La biografia di Marsilio Ficino

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Capitolo 88

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Claudio Simeoni

 

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La biografia di Marsilio Ficino

 

Marsilio Ficino è nato nel 1433, e morto nel 1499.

Marsilio Ficino divenne sacerdote nel 1474 e da prete cattolico praticò la magia, l'astrologia la filosofia scolastica e tradusse interpretandoli (come può interpretare un prete cattolico) i testi di Platone, di Plotino, di Proclo e il Corpus Hermeticum ponendo le basi di una visione esoterica e "misteriosofica" della vita.

Quando parliamo di Marsilio Ficino, parliamo del fondatore di tutta quella struttura di pensiero che è stata indicata come "esoterismo". Una struttura di pensiero che nel corso della storia farà propri tutti i fallimenti con cui i cristiani vogliono dimostrare l'esistenza di Dio. Quando gli spiritisti affermeranno l'esistenza degli spiriti, intesi come anime disincarnate riempiendo l'Europa di sedute spiritiche, condizioneranno pesantemente la cultura. Quando le loro affermazioni saranno dimostrate come truffa e inganno, tutte le loro teorie entreranno ad alimentare l'esoterismo usando delle "autoritas" che credevano negli spiriti disincarnati, come Jung o Lombroso. Ciò che è fallimentare nella cultura si trasforma in "mistero" pronto ad alimentare un sottobosco di credenze utile per usare gli uomini sottomettendoli ad una fede. Allo stesso modo Ficino recupera Platone e nonostante Platone sia stato usato da Agostino d'Ippona per costruire quel cristianesimo che appare in difficoltà nel suo tempo, lo riutilizza arricchendolo del magismo di Giamblico, Proclo e quel Corpus Hermeticum che per lui diventa una vera e propria rivelazione divina.

Nel 1300 erano poche le opere di Platone che potevano essere lette e, in generale, la filosofia greca era sconosciuta salvo l'aristotelismo usato da Tommaso d'Aquino per rivitalizzare il cristianesimo. Si poteva leggere il Timeo di Platone, tradotto da Cicerone. Si poteva leggere Guglielmo di Moerbeke (Moerbeke, 1215 – 1286 circa) un traduttore fiammingo che ha realizzato un commento al Parmenide di Platone ed elementi di fisica e di teologia di Proclo.

Le cose cambiano con l'arrivo a Firenze del bizantino Manuele Crisolora nel 1397. Questo erudito bizantino porta con sé a Firenze codici e commentari di molte opere in greco tra le quali molti dialoghi di Platone.

A Firenze Manuele Crisolora imprime una svolta nella conoscenza del greco e, di fatto, diffonde la cultura filosofica della Grecia di Platone in tutto l'occidente.

Crisolara, in collaborazione con Uberto Decembrio (Vigevano, 1350 – Treviglio, 1427), traduce La Repubblica di Platone e un suo allievo, Leonardo Bruni, Leonardo Aretino, (Arezzo, 1370 – Firenze, 1444), traduce il Fedone (1404/1405), il Gorgia (1409), l'Apologia di Socrate (1424), una parte del Fedro (1424), una parte del Critone (1427/1432), una parte delle Epistole (1410/1411) e parte del Simposio (forse nel 1435).

Dopo costoro, un altro bizantino, Giorgio di Trebisonda, (o da Trebisonda) detto il Trapezunzio (Candia, 1395 – Roma, 1473) traduce altri testi platonici come Le leggi (fra il 1450 e il 1451) e il Parmenide.

Nel 1438 il prete cattolico, venerato come beato dai cattolici e generale dei frati camaldonesi, Ambrogio Traversari detto Ambrogio Camaldonese, su richiesta di Cusano inizia la traduzione della Teologia Platonica di Proclo. Non concluderà la traduzione che sarà portata a termine da Pietro Balbi nel 1462.

Nel 1456 Marsilio Ficino, forse lavorando su testi latini, scrive un'opera perduta dal titolo " Institutiones Platonica" nella quale esprime, come si evince da una lettera, la sua precoce adesione al platonismo. Si pensa che quell'opera sia stata un commento del Timeo, ma nulla è certo.

Nel 1457 Marsilio Ficino scrive una serie di opere come De virtutibus moralibus (1 giugno 1457) e De quatuor sectis philosophorum. Una epistola, De divino furore (1 dicembre 1457). Scrive inoltre piccoli trattati come De voluptate (30 dicembre 1457)17 e Di Dio et anima (24 gennaio 1458).

Fin da giovane Marsilio Ficino fu educato per diventare studioso di filosofia. In una delle prime opere, influenzato dalle interpretazioni di Boezio, era convinto che fra le opere di Aristotele e Platone ci fossero più differenze formali che non sostanziali.

Mentre nelle prime opere Ficino esalta la figura di Averroè, in un secondo tempo se ne distacca fino a manifestare aperta avversione.

Nel 1457 Marsilio Ficino scrive il " De voluptate" in cui tratta il principio del piacere e la visione atomistica della vita trovando queste teorie compatibili con altre teorie che andava praticando. In particolare riteneva che la visione sulla creazione di Platone coincidesse con la visione degli atomisti. Nei primi scritti Ficino citava frequentemente Lucrezio. Progressivamente Ficino prende le distanze dall'epicureismo e dagli atomisti fino ad attaccare violentemente sia Epicuro che gli atomisti. Come fece con Averroè. Per questo decise di dare alle fiamme il suo commento a Lucrezio.

