Sei capace di giocare a calcio?
Nebbia, dolce nebbia, che nascondi la forma delle cose e allontani la visione che afferra l'attenzione, cala ancora una volta su questo campo di calcio offuscando le forme per espandere la conoscenza.
Ed era la nebbia la padrona del mondo in cui abitavano in quel momento Yahweh, Fanes, Beppi di (o da) Lusiana e Allahu Akbar.
"Ecco, ora la luce se né andata" mormorò Beppi di (o da) Lusiana "e mi tocca muovermi a tentoni i miei occhi non sono più quelli di un ventenne". Così dicendo, Beppi prese dei rami e li gettò nel fuoco per ravvivarlo.
"La gioventù è effimera" gli fece eco Allahu Akbar "solo la verità è eterna".
"Eterna" riprese Fanes "ma sempre più vecchia, decrepita e maleodorante. La verità marcisce in sé stessa priva com'è di passato e di possibilità future".
"Voi non desiderate la vita eterna?" Chiese Yahweh.
"Io non so" continuò Beppi di (o da) Lusiana "una rinascita segue ala morte? Oppure la morte, come trionfo della vita, è nascita nella luce dopo l'oscurità? Lo so che qualcuno anela a rinascere, si rinchiude nella forma ignorando la molteplice qualità del mondo in cui vive. Nasco e muoio, nasco e muoio, nasco e muoio. Io sono tutti gli Esseri della Natura e tutti noi nasciamo, siamo giovani, invecchiamo e moriamo. Tutti noi nasciamo per godere e godendo moriamo. Alcuni Esseri Umani negano il piacere e il godimento, col risultato di essere morti prima ancora che il loro corpo muoia. La morte è, dunque, la cosa più preziosa che abbiamo. Perché dovremmo rinunciarci?"
"Capisco" Continuò Beppi di (o da) Lusiana "voi non avete lavorato come ho lavorato io a spaccare pietre sul monte Cervino o nelle fabbriche della Svizzera quando qui a Lusiana si faceva la fame. Non avete zappato la terra o tagliato con la falce il fieno quando eravate in ferie. Belle ferie! La morte dà l'idea di riposo. Quell'eterno ozio che chi ha i calli sulle mani e sui piedi ardentemente desidera. "Per vivere ho vissuto!" è la frase dell'eternità, la frase che apre agli Esseri delle Natura le porte dell'infinito."
E la nebbia si mise ad applaudire!
"Generi figli che strisciano sulla terra come vermi che si muovono con difficoltà e generi figli che spiccano il volo come rondoni in un continuo e vorticoso gioco d'ali. Fra tanti suoni indistinti, capita a volte di sentire parole alate." Dalla nebbia emerse un'indistinta figura di vecchio che si muoveva a fatica. Appena la figura si avvicinò al fuoco attorno al quale erano seduti gli arbitri, si lasciò cadere sull'erba.
"Sono vecchio perché ho diviso la forza fra i miei figli. Sono figlio dell'emozione che entrò nella materia rendendola viva prima che Cronos mettesse in moto il tempo. Io sono Giapeto, padre di Menezio il possente, di Prometeo, l'intelligenza progettuale, di Epimeteo incapace di vedere oltre il presente e di Atlante reggitore del mondo e della vita. Sono venuto a parlarvi dello scontro a cui avete assistito. E' bello guardare le azioni nel presente, ma è utile pensare che quelle azioni hanno un significato che sfugge a chi non sa guardare il tempo che gli viene incontro."
"Sebbene poi i fenomeni siano propriamente immagini (species) delle cose, e non idee (ideae), e non esprimano l'essenza intima e assoluta degli oggetti, non dimeno la loro conoscenza è verissima. Dapprima infatti, in quanto essi sono concetti sensitivi, cioè percezioni, attestano la presenza dell'oggetto, perché da esso causati, e ciò va contro l'idealismo; in quanto poi si considerano i giudizi relativi alle cose conosciute sensibilmente - poiché la verità nel formulare un giudizio, consiste nell'accordo del predicato con il soggetto dato, e il concetto del soggetto, in quanto è un fenomeno non è dato se non in relazione alla facoltà sensitiva del conoscere, e secondo essa anche i predicati sono dati come osservabili con i sensi - è evidente che le rappresentazioni del soggetto e del predicato avvengono secondo leggi comuni, e perciò offrono l'occasione di una conoscenza che è la più vera."
