Severino Boezio

Le biografie dei giocatori - cinquantunesima biografia

Capitolo 134

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Claudio Simeoni

 

Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio

 

La biografia di Anicio Manlio Severino Boezio

 

Boezio nasce a Roma tra il 475 e il 480 d. c.

Il padre è Flavio Narsete Manlio Boezio e apparteneva ad una "gens" nobiliare di Roma la "gens" Anicia. Nulla si sa della madre di Boezio. Roma aveva perso il suo potere civile e sociale ed era nelle mani di forze sociali che minavano la sicurezza degli italiani. I cristiani avevano saccheggiato l'antica città che ora era ridotta al rango di una città di periferia con la fine dell'impero romano d'occidente che viene fatta risalire al 476 quando Odoacre, re degli Eruli, dopo aver conquistato Ravenna, depone chi è considerato l'ultimo imperatore di Roma, Romolo Augusto.

Boezio nasce dopo la morte definitiva di Roma. Roma diventa provincia occidentale dell'impero orientale retto da Zenone. Nel 482 Costantinopoli è la vera capitale dell'impero romano. Zenone è l'imperatore che tenterà di unificare, con il vescovo di Costantinopoli Acacio, le idee dei nestoriani e dei monofisiti. La contesa è sulla natura di "Cristo" che per gli uni unisce le due nature (umana e divina) e per gli altri è composta da una sola natura. In sostanza, le contraddizioni sociali ora non coinvolgono più il cristianesimo contro le religioni diverse, ma sono tutte interne al cristianesimo e sulle diverse interpretazioni delle scritture cristiane.

Nel 483 è eletto papa cattolico Felice III che regnerà fino al 492. Felice III vuole riaffermare il dominio cattolico e scomunica Acacio. Lo scisma che ne segue condizionerà il dibattito religioso (e la conseguente guerra religiosa) fino al 519.

Odoacre, diventato reggente della provincia Italia per conto dell'imperatore Zenone di Costantinopoli, nel 487 nomina il padre di Boezio console e nel 488 viene inviato in Egitto con la carica di prefetto portando con sé Boezio che inizia a studiare greco e filosofia cristiana.

Tutta la storia di Boezio si intreccia con la politica religiosa di quel tempo in cui il potere del controllo politico passa attraverso il potere religioso che si esprime mediante dogmi diversamente interpretati. Non si tratta di uno scontro di "idee" o di visioni diverse dell'esistenza, si tratta di stragi, esecuzioni di massa, torture con cui i diversi potentati imponevano i loro dogmi contro tutti gli altri che avevano dogmi diversi.

Il periodo di Boezio è caratterizzato dalle guerre di religione all'interno della religione cristiana. Questo tipo di guerre caratterizzerà tutta la storia cristiana fino ai giorni nostri, nel III millennio. Se l'inizio delle guerre è fatta dai cattolici contro i pelagiani e gli ariani dopo che tutti assieme hanno aggredito i "pagani" ora, che non ci sono più "pagani", cioè l'altro come diverso dai cristiani, ai cristiani non resta che ammazzarsi fra di loro. Gli ebrei sono troppo deboli per costituire una minaccia ai cristiani. Gli ebrei vengono sterminati dai cristiani per puro divertimento come sacrificio umano fatto per la morte di Gesù.

Nestoriani e monofisiti sono i nemici ideologici dei cattolici, ma oltre a loro ci sono gli ariani che ai cattolici contendono il dominio del mondo. Zenone, che ha nominato Odoacre reggente dell'Italia, nel 489 cede l'investitura a Teodorico, il re degli Ostrogoti, affinché combatta Odoacre. Teodorico sconfigge Odoacre, sull'Isonzo e a Verona e mette sotto assedio la capitale Ravenna.

Nel 490 muore il padre di Boezio e l'educazione di Boezio è assunta da Quinto Aurelio Memmio Simmaco un potente nobile di Roma.

Nel 491 sale al potere Atanasio I. Atanasio I riconosce il diritto di controllo dell'Italia da parte di Teodorico. Atanasio, favorevole al monofisismo rompe i rapporti con il papa cattolico e impone i suoi dogmi ai cattolici.