Fra il 1457 e il 1460 Marsiglio Ficino aveva maturato l'idea di diventare una sorta di "profeta del platonismo". Per far questo Ficino inizia a studiare più profondamente la lingua greca. Si pensa che lo abbia studiato alla scuola di Argiropulo (1415 – 1487) che insegnò a Firenze dal 1457 al 1471.

Argiropulo offriva una "visione unitaria" della filosofia greca dai presocratici ai platonici (Socrate, Platone e Aristotele). Appiattì tutte le contrapposizioni dei vari filosofi in funzione del platonismo e fra gli "antichi pensatori" introdusse Zoroastro.

Nel 1460 Argiropulo, in un corso che iniziò in novembre, aveva messo l'accento sul discorso dell'immortalità dell'anima trattando una decina di anni prima i temi che saranno ripresi da Ficino con la Theologia Platonica.

Nel 1463 Ficino inizia a tradurre gli Inni Orfici e studia e approfondisce le opere di Proclo.

Fra il 1462 2 il 1463 Ficino traduce nove dialoghi di Platone. Interromperà la traduzione dei dialoghi di Platone per dedicarsi alla traduzione del Corpus Hermeticum portata a termine nell'aprile del 1463.

Terminata la traduzione del Corpus Hermeticum, Ficino inizia a tradurre in latino una serie di opere come gli Aurea praecepta ed i Symbola pseudo pitagorici, il Commento al Fedro di Ermia, il De secta pytagorica di Giamblico, l'Introduzione matematica a Platone di Teone di Smirne, il De doctrina Platonis di Alcinoo, il De Platonis diffinitionibus di Speusippo ed il De morte attribuito a Senocrate, le cui versioni furono tutte realizzate tra il 1463 e il 1464. Traduce anche gli "Oracoli Caldaici" attribuendoli a Zoroastro.

Nel 1464 Ficino riprende la traduzione dei dialoghi di Platone. Un'impresa che porterà a termine nel 1468/1469. Poi, passerà molti anni per sistemare, limare, correggere l'opera.

Nel 1484 verrà pubblicata l'opera " Corpus Platonicum" con i dialoghi tradotti e sistemati da Marsilio Ficino nel Convento benedettino di San Jacopo di Ripoli.

Fra il 1469 e il 1474 Ficino scrive la sua opera fondamentale. Il titolo del libro è "Teologia platonica sull'immortalità delle anime" che dedicherà a Lorenzo de' Medici.

Nel 1473 Marsilio Ficino è ordinato sacerdote.

Nel 1473 Marsilio Ficino compone "La religione cristiana" in lingua italiana che poi verrà scritto anche in latino.

Dal 1475 al 1476 Marsilio Ficino scrive la " Disputatio contra iudicium astrologorum".

Nel 1481, dopo un'epidemia del 1478, Marsilio Ficino scrive e pubblica "Consiglio contro la pestilenza".

Fra gli scritti in possesso di Marsilio Ficino ci sono molti testi di patristica e Ficino, attraverso la lettura di Agostino d'Ippona, scopre che non ci sono molte differenze fra la patristica cristiana e il platonismo. Cosa che aveva individuato prima di lui anche Petrarca. Sarà Ficino ed altri a diffondere la conoscenza di Agostino d'Ippona che nei suoi scritti aveva usato abbondantemente Platone.

Punto di riferimento costante per Ficino furono i principali testi dell'ermeneutica medioevale. Ermete Trimegisto (il tre volte mercurio) era un testo guida del pensiero ficiano. L'ermetismo veniva visto da Ficino come una sorta di sintesi fra stoicismo, Platone, neoplatonismo e cristianesimo.

Lattanzio considerava Ermete Trimegisto una sorta di re degli egiziani, un profeta dell'avvento di Cristo, e questo giustificava l'uso del Corpus Ermeticum nei lavori di Ficino.

La fusione dell'ermetismo con il cristianesimo sarà un tema fondamentale della Teologia Platonica di Ficino.

Ficino affermava di praticare la "magia naturale", in altre parole, il vampirismo energetico. Cercava di appropriarsi dell'energia di oggetti diversi da sé per accumularla per sé. Costruiva amuleti e talismani a cui attribuiva un potere soprannaturale. Pensava di fare incantesimi musicali cantando gli Inni Orfici.

Non siamo in presenza dell'uomo che si è limitato a tradurre filosofi come Platone, Porfirio o il Corpus Hermeticum, ma siamo in presenza dell'uomo che ha preteso di considerarli "rivelazione di una realtà fattiva" e di spiegarne il significato per i propri fini. Nel 1497 Marsilio Ficino commenta le epistole di Paolo di Tarso nel Duomo di Firenze.

La nozione anima, che in Platone è un mero trucco di natura politica per legittimare la dittatura impossessandosi dei corpi degli uomini e controllarli mediante le caratteristiche del "bene" che attribuisce all'anima, in Marsilio Ficino diventa una condizione reale vissuta dall'uomo che assume la dimensione esoterica dell'esistenza umana. Una visione ontologica per cui, dal momento che Ficino pensa l'"anima", questa deve necessariamente esistere perché, altrimenti, Ficino non la potrebbe pensare. Per Ficino l'"anima" è una realtà non solo perché lo dice la chiesa cattolica, ma perché la sua esistenza è affermata anche da Platone.