Kant, Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile, Rusconi, 1995, p. 89
"Un oggetto è!" inizia Giapeto "Io sono! Io sono l'oggetto che si esprime nel mondo e in quanto oggetto sono fenomeno in sé che si esprime nel mondo in cui vivo. Io non mi penso in quanto "Io" in sé, ma mi penso in quanto "Io" in relazione ai singoli momento che vivo del mondo. Io voglio. Ma ciò che voglio è desiderio. Cosa soddisfa il mio desiderio, è cosa diversa da me ed è ciò con cui io entro in relazione. Il mio desiderio può definire un fenomeno che incontra nel mondo, ma lo definisce relativamente alla soddisfazione o all'espressione del desiderio. Il fenomeno viene circoscritto dal mio desiderio e condotto, così circoscritto, nella mia coscienza dove la "ragione umana" lo descrive mentre il corpo fagocita l'esperienza della relazione. Il fenomeno, come circoscritto dalla mia coscienza, è un oggetto in sé che non definisce l'oggetto che quel fenomeno ha eventualmente manifestato, ma definisce la mia percezione di quel fenomeno e i miei adattamenti nei confronti del fenomeno stesso. Questo è possibile perché "Io sono". "Io sono" la misura di ogni fenomeno e nei confronti di ogni fenomeno io manifesto il mio desiderio attraverso il quale metto in atto i miei adattamenti soggettivi che a loro volta diventano fenomeni rispetto ad ogni oggetto nel mondo che, a sua volta, mette in atto i suoi adattamenti soggettivi in base ai propri desideri e alla qualità che soggettivamente percepisce e descrive del mio agire, fatto fenomeno, nella sua coscienza. Questo diventa un giudizio sui fenomeni e sui predicati che vengono attribuiti ai fenomeni per poterli descrivere. Ma il fenomeno è un oggetto in sé che "Io" misuro mediante me stesso, le mie emozioni, e quella misura viene fatta propria dalla ragione che attraverso essa descrive il fenomeno e immagine alcune finalità del fenomeno."
"La Mente umana non percepisce alcun corpo esterno come esistente in atto, se non per mezzo delle idee delle affezioni del proprio corpo."
Spinoza, Etica, Fratelli Melita Editori, 1990, p. 143
"Un corpo percepisce corpi e si adatta alle sollecitazioni provenienti da altri corpi." Continua Giapeto "I corpi interagiscono con i corpi, la mente, la mente umana in particolare, separa sé stessa anche dal proprio corpo che deve faticare per far giungere alla propria coscienza l'esperienza delle relazioni con altri corpi. La mente è uno strumento del corpo che, cessando di essere uno strumento del corpo, tende ad elevarsi al di fuori dal corpo, al di sopra del corpo fino ad ergersi padrona del corpo. La mente non percepisce nessun corpo. La mente non percepisce nemmeno le altre menti. E' separata e chiusa in sé stessa e vive la solitudine alimentando un mondo ontologico nel quale può vivere da signora e padrone. In quel mondo ontologico la mente farnetica in sé stessa e questo farneticare viene chiamato da Spinoza "idee". Solo che la direzione di quelle farneticazioni chiamate "idee" non vanno dall'esperienza del corpo alla mente, ma dal monto virtuale ontologicamente vissuto della mente al corpo sotto forma di ordine morale e comportamentale. La mente domina il corpo mediante un vissuto illusorio in un piccolo mondo in cui si illude separando sé stessa dal mondo. La mente si identifica con Dio e il legame con Dio diventa tanto più totalizzante quanto più la mente farnetica, come nei casi di malattia psichiatrica. Quando il corpo viene affezionato mediante le emozioni che, sorgendo da altri corpi, si fanno oggetti in sé affezionando la struttura emotiva ed entrando in relazione con essa; la mente si separa dagli stimoli delle emozioni e pretende di dominarle come impulsi "malvagi". La morale della mente deve dominare l'azione del corpo in nome e per conto di Dio."
"Concediamo pure a Democrito e ad Epicuro che gli atomi esistano, che si urtino e che si mettano vicendevolmente in movimento in forza di quell'urto reciproco. Ma è mai possibile acconsentire al fatto che gli atomi, una volta accumulatosi per caso insieme, possano, in virtù di questo, generare un qualche oggetto, modificando la sua forma, determinando la sua figura, rendendolo liscio e uniforme e decorandolo con il colore?"