Nel 492 diventa papa cattolico Gelasio I, quello che proibirà definitivamente la festa dei Lupercali a Roma che, poi, sarà sostituita con "san Valentino". Gelasio I farà guerra ai monofisiti perseguitandoli e massacrandoli.

Teodorico, nel 493, conquista Ravenna e condanna a morte Odoacre. I goti dominano tutto il nord Italia. I goti sono di religione cristiana ariana e vivranno un conflitto costante con i cattolici che non cesseranno mai di tramare per detronizzarli.

Boezio si sposò due volte. Con Elpide una poetessa Siciliana che morì nel 504 e con Rusticiana, fra il 495 e il 500 figlia del suo precettore, Simmaco.

Nel 496 muore Gelasio I e gli succede Anastasio II.

Nel 497 Teodorico ottiene il diritto di nominare i consoli.

Nel 498 Teodorico fa eleggere Simmaco come papa cattolico a Roma in contrapposizione a un "antipapa", Lorenzo, sostenuto dal senato romano legato a Bisanzio. Il papa cattolico Simmaco non era imparentato con il Simmaco tutore di Boezio, tuttavia nel 500 Teodorico è in visita a Roma e incontra sia il papa cattolico Simmaco che Boezio.

Fra il 502 e il 507 Boezio scrive una serie di piccoli trattati sulla musica, l'aritmetica, la geometria e l'astronomia, conquistando una certa fama di scienziato.

Nel 506 Teodosio chiede a Boezio di costruire due orologi da regalare al re dei Burgundi.

Nel 508 Boezio commenta e traduce l'Isagoge di Porfirio.

Nel 509 Teodosio vince la battaglia di Arles contro i franchi e annette la Provenza al suo regno.

Nel 510 Boezio viene nominato console dal re Teodosio. Fra il 510 e il 511 Boezio traduce "Le categorie" di Aristotele.

Nel 512 Boezio è ancora alle prese con Aristotele e traduce "Dell'interpretazione"

Nel 512 alcuni vescovi d'oriente chiedono al papa cattolico Simmaco come risolvere il problema sulla "natura di Cristo". Boezio interviene nella questione e scrive a favore dell'interpretazione cattolica "Liber contra Eutychen e Nestorium". Boezio istiga alla persecuzione dei monofisiti e dei nestoriani.

Fra il 513 e il 514 Boezio commenta e traduce gli "Analitici primi" di Aristotele e scrive alcuni trattati sulle categorie dei sillogismi.

Nel 514 viene eletto papa Ormisda legato a Teodorico. Omisda si dice favorevole a risolvere la questione della questione acaciana.

Nel 517 Boezio traduce e commenta gli "Analitici secondi" di Aristotele.

Fra il 518 e il 520 Boezio traduce e commenta i "Topici" di Aristotele e i "Topici" di Cicerone.

Boezio è il cattolico fondatore della corrente filosofica della Scolastica. Una corrente filosofica che dominerà, sia pur fra l'analfabetismo generalizzato dell'occidente imposto dai cattolici, la scena filosofica per molti secoli. E' necessario comprendere come alla base della filosofia scolastica che si propone di interpretare la "vera religione cattolica" non ci sono le "sacre scritture", ma c'è il pensiero filosofico di Aristotele, di Platone e dei neoplatonici il cui pensiero è ufficialmente condannato come "pagano" dalla chiesa cattolica, ma usato abbondantemente per legittimare il credo religioso del cattolicesimo.

Giustino I deciso ad appoggiare i cattolici contro i monofisiti inizia una campagna di persecuzione contro questi ultimi.

Nel 519 mentre i monofisiti vengono massacrati, Giustiniano, nipote dell'imperatore Giustino I instaura una trattativa per risolvere la questione acaciana. I cattolici di Roma inviano a trattare Simmaco, tutore e suocero di Boezio.

Fra il 521 e il 522 Boezio compone una serie di opere teologiche, in funzione della maggior gloria del cattolicesimo, sulla "Trinità: padre figlio e spirito santo" e sulla fede cattolica. Scrive anche un trattato sulla differenza dei topici fra Aristotele e Cicerone.

