenza dell'ambiente parentale in cui vive Agostino è una violenza, fisica e psicologica, talmente capillare che Agostino si forma l'idea psicologica che solo diventando il maggior violentatore può costruirsi un posto nella vita.
La madre di Agostino, Monica, è una persona dominatrice e violenta. La sua violenza è la violenza a cui le donne, rese serve e schiave, ricorrono per sopravvivere in quell'ambiente ostile.
Della madre Monica, scrive Agostino:
"Perfino al suocera che al principio ce l'aveva con lei per le chiacchiere maligne delle serve, riuscì a conquistare con il rispetto, con la costante pazienza e con la mitezza, a tal punto che la stessa suocera denunciò al figlio le male lingue che turbavano la pace fra lei e la nuora e ne esigeva la punizione. Il figlio, in obbedienza alla madre e sentendosi responsabile della disciplina domestica e della concordia fra i suoi castigò tali serve con le verghe, come volle la madre. E questa promise lo stesso castigo a qualunque altra avesse parlato male di sua nuora per assicurarsi il suo favore. Nessuno osò più farlo e le due donne vissero sempre tra loro in affettuoso e memorabile accordo."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le confessioni, ed. Piemme, 1993, p. 206
L'episodio ci dice come Monica fosse un'astuta aguzzina capace di manipolare la suocera e il marito per ottenere il risultato che le interessava. Questa continua manipolazione delle persone la troveremo anche in Agostino e Agostino eleverà la manipolazione criminale delle persone a volontà benevola del suo Dio.
La presenza della madre nella vita di Agostino è una presenza totalizzate, ossessionante e violenta. Agostino non parla del padre e quando ne parla sembra che lo consideri come "il male" da contrapporre alla madre che considera "il bene".
Nello stesso tempo Agostino deve rubare alle persone ogni loro "essere nel mondo" per attribuirlo al suo Dio. Una volta attribuito al suo Dio, rivendica i meriti del suo Dio contro l'"essere nel mondo" delle persone e degli individui. In questo modo si riducono le persone in schiavi. Schiavi che non sono gli schiavi di Roma precristiana, ma è la nuova schiavitù introdotta dal cristianesimo dove lo schiavo è privato di sentimento, percezione e ridotto a puro oggetto di obbedienza. Come per le donne.
Scrive Agostino:
"Lo ignoro, ma mi accolsero i conforti delle tue misericordie, per quanto mi fu detto dai genitori della mia carne, dall'uno dei quali ricavaste, mentre nell'altra mi detti una forma nel tempo; io non ricorso. Mi accolsero dunque i conforti del latte umano, ma non erano già mia madre o le mie nutrici a riempirsene le poppe, bensì eri tu, che per mezzo loro alimentavi la mia infanzia, secondo il criterio con cui hai distribuito le tue ricchezze."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 29
Non sono le donne non gli danno il latte che beve, ma è Dio che dà il latte ad Agostino per mezzo delle donne. Le donne sono uno strumento d'azione di Dio per favorire Agostino.
Da cosa è caratterizzata la prima infanzia di Agostino?
Scrive Agostino d'Ippona:
"Dio, Dio mio, quali inganni soffrii allora, quando fanciullo mi veniva indicata come norma di vita retta l'obbedienza a chi voleva rendermi prospero nel mondo ed eminente nelle arti linguacciute, provveditrici di onori e ricchezze false fra gli uomini! Fui affidato alla scuola per impararvi le lettere, di cui, meschinello, ignoravo i vantaggi; eppure erano busse se ero pigro a studiare. Era un sistema raccomandato dai grandi [Nota mia: bibbia proverbi!], e molti fanciulli prima di noi, menando quella vita, avevano aperto le vie penose ove eravamo costretti a passare, moltiplicando la fatica e la sofferenza dei figli di Adamo. […] Così, fanciullo, cominciai a pregarti, soccorso e rifugio mio. Scioglievo, per invocarti i nodi della mia lingua, ti pregavo, piccoletto ma con un piccolo affetto, che tu mi evitassi le busse del maestro; e se non mi esaudivi, non certo, riguardo a me, per un fine stolto, gli adulti e persino i miei genitori, i quali non volevano che mi toccasse alcun male, ridevano dei colpi che ricevevo e che costituivano allora per me una sofferenza ingente e grave."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 36
Da quanto dice Agostino, la sua infanzia è caratterizzata dalla violenza. Una violenza che subisce in maniera costante e sistematica per il suo desiderio di giocare e vagabondare mentre lo studio gli crea sofferenza e disgusto. In questa situazione Agostino prega Dio che gli permetta di vivere a modo suo senza subire le botte del maestro e dei genitori. Per Agostino, Dio è il padre che provvede affinché lui non debba prendere le botte. E' il padre che sostituisce suo padre che tenta di prepararlo per un futuro da adulto che Agostino vive con sofferenza.
In quel clima cristiano Agostino interiorizzò la malizia e la malvagità della madre. Una malvagità che veicolerà in modo diverso a mano a mano che crescerà diventando sempre più violento. Una violenza che porterà alla distruzione di Ippona.
Della sua infanzia, Agostino ci racconta:
"Al loro sguardo nulla doveva essere più deforme di me, se giunsi a dispiacere persino a quella gente con le innumerevoli menzogne usate per ingannare il pedagogo e i maestri e i genitori, tanto era grande il mio amore per il gioco, la mia passione per gli spettacoli frivoli, e la smania di imitare gli attori. Commisi perfino qualche furto dalla dispensa e dalla tavola dei miei genitori, ora spinto dalla gola, ora per procurarmi qualche cosa da distribuire agli altri fanciulli che vendevano i loro giochi, sebbene vi trovassero un diletto pari al mio. Nel gioco stesso, dominato dal vano desiderio di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la vittoria con la frode. Eppure nulla ero così restio a sopportare, e nulla redarguivo così aspramente negli altri, se li sorprendevo, come ciò che facevo loro; mentre, se ero io ad essere sorpreso e redarguito, preferivo infierire, piuttosto che cedere. E questa sarebbe l'innocenza dei fanciulli? No, signore, non lo è, dimmelo tu, Dio mio."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p.50
Agostino di Ippona è un teppista con gli altri ragazzi e questo suo teppismo sarà la caratteristica di tutta la sua esistenza. In età adulta il teppismo si trasferirà alla filosofia. Il teppista in filosofia è colui che anziché affrontare le idee della filosofia aggredisce le persone. La filosofia di Agostino d'Ippona è una continua azione di teppismo rispetto agli avversari. Una filosofia basata sulla denigrazione, derisione, falso, inganno e malafede volta ad assicurarsi un profitto culturale che spesso giustifica sia l'omicidio che il genocidio. Un teppismo che ha origine nella madre e che questa trasmette al figlio come arte per esercitare la violenza sulle persone deboli. Questa veicolazione pulsionale indurrà Agostino ad identificarsi nel più forte (appunto, il Dio cristiano) per legittimare la sua violenza sui più deboli.
I suoi studi erano superficiali. Conosceva il latino, molto poco il greco, ma era riuscito, probabilmente con l'aiuto della madre, ad ingannare suo padre.
Perché Agostino d'Ippona disprezza suo padre?
Ce lo dice lui stesso:
"Chi non faceva allora alti elogi di un uomo, mio padre, il quale per mantenere agli studi suo figlio in una città lontana spendeva più di quanto permettesse il patrimonio familiare? Molti cittadini assai più ricchi di lui non affrontavano per i loro figli un sacrificio simile. Eppure quello stesso padre non si preoccupava di conoscere intanto come crescessi ai tuoi occhi o quanto fossi casto, purché fossi forbito nel parlare, o piuttosto, sfornito della tua scienza. O Dio, unico vero e buon padrone del tuo campo, il mio cuore."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 58
Il disprezzo per il padre nasce dal fatto che il padre lo incita a studiare ed è disposto ad indebitarsi pur di consentire ad Agostino di studiare in grandi città, anche lontane, pur di garantire un futuro a suo figlio. La madre di Agostino, al contrario, lo addomestica, lo rende "voglioso di sottomettere e di prevaricare le persone".
In questo modo Agostino cresce violento e senza cultura. E per senza cultura non si intende "analfabeta", ma si intende che ha piegato tutti i suoi studi in funzione di legittimare ideologicamente la violenza della prevaricazione che metteva in atto.
Il padre aveva fatto debiti per mandare Agostino a studiare a Cartagine e questi lo ripagava dandosi a feste, ubriacandosi, frequentando bordelli. Tutto meno che dedicarsi agli studi e sperperando il denaro di suo padre.
Nel 372 Agostino è a Cartagine a studiare retorica e trasferisce lo spirito di bullo violento ai suoi studi che diventeranno un mezzo per soddisfare il suo desiderio di prevaricazione violenta.
