Sei capace di giocare a calcio?
Beppi di (o da) Lusiana aveva ripreso a zappettare la terra togliendo le erbe dalle file dei pomodori dell'orto quando Yahweh gli chiese: "Ma tu, non ti senti padrone del mondo? Ti ho creato a mia immagine [genesi 1, 27] e ti ho dato il dominio sulla Terra affinché tu la rendesti sottomessa come tua proprietà. Ti ho dato il dominio sugli animali, sui pesci e sugli uccelli [Genesi 1, 28]."
Beppi di (o da) Lusiana si fermò un attimo, mise le mani sulla testa del manico della zappa e vi poggiò sopra il mento. Per qualche istante parve riflettere.
"Prova un po' a riflettere" prese a dire Beppi di (o da) Lusiana "Tu dici di avermi creato a tua immagine e somiglianza dunque, nell'immagine e nella somiglianza non c'è differenza fra Yahweh e Beppi di (o da) Lusiana. Io e te abbiamo la stessa immagine e la stessa somiglianza. Dunque, se io, come io faccio, affermo di averti "creato" certamente l'ho fatto a mia immagine e somiglianza. Certo, non ti ho dato la mia esperienza, la mia conoscenza, la mia capacità di trasformarmi nel tempo, ma ti ho dato un'immagine e una somiglianza che persistono nel tempo sempre uguale a sé stessa. E dove sarebbe il mio dominio sul mondo? Quest'erba che sto sradicando ha il potere di crescere e di dominare la terra e se io voglio proteggere i miei pomodori, devo togliere l'erba. Io ho la forza di togliere quest'erba, ma quest'erba ha il dominio sulla terra ed io, per quanto ne tolga, la vedo sempre rinascere, rinascere, rinascere."
"Io non ho nessun dominio sul mondo" rise Beppi di (o da) Lusiana "posso fare solo ciò che fa ogni animale, modificare l'ambiente per qualche attimo e adattarlo alle mie esigenze. E poi" aggiunse Beppi di (o da) Lusiana" illudermi di essere onnipotente perché, in fondo, tu sei solo la rappresentazione dell'impotenza umana che sogna l'onnipotenza."
"Eppure" aggiunse Allahu Akbar " ci si domanda: perché l'uomo non crede? Ma se voi non agirete (come non agireste!) abbiate terrore del fuoco, divoratori di esseri umani e di pietre, preparato per i kafiruna [idolatri, non credenti] [cor. II la Vacca, vers. 24]"
"Come tu stesso dici" continuò Beppi di (o da) Lusiana "tu non hai nessun dominio sull'uomo. Lo minacci di morte. Come Yahweh, lo minacci di distruzione e di annientamento. Sei altro dall'uomo, estraneo alla sua vita, estraneo alla sua società con la necessità del fuoco e della distruzione come Yahweh ha la necessità dell'acqua che devasti e sommerga la terra annientando i suoi miscredenti. Che potere avete sull'uomo se dovete uccidere l'uomo per dominare l'uomo? Chi uccide e stermina è senza potere. Si comporta come l'avaro che getta nel mare tutte le proprie monete affinché nessuno le possa avere privando sé stesso di quelle stesse monete che costituivano la sua ricchezza. Vedete l'erba che strappo alla terra? Per un attimo i pomodori potranno assumere un maggior numero di sostanze dalla terra. Ma l'erba ricresce e io non ho distrutto l'erba, mi sono ritagliato uno spazio di tempo, in cui ho strappato l'erba, per favorire i pomodori. Ma se io avessi fatto in modo che l'erba non crescesse più, avrei fatto in modo che quella stessa terra diventasse incapace di produrmi i pomodori."
Come Beppi di (o da) Lusiana tacque, dalla nebbia uscì un applauso. Un unico e possente battito di mani che interruppe ogni discorso bloccando sul nascere la risposta di Yahweh a Beppi di (o da) Lusiana.