Nel 522 vengono eletti nobili consolari i figli di Boezio e Boezio recita un "panegirico" in onore di Teodorico. E' da ricordare che Teodorico e i goti sono di religione cristiana, ma ariani. Questo è il motivo per il quale Teodorico è in odio alla chiesa cattolica di Roma e a Boezio. Nonostante questo, Teodorico tenta l'integrazione fra cattolici e ariani ricevendo da parte dei cattolici dinieghi e ostracismo.

Nel 522 Boezio viene nominato a capo dei servizi generali della Corte reale e dello Stato, comandante delle guardie del palazzo con alcune funzioni di "politica estera".

Nel 523 Giovanni I, sponsorizzato da alcuni senatori filo imperiali (cattolici), fra cui Albino, Simmaco, Boezio e Fausto, viene eletto papa cattolico. L'elezione provoca attriti con Teodorico. Tanto più che Giovanni I sembra sia stato allievo di Boezio e autore delle opere di religione cattolica attribuite a Boezio. Albino ha un rapporto epistolare con l'imperatore Giustino per conto del senato e questo viene interpretato da Teodorico come un tradimento nei suoi confronti. Albino viene accusato di atti di tradimento contro Teodorico. Albino viene processato a Verona, Boezio ne assume la difesa, forte della sua carica presso la corte di Teodorico. Boezio è consapevole di essere dello stesso partito politico che ha favorito l'elezione del papa cattolico Giovanni I contro i desideri di Teodorico. Con il prestigio della sua carica, Boezio impedisce che giungano a Teodorico i documenti che costituiscono l'accusa contro Albino e il senato romano.

Nell'agosto di quell'anno a Boezio scade la carica di ministro di Teodorico (magister officiorum) e perde i privilegi dell'immunità. Boezio è accusato di aver impedito l'opera degli accusatori di Albino e dei senatori filo imperiali. Viene accusato di aver tramato contro Teodorico in favore dell'imperatore e di aver ordito trame segrete per poter accedere ad alte cariche politiche.

Nel 524 Boezio è arrestato a Pavia e imprigionato nel battistero della cattedrale. Boezio supplica Teodorico di intervenire a su favore. Teodorico, sempre più convinto del tradimento dei senatori romani contro di lui in favore dell'imperatore, preferisce far processare Boezio dal senato.

Che Cipriano abbia organizzato le accuse contro Boezio è certo, che queste accuse, come dicono i cattolici, siano state "false" è sospetto. Certamente Boezio ha favorito l'elezione di Giovanni I più legato all'imperatore che non a Teodorico. Boezio era fautore di una società razzista contro i goti anziché artefice dell'integrazione. Pertanto, al di là del valore dei documenti, le posizioni pubbliche assunte da Boezio testimoniano una presa di posizione piuttosto precisa contro Teodorico e lo stesso panegirico pronunciato a favore di Teodorico, quando i suoi figli furono elevati alla dignità senatoriale, appare più un atto opportunistico che non un "moto dello spirito".

Ne "La consolazione della filosofia" Boezio insulta il suo accusatore, Cipriano ma, da alcuni passi delle "Variae" di Cassiodoro, Cipriano appare molto più positivo di quanto Boezio lo dipinge. Aveva la piena fiducia di Teodorico e di suo figlio Atalarico. E va sottolineato che tutti gli accusatori di Boezio erano latini, nessuno di loro era goto.

Boezio è processato da una corte di senatori a Roma e la commissione giudicante condanna Boezio riconoscendolo colpevole dei reati ascritti. Nell'autunno del 523 Teodorico sottoscrive la condanna a morte di Boezio decretata dal senato di Roma.

Boezio viene giustiziato come traditore a Pavia.

Nel 524 la guerra fra cattolici e ariani non si conclude con la morte di Boezio. L'imperatore Giustino, perso Boezio, il suo agente in occidente, per rispondere alla condanna di Boezio scatena una feroce persecuzione contro gli ariani in Oriente che erano della stessa religione dei goti di Teodorico.