Marsilio Ficino fu l'uomo di Cosimo dei Medici, un banchiere che per trent'anni controllò la città di Firenze e che utilizzò Marsilio Ficino per fondare una scuola Platonica a Firenze donandogli la villa di Careggi come sede di una nuova Accademia.

L'Accademia neoplatonica fu fondata da Marsilio Ficino nel 1462 su precise indicazioni di Cosimo de' Medici prima nella villa Le Fontanelle e poi nella villa Medicea di Careggi. Cosimo de' Medici aveva compreso che per fissare il suo potere politico ed economico necessitava anche del dominio della cultura contendendone il controllo alla chiesa cattolica.

Cosimo dei Medici fu colui che con la sua organizzazione privata controllava la città di Firenze senza ricoprire cariche politiche o amministrative. Uno dei prototipi a cui oggi si attribuirebbero i "complotti".

Nella villa di Careggi, Ficino fondò un'Accademia Charegiana che divenne ben presto un centro culturale estremamente attivo.

Marsilio Ficino si dedicava a tradurre le opere di Platone nel tentativo di conciliare il platonismo con il cattolicesimo.

Dalla corrispondenza di Ficino si deduce che all'attività dell'Accademia partecipavano persone come A. Poliziano, Nicola Cusano, Francesco Cattani da Diacceto, Pico della Mirandola, Nicolò Macchiavelli, Giuliano e Lorenzo de' Medici, ma anche giuristi, medici, sacerdoti, poeti e musicisti.

Dopo la morte di Ficino, alla guida dell'Accademia subentrò Cattani da Diacceto e le riunioni si spostarono agli Orti Oricellari.

Nel 1522 l'Accademia venne sciolta quando molti frequentatori parteciparono ad una congiura contro il cardinale Giulio de' Medici.

Marsilio Ficino, sia traducendo le opere di Platone, dei neoplatonici e il Corpus Hermeticum, sia interpretandoli in chiave "magica", fu l'iniziatore dell'esoterismo e di tutte le aberrazioni ad esso legate.

Delle sue interpretazioni platoniche e neoplatoniche si ricordano essenzialmente due punti fondamentali. Il tentativo di far collimare il neoplatonismo, come sviluppo del platonismo, con il cattolicesimo. Cosa che tenterà di fare anche Ratzinger qualche secolo dopo. E svilupperà il concetto di immortalità dell'anima.

Inoltre, nell'esoterismo, per secoli ci si è raccontato della catena di trasmissione della conoscenza che partiva da Ermete Trismegisto, Zoroastro, Orfeo, Mosé, Pitagora, Filone Ebreo, che avrebbero preceduto Platone e da cui Platone avrebbe attinto come, in seguito, fecero secondo Ficino, i neoplatonici.

Si tratta del discorso inerente la Prisca theologia, una teoria inventata da Ficino e altri secondo cui Dio avrebbe rivelato la teologia a Orfeo, Mercurio Trismegisto, Pitagora, Zoroastro che precedettero Platone fino all'arrivo di Gesù. Poi, in mezzo, a seconda delle interpretazioni, ci si mette qualcun altro come Maometto, ad esempio.

Questa fantasia ha fatto un sacco di danni nella storia del pensiero umano legittimando gerarchie di potere sociale che ad essa si ispiravano. La Prisca Teologica ha il solo scopo di legittimare l'ultima religione come se tutti coloro a cui si attribuisce una certa "dignità ideologica" fossero i profeti che la annunciavano. Una sorta di "evoluzione della rivelazione divina". Questa idea ha dominato per secoli, dalla Teosofia a Bahá'í, alimentando quell'esoterismo del dominio dell'uomo sull'uomo che è stato relegato nella cloaca del pensiero umano.

L'intero universo ficiano è formato da Dio, da uno spirito (angelo), dall'anima, dalla qualità e dalla forma. Questi sono i cinque elementi dell'universo ficiano.

Manca totalmente il concetto di coscienza, di consapevolezza. C'è solo la volontà di Dio a cui chiunque si deve sottomettere in una gerarchia predeterminata. Come nel Platonismo e nel neoplatonismo, come nel cristianesimo.

E come Platone ritiene che l'anima sia indipendente dal corpo per poter dominare gli uomini, così quest'idea viene riempita di illazioni da parte di Ficino per rinnovarne il potere di controllo sull'uomo.

Scrive Ficino aprendo il discorso nella Teologia Platonica:

Poiché l'uomo, a causa dell'inquietudine spirituale, della debolezza fisica e del bisogno che ha di ogni cosa, conduce sulla terra una vita più dura di quella delle bestie, se la natura avesse assegnato alla sua vita affatto lo stesso limite che ha dato agli altri esseri viventi, nessun animale sarebbe più infelice di lui. Ma poiché non può accadere che l'uomo, il quale, grazie al culto che ha di Dio, più di ogni altro essere mortale si avvicina a colui che è l'autore della beatitudine, sia in assoluto la più infelice di tutte le creature e poiché soltanto dopo la morte del corpo può raggiungere una maggiore beatitudine, appare necessario che alle nostre anime, una volta uscite da questo carcere corporeo, resti una qualche luce. Ma se le menti degli uomini, "chiuse nelle tenebre di un oscuro carcere", non vedono affatto la propria luce, onde sovente siamo indotti a dubitare della nostra divinità, allora sciogliamo - vi prego! - noi che siamo anime celesti, desiderose di raggiungere la nostra patria nei cieli, sciogliamo al più presto i vincoli che ci legano ai ceppi terreni, per volare del tutto liberi, sospinti dalle ali platoniche e guidati da Dio sino alla dimora celeste, dove per sempre contempleremo felici l'eccellenza della nostra natura.
Ora, affinché risulti chiaro soprattutto la ragione per la quale le menti degli uomini possano liberarsi da questo carcere mortale, vedere la propria immortalità e raggiungere la beatitudine, nella dissertazione seguente tenteremo in base alle nostre forze di dimostrare che, oltre questa inattiva massa dei corpi, alla quale si è fermata l'indagine dei Democritei, dei Cirenaici e degli Epicurei, vi è una qualità efficace ed una potenza, verso la quale si è indirizzata la ricerca degli Stoici e dei Cinici; e inoltre che al di sopra della qualità, che si divide insieme alla dimensione della materia ed è del tutto mutevole, esiste una forma più eccellente, la quale, pur essendo in certo modo mutevole, tuttavia non ammette divisione nel corpo. Gli antichi teologi collocarono in essa la sede dell'anima razionale. Sino a tale forma sono giunti Eraclito, Marco Varrone e Marco Manilio. Cercheremo inoltre di dimostrare che al di sopra dell'anima razionale vi è la mente angelica, la quale non solo è indivisibile, ma anche immutabile. Ad essa si sono fermati Anassagora ed Ermotimo. Ed infine che l'occhio di questa mente, il quale desidera e coglie la luce della verità, è presieduto dal sole divino stesso, verso il quale il nostro Platone comandò, insegnò e si sforzò lui stesso di dirigere lo sguardo purificato della mente.
Una volta saliti fino a qui, compareremo tra loro questi cinque gradi di tutte le cose: la massa corporea, la qualità, l'anima, l'angelo, Dio. E poiché il genere dell'anima razionale, che è al centro di questi gradi, risulta essere il vincolo della natura tutta, regge le qualità e i corpi e si unisce all'angelo e a Dio, dimostreremo che esso è del tutto indissolubile, finché connette i diversi gradi della natura; che è assolutamente straordinario, fintanto che presiede alla macchina del mondo; che è totalmente beato, fino a quando penetra nelle realtà divine. Dimostreremo che il nostro animo realmente si trova in tale condizione ed è siffatto, sulla base innanzitutto di dimostrazioni generali, poi di argomentazioni specifiche, in seguito di evidenze empiriche, infine attraverso la soluzione di alcune questioni.

Marsilio Ficino, Teologia Platonica sulla immortalità delle anime, Bompiani, 2011, p. 11 – 13

La Teologia Platonica di Ficino si apre su delle affermazioni indimostrate e indimostrabili che Ficino afferma per fede. C'è una cosa che chiama "anima", c'è una cosa che chiama "mente angelica" e c'è una cosa che chiama "Dio". Questi concetti sono il prodotto della fede che vengono partoriti da chi non è coinvolto nelle condizioni esistenziali del quotidiano, ma vive immaginando un mondo in cui i suoi desideri si realizzano.

Democrito ed Epicuro indagano la vita, stoici, platonici, come i cristiani, si vogliono impossessare della vita. La volontà e il desiderio di impossessarsi della vita avvicina tutti coloro che per possedere gli uomini affermano che l'uomo, il suo corpo, è nulla rispetto alla sua anima che loro controllano e definiscono. Però, costoro, non si impossessano dell'anima. Non dicono all'anima umana che cosa deve o non deve fare, lo dicono ai corpi. E sono i corpi che bruciano sui roghi perché sono i corpi che non si adeguano alla malvagità di Platone, Ficino o dei cristiani.

Ficino costruisce, in questa citazione del primo capitolo del primo libro, l'unità fra Paolo di Tarso e Platone. Da un lato esalta il desiderio di un Paolo di Tarso vecchio e fallito che implora dicendo "Chi libererà la mia anima dalla prigione del mio corpo" e dall'altro lato esalta Platone che pensa l'anima come imprigionata nella caverna del corpo e che solo liberandola dal corpo può arrivare alla luce che intravvede dalla sua prigione.

Scrive Marsilio Ficino della relazione uomo Dio:

Qui sorgono tre questioni. La prima riguarda il modo in cui la mente si innalzi sino all'idea divina. La seconda riguarda la causa per la quale in tale stato noi non siamo affatto consapevoli di vedere Dio. La terza riguarda il modo in cui Dio assiduamente infonde in noi questa stessa intelligenza, come Platone ha affermato negli argomenti precedenti.
Per il momento rispondiamo così alla prima questione. Allorquando la fantasia, stimolata dalla figura di un qualche uomo percepita attraverso la vista, viene formata dalla immagine dell'uomo, la formula della specie dell'uomo, che giaceva latente nei recessi della mente, una volta stimolata, si illumina e dà forma in atto all'intelligenza della mente o ragione, cui aveva dato forma disposizionale. Tale processo formativo è una sorta di atto intellettivo incerto o piuttosto un inizio di intellezione. Dopo essere stata sufficientemente formata in questo modo, essa viene formata dalla idea dell'uomo, cioè dall'archetipo ideale in virtù del quale Dio genera l'uomo. In questo modo, tramite la formula dell'uomo, la mente corrisponde all'idea dell'uomo, allo stesso modo in cui la cera che viene modellata dal sigillo, quando viene con precisione avvicinata al sigillo, corrisponde perfettamente, al proprio modello. L'intelligenza dell'uomo vera e distinta consiste in tale corrispondenza all'idea. Perciò Platone nel Simposio dice che l'animo amante della divina bellezza, quando comprende gli arche tipi divini, partorisce in se stesso non più soltanto le immagini delle cose, ma le cose vere e dopo averle partorite le nutre, facendosi intimo a Dio e soprattutto immortale.
Ma nessuno più di Giovanni Evangelista sembra aver chiaramente rivelato questo arcano. Egli non dice, come hanno l'abitudine di fare altri, che la mente umana, quando comprende una qualche verità, contempla una verità, ma che essa attua la verità, perché in realtà ottiene che Dio, che è la verità stessa, risulti quasi la sua forma. Allora, infatti, la mente, assunta l'idea, diviene essa stessa la verità di quella cosa che in virtù di tale idea è stata creata. Questo fanno tutti coloro che contemplano, i quali, dice Giovanni, prendono dalla pienezza della mente divina, perché chiunque contempla veramente una qualche specie di realtà, ha ormai ricevuto in se stesso una delle idee, la cui totalità è l'intelligenza divina stessa. Egli dà alla mente del perfetto teologo il nome di oro ardente, perché come l'oro assume la forma del fuoco, in virtù della quale diviene incandescente, sottile e splendente; così la mente del teologo, assunte le idee della mente divina, in virtù di esse risplende della luce della verità ed arde al fornite della bontà. Anche l'Apostolo Paolo afferma che la mente che contempla le realtà divine si rinnova quotidianamente, trasfigurandosi a immagine di Dio e divenendo con lui un unico spirito. Analogamente Trismegisto dice che dall'unione della mente pura con la divinità si forma in certo modo un unico spirito; e tutti i Platonici dimostrano che, quando contempla le idee, la mente entra in contatto con l'intelligenza divina stessa in modo sostanziale e non immaginario, e che l'unità che è propria della mente si unisce a Dio, unità di tutte le cose, in un modo che va al di là della nostra comprensione. Questa dottrina viene sovente sostenuta da Platone nel Fedro, nell'Epinomide ed in altri luoghi. In particolar modo, quando nel Fedro dice che colui che contempla le realtà divine è separato dalle altre cose, totalmente purificato e si unisce a Dio ed è ricolmo di lui; e quando nell'Epinomide afferma che l'animo reso perfetto dalla contemplazione, al cospetto dell'unità divina, diviene in se stesso perfetta unità. La medesima cosa dichiara anche nei libri della Repubblica.

Marsilio Ficino, Teologia Platonica sulla immortalità delle anime, Bompiani, 2011, p. 1075 – 1077

Marsilio Ficino non si pone la domanda se "Dio esiste". Per lui la realtà non può prescindere dall'esistenza di Dio e deve piegare la percezione umana affinché provi non solo l'esistenza di Dio, ma del Dio che Ficino vuole che esista e che, secondo lui, è manifestato da Platone, Ermete Trimegisto e Paolo di Tarso.

In questo modo Marsilio Ficino, nel suo delirio, immagina che Dio sia la sua verità, la bellezza della quale si ricolmi la sua "anima" in una contemplazione in cui il creato riconosce il suo creatore e nel creatore riconosce la propria immagine.

In questo delirio Marsilio Ficino trova conforto in Giovanni evangelista che dichiara che Gesù è la verità e la verità rende liberi di essere sottomessi a Gesù. La verità che rende schiavi gli uomini nelle loro trasformazioni soggettive diventa la verità che rende libero l'uomo dal ciclo dei mutamenti e delle trasformazioni nella sua relazione con il mondo.

In questo modo la mente del teologo diventa la mente di Dio e risplende con tutte le idee di Dio in virtù della verità ardendo in tutta la sua bontà.

Questo assolutismo fideistico di Marsilio Ficino ben si accorda con le strategie di controllo sociale di Cosimo de' Medici.

Nel 1457 Ficino scrive un "commento a Lucrezio". Ficino distruggerà questo commento nel 1492. Le idee sulla natura, sugli Dèi e il divenuto della vita è in contrasto con il platonismo che Ficino farà proprio. E questo la dice lunga sulle intenzioni e sull'onestà intellettuale di Marsilio Ficino.

In Lucrezio non c'è il dio creatore, non c'è gerarchia, non c'è sottomissione e questo, al prete cattolico Marsilio Ficino, risultava intollerabile rispetto alla rivelazione platonica e neoplatonica che esaltava la sua condizione di teologo come "prodotto dell'anima quale stessa sostanza di dio".

Vale la pena di concludere questa rapida biografia di Marsilio Ficino con quanto Ficino dice a proposito del mondo che diviene in sé e per sé. E' un argomento che Ficino ha preso in considerazione, ma che nega violentemente perché tutto deve dipendere da Dio come Firenze deve dipendere da Cosimo de' Medici.

