Sei capace di giocare a calcio?
Caos aveva appeno spento la nebbia e questa iniziò ad avvolgere con la sua umidità gli arbitri. Yahweh, Fanes, Beppi di (o da) Lusiana e Allahu Akbar, iniziarono a guardare la nebbia con timore attendendo un nuovo arrivo.
"I vien e i ne ciapa a sberle [vengono e ci prendono a schiaffi]" mormorò Beppi da Lusiana "come se mi gavesse [avessi] fatto la filosofia." "Però l'hai vissuta" disse Allahu Akbar "e nel viverla l'hai alimentata giorno dopo giorno." "Io ho fatto la filosofia da quando ho affermato che il mondo fu creato dalla parola" intervenne Yahweh "e la parola distrusse la vita perché la parola è inganno." "E perché lo hai fatto?" Gli chiese Beppi da Lusiana. "E che ne so" disse Yahweh "voi mi avete creato, a vostra immagine mi creaste. Voi, che cosa volevate?" "Forse solo un giocattolo" intervenne Fanete "un giocattolo con cui immaginare meraviglie che la vita quotidiana tendeva a negare."
Mentre gli arbitri così parlavano, la nebbia si abitò di rumori di ferraglia come se ogni goccia di pioggia fosse diventata una goccia di metallo. La stessa nebbia stava per diventare fuoco e i rumori di una fucina invasero lo spazio mentre un uomo dal volto pensoso, così parve, dai muscoli possenti, zoppicando si diresse verso di loro.
"Mia moglie sarà andata a giocare con Ares e quando succede gli uomini non vogliono armi, ma solo divertirsi." Poi, alzato lo sguardo in direzione degli arbitri continuò "Io sono Efesto colui che Era partorì per difendersi dalle devastazioni che Atena avrebbe portato con la sua mania di armi e di strategie militari. Zeus, quando mi vide, mi scagliò dall'Olimpo con tutta la sua forza tanta paura gli procurò la mia presenza. Fu madre Teti, la soccorritrice, che si prese cura di me. Ed io batto il ferro e trasformo i metalli perché uomini e Dèi vogliono armi per combattere la battaglia della loro vita."
"Del pari insegnano come dogma che al termine del sesto stato della Chiesa, stato a cui a detta di loro noi ci troviamo, e che ha avuto inizio da san Francesco, la detta chiesa carnale, Babilonia gran meretrice, verrà rifiutata da Cristo, così come per aver crocifisso Cristo fu rifiutata la sinagoga dei Giudei, perché la chiesa carnale crocefigge e perseguita la vita di Cristo nella persona di frati noti come poveri e spirituali dell'ordine di san Francesco; e si riferiscono sia al primo che al terzo ordine, e alla persecuzione che fu condotta contro di essi in Provenza e nella regione di Narbona, e a cui si é accennato nei precedenti paragrafi."
Bernard Gui, Manuale dell'inquisitore, Gallope Editore, 1998, p. 131
"Io forgio armi, meccanismi, fondendo i metalli della terra" sospirò Efesto "non forgio la testa degli uomini né il loro modo di osservare il mondo in cui vivono. La fede è come un metallo estratto dalle emozioni dell'uomo che qualcuno si prende cura di forgiare e di battere affinché la fede sia piena di credenze alle quali l'uomo non possa sottrarsi. La fede nella "fine dei tempi" che impone sottomissione e deferenza per garantirsi un posto privilegiato in un mondo immaginario al quale si sacrifica la vita nel mondo reale. Nemmeno Zeus, pur essendo un tipo facilmente collerico, (le avete mai viste le tempeste tropicali?) ha mai preteso un tale sacrificio dagli uomini. Loro, gli eretici, insegnano come dogma che la chiesa cattolica sarà rifiutata da Cristo così, per aver ucciso Cristo, fu rifiutata la sinagoga dei giudei. Questi poveri eretici si immaginano il loro Cristo venire in grande potenza sulle nubi per condannare la Chiesa cattolica che, al contrario, in nome di Cristo, si ritiene in diritto di perseguitarli e ucciderli. Gli ertici accusano la chiesa cattolica di essere "Babilonia, grande meretrice" e la accusano interpretando i loro vangeli dove la meretrice di tutte le meretrici è la madre di quel Cristo che esalta il proprio essere la prostituta violentata dal loro stesso Dio."