Nel 525 Teodorico impone al papa cattolico Giovanni I di andare a Costantinopoli per imporre all'imperatore Giustino di far cessare le persecuzioni contro gli ariani. Non si sa che cosa fece Giovanni I a Costantinopoli. Sta di fatto che le persecuzioni contro gli ariani continuavano e a Teodorico non rimase altro che imprigionare il papa cattolico Giovanni I.

Nel 526 Teodorico fa giustiziare Simmaco, tutore e genero di Boezio per tradimento. In quello stesso tempo scompaiono i reali protagonisti di questa vicenda perché muoiono sia Giovanni I che Teodorico.

Per aver contribuito a perseguitare gli ariani, Boezio viene elevato agli altari come "martire cristiano" dal papa cattolico Leone XIII. Un culto approvato per la chiesa di Pavia nella cui basilica sono custoditi i resti. La chiesa di Pavia lo festeggia il 23 ottobre.

La maggior opera di Boezio è "La consolazione della filosofia" scritta mentre era in galera. L'opera ha una caratteristica importante: non nomina mai Gesù. Boezio, pur avendo partecipato al dibattito sulla "natura di Cristo" e avendo perorato la causa della chiesa cattolica, nella sua opera principale e ultima della sua esistenza, non cita Gesù ma, prendendo dai neoplatonici, pone l'accento sulla relazione fra Dio e le faccende umane.

Alcune citazioni della "La consolazione della filosofia" ci permettono di capire come Boezio ha sovrapposto la visione religiosa neoplatonica e aristotelica al cristianesimo permettendo la legittimazione morale di un cristianesimo che non può avere nessuna legittimazione morale o sociale se non mediante la violenza, quella stessa violenza che Boezio ha auspicato contro i monofisiti e gli ariani.

Boezio imprigionato e processato con "La consolazione della filosofia" scrive l'elogio a sé stesso. Un elogio a quanto lui è bravo e quanto sono malvagi tutti gli altri. Non lo dice lui, gli appare direttamente "la Filosofia" che si compiace con Boezio per la sua grande sapienza mentre, allo stesso tempo "La Filosofia" denigra gli epicurei e altri filosofi.

In tutta la consolazione manca completamente il concetto di provvidenza divina. A lui, prigioniero, Dio non provvede. Per contro c'è il concetto di fortuna come cristianamente inteso che sostituisce sia il concetto di provvidenza che il concetto di caso.

Scrive Boezio a proposito della fortuna:

Che cosa è, dunque, uomo, che ti ha precipitato nella afflizione e nel pianto? Hai riscontrato, immagino, qualcosa di strano e di insolito. Tu' ritieni che la fortuna abbia cambiato il suo atteggiamento nei tuoi confronti. Sbagli. Questa è da sempre la sua caratteristica, questa la sua natura. A tuo riguardo, piuttosto, essa, nella sua stessa mutabilità, ha mantenuto la propria coerenza; tale era quando ti lusingava, quando ti faceva balenare allo sguardo le attrattive di una ingannevole felicità. Ora hai scoperto le facce ambigue di questa cieca potenza. Lei che ancora si mostra velata agli altri, a te si è totalmente rivelata. Se ti piace, adattati al suo costume e non lagnartene. Se provi orrore per la sua perfidia, disprezzala e respingila, con i suoi giochi pericolosi; a cagionarti ora tanta afflizione è proprio colei che avrebbe dovuto essere per te fonte di serenità. In realtà tu sei stato abbandonato da colei dalla quale nessuno mai potrà essere sicuro di non essere abbandonato. Stimi forse preziosa una felicità destinata a sparire e ti è cara una fortuna favorevole al momento ma che non ti dà affidamento di rimanere e che quando se ne andrà ti getterà nell'angoscia? Se non la si può trattenere a nostro piacimento, se andandosene ci rende sventurati, che cosa è mai la sua fugacità se non l'indizio, in certo qual modo, di una condizione di infelicità che si sta preparando? Né basterà badare all'immediato, che ci sta davanti agli occhi; la saggezza misura le cose dal loro esito finale e inoltre il carattere della fortuna, mutevole nell'uno e nell'altro senso, fa sì che le sue minacce non siano temibili, né le sue lusinghe desiderabili. Bisogna insomma che tu accetti con equilibrio tutto ciò che si amministra entro la sfera della fortuna, una volta che tu abbia piegato il collo al suo giogo. D'altra parte, se a colei che ti sei scelto di tua iniziativa come padrona tu volessi dettar norme per il suo restare o andarsene, non saresti tu nel torto e con la tua insofferenza non esaspereresti una sorte che non puoi mutare? Se abbandonassi le vele ai venti, avanzeresti non già nella direzione voluta, ma là dove i venti ti spingono; se affidassi la semente al terreno arato, metteresti in conto la possibilità che l'annata sia di volta in volta feconda o sterile. Ti sei affidato al governo della fortuna: devi sottostare agli umori della tua padrona.