Scrive Agostino in Le Confessioni:
"Anche gli studi nobili, com'erano chiamati, avevano il loro sbocco nel foro litigioso, cioè miravano a rendermi eccellente ove tanto più si è lodati, quanto più si è frondatori [Nota: linguaggio figurato: colui che taglia i rami degli alberi]. La cecità degli uomini è così grande, che persino della propria cecità si gloriano. Ormai ero il primo alla scuola di retorica e ne provavo una gioia altera, mi gonfiavo di vento, sebbene fossi molto più quieto, Signore, tu lo sai, e rimanessi affatto estraneo ai disordini provocati dai "perturbatori dell'ordine", epiteto sinistro e diabolico che pure equivale ad un'insegna di buona educazione, fra i quali vivevo."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 77
E' il passaggio dalla prepotenza fisica, priva di mezzi adeguati con cui esercitarla, alla violenza fisica che viene esercitata e giustificata mediante la retorica.
Agostino inizia a capire l'insegnamento della madre Monica: "Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere così accumulerai carboni ardenti sulla sua testa. Ma, soprattutto, vedi di non avere mai fame né sete per impedire ai tuoi nemici di accumulare carboni ardenti sulla tua testa!".
Ci racconta Agostino:
"In quegli anni insegnavo retorica: vinto cioè dalla mia passione, vendevo chiacchiere atte a vincere cause. Tuttavia preferivo, Signore, tu sai, avere allievi buoni nel vero senso della parola, e a loro senza inganno insegnavo inganni utili non a perdere un innocente, ma a salvare talvolta un reo."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 98
In sostanza, l'indottrinamento che Monica aveva imposto al figlio ora si veicolava nella retorica che concedeva il potere di prevaricazione senza dover sporcarsi le mani. Il prevaricare, elevato ad ideologia come fondamento della retorica, diventava il mezzo con cui Agostino si esprimeva nel mondo.
Un comportamento che Agostino veicola nella pratica sessuale in cui l'altra, la donna, diventa puro oggetto d'uso.
Scrive Agostino:
"Ancora in quegli anni tenevo con me una donna, non posseduta in nozze, come si dicono, legittime, ma scovata nel vagolare della mia passione dissennata; una sola, comunque, e a cui prestavo per di più la fedeltà di un marito. Sperimentai tuttavia di persona in questa unione l'enorme divario esistente fra l'assetto di un patto coniugale stabilito in vista della procreazione, e l'intesa di un amore libidinoso, ove pure la prole nasce, ma contro il desiderio dei genitori, sebbene imponga di amarla dopo nata."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 98
A questo punto bobbiamo prendere atto che si è formato il carattere di Agostino d'Ippona, si è formato il suo fondamento ideologico e non gli resta che trovare come collocarlo nel mondo. Infatti, Agostino inizia un nomadismo religioso nell'ossessiva ricerca del potere. Un potere che non si manifesta in "ciò che si possiede", ma nel riconoscimento del suo ruolo come rappresentante dell'assoluto sulla terra. Con qualunque nome questo assoluto venga chiamato, per Agostino non ha importanza purché lui venga riconosciuto come il portavoce di quell'assoluto.
Nel 373 Agostino d'Ippona si fa manicheo. Anche fra i manichei Agostino d'Ippona non è interessato a discutere delle loro idee, ma usa il manicheismo per una propria promozione sociale. Infatti, convince a farsi manichei gli amici Alipio e Romaniano e coloro che a Tagaste hanno finanziato i suoi studi in quanto amici di suo padre. Agostino d'Ippona rimase manicheo dal 373 al 382. Non riuscì a fare carriera, rimase sempre al gradino più basso della gerarchia e questo non solo lo indusse ad uscire dall'associazione religiosa manichea, ma anche a mettere in atto la vasta diffamazione.
Ma in che cosa consiste il manicheismo?
L'ideologia religiosa manichea la prendo da "Storia della filosofia occulta" di Alexandrian edito da Mondadori nel 1984.
"Il primo movimento ideologico erede della Gnosi, il manicheismo, le fu contemporaneo e le sopravvisse molto a lungo; esistevano ancora numerose chiese manichee nell'XI secolo, nel Turchestan orientale e, nel secolo successivo, i Catari ne ripresero quasi integralmente l'insegnamento, che adattarono alle strutture mentali dell'Occidente medioevale. Mani, nato a Babilonia intorno al 216, iniziò nel 242 la sua predicazione a Ctesifonte, in Mesopotamia; fu crocifisso intorno al 275 a Gundèshàhpuhr, nella Persia sudoccidentale sotto il re sassanide Bahràm I, per istigazione dei magi persiani, gelosi del successo ottenuto dalla sua religione. Il manicheismo mantenne un tale prestigio e una così vasta diffusione che persino Sant'Agostino vi aderì per nove anni (dal 373 al 382) prima di convertirsi al cristianesimo. Per molto tempo gli studiosi hanno esitato a collegare Mani con la Gnosi, ma oggi tutti concordano con Eugène de Faye sul fatto che «le origini gnostiche del manicheismo sono certe e incontestabili», mentre rimane da stabilire «da quale specifica tendenza gnostica esso sia derivato». Mani era animato dalla stessa profonda volontà di sintesi che aveva caratterizzato la Gnosi: quando sentì il suo «richiamo divino» nel 241 (quando lo Spirito vivente gli apparve per rivelargli la «dottrina delle tre ère», (che spiegava l'inizio, l'evoluzione e la fine del mondo) egli si considerò il successore di Zoroastro, di Budda e di Gesù, l'unico in grado di conciliare e di armonizzarne i diversi dogmi. Mentre tutti gli gnostici ammettevano tre principi: il Dio straniero, il Demiurgo creatore del mondo e il Cosmocrator che regnava sui dèmoni, Mani ne riconosceva solo due: la Luce e le Tenebre, anteriori all'esistenza del cielo e della terra. Il Padre della Grandezza risiede nel Paese di Luce, che si estende in cinque dimore corrispondenti alla sua intelligenza, ragione, pensiero, riflessione, volontà. Il re delle Tenebre risiede nella sua terra tenebrosa, nei suoi cinque mondi, il mondo del fumo, il mondo del fuoco, il mondo del vento, il mondo delle acque, il mondo delle tenebre». I due regni avevano un'unica frontiera che li divideva e si estendevano senza limiti in tutte le altre direzioni. Il re delle Tenebre salì ad assalire il Paese di Luce, desiderando ardentemente il suo splendore; il Padre della Grandezza lo combatté con l'aiuto dell'Uomo primordiale, che assunse i cinque elementi positivi, ma che fu inghiottito dalle tenebre. Per salvarlo e per respingere l'attacco e l'invasione, il Padre della Grandezza evocò una nuova forza: lo Spirito vivente, i cui cinque figli si chiamano l'Ornamento di Splendore, il Re d'Onore, Adamas-Luce, il Re di Gloria e il Portatore. Essi crearono l'universo perché costituisse un bastione che separasse il Paese di Luce dal regno delle Tenebre, ma per costruirlo utilizzarono come materiale i corpi dei nemici catturati; il cielo e la terra furono quindi formati dalla carne dei dèmoni incatenati, gli astri dalle particelle luminose che essi avevano ingoiato e che furono costretti a rigurgitare. Il Messaggero, che risiede nel sole con dodici vergini che rappresentano dodici virtù (la Sapienza, la Purezza, la Pazienza etc.), ebbe il compito di regolare i movimenti cosmici. Quando l'Uomo primordiale fu finalmente strappato alle tenebre, vi lasciò una parte della sua luce che i dèmoni catturarono per donarla a Ashaqloun, figlio del re delle Tenebre che, unendosi con la moglie Namrael, generò Adamo ed Eva in cui racchiuse tutta la luce che possedeva. La razza umana è nata quindi dal principe delle Tenebre, che desiderava trattenere prigioniera sulla terra la sostanza splendente perduta dall'Uomo primordiale. Si parla spesso del manicheismo come di un sistema che distingue drasticamente i buoni dai cattivi: ma si tratta di un'interpretazione falsa. Il mondo intero è cattivo nel manicheismo: uomini, animali, piante, luoghi sono stati creati con la materia tenebrosa sia da Ashaqloun stesso, sia dai suoi arconti. L'unica speranza di salvezza consiste nell'udire il «richiamo» del Messaggero della Luce. Non esistono buoni, esistono solo dei «destinati» o eletti che acquistano la consapevolezza della tragicità della condizione umana, e sono in grado di respingere fuori da sé le tenebre, grazie a una condotta rigorosamente ascetica, che implica l'astinenza dalla carne e dal vino, la rinuncia alla proprietà personale, il rifiuto del matrimonio. I Manichei avevano due classi di iniziati: gli Eletti, che si imponevano rigide prove e conducevano una vita monacale «che ha indubbiamente esercitato una profonda influenza sulla vita monastica dei cristiani», secondo Hans Jonasi, e gli Uditori o Soldati, che potevano sposarsi e possedere beni materiali, ma dovevano rispettare alcuni divieti (non uccidere nessun animale, non giurare il falso, etc.) e osservare un digiuno di cinquanta giorni ogni anno. Un Uditore si nobilitava consacrandosi a un Eletto, che non concedeva a se stesso neppure il diritto di spezzare il proprio pane. I missionari del manicheismo, fra cui alcune donne, si spingevano nei luoghi più remoti per diffondere e insegnare la loro religione; ed è, questa, un'altra differenza rispetto allo gnosticismo, che si proponeva unicamente di creare una ristretta cerchia di iniziati e non cercava affatto di fare proselitismo né di rendere la propria dottrina pubblica.