"Non può parlare alla maniera grande, elevata oltre l'ordinario, se non una mente esaltata. Quando abbia disprezzato il volgare, il banale e si sia elevata per sacro entusiasmo, solo allora può intonare il suo canto con voce sovrumana. Il sublime, l'eccelso, non lo raggiunge mai restando in sé; è indispensabile che la mente si dissoci dall'abituale, si porti in alto, morda il freno e trascini il cavaliere, per condurlo alle vette che non avrebbe osato scalarle da solo."
Seneca, Tutti gli scritti, Rusconi, 1994, p. 293
"Scalare le vette!" mormora Efesto "Che ne sa il camminatore del sentiero che sta percorrendo? Colui che cammina ignora la qualità del sentiero che percorre e mette un piede dietro l'altro assicurandosi che il terreno sia solido. Che ne sa l'uomo, legato alla terra, di cosa prova l'uccello che sembra smarrirsi nel blu del cielo? Che ne sa l'uomo che vive nella ragione quale sia la sensazione o stato d'animo del vivere in un'esaltazione mistica capace di rapire la coscienza di chi la vive? Come l'uomo non conosce il sentiero, così non conosce l'animo dell'uccello in volo o lo stato d'animo del "folle" rapito da un'estasi mistica. L'uomo che vive nella ragione immagina. Immagina sé stesso che fugge dalla sua razionalità e si pensa come l'uomo razionale che percorre sentieri e scala vette di gloria. Oppure, si pensa rapito in estasi mistiche dove l'immaginazione della sua ragione diventa il reale che lui desidera vivere. Eppure" continua Efesto "la grandezza sta davanti a lui. O davanti a me, se preferite. Sta nel ferro che batto e forgio nella forma che desidero, ogni giorno. Sta nel peso del martello che sollevo. Sta nella realtà che modifico perché nelle azioni quotidiane sta il canto e la voce sovrumana che racconta l'immenso di una trasformazione continua. L'eccelso si raggiunge restando in sé e portando il proprio sé nel mondo, nei mutamenti e nelle trasformazione del presente che la vita sollecita. Poi esiste il desiderio di chi ha fallito nella propria esistenza e sogna alte vette da scalare per disprezzare il volgare e il banale della sua vita quotidiana."
"Quando si fece sera, uscì dalla città. E ripassando di buon mattino, videro che il fico era seccato fin dalle radici. Allora Pietro ricordandosene, gli disse: "Maestro guarda il fico che tu hai maledetto è seccato!". Gesù, rispondendo, disse loro: "Abbiate fede in Dio. In verità vi assicuro che se uno dirà a questa montagna: "Sollevati e gettati in mare", e non esiterà in cuor suo, ma crederà che quanto dice avvenga, gli avverrà. Per questo io vi dico: tutto quello che voi chiederete pregando, credete di averlo già ottenuto e vi avverrà. E quando vi mettete a pregare, perdonate, se avete qualcosa contro qualcuno, affinché il Padre vostro che è nei cieli, vi perdoni le vostre colpe"."