Boezio, Consolazione della filosofia, BUR, 1984, p. 121 – 123

E' la fortuna, per Boezio, che regola la vita degli uomini, non la provvidenza divina. In tutto il testo della consolazione non vengono citate le "sacre scritture" cristiane. Boezio usa concetti neoplatonici che presentano un "cristianesimo desiderato" da sovrapporre al cristianesimo della scrittura.

Questo gioco di sovrapposizione di neoplatonismo e aristotelismo usato da Boezio per consolarsi del proprio stato di prigioniero, rivela quanto Boezio ritenesse inutile il cristianesimo e la rivelazione di Gesù. Eppure, il testo di Boezio servirà a rinvigorire il cristianesimo che non troverà ragioni filosofiche nelle "sacri scritture". Nelle "sacre scritture" c'è solo odio sociale in funzione della gloria di Dio.

Un esempio di neoplatonismo innestato sul cristianesimo è il ragionamento sul concetto del "Dio buono". Se Boezio avesse ragionato da cristiano avrebbe ritenuto il proprio stato di prigioniero una condizione determinata dalla volontà di Dio. Una punizione divina.

Boezio non attribuisce la propria condizione alla volontà di Dio. Afferma sì che Dio sapeva cosa gli sarebbe successo, ma Dio è buono per definizione. Questo concetto di "Dio buono" Boezio lo mutua dai neoplatonici e lo metterà a fondamento della filosofia scolastica.

Scrive Boezio:

Che Dio, l'essere superiore a tutti, sia buono, lo sta a provare il modo di concepire comune alle menti umane; dal momento, infatti, che non si può concepire nulla di più buono che Dio, chi potrebbe dubitare che sia buono quello di cui nulla è più buono? E che Dio è buono la ragione lo dimostra in modo tale da indurre a credere che in lui sia posto anche il perfetto bene. Di fatti, se così non fosse, non potrebbe essere il fondamento di tutte le cose; perché ci sarebbe qualcosa superiore a lui e tale che, possedendo il bene perfetto, per ciò stesso risulterebbe anteriore a lui e di lui più antico; le cose perfette, infatti, sono sempre apparse chiaramente anteriori rispetto a quelle meno perfette. Perciò, per non procedere all'infinito con il ragionamento, si deve ammettere che in Dio sommo sia la pienezza del sommo e perfetto bene; ma noi abbiamo dimostrato che il perfetto bene coincide con la vera felicità: ne deriva quindi necessariamente che la vera felicità si trova nel sommo Dio.
Lo riconosco - dissi io -, e non esiste alcun argomento che gli si possa contrapporre.
Ma considera ora, te ne prego, - riprese lei - con quanto rigore e quanta consequenzialità tu possa dimostrare quanto abbiamo affermato, e cioè che in Dio sommo è posta la pienezza del sommo bene. Ed io: Qual è - chiesi - la via da seguire?
Non devi, anzitutto, partire dall'idea che Dio, padre di tutte le cose, abbia ricevuto dall'esterno quel sommo bene di cui egli è considerato il detentore, o che lo possegga per sua natura ma in modo tale da far ritenere che Dio possessore della felicità e la felicità posseduta da Dio costituiscano due sostanze diverse. Qualora infatti tu supponga che questo bene Dio l'abbia ricevuto dall' esterno, chi gliel'ha concesso dovrebbe essere considerato superiore a lui che lo ha ricevuto, ma noi riconosciamo invece, e quanto mai giustamente, che è lui l'essere infinitamente superiore a tutti. Se poi il bene si trova in lui sì per natura, ma da lui formalmente distinto, non si vede da chi mai possano essere state congiunte queste due essenze diverse, dal momento che parliamo di Dio come dell'essere superiore a tutti, Infine, se una cosa è diversa da una qualsiasi altra, non può coincidere con quest'altra, dalla quale, per definizione, è appunto diversa. Perciò, quello che per sua natura è diverso dal sommo bene non è il sommo bene, cosa questa che sarebbe inammissibile pensare a proposito di colui che, come risulta provato, è superiore a tutti gli esseri. Nessun essere infatti potrà mai avere una natura migliore del principio da cui proviene; è perciò facile concludere con assoluta sicurezza che l'essere costituente il principio di tutti è lui stesso, per sua essenza, il sommo bene.