Democrito, Raccolta di frammenti, interpretazioni e commentario di Salomon Luria (Tratto da Agostino d'Ippona, lettera a Dioscoro [lettera 118] 4,31), Bompiani, 2007, p. 389
"Concediamo pure che la materia sia unitaria," continua Giapeto "afferma Agostino d'Ippona confutando il pensiero di Democrito. Concediamo che gli atomi si mettano in movimento, ma è mai possibile che gli atomi, continua Agostino confutando Democrito, accumulatisi per caso possano generare un qualche oggetto? Cosa manca nella testa di Agostino? Mio fratello, Cronos, il tempo, la trasformazione e le variabili oggettive che trasformano, sistematicamente, il presente. Il fabbricante di spade crea un oggetto partendo da un altro oggetto, il ferro. Il ferro è un oggetto manipolato dalla materia nel corso del tempo. Una materia in cui gli atomi si sono organizzati in modo tale da produrre quella qualità di materia. Lo hanno fatto nel tempo, nelle condizioni e nelle trasformazioni. Atomi o, chiamateli come volete, la parte più semplice della materia che combinandosi forma strutture più complesse che appaiono alla percezione umana come dei fenomeni qualificati per mezzo di predicati. Il fenomeno che appare alla percezione, è un oggetto in sé, finito, nel momento in cui appare. La coscienza lo tratta come un fenomeno in sé perché tale risponde ai suoi bisogni e ai suoi desideri. La coscienza spinge il soggetto ad affezionarsi al fenomeno adattandosi e modificandosi. Ma il fenomeno, anche se considerato un oggetto in sé, non appare da sé per sé. Il fenomeno è un divenuto di un infinito numero di trasformazioni la cui rappresentazione finale appare alla nostra coscienza sotto forma di fenomeno in sé. Che l'uomo usi quel fenomeno per i suoi desideri è del tutto naturale perché il cambiamento nel presente per un futuro è manifestato dalla risposta emotiva che l'uomo mette in atto affezionandosi al fenomeno che si è presentato. "Io" sono il modello che descrive il fenomeno e dal momento che io sono divenuto per trasformazioni successive, non posso esimermi dal pensare il fenomeno, che giunge alla mia percezione, come un oggetto divenuto per trasformazioni successive. Ed è in questo modo che la teoria atomica di Democrito non può essere compresa dai cristiani. Nella loro fantasia, il loro Dio, dal nulla crea il mondo in sette giorni mentre, al contrario, l'universo è divenuto attraverso miliardi di quelli che l'uomo chiama "anni". Ciò che agisce sulla materia, e che noi chiamiamo fenomeno, è sempre un insieme di forze che spingono alla trasformazione sia della materia che delle forze che agiscono su di essa al di là che queste forze siano manifestazione diretta della materia e, pertanto, diciamo che è la materia che si affeziona alla materia, o indiretta mediante forze che agiscono senza modificare la materia che le ha manifestate. Pertanto, sia che il ferro si fonda e prenda la forma di una spada o che un uomo abbia estratto il ferro dalla roccia e lo abbia modellato in forma di spada, si tratta sempre di una condizione in cui gli oggetti si sono affezionati e modificati vicendevolmente."
Giapeto si fermò un attimo come se stesse richiamando alla mente un pensiero che gli era sfuggito. Poi, alzati gli occhi iniziò a parlare parafrasando le parole con cui Agostino aveva definito il pensiero di Democrito: "Concediamo pure a Democrito e ad Epicuro che gli Dèi esistano, che si urtino e che si mettano vicendevolmente in movimento in forza a desideri, a lotte e alla vita in relazioni reciproche. Ma è mai possibile pensare che gli Dèi in questo modo, una volta costruite le condizioni del mondo, possano consentire il generarsi di una data realtà generando la vita attraverso la modificazione della materia e ne modificano sistematicamente la forma determinando la nascita delle specie della Natura con forme e colori diversi? Aggiungiamo mio fratello, Cronos, che ha operato per tempi inimmaginabili e possiamo immaginare il venir in essere della vita come pensato da Democrito."
E mentre Giapeto diceva questo, Fanes sorrideva!
"L'elemento più comico della cosa è che il Sig. During per dimostrare la non esistenza di Dio partendo dal concetto dell'essere, applica la prova ontologica dell'esistenza di Dio. Essa suona così: se noi immaginiamo Dio, lo immaginiamo come la somma di tutte le perfezioni. Ma alla somma di tutte le perfezioni è inerente prima di tutto l'esistenza, infatti un essere inesistente è necessariamente imperfetto. Quindi, fra le perfezioni di Dio dobbiamo annoverare anche l'esistenza. Dunque Dio deve esistere... Precisamente nella stessa maniera ragiona il sig. During: se noi pensiamo nella nostra mente l'essere, lo pensiamo come un concetto. Ciò che è compreso in un concetto è unitario. Conseguentemente esso deve essere unitario. Conseguentemente Dio non esiste. Ecc."