Tratto da: Alexandrian, "Storia della filosofia occulta", Mondadori, 1984, p. 88 – 90
Questa è una versione dell'ideologia religiosa manichea alla quale Agostino d'Ippona ha aderito. Dunque, è ragionevole supporre che la conoscesse molto bene e che dopo nove anni di frequentazione e di proselitismo per il manicheismo fosse in grado di confutarne i principi religiosi. Ma Agostino d'Ippona non l'ha fatto. Nel suo "Le confessioni" assistiamo ad un ammasso di affermazioni che non entrano nelle questioni dell'ideologia manichea, ma che appaiono come le giustificazioni della volpe che non potendo raggiungere l'uva, la gerarchia sociale del manicheismo, afferma che "L'uva è acerba".
Scrive Agostino del manicheismo:
"O Verità, Verità, come già allora e dalle intime fibre del mio cuore sospiravo verso di te, mentre quella gente mi stordiva spesso e in vario modo con il solo suono del tuo nome e la moltitudine dei suoi pesanti volumi. Nei vassoi che si offriva alla mia fame di te, invece di te si presentavano il sole e la luna, creature tue, e belle, ma pur sempre creature tue, non te stessa, anzi neppure le tue prime creature spirituali, essendo queste corporee, sebbene luminose e celesti. Ma io neppure delle tue prime creature, bensì di te sola, di te, Verità non soggetta a trasformazione né ad ombra di mutamento, avevo fame e sete."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 81
E' la tecnica di aggressione forgiata nei vangeli cristiani e attribuita a Gesù. Agostino d'Ippona non polemizza con i manichei, aggredisce le persone manichee. Esattamente come il Gesù nei vangeli che non polemizza con i farisei, ma li criminalizza. Aggredisce le persone perché non è in grado di muovere una critica al loro pensiero religioso. Quelle dei manichei, come quelle dei farisei, sono "menzogne". Ma quali menzogne? Gesù come Agostino evitano di dirlo, evitano di entrare nel merito perché lo scopo di Agostino, come quello di Gesù, è quello di diffamare. Agostino non dice, ad esempio, che i manichei credevano che il mondo era stato creato dal "male" e per questo, essi sostenevano, che c'era il male nel mondo. Agostino a questo concetto non oppone un concetto diverso come, sarebbe, ad esempio, che il mondo è stato creato dal suo Dio che lui identifica come il "sommo bene". Avrebbe dovuto entrare nella discussione sulla presenza del "male" nel mondo creato dal "sommo bene". Per questo Agostino non può entrare in discussione con i manichei, può solo diffamarli e la diffamazione è un nome con cui definire la violenza che viene fatta alle persone.
Quando Agostino parla del "dogmatismo manicheo", offendendo i manichei, ne "Le Confessioni" dice:
"Molte sono, comunque, le nozioni esatte che ricavarono dallo stesso creato e che io appresi. Me ne offrivano la prova razionale i calcoli, la successione delle stagioni, le testimonianza visibili degli astri, e le confrontavo con le sentenze di Mani, che in proposito scrisse molto delirando abbondantissimamente; e non mi si offriva la prova razionale né dei solstizi ed equinozi, né degli eclissi celesti, né degli altri fenomeni analoghi che avevo appreso dai testi della sapienza profana; tuttavia mi si imponeva di credergli, anche se discordava dalle spiegazioni che i calcoli numerici e i miei occhi accertavano, e largamente ne divergeva."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 129
Agostino fa delle affermazioni ingiuriose. Il fatto che lui prediligesse una "verità" della realtà astronomica del suo tempo piuttosto che un'altra, significa che lui prediligeva, non che fosse vera. Basta pensare solo alla vicenda Galileo. Non confutava Mani, afferma che Mani delirava. Ma è assolutamente logico pensare che Agostino d'Ippona delirasse. Infatti, quale prova razionale ha mai portato per dimostrare la realtà del Dio che afferma? Quando si diffama le persone giocando con la fede, il diffamatore trasforma il suo delirio in verità.
Intanto, Agostino d'Ippona continuava a subire le pressioni violente della madre con la quale non era in grado di tagliare il cordone ombelicale.
Nel 383 si imbarca per l'Italia fuggendo dalla madre. E parte per Roma. A Roma continua a frequentare i circoli manichei. A Roma si ammala e una volta guarito apre una scuola di retorica.
E che cosa dice Agostino di quando è ammalato a Roma?
Scrive Agostino:
"Però anche a Roma mi tenevo in contatto con quei falsi e fallaci santoni: non solo cioè con gli uditori, fra i quali si annoverano pure chi mi ospitò malato e convalescente, bensì con gli eletti come son chiamati."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 141
A Roma durante la sua malattia Agostino non è stato assistito dai cattolici, ma è stato assistito dai Manichei. Solo che fra i manichei non fu in grado di far carriera. Non divenne mai un eletto e questo mortificava il suo delirio di onnipotenza.
Se oggi noi giudicassimo, con le conoscenze di oggi, le affermazioni di Agostino d'Ippona contro i manichei in relazione alle "sacre scritture" dobbiamo convenire che, per quanto espone Agostino ne "Le Confessioni", avevano pienamente ragione i manichei.
Scrive Agostino:
"C'era ad esempio un certo Elpido, che soleva discutere pubblicamente proprio con i manichei e che già a Cartagine mi aveva impressionato con i suoi discorsi, poiché citava certi passi scritturali difficilmente contrastabili. Le risposte degli avversari mi sembravano deboli; per di più preferivano darcele in segreto, anziché esporle in pubblico. Sostenevano che gli scritti del Nuovo Testamento erano stati falsati, chissà poi da chi, col proposito d'innestare la legge dei giudei sulla fede cristiana, senza presentare dal canto loro alcun esemplare integro di quel testo."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 145
Ora è indubbio che i vangeli sono costruiti su operazioni di natura politica messe in atto nel I° secolo e, dal momento che Gesù non è mai esistito, tutto è una falsificazione scritta di volta in volta da colui che voleva trarre beneficio nell'affermare l'esistenza di un Gesù come lui voleva che quel Gesù fosse stato. Ne segue che la falsificazione è sistematica. Tutti i testi a disposizione di Agostino relativi al nuovo testamento erano dei falsi, falsificati ad uso del falsificatore. Che cosa fosse la fede cristiana, non è dato sapere se non come veicolazione del desiderio soggettivo di onnipotenza da affermare con la violenza sul mondo; quale fosse la differenza fra ebraismo e cristianesimo è difficile dirlo dal momento che si tratta della guerra fra "il popolo eletto" e "la puttana di cristo" che si contendono la supremazia sul mondo usando i meccanismi ideologici del vecchio e del nuovo testamento.
Nel frattempo, Agostino d'Ippona si era avvicinato agli scettici vicini alle posizioni di Sesto Empirico. Solo che gli scettici alla Sesto Empirico contrappongono l'interpretazione soggettiva ad una realtà, un verità, che non può essere soggettivamente contemplata in tutta la sua interezza. Lo scettico alla Sesto Empirico riconosce che la realtà è quanto lui può descrivere di quanto percepisce e che lui non potrà mai percepire la realtà in sé. Questa impostazione ideologica nega necessariamente ogni concetto di Dio creatore e padrone dell'universo in quanto tale soggetto non è indagabile soggettivamente. Il fatto che il Dio creatore esista o non esista per gli scettici è indifferente mentre, per Agostino d'Ippona l'esistenza del Dio creatore era dimostrata dalla sua idea soggettiva di onnipotenza. Per questo motivo l'avvicinamento di Agostino d'Ippona allo scetticismo durò molto poco.
A Roma Agostino si mette ad insegnare retorica, ma presto viene in contatto con Simmaco che, scambiandolo per manicheo, sembra voglia usarlo per tentare di frenare Ambrogio. Per questo motivo Agostino d'Ippona parte per Milano con la "moglie", il figlio Amodeo e a Milano viene raggiunto dall'onnipresente madre, Monica.