Vangelo di Marco 11, 19-26
"Battere il ferro e modificare la realtà della materia per un fine" riprende Efesto "è un lavoro duro che può essere fatto solo da un Dio. Come impastare l'argilla per fare i mattoni; tessere la lana sul telaio; cucinare il cibo; pulire la casa; tagliare la legna; arare il campo; mietere; costruire navi e carri, ecc. Questa è l'attività degli Dèi che vivono nel mondo. E poi ci sono i falliti. Quelli che hanno perso la loro occasione di eternità e che sognano il potere di fare ciò che non hanno mai provato a fare perché non hanno la volontà di abitare il mondo in cui sono nati. Sognano di possederlo. Sognano di poter piegare tutto alla loro volontà mediante la parola. La parola che consenta loro di ottenere ciò che vogliono senza dover non solo faticare, ma adattare sé stessi, modificarsi, in funzione della trasformazione desiderata. E che cosa desidera il fallito nella vita? Il fallito dice "In verità vi assicuro che se uno dirà a questa montagna: "Sollevati e gettati in mare", e non esiterà in cuor suo, ma crederà che quanto dice avvenga, gli avverrà." Quante persone" sogghigna Efesto "ho visto provare la loro fede mettendo a repentaglio la loro vita. Quante persone ho visto morire così stupidamente mentre chi li guardava affermava: "non avevano abbastanza fede". La parola descrive, descrive ogni cosa circoscrivendola dentro una forma, ma non modifica la realtà nella quale gli uomini vivono. La follia del fallito porta quell'uomo a desiderare, a volere, a pretendere, e dal momento che la realtà non risponde alle sue sollecitazioni si rinchiude in una dimensione intima in cui immagina che i suoi desideri siano soddisfatti mediante parole, ordini, ed egli si eleva a padrone e dominatore della realtà. Si immagina Dio che ordina alle montagne di gettarsi a mare."
"E qui rammentiamo la Zerbini, tipo di criminale che defecava nelle stanze del padrone, tagliava i campanelli, simulava gli spiriti e poi accusava la padrona. Anche nelle meretrici non alienate si nota, dice Du Camp, un contegno che rasenta la pazzia. Si vedono mettersi a ridere in coro per una mosca che vola, od annusare, stupefatte, il fuoco, come il mirassero per la prima volta, e dare in un flusso di parole cui nulla può arrestare, e fissare d'essere perseguitate dall'ispettore o dalle compagne. Nelle case di ritiro delle prostitute si è notato come, nella primavera, in ispecie, esse sembrino in uno stato di agitazione quasi maniaca."
Lombroso, L'uomo delinquente, Bompiani, 2013, p. 711
"Che criminale la Zerbini" mormorò Efesto "defecava nelle stanze del suo padrone e poi incolpava la padrona simulando la presenza di spiriti. Che gran delitti!" e rideva Efesto mentre lo diceva "Nemmeno Apollo osò dare del criminale ad Ermes quando Ermes gli rubò la mandria e nemmeno Zeus dette dei criminali ai Titani quando vollero dare l'assalto al cielo. Ma defecare nelle stanze del padrone, quale crimine, un crimine di lesa maestà. Che i servi non osino protestare contro i padroni, poi potrebbero finire per protestare contro quel Dio che si vanta di aver macellato l'umanità col diluvio universale."
Nel dire questo un ghigno apparve sul volto di Efesto che guardava Yahweh che non mancò di rispondere con un'occhiata feroce. Poi, Efesto continuò: "Si vede che Lombroso non è mai stato con mia moglie Afrodite, strano, lei ama tutti, uomini e donne. Saprebbe come la primavera stimoli i rapporti. E se fosse un buon psichiatra saprebbe quanta violenza è stata necessaria per costringere quelle donna a prostituirsi in una società che fa della morale della negazione sessuale il modello a cui le donne sono costrette a sottomettersi negando la loro sessualità. Ma prima o poi" continua Efesto "questa società dovrà fare i conti con mia moglie Afrodite, una maestra di forgia che non plasma l'acciaio, ma le emozioni e il cuore degli uomini e delle donne."