Scrive Ficino nella Teologia Platonica sulla immortalità delle anime:

Dunque, Platone non impedisce affatto di prestare fede alla teologia ebraica, cristiana ed araba, che hanno in comune la credenza che il mondo abbia avuto inizio nel tempo, che gli angeli siano stati creati dall'inizio, mentre le anime immortali degli uomini vengano quotidianamente create. La divina autorità ci impone di crederlo, ma siamo indotti ad ammetterlo anche dagli argomenti seguenti.
La massa del mondo non è per sé, tanto da non dipendere da altro, ed essere in grado di stabilizzarsi nel proprio essere, perché ciò significherebbe che essa in certo modo è in grado di produrre se stessa. Ma il produrre qualcosa non è di pertinenza del corpo, il quale tutto ciò che sembra realizzare, in realtà lo compie in virtù di una potenza incorporea che soggiace nel sostrato, anzi ogni azione che esso sembra compiere va riportata a quell'essenza totalmente incorporea, che permane in se stessa ed è l'origine di quella potenza. Inoltre, la massa corporea non è in grado di tenere unita se stessa. Se è vero che non può tenere unito, se non agendo, e specie perché senza unione non è affatto in grado di tenere unito. Ma è chiaro che la capacità di unire non appartiene a una natura divisibile, la quale essa stessa ha bisogno di unione, ma a una potenza totalmente indivisibile. Inoltre, una medesima massa non può per se stessa operare e muoversi, perché se non può darsi l'essere, molto meno potrà conferirsi l'azione. E viceversa se potesse produrre se stessa, potrebbe anche agire per se stessa. Ma che non sia in grado di operare per se stessa, è evidente anche dal fatto che non può muovere se stessa, come abbiamo provato nel libro sesto. Altrove abbiamo, inoltre, dimostrato che il moto perpetuo e ordinatissimo del mondo ha bisogno di una potenza infinita, che la natura finita e limitata del corpo non può avere da sé. E perciò il mondo, in quanto è per sé instabile e dissolubile, riceve da altro il proprio ordine indissolubile. Ma donde mai lo riceve?
Di certo, se il mondo non può né sussistere per sé, né tenere unito se stesso, né agire o muoversi per sé, necessariamente dipende da una causa che per se stessa esiste e tiene unita se stessa. Intendo una causa del tutto indivisibile, affinché anch'es- sa non debba allo stesso modo essere per altro, cioè in virtù di parti o di una causa che mantiene unite quelle parti; o non debba essere tenuta insieme da altro, cioè dall'unità che connette reciprocamente le parti; o non debba risultare insufficiente, dal momento che necessita di parti; o non debba essere mescolata al non essere, dal momento che ciò che è composto di parti non è nessuna delle parti. Perciò, essendo il mondo composto di parti dissimili, è necessario indagare la causa di siffatta composizione. Infatti, il corpo non compone se stesso, perché non è principio né di azione né di unione. Né si deve dire che le parti del mondo, per effetto di un proprio determinato movimento, siano confluite insieme creando siffatta composizione; perché i corpi non si muovono per se stessi. Tanto meno si deve sostenere che siano giunte a tanto come se fossero costrette da altro e per una reciproca costrizione. Che cos' è infatti ciò che le costringe? E che cosa le costringe primariamente? Inoltre, non è ammissibile attribuire un ordine tanto meraviglioso ad impulsi privi di ordine. In che modo da cose prive di ordine e bellezza può risultare un ordine tanto grande e bello, dal momento che la causa agente suole sempre essere superiore all'effetto? Inoltre, se tu dicessi che le parti del mondo sono le cause materiali di questa composizione, cercheremmo di conoscere la causa efficiente. Se invece dicessi che sono le cause efficienti, nuovamente ricercheremmo in che modo da cose prive di ragione possa risultare un'opera razionale. Per cui, se il mondo non è stato composto né da se stesso né dal caso, certamente ha una causa determinata da cui dipende la sua composizione.