A Milano Monica iniziò i suoi armeggi col proposito di costringere Agostino a sposarsi. Gli procurò una bambina di 12 anni come promessa sposa. Indignata, la donna che ha convissuto per molti anni come amante di Agostino d'Ippona, decide di tornare in Africa e lascia il figlio naturale, avuto con Agostino d'Ippona, col padre. Non è da escludere che Agostino abbia messo in atto violenza domestica nei suoi confronti. Dal momento che la bambina da sposare è troppo giovane, Agostino d'Ippona decide di occupare il tempo che va dal fidanzamento al matrimonio con un'altra amante.
Scrive Agostino ne "Le confessioni":
"Intanto mi si sollecitava instancabilmente a prendere moglie. Così ne avevo ormai avanzato la richiesta e ottenuta la promessa. Chi lavorava maggiormente in questo senso era mia madre, con l'idea che una volta sposato, il lavacro salutare del battesimo mi avrebbe ripulito."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 177 – 178
E ancora sull'argomento, scrive Agostino d'Ippona:
"Frattanto i miei peccati si moltiplicavano, e quando mi fu strappata dal mio fianco, quale ostacolo alle nozze, la donna con cui ero solito coricarmi, il mio cuore, a cui era attaccata, ne fu profondamente lacerato e sanguinò a lungo. Essa partì per l'Africa, facendoti voto di non conoscere nessun altro uomo e lasciando con me il figlio naturale avuto da lei. Ma io, sciagurato, incapace d'imitare una femmina e di pazientare quei due anni di attesa finché avrei avuto in casa la sposa già richiesta, meno vago delle nozze di quanto fossi servo della libidine, mi procurai un'altra donna, non certo moglie, quale alimento, quasi, che prolungasse, intatta o ancora più vigorosa, la malattia della mia anima, vegliata da una consuetudine che doveva durare fino al regno della sposa."
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 179 – 180
Le donne di Agostino d'Ippona sono solo oggetti, esseri subumani, privi di nome, privi di desideri, privi di progetti. Oggetti d'uso, come per Paolo di Tarso. E questo spiega, almeno in parte, l'azione di Monica che possiede e violenta la struttura psichica del figlio. Agostino d'Ippona appare come un individuo omosessuale che usa sì le donne per soddisfare i suoi appetiti sessuali, ma che risulta legato da rapporti d'amore con Romanino e Alipio.
Scrive Agostino d'Ippona:
"A Roma, quando lo incontrai, Alipio si legò a me della più stretta amicizia e partì con me alla volta di Milano…"
Tratto da: Agostino d'Ippona, Le Confessioni, Banca Antoniana, 1995, p. 171
Pieno di paura della morte, Agostino d'Ippona si mette a leggere Platone e Plotino. Il periodo in cui si interessa di Platone e Plotino è piuttosto breve, ma è importante perché Agostino userà le idee di Platone e di Plotino per legittimare l'ideologia cristiana. Forse questa è una delle ultime volte che Platone e Plotino vengono usati dal cristianesimo come supporto ideologico ai vangeli. Poi, Platone e Plotino, spariranno, almeno ufficialmente, dall'orizzonte cristiano e Plotino ci ritornerà con Marsilio Ficino.
Nel 386 a 32 anni Agostino d'Ippona viene folgorato "sulla via di Damasco" da Simpliciano, successore di Ambrogio, e si dedicò al cattolicesimo.
Nel 387 Agostino d'Ippona a Milano con Alippo e il figlio Adeodato viene battezzato dal vescovo Ambrogio.
Nel 388 Agostino d'Ippona torna in Africa a Cartagine prima e poi a Tagaste.
Nel 391 Agostino d'Ippona viene nominato "sacerdote" dal vescovo Valerio e gli vengono assegnate delle proprietà della chiesa cattolica a Tagaste. Rimase sacerdote per cinque anni spargendo odio religioso contro i manichei.
Nel 393, l'8 ottobre, partecipa ad un concilio africano.
Nel 395 Agostino d'Ippona viene nominato vescovo e inizia la sua azione per l'occupazione del clero africano. Possidio, suo amico e cronista, nomina dieci amici e discepoli di Agostino d'Ippona "elevati all'episcopato".
Nel 403 Agostino d'Ippona iniziò la guerra contro i Donatisti. Applicò l'ordine di Gesù: "Portate i Donatisti, quelli che non volevano che io regnassi sopra di loro e scannateli in mia presenza!"
Cosa ci racconta Karlheinz Deschner dei donatisti nella controversia con Agostino d'Ippona?
Scrive il teologo Karlheinz Deschner:
La sconfitta di Gildo spinse i cattolici a sferrare un attacco massiccio contro i donasti che non potevano più contare sulla protezione di nessuna autorità. Tuttavia poiché in Africa erano più i cattolici che divenivano donatisti che non viceversa, questi continuarono a rappresentare fino agli anni Novanta del 400 la maggioranza, sotto la guida di ben 400 vescovi. Anche Ippona e la diocesi di Agostino nel suo complesso erano a maggioranza donatista, unico motivo questo che indusse il santo a combattere in un primo momento gli "eretici" con la parola, ad anteporre la diplomazia e il dibattito alla violenza. Per anni blandì gli avversari, tentando, da "retore di professione", di persuadere i loro capi con la forza della parola. Ma i "figli dei martiri" non potevano andare d'accordo con la Chiesa cattolica, la "sposa del traditore" (Primiano vescovo), che "si era impinguata del sangue e della carne dei santi" (Optato vescovo), che si era sempre schierata dalla parte dello Stato, dalla parte dei ricchi e dei potenti. Quella donatista aveva, invece, maggiormente il carattere di una Chiesa popolare i cui membri erano convinti di partecipare a una fratellanza "che nasceva dall'eterna lotta contro il diavolo; il loro destino in questo mondo era quello di essere perseguitati, proprio come tutti i giusti a partire da Abele erano stati perseguitati". (Reallexikon fùr Antike und Christentum). In questa loro via crucis terrena i donatisti trovarono dei validi sostenitori negli aderenti a un movimento contadino, quello dei Circoncellioni, già favorito da Donato di Bagai e da Gildo. I circoncellioni, conducendo una dura battaglia contro i grandi proprietari fondiari, vennero rappresentando presto l'ala sinistra della Chiesa donatista. Secondo Agostino, cui erano particolarmente invisi, i circoncellioni erano ladri, saccheggiatori, appiccavano il fuoco alle basiliche, gettavano calce e aceto negli occhi dei cattolici, reclamavano titoli di credito e pretendevano un riscatto per il loro rilascio, a loro ben si addiceva il salmo che recitava "Rapidi sono i loro piedi a spargere sangue". Non di rado al comando di membri del clero, persino di vescovi, definiti "capitani dei santi", questi "agonistici" o "miles Christi" (fanatici del martirio, pellegrini del dolore, terroristi) con delle clavi chiamate "Israeles", malmenavano il clero cattolico e i grandi proprietari fondiari. Senza dubbio esisteva una relazione tra i "disordini" imputati ai circoncellioni e le idee propugnate dai donatisti. Questi avevano, infatti, preso le distanze dai cattolici che "potevano contare sul sostegno dell'autorità imperiale romana e dei ricchi possidenti ... erano questi a garantire loro privilegi economici e protezione materiale" (Reallexikon fur Antike und Christentum). Non di rado accadeva che gli sfruttati si suicidassero così da raggiungere immediatamente il paradiso. Incalzati dai loro persecutori, si gettavano dagli scogli, quelli per esempio di Ain Mlila, o nei "fiumi in piena". Era questo, secondo Agostino, "un loro comportamento abituale".
Tratto da: Karlheinz Deschner, Storia criminale del cristianesimo, vol. I, ed. Ariele, 2000, p. 409.
I donatisti non si opponevano alla chiesa cattolica solo per una questione religiosa, ma anche per una questione di giustizia sociale. Da un lato c'erano i latifondisti cattolici legati agli imperatori cristiani di Roma e dall'altro c'erano i contadini poveri e i braccianti che, come cristiani, non avendo nulla da perdere, erano disposti al martirio per il martirio. I cattolici si erano appropriati delle terre, dei mezzi di produzione e avevano trasformato la popolazione in schiavi sottomessi, vessati e torturati per il loro tornaconto personale. La schiavitù era ciò che i cristiani avevano imposto e costringevano alla schiavitù con la violenza delle armi distruggendo ogni possibilità di esistenza dell'intera popolazione. Agostino d'Ippona doveva imporre la schiavitù e la sottomissione come indicavano le "sacre scritture". Ma non la imponeva a sé stesso, ma egli, prendendosi la parte migliore (Maria), come la insegnava il vangelo, la imponeva a Marta (la popolazione resa schiava).
Per Agostino d'Ippona, Dio aveva stabilito che loro dovevano essere poveri e obbedire all'autorità e dunque, se non obbedivano all'autorità, andavano ammazzati.