Gli arbitri guardarono cercando di individuare forme nella nebbia, ma non furono in grado di cogliere nulla. Nessuna forma. Nessuna modificazione della nebbia ai loro occhi, ma una voce disse: "Io sono Kreios, uno dei figli che l'emozione, Urano Stellato, contribuì a far geminare con Gaia, la materia-energia dell'universo. Il sono colui che trasforma, colui che costruisce, colui che non è mai uguale a sé stesso. Potenza, saggezza, trasformazione che con le stelle e i venti sono tutti dentro di me e in Euribia attendendo di mostrarsi. Mostrandosi, mostrano l'universo in tutta la sua potenza. Io sono il Signore che abita nel tartaro del vostro cuore e quando voi mi chiamate alla coscienza volete che le vostre azioni si esprimano attraverso i miei nipoti: le vostre azioni non tendono forse ad ottenere un risultato? Alla vittoria, a Nike! Le vostre azioni non sono forse un agire in una situazione che volete modificare? Esse sono Cratos, il potere che muove le vostre azioni. E quando le azioni sono necessarie per la drammaticità della vostra vita, è Bia che sorge in voi come Zelos è l'ardore che vi rende impavidi. Sono molto altro e con Euribia abbiamo costruito le condizioni dell'universo. Condizioni che non sono forma, ma potenze della trasformazione in perenne divenire perché le forze della trasformazione nascono dalla nostra forza di essere nel mondo."
"Infatti Platone dice divinamente che la virtù dell'animo non comincia a fiorire se non sfiorisce quella del corpo. Allora fiorisce in tutto il suo splendore la sapienza delle realtà divine, allora si realizza la saggezza nelle attività umane e risultano pienamente efficaci l'equilibrio e la costanza. E ciò che è più importante è che anche la capacità di percepire in quanto tale, che è nell'anima, propriamente non viene perduta a causa della malattia o della vecchiaia, sebbene, una volta che l'occhio sia danneggiato, il suo atto si interrompa, per via del fatto che gli oggetti non possono essere rappresentati in modo sufficientemente chiaro."
Marsilio Ficino, Teologia Platonica, Bompiani, 2014, p. 777
"L'idea di distruggere il corpo per alimentare le malattie della psiche" Inizia il suo discorso Kreios "è un'idea che nasce con i cinici e viene fatta propria da Platone che spaccia la distruzione del corpo come mezzo per raggiungere il divino. Un'idea fatta propria dal cristianesimo che vende la povertà come modello preferibile di vita a cui contrappone la ricchezza del clero cristiano che, con amore, soccorre la povertà affinché continui ad essere nella povertà. Distruggere il corpo per coltivare la miseria psichica era un'idea platonica finalizzata al controllo dei corpi ad opera dei tiranni. Corpi malati producono una psiche delirante e una psiche delirante non è in grado di analizzare la realtà nella quale il corpo vive e nella quale dovrebbe operare. Certamente, nessuno smentisce Platone quando parla di immortalità dell'anima, ma si sono dimenticati di chiedere a Platone una qualche prova di una tale affermazione. Ed avrebbero dovuto dal momento che coltivare la miseria impedisce al corpo di essere attivo ed efficace nella società in cui vive. Con questo Platone, fatto proprio da Ficino, afferma che è l'anima che percepisce e non il corpo anche se è costretto a constatare che un occhio menomato non gli permette di percepire le forme. Un corpo che non è efficiente manifesta una struttura emotiva sofferente. La sofferenza induce l'individuo a produrre deliri al punto tale che l'individuo non è più in grado di distinguere il reale dall'immaginato. L'individuo si perde nella sua immaginazione. Platone afferma che l'immaginato avvicina l'uomo al divino mentre, al contrario, porta l'uomo all'autodistruzione mediante una malattia mentale che lo separa dal mondo e dalla vita."