Engels, Antiduring, Editori Riuniti, 1971, p. 48
"I fenomeni sono oggetti che affezionano il soggetto coinvolgendo le sue emozioni. Un soggetto affezionato a sé stesso, immagina sé stesso come "l'essere" separandosi dal mondo degli "esseri". Ora la mente può immaginare sé stessa come "l'essere" solo all'interno della separazione della mente dal corpo. Per quella mente, il corpo ha cessato di affezionarsi ai fenomeni del mondo e i fenomeni del mondo non sono più in grado di affezionare il soggetto incidendo sulle sue emozioni e i suoi desideri. La mente vive una separazione dal corpo. Certamente le azioni del corpo vengono considerate dalla mente, ma rimangono su uno sfondo del possibile senza poter superare la barriera della coscienza e far giungere a questa l'esperienza dell'azione. Questa mente abita su un piano diverso, distinto e separato dal corpo e per poter vivere crea un suo mondo immaginario nel quale rifugiarsi. Questo mondo è il mondo ontologico dove l'esistenza degli oggetti è determinata dal fatto che la mente pensi quegli oggetti e fantastichi su di essi. La stessa negazione degli oggetti appartiene al mondo ontologico. Gli oggetti non esistono perché la mente li nega. Negare e affermare sono le attività di creazione e di distruzione della mante quando questa è separata dal corpo e ha isolato il soggetto dal mondo dei corpi, delle azioni e dei fenomeni. Nel mondo ontologico la mente non produce concetti o descrizioni di fenomeni percepiti nella vita reale. Nel mondo ontologico la mente crea e distrugge. Nel mondo ontologico il Dio creatore ha fatto il mondo in sette giorni e lo distrugge quando vuole perché, avendolo creato, è anche il signore e padrone del mondo e degli oggetti che lo abitano.
"Siamo d'un tratto passati dalla sfera economica a quella psicologica. All'inizio eravamo tentati di cercare il patrimonio della civiltà nei beni esistenti e nei regolamenti che ne regolano la distribuzione. Ma una volta riconosciuto che ogni civiltà si fonda sulla coercizione al lavoro e sulla rinuncia pulsionale, sicché suscita inevitabilmente opposizione in coloro in confronto dei quali queste esigenze sono fatte valere, diventa chiaro che i beni stessi, i mezzi per acquisirli e le regole concernenti la loro distribuzione non possono essere la caratteristica essenziale o unica della civiltà. Beni, mezzi e regole sono infatti minacciati dalla ribellione e dalla smania distruttiva dei partecipanti alla civiltà. Accanto ai beni fanno ora la loro apparizione i mezzi che possono servire a difendere la civiltà, i mezzi di coercizione e altri destinati a conciliare gli uomini con essa e ad indennizzarli dei loro sacrifici. Questi ultimi possono quindi essere descritti come il patrimonio spirituale della civiltà."
Freud, L'avvenire di un'illusione e disagio della civiltà, Newton 2010, p. 36
"L'ontologia è una sfera prettamente psicologica perché le idee ontologiche sono espressione di un bisogno della psiche. "Continua il discorso Giapeto "Un bisogno della psiche espressa da desideri cortocircuitati in un individuo incapace o impossibilitato ad espandersi nel mondo. Cosa ha costruito quella che noi chiamiamo "civiltà"? Le necessità degli uomini che si sono via, via trasformate e modificate attraverso la relazione con altri uomini. Quando il Dio degli ebrei e dei cristiani ha manifestato il suo essere "padrone di uomini", quando Platone ha desiderato che gli uomini obbedissero ai suoi dettami, gli uomini hanno cessato di essere un insieme che affrontava un mondo, che si relazionava con il mondo in cui vivevano, per vivere una condizione di perenne instabilità psicologica fra il desiderio di possedere altri uomini e il desiderio di non essere posseduti da altri uomini. Questo perenne conflitto che porta a sottomettere uomini ad una verità e uomini che tentano di liberarsi da una verità imposta che determina il loro ruolo nella relazione con altri uomini, ha finito per assumere così tante rappresentazioni da impedire agli uomini di scorgere l'essenza dei problemi costringendoli a fissare la loro attenzione sulle rappresentazioni formali. Osservare le rappresentazioni formali ha, di fatto, portato la psicologia degli uomini a fissare dentro sé stessi ruoli gerarchici o possibilità di gerarchia a cui le loro emozioni tendono ad aspirare. Così Gesù può affermare: " Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone." (vangelo di Matteo 10, 24-25). In questo modo il controllo degli uomini riproduce sé stesso. Non si tratta di un insieme di uomini che affrontano la loro vita costruendo condizioni buone, ma si tratta di chi trae vantaggio dal possesso di altri uomini per garantirsi ricchezza sottratta alle condizioni di chi quella ricchezza produce. Questo furto di vita è giustificato da una fantasia ontologica dove la realtà, quella della vita quotidiana degli uomini, viene sottomessa a regole morali che nascono dall'irrealtà farneticata di una realtà ontologica che risponde ai desideri del farneticante. Come in Platone che, considerando sé stesso un "filosofo", farnetica su una società in cui gli uomini si sottomettono ai "filosofi" e i "filosofi" determinano le regole comportamentali della società civile. Non esiste in Platone un'affermazione che risponda alle esigenze della società reale, esiste solo farneticazione di una struttura psicologica il cui desiderio è possedere gli uomini pur non possedendoli nella vita reale."