La logica di Agostino d'Ippona era la logica dei vangeli. Il cristianesimo è venuto a portare la schiavitù dell'uomo sull'uomo in nome del padrone di tutti i padroni chiamato "Dio".
Scrivono i cristiani nei loro testi sacri:
"Schiavi, obbedite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne, non solo quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con sincerità di cuore, per timore del signore. Tutto quello che fate, fatelo di cuore, come per il signore e non per gli uomini, sapendo che riceverete in ricompensa l'eredità dalle mani stesse di dio. E' a cristo signore che voi servite. Chiunque, invece, commette ingiustizia, commetterà secondo l'ingiustizia commessa: non vi sarà accettazione di persone."
Paolo di Tarso, lettera ai Colossesi 3, 22-25
"Servi siate sottomessi con ogni rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli che sono buoni o ragionevoli, ma anche a quelli di carattere intrattabile. Poiché piace a dio che si sopportino afflizioni per riguardo verso di lui, quando si soffre ingiustamente. Infatti che gloria vi è nel sopportare di essere battuti, quando si ha mancato? Ma se voi, pur avendo agito rettamente, sopportate sofferenze, questo è gradito davanti a dio. Anzi è appunto a questo che voi siete stati chiamati, perché Cristo pure ha sofferto per voi lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme."
I Pietro 2, 18-21
La schiavitù con tutto il cuore e con tutta l'anima va imposta da Agostino d'Ippona che ora, come vescovo di Ippona, rappresenta Dio in terra. Disobbedire ad Agostino vescovo di Ippona significa disobbedire a Dio e Dio insegna che gli uomini che non obbediscono vanno macellati come a Sodoma e Gomorra o come col diluvio universale.
Le responsabilità di odio e di genocidio di Agostino d'Ippona sono talmente grandi che Karlheinz Deschner scrive a proposito di Agostino e i donatisti:
Occorre discolpare Agostino, giustificando in ogni modo il suo pensiero e la sua azione. Così da due millenni a questa parte i grandi criminali della storia sono stati non solo scusati, ma anche esaltati e trasfigurati. Così in nome di Dio e della religione, durante i secoli si è cercato di giustificare, invocando la responsabilità religiosa si è lasciata da parte ogni umana considerazione, si è data la caccia alle streghe lungo tutto il corso del Medioevo, dell'età moderna, fino alla prima e alla seconda guerra mondiale, quando Hanns Lilje, futuro vescovo regionale e vicepresidente del consiglio della Chiesa evangelica tedesca, in uno scritto dall' eloquente titolo Der Krieg als geistige Leistung scriveva: "Non sulle fibbie delle cinture dei soldati, ma nei loro cuori e nelle loro coscienze bisognerebbe incidere Mit Gott! Solo nel nome di Dio, infatti, trova la sua legittimazione il sacrificio di tante vittime". Dunque unicamente nel nome di Dio si sono commessi certi crimini, anzi i più grandi misfatti della storia, come cercheremo di dimostrare in maniera convincente nei volumi a seguire della nostra opera. Richiamandosi al Vecchio e al Nuovo Testamento, Agostino chiese energicamente all'autorità statale misure coercitive contro tutti coloro che erano da "sanare" ("corriendi atque sanandi"). La violenza - insegnava ora Agostino - era in alcuni casi inevitabile; se i migliori potevano essere corretti attraverso l'amore, con la massa, purtroppo, erano indispensabili le maniere forti. La ferita inferta dall'amico era più accettabile, a suo giudizio, del bacio dato dal nemico. Meglio era amare nel rigore, che ingannare nella mitezza. Chi amava veramente puniva con maggiore severità! Anche i genitori costringono i figli alla disciplina e alla diligenza, proprio come fanno gli insegnanti con i discepoli. "Chi non usa il bastone, non ama suo figlio", dichiarava il vescovo di Ippona citando la Bibbia. "Un servo cattivo non verrà corretto con le parole". Come si era comportato Elia con i sacerdoti di Baal? Già in precedenza Agostino aveva giustificato le violenze narrate nell' Antico Testamento di fronte ai manichei che ritenevano questo testo opera del principe delle tenebre. Ma Agostino non mancò di attingere a piene mani anche dal Nuovo Testamento. Non aveva forse Paolo mandato diverse persone al diavolo? Dichiarava spiegando al vescovo Vincenzo il Vangelo: "Credi davvero che contro nessuno sia legittimo usare misure coercitive dopo aver letto le parole rivolte dal padrone di casa ai suoi servi: «Chi trovate fate in modo che entri!»? (In realtà Agostino traduce con "fate in modo" l'imperativo "cogite" che esprime un'idea di coercizione) Opporre resistenza era segno di irrazionalità. Non si ribellano, infatti, ai loro medici i febbricitanti in delirio? La tolleranza, secondo Agostino, era "infructuosa et vana". Viceversa, il santo mostrava entusiasmo per la conversione di molti ottenuta attraverso un "salutare uso della forza" ("terrore perculsi"). Siamo molto vicini alle posizioni di Firmico Materno, che Agostino forse aveva letto, fautore di "una guerra su tutti i fronti" (Hoheisel). Il problema della coerenza non sfiorava neppure lontanamente il vescovo d'Ippona. Se in precedenza aveva temuto la conversione coatta dei "ficti Christiani", con il tempo lasciò tale preoccupazione a Dio. A giudizio di Agostino, l'imperatore aveva la facoltà di promulgare leggi relative a questioni ecclesiastiche, naturalmente nell'interesse della Chiesa. Costringere al bene era per il santo cosa giusta. Egli cercava unicamente di fare del bene ai suoi nemici; desiderava ciò che in fondo essi stessi volevano. "Dietro la violenza esteriore si cela la volontà interiore", predicava l'astuto "retore di professione", intendendo in tal modo richiamarsi agli Atti degli Apostoli 9,4, a Giovanni 6,44 e a Luca 14,23, dunque al Vangelo dell'amore! E se nel procedere contro i propri avversari "a volte diede l'impressione di un certo nervosismo" (Thomas), questo, in realtà, era frutto dell'amore; egli "agì sempre e solo per amore" (Marrou)." Non a caso Agostino torna ossessivamente sul tema dell'amore! "Amore: una parola meravigliosa, un atto ancora più bello ... non esiste argomento migliore di cui parlare". "Lascia che l'amore metta radici nel tuo cuore, ne deriverà solo del bene!" "L'amore è la perla più preziosa: senza di esso, a nulla valgono tutte le ricchezze che possiedi". "L'amore è forza, è splendore e paura; l'amore è meraviglia e bellezza, acqua e nutrimento; l'amore è ... " anche, ovviamente, "ricondurre in seno alla Chiesa" i donatisti: "La Chiesa li stringe al suo cuore, li circonda di materna tenerezza nella speranza di redimerli", in realtà li sottopone ai lavori forzati, alle torture, alla confisca dei beni, nega loro il diritto di successione. Unicamente perché desidero imporvi i benefici della pace, dell'unità, dell'amore, voi mi considerate un nemico. Dichiarate di desiderare la mia morte, quando, in realtà, io vi annuncio la verità, e voglio impedire in ogni modo che voi andiate incontro alla perdizione. Dio ci vendicherà di voi e annienterà in voi l'errore ... ". Dio ci vendicherà di voi! Eppure Agostino non si considerava affatto un sobillatore. Evitava talvolta, quando lo riteneva opportuno, di sporgere denuncia; chiedeva, tuttavia, che coloro che si mostravano recalcitranti venissero puniti con estremo rigore dalle leggi, che non fosse loro accordata "clemenza alcuna". Piuttosto legittimava il ricorso alla tortura! Già, il santo più celebre della Chiesa antica e forse della Chiesa in assoluto, un "uomo così amabile", il padre dall' "amore sconfinato", "generoso", che contro i donatisti "aveva voluto usare le maniere dolci", guardandosi dal pronunciare a loro riguardo alcuna parola offensiva, che aveva cercato addirittura di "difendere i colpevoli dalla durezza delle pene previste dal diritto vigente nei territori dell'Impero", in breve l'uomo che ambiva a presentarsi come il portavoce della "mansuetudo catholica'', arrivò persino a legittimare l'uso della tortura ... Questa non era in fondo qualcosa di così terribile! "Pensa a tutti i possibili supplizi", affermava Agostino in tono consolatorio. "Confrontali con le pene dell'inferno. Piccole cose sono quelle che riesci ad immaginare. Sulla terra l'aguzzino tormenta la sua vittima per breve tempo, agli inferi, invece, in eterno ... Dobbiamo temere le punizioni come temiamo Dio. Le torture inflitte all'uomo sulla terra rappresentano una forma di "emendatio", servono, cioè, a migliorarlo" . Il fatto che i cattolici potessero torturare a loro piacimento, aveva, dunque, poca importanza nel momento in cui si pensava all'inferno e a quei tormenti che il Dio dell'amore infliggeva ai peccatori per l'eternità. Al loro confronto i supplizi terreni erano "lievi", "passeggeri", una sorta di assaggio, una "terapia salutare"! Il teologo non conosce l'imbarazzo! Né tanto meno la vergogna.