"I disturbi di un cervello squilibrato si possono distribuire in tanti generi principali, differenti tra loro, quante sono le facoltà dell'animo che esse colpiscono. Ritengo complessivamente di poterle ordinare sotto i tre gruppi seguenti: in primo luogo la distorsione dei concetti dell'esperienza nell'allucinazione, in secondo luogo il disordine prodotto nella capacità di giudizio, innanzitutto da questa esperienza stessa, nel vaneggiamento, in terzo luogo, lo stato ormai distorto della ragione rispetto a giudizi più generali, nello spirito demente. Tutte le altre manifestazioni del cervello malato mi sembra possono essere comprese e sussunte sotto le classi menzionate o come diversi gradi dei casi già citati, o come un'infelice coesistenza di questi mali tra loro, o infine, come impianto degli stessi su potenti passioni."
Immanuel Kant, Saggio sulle malattie della mente, Ibis, 2009, p. 41 e 43
"Kant individua dei comportamenti palesemente irrazionali che dimostrano un allontanamento dell'uomo dalla realtà come comunemente descritta." Continua Kreios "La distorsione della percezione che si trasforma in allucinazione quando il soggetto, ai fenomeni percepiti, proietta la sua interpretazione, altro non è che il suo desiderio che i fenomeni siamo quanto egli desidera che siano. L'allucinazione è sempre un giudizio soggettivo, sia quando è associata a fenomeni percepiti che quando è prodotta dal soggetto che vuole descrivere una realtà immaginata. Il soggetto vive nel vaneggiamento, in una realtà virtuale tutta sua, che lo separa dal mondo e dalle relazioni con altri soggetti nella società. Questo individuo ha la necessità di imporre la propria realtà virtuale ad altri soggetti affinché gli altri soggetti facciano propria quella realtà virtuale dalla quale far discendere la logica con cui affrontare la loro quotidianità. In questo modo evita l'emarginazione. Quando il soggetto che vaneggia viene individuato come vaneggiante dalla società, il soggetto viene emarginato, considerato inadeguato, e costretto a chiudersi in un mondo tutto suo nel quale è signore e dominatore qualunque sia la condizione di emarginazione sociale che sta vivendo. In quel momento subentra la demenza nella quale il soggetto limita il numero dei fenomeni e degli oggetti del proprio mondo fino a ritornare ai ricordi dell'infanzia quando le sue emozioni si veicolavano nel mondo ed egli era libero di immaginare ciò che desiderava senza per questo dover rendere conto ad una società che lo sottoponeva a giudizio. In quel mondo c'è il suo padrone, Dio, che comprende il suo dolore nella separazione fra sé e il mondo e alimenta quel dolore alimentando la certezza che lui vive nel giusto mentre, al contrario, tutto il mondo sta sbagliando. Per questo è bene che lui si separi dal mondo. Il mondo non merita la sua "santità". In questo modo il delirio di onnipotenza si ritrae in sé stesso e cannibalizza l'individuo nella sua esistenza. Esistono pratiche che dilatano la percezione dell'uomo nel mondo, ma queste pratiche vengono socialmente ignorate in quanto gli uomini vivono nella convinzione che l'uomo sia creato ad immagine e somiglianza di Dio, anziché mettere in pratica azioni che sviluppano la loro percezione e con essa, la loro coscienza e la loro conoscenza, preferiscono bloccare ogni possibile sviluppo nel momento presente. Costringono ogni singolo individuo ad arretrare nella propria percezione del mondo, ad essere umile davanti a Dio, e alimentare tutte quelle pratiche che rinchiudono l'individuo in sé stesso. Kant legge alcuni effetti della distorsione della percezione, ma lui non si chiede: "A che punto è la mia percezione?". Non si chiede se può sviluppare ulteriormente la sua percezione; se può percepire cose diverse da quelle che percepisce; se la realtà è più complessa di quanto egli descrive. No, Kant vive in quel delirio di onnipotenza che lo trasforma in giudice di un presente. Un giudice che ha sé stesso come modello e che si erge a Dio, assoluto e immobile, davanti ad una realtà che non ha possibilità di essere ampliata, ma può solo deteriorarsi, rimpicciolirsi, davanti alla grandezza di Dio. Così, oltre alla percezione delle cose che ne ha Kant, Dio, non esiste altro da percepire, non esiste un infinito che la realtà attuale deve affrontare o può affrontare. Kant non indaga sugli strumenti e sulle tecniche per ampliare la percezione della sua realtà, ma fa da giudice sulle malattie mentali che riducono la percezione della realtà rispetto alla sua percezione della realtà o che distorcono la percezione della realtà rispetto alla sua percezione della realtà. E' sempre il delirio di onnipotenza, sia che sia espresso da Kant sia che sia espresso dal demente nella contrazione della realtà nella quale vive o immagina di vivere. L'uomo che pensa sé stesso creato ad opera di un Dio pazzo, cretino e deficiente, pensa a sé stesso come la creazione di Dio e non si preoccupa di ampliare sé stesso perché non pensa che la perfezione di Dio possa essere ampliata. L'uomo, che si pensa creato da Dio, può solo restringere la realtà che vive, non ampliarla. Questo è il grande problema della filosofia."