"Una vita retta, che non è parte indeterminante della religione e della vera pietà, interessa anche la vita civile e, in essa, risiede tanto la salvezza delle anime quanto quella dello Stato. Le azioni morali appartengono quindi sia alla giurisdizione del reggitore civile sia a quello personale, sia al governatore civile che a quello domestico, voglio dire: sia al magistrato sia alla coscienza. Qui risiede, perciò, il grande pericolo: lasciate che una di tali giurisdizioni interferisca con l'altra e nascerà immediatamente discordia tra il custode della quiete pubblica e quello delle anime. Ma se si considera correttamente ciò che è stato affermato in precedenza circa i limiti di entrambe queste autorità, si potrà rimuovere ogni difficoltà in proposito."
Locke, Lettera sulla tolleranza, Demetra, 1995, p. 46
"Un Dio padrone detta una morale e la morale imposta viene prima fagocitata per necessità esistenziale e poi diventa il modello della "vita retta"." Inizia così il nuovo discorso Giapeto "Una volta che il modello è acquisito, non serve più attribuirlo al Dio padrone, ma viene trattato come un carattere naturale della società civile. Un carattere che, come dice Locke "... in essa, risiede tanto la salvezza delle anime quanto quella dello Stato". Perché lo Stato, in Locke è il Dio padrone sociale al quale gli uomini si devono sottomettere. La giurisdizione delle leggi morali sono un affare di chi possiede gli uomini e nel possederli ha la forza per dire ai posseduti che cosa devono o non devono fare per compiacere il reggitore, Dio. Locke strappa Dio dalla gestione della religione e trasforma lo Stato in religione a cui attribuire i predicati di Dio rispetto agli uomini. In questo modo, quanto appartiene all'ontologia si trasferisce dalla sfera virtuale di una mente staccata dal corpo per entrare nella vita reale come sistema di regole che determinano il comportamento del corpo in relazione ad una gerarchia di dominio. L'ontologico, il virtuale, assume la dimensione reale capace di condizionare la vita degli uomini. E Locke avverte il pericolo. Non il conflitto fra chi è costretto alla sottomissione e all'obbedienza contro chi lo costringe all'obbedienza e alla sottomissione, ma il conflitto fra chi sottomette l'uomo mediante il controllo della sua struttura emotiva, Dio, e chi sottomette l'uomo mediante il controllo dei corpi, lo Stato. Locke avverte il pericolo che le autorità che dominano l'uomo possano entrare in conflitto. Da qui la necessità di regolare i rispettivi poteri separandoli in una specifica sfera di influenza che costringe le persone alla sottomissione dividendosi equamente i vantaggi che ne derivano dal dominare e sottomettere gli uomini."
"Oh questo non pare a me che sia ben detto; perché questa terra, che si rompe, si semina, e che è fruttifera, è una parte, e ben sottile, della superficie del globo, la quale non si profonda salvo che per breve spazio, in comparazione con la distanza fino al centro: e l'esperienza ci mostra che non molto si cava al basso, che si trovano materie diverse assai da questa esterior corteccia, più sode e non buone alla produzione de i vegetali; oltre che le parti più interne, come premute da gravissimi pesi che a loro soprastanno, è credibile che siano costipate e dure quanto qual si voglia durissimo scoglio. Aggiungete a questo, che indarno sarebbe stata costruita la fecondità a queste materie che già mai non erano per produr frutto, ma per restare eternamente sepolte ne' profondi e tenebrosi abissi della Terra."