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo ed. Ariele, 2000, p. 415 – 417
L'odio contro gli uomini di Agostino d'Ippona è direttamente proporzionale all'amore di Agostino d'Ippona per sé stesso che proietta ad immagine di Dio.
Nonostante tutto, i donatisti continueranno a svilupparsi in Africa per un altro secolo. I donatisti incarnano i bisogni dei contadini poveri, dei braccianti, degli schiavi mentre Agostino d'Ippona incarna i bisogni degli schiavisti, dei trafficanti di schiavi, di un potere costituito che deve funzionare per i suoi progetti assolutistici.
Un'altra feroce guerra fu condotta da Agostino d'Ippona contro Pelagio.
L'avidità e il delirio di onnipotenza di Agostino d'Ippona, diventato vescovo, non conosceva più né limiti né remore morali.
Agostino d'Ippona scatena la guerra contro Pelagio quando Pelagio giunge in Africa nel 410 per fuggire all'arrivo dei goti di Alarico a Roma. Provocati dai cristiani di Orosio su Roma stavano avanzando i Goti con a capo Alarico che pretendevano il pagamento per i servigi militari offerti ai cattolici. Pelagio, che si era conquistato notorietà e seguito a Roma, arriva a Ippona con la famiglia di Melania, con suo marito Piniano e la madre Albina. In sostanza, i membri della più potente famiglia di Roma. Ed è su loro che Agostino d'Ippona vuole mettere le mani per assicurarsi i loro beni e le loro proprietà. Lo scontro sulla grazia fatto da Agostino d'Ippona contro Pelagio è solo una sovrastruttura ideologica usata dalla chiesa cattolica per giustificare l'attività di rapinatore di Agostino d'Ippona.
Scrive karlheinz Deschner:
Come nel caso del donatismo, così anche nella dottrina di Pelagio non vi era nulla che Agostino potesse criticare. Pelagio aveva combattuto aspramente gli ariani e i manichei, era un personaggio molto stimato e influente, che godeva di protezioni altolocate, proprio come Agostino. Pertanto, in un primo momento, il vescovo di Ippona gli inviò una sorprendente lettera di esortazione "ben scritta e in cui si atteneva rigorosamente ai fatti", dove si rivolgeva a Pelagio chiamandolo "fratello nostro", "pio", e, non senza esagerazione, alludeva a rapporti amichevoli. Ancora nel 412, nella fase iniziale della lotta al pelagianesimo, Agostino trattava Pelagio con una certa deferenza e nel 413 gli scriveva in toni cordiali. Il santo si guardò bene dall' offendere apertamente l'amico del ricchissimo Piniano, tanto più che era stato proprio Pelagio a sollevare il sospetto che Agostino o quanto meno la sua comunità avessero preso di mira il patrimonio di Piniano. Tuttavia, allorché Demetra, una giovane appartenente a una delle più ricche famiglie di Roma, quella dei Probi, ne1414, si fece monaca, divenendo destinataria di trattati e di consigli da parte di personaggi del calibro di Girolamo e di Pelagio, Agostino si decise nuovamente a intervenire. Egli invitò a guardarsi da Pelagio e, sempre più impegnato nella "causa della Grazia", nell'elaborazione della sua dottrina della predestinazione, nell'arco di circa dieci anni e mezzo, fino al 427, redasse contro il pelagianesimo ben dodici scritti polemici.
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 424
La guerra scatenata da Agostino d'Ippona aveva soltanto motivazioni di avidità e di potere con cui intendeva sbarazzarsi degli avversari dentro e fuori la chiesa cattolica.
Sconfitto da Pelagio in tutte le controversie di carattere dottrinale e dal momento che all'interno della chiesa cattolica i discorsi sulla "grazia" di Pelagio erano diventati il fondamento ideologico, ad Agostino d'Ippona non restò che ricorrere alla corruzione e far accettare la diffamazione anche contro il "papa" cattolico.
Scrive il teologo Karlheinz Deschner:
Il papa chiedeva in sostanza all' episcopato africano la piena riabilitazione di Celestio e di Pelagio. I vescovi d'Africa, tuttavia, tra l'imbarazzo e lo sdegno, continuarono impassibili a tessere intrighi e a ricorrere alla corruzione. A scapito dei poveri, ci si dovette procurare denaro per pagare certi signori. Nel corso della disputa, ottanta stalloni della Numidia lasciarono la loro terra per raggiungere, sotto la guida di Alipio, amico e discepolo di Agostino, la corte di Ravenna, che già aveva offerto il suo sostegno al clero africano in occasione della lotta contro i donatisti. Il comes Valerio, nemico giurato degli eretici, assiduo lettore di Agostino, imparentato con un grande proprietario terriero di Ippona e più cattolico del pontefice stesso, si mostrò particolarmente disponibile verso i generosi vescovi africani. Come era accaduto poco prima per i donatisti, essi riuscirono ora a ottenere la repressione dei pelagiani, cui fu negata la libertà di espressione e i cui vescovi vennero esiliati. Ignorando del tutto la volontà di papa Zosimo, con un rescritto - il più severo emesso in età tardo-imperiale - del 30 aprile de1418, indirizzato al prefetto del pretorio per l'Italia, Palladio, l'imperatore Onorio disponeva l'espulsione da Roma di Pelagio e Celestio, considerava la loro eresia come crimen e sacrilegium, e, con particolare riferimento alla sua diffusione in Roma, accennava ai disordini di cui essa era stata causa. Apriva, inoltre, la caccia ai pelagiani, ordinandone l'esilio e la confisca dei beni. Bastò che Ravenna avesse parlato, perché papa Zosimo facesse un improvviso voltafaccia, sottomettendosi alla volontà dell'imperatore. Al principio dell'estate, con una capitolazione su tutta la linea, in una enciclica pervenutaci in frammenti, denominata Epistula Tractatoria, indirizzata a tutti i vescovi, il pontefice condannava ufficialmente Pelagio e Celestio, che fino a quel momento aveva stimato e protetto, insieme ai loro seguaci. Poco prima di morire, Zosimo scomunicò anche Giuliano di Eclano e altri diciotto vescovi che si erano rifiutati di sottoscrivere la sua Epistula Tractatoria. Dunque, "tutti i vescovi avevano impugnato la spada di Pietro per recidere il capo degli empi", dichiarava esultante il monaco Prospero di Marsiglia, strenuo sostenitore della dottrina della Grazia di Agostino e che, proprio come Agostino, "aveva deformato la speculazione pelagiana, fino a renderla irriconoscibile" (Wermelinger). Insieme a Zosimo, anche il presbitero Sisto, futuro pontefice, dopo aver appoggiato per lungo tempo la causa degli eretici, si affrettò a cambiare fronte e, all'insaputa del pontefice su cui gravavano ancora pesanti sospetti, prese a collaborare con Agostino, impegnato nella caccia ai pelagiani. Già nell'ottobre del 418, il santo aveva ottenuto dall'imperatore Costanzo, la promulgazione di un editto antipelagiano. Un nuovo rescritto imperiale del 9 giugno del 419 minacciava a tutti i vescovi ribelli la destituzione dalla loro carica. Nel 425, l'imperatore Valentiniano III decretò l'espulsione di tutti i pelagiani dalla Gallia. Poco dopo, il pontefice Celestino I provvide "alla liberazione delle isole britanniche dal cancro del pelagianesimo". Pelagio stesso, ripetutamente condannato dalle autorità ecclesiastiche e ricercato da quelle statali, scomparve senza lasciare traccia, mentre Celestio fuggendo qua e là continuò la sua predicazione. Forse finì in un monastero egiziano, forse se ne tornò in patria, ergendosi a rappresentante della tradizione di fronte alla nuova dottrina propugnata dal doctor gratiae! Non a caso, infatti, elementi della dottrina di Pelagio si ritrovano in quasi tutti i testi ufficiali della Chiesa dalle origini fino ai tempi di Pelagio stesso, mentre di quella di Agostino (considerato in seguito un "eretico") si trovano sporadici antecedenti in Tertulliano, in Cipriano e in Ambrogio.
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 426 – 427
E' l'unico modo che ha un cattolico per sopraffare chi non la pensa come lui, anche in ambito strettamente cattolico. I cattolici sono talmente abituati ad usare la violenza verso il mondo che finiscono per usare la violenza anche nel proprio ambito religioso e sociale.
L'insegnamento di Agostino d'Ippona alla chiesa cattolica è quello della necessità di annientare gli avversari con ogni mezzo possibile e garantirsi dei vantaggi personali.