Boezio, Consolazione della filosofia, BUR, 1984, p. 231 – 233

La "Consolazione della filosofia" si conclude con un discorso sulla capacità di Dio di essere preveggente, di aver creato l'esistente, di prevedere come l'esistente si trasformerà ma, dice Boezio, lasciando a chiunque la libertà di scegliere anche se lui vede quali saranno le loro scelte. E' il sofismo di Boezio che si identifica con Dio che guarda ogni accadimento perché ogni accadimento sta avvenendo ora, in un eterno presente di Dio.

Nel trattare la chiaroveggenza di Dio (buffi questi filosofi che ci dicono com'è Dio), Dio appare come un'interpretazione del "motore immoto" di Aristotele. Dio vive immobile in una condizione di eterno presente contemplando una creazione definita in ogni sua parte in quanto definite sono le scelte di ogni soggetto e gli effetti che quelle scelte determinano.

Scrive Boezio:

Che importa allora - mi dirai - che non siano necessarie, quando per la condizione della conoscenza divina, ne risulterà, in tutti i modi, un'equivalente necessità? Ha la stessa importanza - rispondo - dei fatti che poco fa ho citato, ossia l'esempio del sole che sorge e dell'uomo che cammina; essi, mentre accadono, non possono non accadere; uno solo di loro, tuttavia, prima ancora che succedesse, era inevitabile che avvenisse, l'altro, invece, no affatto. Così pure, quelle cose che Dio ha presenti, avverranno senza dubbio, ma di queste, alcune discendono propriamente dalla necessità delle cose stesse, altre, invece, dal potere di chi le compie. Non a torto, dunque, dicevamo che queste cose, se si rapportano all'atto del conoscere divino, sono necessarie; se si considerano per se stesse, sono sciolte da ogni legame di necessità, così come tutto ciò che, appare ai sensi, se lo rapporti alla ragione è universale, se lo rapporti a se stesso, è particolare. Ma se è in mio potere - mi dirai - di mutare proposito, vanificherò la provvidenza, quando, eventualmente, io muterò qualcosa che essa conosce in precedenza. Ti risponderò che puoi, bensì, deviare altrove il tuo proposito, ma poiché la verità presente della provvidenza vede che tu puoi ciò e vede anche se tu lo fai e su quale altra scelta eventualmente ripieghi, non puoi evitare la prescienza divina, come non potresti sfuggire allo sguardo di un occhio sempre presente, quantunque con la tua libera volontà ti volgessi alle azioni più svariate.
Allora - dirai - la conoscenza divina si muterà a seconda del mio comportamento, cosicché se io voglio ora questo, ora quello, risulterà che anch'essa debba alternare le vicende del conoscere?
Per nulla affatto. La visione divina, infatti, precorre ogni cosa futura e la rivolge e richiama alla presenza del proprio atto conoscitivo e non ondeggia, come credi tu, nell'alternativa di prevedere ora questo, ora quello, ma con un solo colpo d'occhio previene ed abbraccia, rimanendo immobile, i tuoi cambiamenti. Questa presenza capace di abbracciare e cogliere simultaneamente tutte le cose non deriva a Dio dal realizzarsi delle cose future, ma dalla propria semplicità. In questo contesto si risolve anche la questione che tu hai sollevato poc'anzi, sostenendo che sarebbe indegno il dire che i nostri atti futuri forniscano la causa alla conoscenza di Dio. Infatti questa interna energia della conoscenza divina, che abbraccia tutte le cose con una nozione presente, stabilisce essa stessa la misura per tutte le cose e nulla invece deve alle cose che avverranno in seguito. La realtà è dunque questa, e perciò rimane intatta, per i mortali, la libertà di decisione, e poiché la volontà è sciolta da ogni necessità, non risultano inique le leggi che propongono premi e pene. Resta anche, ben ferma, la realtà di Dio, spettatore dall'alto che tutto prevede, e la sempre presente eternità della sua visione concorda con le future qualità delle nostre azioni, dispensando premi ai buoni e castighi ai cattivi. E non invano sono riposte in Dio speranze e preghiere, che, quando sono giuste, non possono essere inefficaci. Contrastate, dunque, i vizi, coltivate le virtù, innalzate a giuste speranze gli animi, indirizzate al cielo umili preghiere. Se non volete sottrarvi alle vostre responsabilità, non potete ignorare la profonda esigenza di onestà che è riposta in voi, poiché le vostre azioni si compiono sotto gli occhi di un giudice che vede ogni cosa.