"Limitato è il sapere del singolo, ma illimitata è la ragione, illimitata la scienza, infatti questa è un atto collettivo dell'umanità, e questo non solo perché una moltitudine infinita coopera alla costruzione della scienza, ma anche nel senso intrinseco, in quanto il genio scientifico di un tempo determinato riunisce in sé, benché di nuovo in un tempo determinato, individuale, le forze intellettive dei geni precedenti e quindi la sua forza non è singola."
Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, Laterza, 2003, p. 99
"L'approccio di Feuerbach è un approccio sociale" continua Kreios "il conoscere come patrimonio della società e non come semplice atto del singolo. Un conoscere che si sedimenta e che si stratifica diventando patrimonio della specie, di una specie tesa comunque verso un futuro possibile. La coscienza appartiene al singolo e del singolo esprime anche la conoscenza. La conoscenza è lo strumento con cui il singolo individuo affronta il mondo in cui vive. Normalmente tutte le specie della Natura trasformano la conoscenza acquisita in esperienza che tramandano sia mediante la cultura (ai propri figli) che mediante la fissazione di una conoscenza acquisita come patrimonio intrinseco della specie (si fissa sul dna o rna, o qualcosa che è simile e che si tramette di generazione in generazione). La nascita delle società umane, per come è organizzata la razionalità umana e per le esigenze umane di controllo del mondo in cui l'uomo vive, è stata possibile grazie ad una sorta di patrimonio collettivo del "sapere razionale". Un sapere, una conoscenza, che è prodotta dal corpo che abita il mondo, ma sulla quale, mediante la coscienza si è agito analizzando astrattamente i fenomeni del mondo che ha prodotto un'interpretazione che chiamiamo "cultura". L'uomo non conosce i confini del mondo in cui è nato. Circoscrive i confini del mondo alla sua persona e li amplia solo se altri uomini non hanno percorso sentieri oltre quei confini e raccontano a quell'uomo che cosa c'è oltre quei confini. In questo modo la conoscenza di altri uomini è utile alla mia conoscenza e mi permette di progettare pur non avendo sperimentato le loro stesse esperienze. Se poi riesco a raccogliere la conoscenza razionale di chi ha preceduto queste generazioni, allora accumulo un bagaglio di esperienze razionali, pensate e ponderate da altri uomini che mi consentono di sviluppare altra cultura senza dover ripetere la loro stessa esperienza. L'invenzione della scrittura da parte dell'uomo serviva proprio a questo. La scienza è cultura che si sviluppa continuamente. La scienza non è una verità; non dà una verità; la scienza determina una descrizione del mondo in base alle scoperte della realtà del mondo che ha fatto fino a quel momento. La scienza è "ricerca del vero". Un vero che determina negli uomini alcune scelte che possono essere contraddette a mano a mano che altre scoperte scientifiche ampliano la conoscenza o smentiscono la realtà delle scoperte precedenti. Normalmente, non è il dato individuato che erra ingannando lo scienziato. Normalmente è l'educazione, le idee aprioristiche che ha uno "scienziato" che, anziché descrivere il risultato della sua scoperta pretende di dare un'interpretazione morale o ideologica per confermare idee diverse ed estranee alla ricerca stessa."