L'odio di Agostino d'Ippona per i Pagani è l'odio di chi vive separato dalla società e deve diffamare perché solo diffamando e violentando può trarre una qualche forma di piacere nel proprio fallimento esistenziale.
Per Agostino gli Dèi dei Pagani non sono i soggetti che abitano il mondo a fianco degli uomini, ma vengono definiti:
"La giustizia è la virtù che riconosce a ciascuno il suo. Quale giustizia è dunque quella dell'uomo che sottrae l'uomo stesso al vero Dio e lo sottomette a demoni immondi? E' proprio questo il riconoscere a ciascuno il suo? Chi toglie un campo a chi l'aveva comprato e lo consegna a chi non poteva vantarvi nessun diritto, è ingiusto; è forse giusto allora colui che si sottrae al potere di Dio che lo creò, e si pone al servizio degli spiriti del male?"
Agostino d'Ippona, La città di Dio, Bompiani, 2015, p. 976
Menzogna, diffamazione in funzione della legittimazione dello schiavismo. Qual è l'uomo che non dispone di sé stesso, se non lo schiavo? Lo schiavo che, secondo Agostino d'Ippona, commette ingiustizia perché crede a Dèi diversi dal macellaio di Sodoma e Gomorra. Il padrone di Agostino d'Ippona non è Dio, ma è Dio l'idea dietro la quale si nasconde il delirio di onnipotenza di un malato mentale come Agostino d'Ippona.
Scrive il teologo Karlheinz Deschner parlando dell'odio di Agostino d'Ippona contro i Pagani:
Con inaudita tenacia il vescovo di Ippona condusse la sua battaglia contro l"'orrore degli idoli", contro "i culti empi", contro la "gentaglia pagana", gli "impuri", gli "spiriti ripugnanti", "tutti irrimediabilmente malvagi": "allontanali, disprezzali". Agostino dileggiava Giove il "seduttore" e le sue "detestabili imprese". Condannava la "lascivia di Venere", il culto della Grande Madre, "un atto disgustoso, criminale, infamante", e la Grande Madre stessa, definita un "mostro" che, "con la schiera dei suoi giovani amanti a pagamento, contamina la terra e offende il cielo". Per non dire di Saturno che addirittura supera la Grande Madre, "con la sua sfacciata crudeltà". Peraltro Agostino - come faranno, in seguito, anche Tommaso d'Aquino o papa Pio II - difendeva la prostituzione, come strumento per evitare che "l'impeto delle passioni mandasse tutto in rovina": la solita doppia morale cattolica! (Non di rado papi, come per esempio Sisto IV [1471-1484], promotore della festa dell'Immacolata Concezione, nonché vescovi, abati, badesse di rinomati monasteri, mantenevano bordelli molto redditizi!)
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 430 – 431
E ancora:
Appena divenuto vescovo, Agostino aveva proclamato che solo i malvagi usano contro i malvagi la violenza. Presto, tuttavia, diede battaglia ai pagani con lo stesso atteggiamento implacabile con cui aveva combattuto gli "eretici". In tal senso, l'Im- pero di Roma era una seconda Babilonia: "condita est civitas Roma velut altera Babylon". Il santo legittimava, pertanto, con risolutezza, l'annientamento del paganesimo, impetrando la distruzione dei templi, dei boschi sacri, delle statue, di ogni forma di culto: una sorta di rappresaglia contro coloro che in precedenza avevano mietuto vittime tra i Cristiani. Sosteneva anche la presunta esistenza di un fronte comune di eretici, pagani ed Ebrei, diretto "contro la nostra unità". Proclamava in toni trionfanti nel 400: "Per tutto l'Impero i templi sono stati distrutti, gli idoli abbattuti, sono cessati i sacrifici e coloro che adorano gli dèi, una volta scoperti, sono stati debitamente puniti". Il santo si oppose con fanatismo estremista a tutti "i tentativi operati dal pensiero umano di fondare la felicità sull'infelicità della vita terrena"; condannò in maniera inappellabile tutta la tradizione etica del mondo antico; nei riguardi del paganesimo si mostrò "as ready to attack as he was prepared to attack Donatists and Pelagians" (Halporn). Con l'esclusione della pena di morte, Agostino ritenne giusto infliggere ai pagani ogni sorta di tormenti e di punizioni. Come infatti istituiva un parallelo tra la lotta condotta contro i donatisti e l'uso da parte di un padre di picchiare a scopo preventivo, ogni sabato sera, la propria famiglia, così anche paragonava le leggi antipagane con i provvedimenti presi dal maestro contro i discepoli che, rotolandosi nel fango, s'imbrattano tutti. Di fatto, poi, finiva per ammettere anche contro i pagani, come contro i donatisti, la pena di morte la cui applicazione, in via di principio, contestava."
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 431 – 432
E ancora:
Fu l'imperatore Onorio (393-423), figlio di Teodosio I, ad assecondare, in quel momento, con particolare sollecitudine le richieste della Chiesa. Egli viveva sotto l'influenza di Ambrogio e di sua sorella Galla Placidia, donna devota, fondatrice di chiese, fiera nemica degli "eretici", a sua volta profondamente influenzata dal suo consigliere di vecchia data san Barbaziano (la cui festa cade il 31 dicembre), celebre taumaturgo. Dietro ripetute sollecitazioni da parte delle autorità ecclesiastiche, con una serie di editti, promulgati nel 399, nel 407, nel 408 e nel 415, l'imperatore dispose in Africa la rimozione delle statue dai templi, la distruzione degli altari, la demolizione dei luoghi di culto o la loro confisca per destinare altrove le loro ricchezze. Quando Agostino chiese alla corte ravennate un'applicazione più rigorosa delle leggi, Onorio rinnovò le sue disposizioni minacciando, in caso di trasgressione, l'intervento della forza militare. "Lo Stato si mostrava sempre più sollecito nell'assecondare le richieste dei cristiani" (Schultze).?' Forti del sostegno della Chiesa e dello Stato, le orde cattoliche si diedero alla purificazione delle campagne, con una brutalità paragonabile a quella usata un tempo dai circoncellioni. Occasionalmente Agostino arrivò a porre come regola che coloro che si convertivano al Cristianesimo, provvedessero personalmente alla distruzione dei templi e dei loro idoli. In alcuni casi i neoconvertiti si ribellarono. è quanto accadde a Calama (Guelma), nelle vicinanze di Ippona, dove Possidio, amico e biografo di Agostino, nonché vescovo della città attirò a tal punto l'odio su di sé che persino i curiali gli rifiutarono la loro protezione. Tuttavia, mentre la popolazione inferocita aggrediva la sua basilica e l'annesso monastero uccidendo uno dei monaci, Possidio riuscì a fuggire. La demolizione da parte dei cristiani del tempio di Ercole a Sufa, generò un tumulto di tale gravità che Agostino, che aveva duramente accusato il governo della città ancora pagano, dovette piangere la morte di ben 60 confratelli massacrati. Egli riporta questo episodio in un racconto intessuto di un raro miscuglio di indignaione, odio, scherno, non accennando minimamente a quante vittime era costato ai pagani il tumulto provocato dai cristiani. Sufa non fu un caso unico. Non di rado la distruzione dei templi e delle statue pagane fu accompagnata da sanguinosi scontri avvenuti persino dentro gli stessi luoghi di culto. Se i pagani abiuravano la loro fede nel timore del fanatismo dei loro avversari - come a suo tempo avevano fatto i cristiani di fronte ai pagani - allora Agostino li scherniva: "Tali sono i servi del diavolo". Agli occhi del santo, la devastazione dei templi e delle statue che li adornavano si configurava come un atto di devozione. E non mancò di esultare di fronte alla vittoria finale sui pagani conquistata sul campo di battaglia. C'è forse da meravigliarsi che il neoplatonico Massimo, in una lettera indirizzata ad Agostino, parli di santi criminali?"
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 433 - 434
Tutta la vita di Agostino d'Ippona è una storia di odio che procura morte e distruzione solo per il gusto di Agostino d'Ippona di far del male alle persone che non si mettono in ginocchio davanti a lui.
Ormai non rimangono che gli ebrei a qualificare l'odio di Agostino d'Ippona per gli uomini. E fu opera di Agostino di Ippona se gli ebrei subirono aggressioni continue e sistematiche per tutto il medioevo fino al genocidio dei nazisti.