Galileo Galilei, Opere vol. II, Dialogo sui massimi sistemi, Utet, 2005, p. 483
"I miei figli all'interno della natura" continua Giapeto "hanno fatto delle scelte che li hanno portati a relazionarsi col mondo interpretando il mondo mediante la forma e la quantità. Non sono certo da biasimare. Solo alcuni, nel farlo, hanno ignorato l'emozione, da cui la vita procede, sottomettendola ad una ragione che, incapace di descrivere il mondo in cui i corpi vivono, ha finito per elaborare una dimensione virtuale, una dimensione ontologica, che permettesse loro di spiegare e finalizzare un mondo che la percezione della forma e della qualità non gli consentiva. In particolare, questa fu la scelta degli Esseri Umani a cui ho messo a fondamento i miei figli. Menezio la potenza della coscienza, Prometeo l'intelligenza analitica, Epimeteo la possibilità di limitare la percezione del mondo e il grande Atlante, la capacità di prendersi la responsabilità dei propri atti. Qualcuno, ogni tanto, incatena la sua intelligenza, il suo Prometeo, e rinuncia all'uso della sua intelligenza analitica istigando altri ad imitarlo. Eppure Prometeo tende ad emergere negli Esseri Umani " Oh questo non pare a me che sia ben detto; perché questa terra, che si rompe, si semina, e che è fruttifera, è una parte, e ben sottile, della superficie del globo.... Il Prometeo dentro agli uomini spinge gli uomini ad analizzare il mondo e ampliare la descrizione del mondo mediante l'esplorazione di nuove forme, di nuove quantità, di nuove qualità E' l'attività del Prometeo liberato dentro la coscienza di ogni singolo uomo. Prometeo non si illude ontologicamente dell'onnipotenza di Zeus. Prometeo afferma che lui è in grado di padroneggiare il fuoco ampliando la conoscenza dell'uomo alimentando la fiamma del conoscere che arde dentro di lui. Galileo Galilei vive come un Prometeo incatenato. Scuote le sue catene ed esplora lo sconosciuto che lo circonda. Osserva quanto emerge dallo sconosciuto e interpreta quanto riesce a percepire. Forse la sua interpretazione potrà non essere precisa e coerente, ma la sua interpretazione nasce dall'osservazione e dal vivere quanto sta sperimentando. La visione delle cose di Prometeo è antitetica all'interpretazione ontologica della realtà perché Prometeo prima vive ed esperimenta e poi descrive mentre, al contrario, l'ontologia prima afferma e poi obbliga a vivere secondo le affermazioni. L'ontologia immagina un Dio onnipotente; Prometeo indica la conoscenza come costruzione mediante l'attività dell'uomo nella vita reale."
Giapeto fermò per un attimo le sue parole e soppesando continuò osservando Fanes: "All'inizio, sembrava un gioco. L'emozione pervase l'universo e noi, sei Titani e sei Titanidi, emergemmo come materia che esprime necessità mentre l'universo si trasformava e l'emozione fagocitava l'Intento che con ali d'oro era emerso dal grembo di Nera Notte. Poi, improvvisamente, iniziammo a cambiare l'universo nel quale siamo emersi finché nostro fratello, Cronos, impugnata la falce dentata della volontà che la materia per lui forgiò, colpì e detronizzò l'emozione permettendo alla materia di trasformarsi. Cronos aveva messo in moto il tempo e anche se chi germinò prima di allora continuò ad essere ciò che era, tutti entrammo nella trasformazione e fummo costretti a partecipare alla costruzione della vita. Ognuno di noi mise sé stesso perché la vita aveva bisogno dei Titani anche se il possente Zeus e i suoi fratelli rinchiusero i Titani, che formano ogni vivente, nel loro Tartaro dove solo i coraggiosi possono scendere e tornare diventando il Titano che ogni necessità richiede."
Giapeto alzò lo sguardo e il campo di calcio, immerso nella nebbia, si allontanò alla sua vista. Ora non era più il vecchio stanco che sedeva attorno al fuoco, ora era il gigante che sovrastava l'universo, immenso come le necessità della vita.
Di tutto questo Fanes, fra tutti gli arbitri, era il solo che rideva e scuoteva la testa per allontanare un pensiero che non voleva esprimere ad alta voce.
Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.
Marghera, 23 gennaio 2021
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