"Esse emanano tutte egualmente dalla divinità; violarle significa offenderla, e tali offese sono colpe che devono venire espiate. Il libro non fa distinzione tra questi o quei comandamenti: essi rappresentano parole divine alle quali non si può disobbedire impunemente. "Se non ti applichi a realizzare tutte le parole di questa legge, scritte in questo libro, nel timore di questo nome glorioso e terribile, l'Eterno Dio tuo, allora l'Eterno colpirà te e la tua posterità". Il mancato adempimento di un qualsiasi precetto, anche se dovuto ad errore, costituisce peccato e reclama l'espiazione. Minacce di questo genere, di cui non possiamo mettere in dubbio la natura penale, sanzionano anche direttamente alcune delle regole che abbiamo attribuito al diritto restitutivo. Dopo aver deciso che la donna divorziata non potrà più essere ripresa dal marito se, dopo essersi risposata, divorzia di nuovo, il testo aggiunge: "sarebbe un oggetto di obbrobrio davanti all'Eterno; così non imporrai nessun peccato al paese che l'Eterno Dio tuo ti dà in eredità"."
Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, 1971, p. 152
"Come se la storia dell'uomo iniziasse quando fu scritta la Bibbia." Riprese Efesto "Tutti gli uomini per centinaia di milioni di anni hanno vissuto senza temere mia moglie Afrodite che sorta dalle acque ha infuso la vita, attraverso l'emozione, alla materia. Tutti gli uomini e tutte le donne si facevano Afrodite. Poi venne qualcuno che volle che le donne fossero merce da comperare e da vendere. Merce da barattare nella società. Yahweh impose la paura e la sottomissione quando Isthar distolse lo sguardo da quel gruppo di pastori ignoranti che giunsero a Babilonia deportati, come tanti altri popoli, per costruire un nuovo mondo. Ed essi non vollero partecipare a costruire quel nuovo mondo. Lo odiavano e da quel mondo si separarono circoncidendo i loro figli. E Durkheim ,figlio del secolo breve, considera l'odio che quei pastori avevano per gli altri popoli come un comportamento naturale e non come un'imposizione culturale. In questo modo la paura di gente disperata e sottomessa divenne la paura degli uomini e gli ordini attribuiti a Yahweh, divennero, per Durkheim, gli ordini di ogni divinità che come Yahweh terrorizzava gli uomini per essere obbedita. Ciò che nella storia era aberrazione dottrinale, per Durkheim divenne condizione naturale delle società antiche."
""Finiscila! Gridò Zarathustra, è un pezzo che il tuo parlare e la tua specie eccitano il mio schifo! Perché hai abitato così a lungo presso la palude, tanto da diventare tu stesso rana e rospo? Non scorre anche nelle tue vene un sangue di palude. Marcio tiepido schiumoso, sì che hai imparato a gracidare e ingiuriare a questo modo? Perché non sei andato nella foresta? O hai arato la terra? Forse che il mare non è pieno di verdi isole? Io disprezzo il tuo disprezzare; e perché hai messo in guardia me e non te stesso? Soltanto dall'amore deve volare a me il mio disprezzo, come un uccello ammonitore: ma non dalla palude!"
Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, 1979, p. 216
"Già sento le vostre voci urlare verso di me" continuò Efesto "con le parole dello Zarathustra di Nietzsche: "Finiscila!" o "Taci!". Certo il mio parlare vi fa schifo. Certo io ho abitato così a lungo nella palude del brodo primordiale della vita che alcuni di voi ancora non erano. Io battevo il metallo quando la vita si muoveva appena e cieca assaggiava un mondo che gli appariva estraneo. Io ho battuto il metallo, arato la terra, navigato sui mari, molto prima che molti di voi arrivassero all'esistenza. Il mio odore è l'odore del sudore, un odore che disgusta chi non supera la forma e non coglie l'immenso della trasformazione del mondo. Io non ingiurio, io chiamo le cose con il loro vero nome anche se alle vostre orecchie questi suoni vi appaiono alieni, Cosa c'è di più squallido dal dire a qualcuno "finiscila"? Tappare la bocca, bruciare i libri, cancellare l'esperienza, costringere all'obbedienza. "Taci", "finiscila" dice il padrone al servo, ma che succede se, al contrario, è il servo che lo dice al padrone? Taci, finiscila! Disse il servo al padrone e non ebbe altra possibilità che far rotolare nella polvere la testa del padrone. Non vi preoccupate, altri Dèi verranno ad eccitare il vostro schifo!"