Scrive il teologo Karlheinz Deschner:
I costumi degli Ebrei sono mortalmente pericolosi per i cristiani. Chi li osserva, sia questi ebreo o pagano, incorre nella vendetta del demonio". Secondo Agostino, agli Ebrei alludeva la sentenza biblica: "Sprofonderanno ... nel fuoco eterno", ed era con- vinto che fino alla fine del mondo essi sarebbero rimasti schiavi; schiavi, naturalmente dei cristiani. Il vescovo d'Ippona, che distingueva tra due tipi di uomini, i cristiani e gli Ebrei, nella sua speculazione teologica, portò alle estreme conseguenze il processo di disumanizzazione di questi ultimi. Riguardo il rapporto tra gli Ebrei e l'Antico Testamento affermava non solo che: "Leggono come ciechi e cantano come muti", ma negava la loro condizione di popolo "eletto", e addirittura il loro diritto a chiamarsi Ebrei! Colui per il quale tutto sempre era una questione di amore - "Quale bene prezioso è l'amore!" - con entusiasmo salutava le crudeltà commesse dai cristiani ai danni degli Ebrei, legittimandole come atti di somma giustizia e arrivando a considerare "certi massacri degli Ebrei" come manifestazione della punizione divina. Del resto già la distruzione di Gerusalemme e la guerra giudaica erano state espressioni della vendetta di Dio. In toni esaltati, il santo si gloriava del fatto che gli Ebrei tremassero di fronte ai cristiani. Probabilmente nell'affermare ciò si riferiva al primo grande pogrom ebraico, la prima "soluzione finale" che ebbe luogo nel 414 ad Alessandria, a opera del patriarca Cirillo: "Avete udito quanto è accaduto loro, non appena hanno timidamente tentato di ribellarsi ai cristiani"! Agostino fu anche il primo tra i teologi ad addossare agli Ebrei la colpa della morte di Cristo, colpa che sarebbe all'origine della loro perpetua servitus. Tale idea fu ripresa nel 1205 da papa Innocenzo III e si ritrova nelle Decretali di Gregorio IX del 1234. L'antisemitismo di Agostino condizionò in maniera rilevante anche la produzione normativa degli imperatori in tal senso.
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 437
L'odio è la caratteristica di Agostino d'Ippona e diventerà la caratteristica della chiesa cattolica. Questo delirio di onnipotenza che porta ad insultare, diffamare, screditare, deridere fino alla condanna militare, alla violenza e alla tortura che i cristiani hanno messo in atto per garantirsi il controllo del mondo.
Ed è chiara l'idea di Agostino d'Ippona sulla guerra con la quale legittima il macello dei suoi "nemici.
Scrive Karlheinz Deschner:
Tali guerre, come tutte le disgrazie e gli orrori di questo mondo, rientravano nel piano provvidenziale di Dio. Era bastato "un cenno dell'Altissimo" perché avessero luogo; l'Onnipotente aveva concesso "ai Romani di fondare il loro Impero nello spazio e nel tempo che egli aveva stabilito". Di ogni guerra Dio aveva deciso "l'inizio, il decorso, la fine". Le atrocità che avevano accompagnato ogni conflitto erano state necessarie per sconfiggere il nemico, per "assoggettare gli avversari e imporre loro le proprie leggi di pace". In fondo l'obiettivo ultimo di ogni guerra era la pace. "Persino coloro che amano la guerra non vogliono altro che la vittoria, per ottenere attraverso questa una pace gloriosa. Che cosa è infatti la vittoria se non la sconfitta del nemico? Una volta ottenuta questa, c'è spazio per la pace. Dunque per amore della pace si fa la guerra ... ". A ben guardare anche il peggio diventa buono. A chi teme di perdere la vita in guerra, il santo lo conforta: "A quanto ne so, non è mai morto nessuno che non sarebbe dovuto morire". "Che importa in che modo si muore?" O con il suo tipico cinismo: "Per quali ragioni si è contrari alla guerra? Forse perché in essa periscono uomini comunque un giorno destinati a morire?". In altri termini: visto che dovete crepare, perché non lo fate subito di buon grado! Bel modo trova il gesuita K. Rahner per giustificare tali atteggiamenti del vescovo di Ippona: per Agostino "Dio è tutto, l'uomo nulla"! Anche la Chiesa si è sempre comportata in modo conforme a questa convinzione. E Dio, inutile ricordarlo, è la Chiesa stessa! Che dovesse esistere la guerra, sembrava assolutamente comprensibile al portavoce della "Buona Novella". In fin dei conti era stato sempre così. "Quando mai è accaduto che la terra non sia stata scossa da qualche guerra?" E così sarà sempre. "è scritto nel destino del mondo che esso venga funestato da un simile flagello, proprio come il mare è agitato dalla tempesta ... ". La guerra e la pace, come le maree, rientrano nelle leggi di natura? Tuttavia, assicura Agostino, tutto passa. "I mali che al momento affliggono l'umanità, di cui essa si lamenta recando offesa a Dio, in quanto afferma di non avere chi li liberi da questi tali mali, dunque, sono inesorabilmente destinati a cessare; o scompariranno grazie a noi, o noi scompariremo a causa loro". Una filosofia davvero consolante: una filosofia cristiana. Agostino assunse nei riguardi della tortura un atteggiamento analogo a quello tenuto nei riguardi della guerra. La tortura era cosa da niente se confrontata con le pene dell'inferno; anche nelle sue applicazioni più crudeli, era sopportabile, era un male passeggero, una "cura" salutare. Guerra e tortura ambedue servivano a correggere e rendere l'uomo migliore. Un teologo non conosce né imbarazzo, né vergogna.
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 444 - 445
La voglia di guerra, purché il ruolo del macellaio sia quello di Agostino d'Ippona, era talmente forte in questo personaggio che dovrebbe destare orrore in ogni uomo.
Nel 426 stanco, malato e consapevole del proprio fallimento esistenziale, Agostino d'Ippona nomina un suo amico a suo successore, il diacono Eraclio.
Con i suoi intrallazzi Agostino d'Ippona fece scoppiare una guerra in Africa dove il generale Bonifacio mosse guerra a Galla Placidia sorella di Onorio. Galla Placidia mandò l'esercito dei visigoti a combattere Bonifacio. L'esercito di Felice era condotto dai generali Mavorzio, Gallione e Sanece; invase l'Africa e assediò Bonifacio. Con i visigoti arrivò ad Ippona un vescovo ariano, Massimino. Il vescovo ariano terrorizzò Agostino d'Ippona che si dette da fare per conciliare Bonifacio con Galla Placidia. Nel frattempo, per difendersi, Bonifacio chiamò i vandali che erano stanziati in Spagna. Questi arrivarono con le famiglie al seguito. Quando Bonifacio e Galla Placidia si riconciliarono, Bonifacio disse che non aveva più bisogno di loro, ma i vandali, anziché tornare indietro, strinsero d'assedio la città e sconfissero Bonifacio che scappò in Italia. Da quel momento inizia la conquista dell'Africa ad opera dei vandali.
Ippona era sotto assedio. Agostino di Ippona viveva tutta la disperazione di una vita fallimentare fatta di odio e di violenza.
Scrive Karlheinz Deschner:
"Nonostante la salute malferma, il santo giunse all'età di 76 anni. Il suo biografo, von der Meer, attenendosi strettamente alla testimonianza di Possidio di Calama, discepolo e amico di Agostino, così descrive la morte del vescovo di Ippona, avvenuta il 28 agosto del 430: "Dieci giorni trascorse in solitudine con gli occhi rivolti verso il foglio di pergamena su cui erano vergati i salmi penitenziali, che teneva appeso alla parete e le cui parole andava ripetendo tra lacrime insistenti. In tal modo morì". Perché piangeva ... visto che stava per raggiungere il Paradiso? "Chi anela, come dice l'Apostolo, "a essere sciolto dai vincoli terreni per raggiungere Cristo", scriveva Agostino - naturalmente quando era ancora in salute - "vive con pazienza e muore con gioia". Agostino, tuttavia, non morì con gioia, né visse con pazienza.
Tratto da: Karlheinz Deschner, I volume di Storia criminale del cristianesimo, ed. Ariele, 2000, p. 402
Agostino d'Ippona è morto disperato come aveva vissuto con odio e con violenza. Una violenza che non sarà circoscritta alla sua singola persona, ma, applicata dalla chiesa cattolica, porterà morte e devastazione nella storia dell'umanità.
Il 28 agosto del 430 muore uno degli individui più spietati che abbia calpestato il suolo della terra.
Intanto la città di Ippona viveva l'assedio dei Vandali. Subì un assedio per 14 mesi e mentre Bonifacio aveva provviste, la popolazione moriva di fame. Alla fine Bonifacio e l'esercito imperiale, che si erano coalizzati, si dettero alla fuga. La città venne evacuata e i vandali la conquistarono, la saccheggiarono e la dettero alle fiamme. In seguito divenne la capitale africana del nuovo regno dei vandali finché nel 439 non conquistarono Cartagine.
Marghera, 14 novembre 2018
Pagina tradotta in lingua Portoghese
Tradução para o português: Capítulo 110 A biografia de Agostinho de Hipona - vigésima sétima biografia
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Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
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