Boezio, La consolazione della filosofia, BUR, 1984, p. 385 – 389

Questa è la condizione che sta vivendo Boezio. Prigioniero di un Teodorico, un cristiano ariano, un goto, che ha tentato di detronizzare per favorire l'imperatore cattolico. Per Boezio non c'è salvezza, i delitti che ha commesso chiedono espiazione. Boezio ha giocato la propria partita con i "potenti" e ora attende l'esecuzione che Dio ha visto prima ancora che lui nascesse.

Eppure Boezio era convinto che i malvagi fossero deboli mentre i buoni erano forti e potenti. E' con questa convinzione che lui, buono, intendeva detronizzare Teodorico, malvagio.

Scrive Boezio:

In primo luogo - riprese lei - sarà bene che tu comprenda come la potenza stia sempre con i buoni, mentre i malvagi sono privi di ogni forza, affermazioni queste che si confermano a vicenda. Infatti, dato che il bene e il male sono contrari tra di loro, una volta provato che il bene è potente, risulta evidente la debolezza del male, e, viceversa, qualora appaia chiara la fragilità del male, risulta sicura la solidità del bene. Ma perché la mia affermazione abbia maggior credito, procederò indifferentemente per l'una o per l'altra via, richiamandomi ora all'una ora all'altra parte per confermare le mie asserzioni.
Due sono i presupposti su cui si fondano gli effetti delle azioni umane, e cioè la volontà e la capacità: se l'uno o l'altro manca, non c'è nulla che si possa mandare ad effetto. Se infatti manca la volontà, uno neppure dà inizio a un'azione, che appunto non vuole; d'altra parte, qualora manchi la capacità, la volontà sarebbe vana. Di conseguenza, se vedi che uno vuol ottenere qualcosa e non vi riesce assolutamente, non ci può esser dubbio che a costui è mancata la capacità di raggiungere quanto voleva.
E' evidente - dissi io - e non si può in alcun modo negare.
Ora, se vedi che uno ha realizzato quel che voleva, dubiterai forse che costui abbia avuto anche la capacità di realizzarlo?
No, assolutamente.
In realtà, se uno riesce a far una cosa, lo si deve giudicare capace in ordine a quella cosa, se invece non vi riesce, debole e incapace in ordine alla stessa.

Boezio, La consolazione della filosofia, BUR, 1984, p. 271 - 273

Seguendo questo ragionamento, Boezio è un malvagio. Incarcerato sta aspettando l'esecuzione da parte del boia. Non è incarcerato perché è malvagio, ma in quanto incarcerato è malvagio. Un debole per malvagità che non aveva la volontà per perseguire i suoi fini né la capacità di porsi dei fini da raggiungere.

 

Marghera, 29 giugno 2019

 

 

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Claudio Simeoni

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