"Sono addirittura in dubbio, tanto la cosa mi sembra inopportuna, se menzionare quei piccoli mali da cui i cittadini risulterebbero liberati. I poveri, ad esempio, sarebbero liberati dalla tentazione di adulare i ricchi e da tutte le ristrettezze e preoccupazioni che comporta il fare studiare i figli, nonché dai sacrifici a cui vanno incontro per assicurare lo stretto necessario per vivere alla famiglia: ossia il prendere denaro a prestito, per poi magari negare d'averlo preso, oppure il procurarselo con ogni mezzo, o l'affidare totalmente l'amministrazione di ciò che si è guadagnato alle donne e ai servi, e poi tutti gli altri fastidi che uno va a cercarsi per queste faccende e per altre simili che senza dubbio non varrebbe la pena di menzionare, tanto sono insignificanti". "Certo - ammise -, lo vedrebbe anche un cieco". "
Platone, Tutti gli scritti, Repubblica, Bompiani, 2014, p. 1199
Continua a mormorare Efesto rivolto agli arbitri: "Finiscila!" e ancora "Taci!" per poi continuare "I poveri siano poveri e felici di essere poveri. I poveri non diano fastidio ai ricchi. I poveri che sono poveri sono indubbiamente un fastidio per tutti i cittadini ricchi." Ride Efesto mentre continua "Anziché rimuovere le cause della povertà sociale releghiamo i poveri in campi di concentramento fisici o comportamentali che siano. Liberiamo i poveri dalle preoccupazioni, ma facciamo in modo che i poveri continuino ad essere poveri. Liberiamo dalla condizione di dover dare i soldi alle donne o ai servi, ma che siano sempre poveri. Liberiamoli dalla preoccupazione di dover restituire i soldi chiesti in prestito che magari negano di aver chiesto, ma che siano sempre poveri. Sono fastidi per la società amministrata dai ricchi e dai dittatori, ma sono cose immense per il povero che deve sopravvivere in una società che non agisce per risolvere le cause della povertà, ma solo per consentire ai ricchi di non essere infastiditi dai problemi dei poveri. Io Efesto, dalla palude della vita in cui le azioni modificano il presente, vi guardo, vi osservo e continuo a battere il metallo perché questa è la mia arte. Voi Arbitri che avreste dovuto esprimere l'arte della convivenza civile non sapete battere il ferro della giustizia ma avete stuprato Giustizia per garantire a qualcuno il dominio dell'uomo sull'uomo."
Ci fu una breve pausa, un attimo di silenzio. Poi il Dio Efesto riprese a parlare: "Io torno nella mia fucina a battere il metallo e a costruire meccanismi che voi umani nemmeno immaginate. Solo Afrodite consola la mia disperazione davanti alla violenza che avete fatto a Giustizia. Ma siate certi, Cronos è in ognuno di noi e in ognuno di voi e prima o poi sarete costretti a modificarvi, a cambiare o sparire, perché tutto cambia, ogni giorno mentre io plasmo i metalli e Afrodite plasma le emozioni degli uomini."
Mentre Efesto spariva zoppicando ci fu un rumore di un grosso martello, trascinato su un ciottolato, che si dileguava a poco a poco restituendo il silenzio ad una nebbia che, sempre più fitta avvolgeva quell'irreale campo di calcio dove si era svolto questo scontro.
"Ed ora" disse Beppi di (o da) Lusiana "da chi dobbiamo prenderci insulti per la nostra insensata esistenza?"
E poi fu silenzio!
Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.
Marghera, 08 agosto 2020
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