E non si venga a dire che ha soltanto la causa finale. Infatti, ne ha certamente una, dal momento che si dirige direttamente al bene come ad un fine. E dal momento che non si muove verso di esso invano, certo da esso riceve una parte di bene, che prende secondo la propria essenza, poiché è secondo la propria essenza che desidera e si muove. Dunque, riceve l'essere dal medesimo principio dal quale riceve la bontà essenziale. Pertanto, quella causa è tanto efficiente quanto finale. Essa è anche causa esemplare. Se infatti il mondo è portato al bene secondo un criterio stabilito, di sicuro Dio continuamente lo dirige verso il bene secondo un criterio fissato che funge da modello. Ma, dal momento che è compito della volontà guidare in vista di un fine e cercare di giungere al bene, non stupisce che Dio muova il mondo tramite la volontà, così come tramite essa lo ha composto.
Si può aggiungere un'altra ragione a conferma di questo argomento. Ciò che suole definirsi fortuito e contingente è posteriore a ciò che è ordinato o consta di cause determinate. Dunque, l'ordine del mondo non può essere l'effetto fortuito e contingente di una qualche casualità precedente. E se qualcuno sostenesse che vi sono molte cause all'origine degli effetti cosmici, e se non le riunisse al di sotto di una sola, non sarebbe in grado di indicare la causa per la quale il mondo, sebbene consti di parti diverse, sia uno ed unito; né potrebbe dire per quale ragione un insieme unitario sia meglio di una molteplicità di parti, se non trovasse un'unica causa comune superiore a quelle molteplici cause, in virtù della cui potenza tutte quelle cause possano collegarsi. Per cui unica è la causa dell'universo e della sua unione, in vista della quale tutte le cose sono coordinate. Se essa fosse priva di ragione, gli uomini che usano la ragione e conoscono se stessi, sarebbero superiori alla causa prima e l'opera umana risulterebbe più perfetta di quella divina. Dunque, Dio conosce razionalmente la propria infinita bontà che può diffondersi in ogni cosa, e a lui piacque diffondere la propria bontà, perché piacere è proprio del bene, ed è proprio del bene sommo piacere sommamente. In virtù di questo affetto della volontà razionale tutte le cose sono state razionalmente ed ottimamente create, e in siffatto modo vengono continuamente disposte.
Gli oracoli dei Caldei, che sono citati da Prodo, dicono in questi termini che il mondo è ordinato dalla volontà e dalla ragione divina: «L'intelletto del padre, che procede con perfetta saggezza, ha intelligenza delle idee onniformi, le quali scaturirono tutte da un unico fonte. Dal padre, infatti, venivano la volontà ed il fine. Esse sono state ordinate da un fuoco intellettuale, ed in seguito divise in altre idee intellettuali. Il re infatti prepose al mondo multiforme un modello intellettuale imperituro, orma del quale è il secondo mondo, che veloce procede insieme alla forma, ed il mondo apparente dotato delle idee onniformi. Unico fonte dal quale erompono divise altre innumerevoli idee che all'intorno producono i corpi del mondo, le quali adeguatamente assimilate ad un circolo si portano ovunque. Ma alcune intelligenze altrove, altre in un altro luogo erompono dal fonte paterno, come scintille da un fuoco sempre attivo intorno alle idee primordiali. La prima idea infatti e la fonte volontaria sgorgò dal padre». Queste le parole dell'oracolo nel quale si fa menzione del Padre, del Figlio, dello Spirito, delle idee, degli angeli e della disposizione volontaria del mondo. Ma adesso torniamo all'ordine stabilito.
Gli elementi e le piante tutto ciò che compiono, lo fanno in base a una disposizione necessaria della loro natura. Tale disposizione è unica. Dunque, ciascuno di essi non fa che un'unica cosa. Inoltre, le bestie operano tramite il desiderio che mira a oggetti differenti a seconda di come viene diversamente stimolato attraverso i sensi. E come gli elementi e le piante agiscono per una innata necessità, così le bestie operano per una necessità indotta dall'esterno. L'anima razionale agisce tramite la volontà la quale è spinta ad operare non dalle forme delle cose, come il desiderio, ma dalle nozioni e dai giudizi dell'intelletto. Questa operazione libera è giustamente adeguata a un essere vivente più perfetto. E libera più di ogni altra deve essere l'operazione di Dio. Per questo Platone, nel Timeo, dice che la benefica volontà di Dio fu la certissima origine delle cose. Anche Mercurio afferma che il mondo dipende dalla volontà divina, alla quale tutti quanti gli effetti fanno seguito.

[…omessa citazione in greco]

Cioè: «Dopo averle celate, poi tutte le cose sprigionò nella luce grata, attuando fuori dal cuore sacro le mirabili cose da lui pensate». Con queste parole Orfeo apertamente dichiara che il mondo ha avuto inizio nel tempo ad opera della divina volontà.
La natura e il desiderio non intraprendono mai qualche nuova opera, se non quando la natura viene variamente affetta e il desiderio variamente stimolato. Ma 1'intelletto e la volontà, anche nell'uomo, sovente danno inizio ad una nuova opera indipendentemente da uno specifico cambiamento. Al mattino Platone ha stabilito di invitare Senocrate per la sera. L'intenzione di Platone non subisce alcun cambiamento, fino a che, all'ora stabilita, egli non invita Senocrate. Il mutamento si determina non nella mente o nella volontà, ma nella bocca di Platone e nelle membra di Senocrate. La macchina cosmica era sempre stata ideata prima nella mente dell'architetto del mondo, ed era da sempre già stato fissato il momento del suo inizio nella volontà dell'architetto. Esattamente nel momento previsto, essa ebbe inizio, senza che intercorresse alcun mutamento in Dio. Da sempre Dio aveva dentro di sé interamente compiuto il mondo sostanziale. Quindi, consentì al mondo umbratile di venire alla luce solo quando fosse il momento migliore, che fu quando lo stabilì la volontà della divina bontà, in virtù della quale ogni cosa è buona. Se è vero che noi vogliamo le cose, perché sono buone. Ma sono tali, perché le vuole Dio. E nel modo in cui lui vuole che siano buone e quando vuole che lo diventino, solo in quel momento e in quel preciso modo esse sono buone. Allo stesso modo noi comprendiamo veramente le cose, perché le comprendiamo come realmente sono. E viceversa esse sono realmente così, perché così le intende Dio. In questo modo, dunque, dalla intelligenza divina deriva la verità delle cose, dalla volontà divina la loro bontà. Dove è situata la causa prima delle cose, lì è situata la loro somma intelligenza. Per cui, così dovevano razionalmente essere fatte, come Dio le intendeva e vedeva. Dio sapeva che esse dovevano venire alla luce da lui temporalmente, cioè dall'inizio del tempo, ed egli voleva quest'ombra, la cui natura consiste nel moto e nel tempo. Ed il moto dell'ombra cosmica doveva e deve esser prodotto a partire dall'inizio del tempo fino alla sua fine, perché il suo tempo, attraverso ciascuno dei suoi singoli momenti, è simultaneamente nel suo principio e alla sua fine.
Né ci si deve chiedere perché questo mondo abbia cominciato a fluire dalla sua fonte in quel dato momento, piuttosto che in uno precedente; difatti se avesse cominciato mille anni prima, noi domanderemmo ancora perché non prima. Tuttavia, doveva ad un certo punto avere inizio. A ciò si aggiunga che tali domande dipendono da un inganno della fantasia. Prima del primo istante del mondo non esistono affatto istanti temporali, nei quali esso avrebbe dovuto essere creato prima. Tutto ciò che viene pensato anteriormente al mondo, è un unico stabile punto dell'eternità. Ogni scorrere di istanti temporali ha avuto inizio col mondo, nel momento in cui esso si è messo in moto. Allo stesso modo, non bisogna chiedersi per quale ragione il mondo sia situato qui piuttosto che là. Anche questa domanda nasconde un inganno della fantasia. Non esiste alcun luogo fisico al di fuori del mondo. La totalità del tempo misura la totalità del corso del mondo. La totalità dello spazio fisico è perfettamente colmata dalle dimensioni del mondo. E, come si dimostra nel Timeo di Platone, il tempo è pari al corso, lo spazio uguale all'ampiezza delle dimensioni. S'inganna colui che pensa uno spazio fisico al di fuori del mondo. S'inganna colui che immagina istanti temporali prima del mondo. S'ingannerà anche colui che crederà che qualcosa si aggiunga o qualcosa venga meno alla divina perfezione, qualora proceda o non proceda da essa il mondo, il quale è in rapporto a Dio molto meno di quanto non sia l'ombra corporea in rapporto al corpo. D'altronde, al corpo non si aggiunge mai nulla né ad esso viene mai meno qualcosa a causa dell'ombra.
Di certo, il mondo spirituale, modello di questo mondo e prima opera di Dio, è quanto a vita uguale all'architetto. Fu sempre con lui e con lui sempre sarà. Ma il mondo corporeo, che è la seconda opera di Dio, ormai si allontana da lui per una parte, perché non fu sempre. Conserva l'altra, perché sempre sarà. I corpi composti, che sono la terza opera di Dio, perdono ogni parte di eternità. E' ragionevole che il mondo non sia uguale a Dio sotto il rispetto della vita, poiché non è uguale a lui sotto il rispetto della sostanza; ed è altrettanto ragionevole che non sia infinito sotto ogni rispetto, per restare inferiore alla divina infinità. E' conveniente che come tutte le cose posseggono due atti, uno interno e l'altro esterno, dei quali il primo è uguale all'agente per quanto riguarda la vita, mentre il secondo è ad esso inferiore, così anche è giusto che l'autore delle cose contenga dentro di sé un feto uguale a lui quanto a vita, mentre produca fuori di sé una prole inferiore, affinché nell'effetto l'eternità non venga a mancare meno delle altre perfezioni. E come Dio infinito produce questo mondo finito sotto il rispetto della potenza e della grandezza, così appare verosimile che lo produca ex novo e circoscritto da un inizio. E come al mondo viene assegnato uno spazio determinato, perché esso è tale da non potersi estendere per uno spazio infinito, così venga ad esso assegnato un tempo, per così dire, determinato, perché esso è in questo tempo in modo tale da non poter essere stato prima infinitamente. E se Dio supera la sostanza dell'universo di infiniti gradi di perfezione, a maggior ragione deve superarne la durata di infiniti gradi.

Marsilio Ficino, Teologia Platonica sulla immortalità delle anime, Bompiani, 2011, p. 1754 – 1775

Capire il delirio di Ficino ci permette di capire gli sforzi che hanno fatto gli uomini per uscire da questi deliri. Ci permette di comprendere la qualità dell'esoterismo che vive in un'assoluta ricerca di un Dio che non solo non esiste, ma il desiderio della sua esistenza rappresenta il male perché distrugge l'uomo cibandosi della sua volontà d'esistenza che si annulla in una "verità" che è solo fumo per gli illusi.

Il mondo diviene in sé e per sé. Lo sapeva Ficino quando da giovane fu coinvolto dalla lettura di Democrito e di Lucrezio. Ma pensare che il mondo divenga in sé e per sé non ti ricopre di onori del signore di cui fai il cortigiano e il servo intelligente. Devi alimentare il potere del signore che ti fornisce tanti benefici e devi creargli un signore più potente nel quale egli stesso, padrone di uomini, si senta parte di un convitto di uomini che possiedono altri uomini.

Il grande architetto, Dio, che ha forgiato questo mondo è l'idea esoterica che attraverserà la storia dove di esoterico c'è solo l'attività dell'uomo che trasforma il mondo in cui vive trasformando sempre sé stesso.

Ho voluto postare questa lunga citazione per sottolineare il delirio creazionista di Ficino dove il concetto di Dio che controlla gli uomini mediante l'anima che giustifica il diritto di pensarsi il padrone di uomini in quanto creatore. Questo delirio diventa il potere esoterico di gruppi e sette segrete che condizioneranno l'intera Europa. L'Architetto dell'universo diventa un concetto massonico e la stessa Accademia Neoplatonica di Careggi diventa un modello per l'esoterismo di maghi da salotto e astrologi da taverna.

Marsilio Ficino muore il 1 ottobre 1499 nella villa Medicea di Careggi a Firenze.

 

 

Marghera, 07 settembre 2018 revisionata 18 novembre 2019

 

Pagina tradotta in lingua Portoghese

Tradução para o português: Capítulo 88 A biografia de Marsilio Ficino - quinta biografia

 

 

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