"Ma ci si chiede: in che cosa deve consistere l'educazione politica? Ci si può limitare a diffondere l'idea che la classe operaia è ostile all'autocrazia? Certamente no. Non basta spiegare agli operai la loro oppressione politica (allo stesso modo che non basta spiegare il contrasto dei loro interessi con quelli dei padroni). Bisogna fare dell'agitazione a proposito di ogni manifestazione concreta di questa oppressione (come abbiamo fatto per le manifestazioni concrete dell'oppressione economica). E poiché questa oppressione si esercita sulle più diverse classi della società, poiché si manifesta nei più diversi campi della vita e dell'attività professionale, civile, privata, familiare, religiosa, scientifica, ecc., non è forse evidente che non adempiremo al nostro compito di sviluppare la coscienza politica degli operai se non ci incaricassimo di organizzare la denuncia politica dell'autocrazia sotto tutti i suoi aspetti? Ma per fare dell'agitazione sulle manifestazioni concrete dell'oppressione, non è forse necessario denunziare queste manifestazioni (allo stesso modo che per condurre l'agitazione economica bisogna denunziare gli abusi commessi nelle fabbriche)."
V. I. Lenin, Opere scelte in 6 volumi, I volume, Che fare? Editori Riuniti - Edizioni Progress, 1972, p. 289
"Il problema che affronta Lenin è il problema della conoscenza unito alla consapevolezza delle persone di essere il soggetto su cui si articola la società civile." Riprende il discorso Kreios "Quella che Lenin chiama coscienza di classe è la coscienza del cittadino quale soggetto della società. L'operaio, ai tempi di Lenin, ma anche ora, impiega il proprio tempo in cambio di un salario. Il tempo che impiega è un periodo di alienazione di sé stesso dalla società civile. Entrando in fabbrica, l'operaio si dimette da cittadino per diventare la macchina umana che trasforma merci in prodotti atti a soddisfare i bisogni umani. In fabbrica, la macchina umana viene privata dei diritti e del proprio tempo di vita e il compenso che riceve, per questa privazione, di solito è inadeguato per soddisfare i bisogni di quella macchina umana quando ritorna ad essere un cittadino. C'è un limite all'uso del tempo della macchina umana da parte della fabbrica. Ci sono mansioni limitate e limiti operativi che devono essere i modi d'uso di tale tempo. Se la fabbrica supera quei limiti, la fabbrica crea ingiustizia nei confronti dell'operaio che ha alienato sé stesso dalla società civile per entrare in fabbrica. Quando la fabbrica supera i limiti nell'uso della forza lavoro, non solo danneggia la propria forza lavoro, ma crea un conflitto fra la necessità dell'operaio di vendere alla fabbrica il proprio tempo mantenendo inalterata la propria capacità di lavorare e l'uso che di quel tempo ne fa la fabbrica. O l'operaio ha la prospettiva di uscire dalla condizione che lo costringe ad alienare sé stesso dalla società, oppure deve garantirsi migliori condizioni di vita in quella parte di tempo che ha messo a disposizione della fabbrica. Questo "garantirsi migliori condizioni di vita" implica quella che Lenin chiama "coscienza di classe", cioè la consapevolezza dell'individuo che, non potendo modificare la condizione del proprio essere operaio, cerca di conquistarsi migliori condizioni di vita nel tempo che dedica alla fabbrica. E' possibile trasformare questa necessità in un fattore di mobilitazione politica? Solo se la mobilitazione politica promette di migliorare le condizioni dell'operaio. Nel momento stesso in cui l'operaio si rende conto che può migliorare le proprie condizioni di vita cambiando Stato (emigrando) o scegliendo strategie di carriera sociale, all'operaio non interessa più la "coscienza di classe". All'operaio interessa "l'evasione dalla classe" cioè alienarsi dal lavoro di fabbrica. Quel partito politico che garantirà agli operai "l'evasione di classe", magari costruendo classi subalterne di emarginati nei confronti delle quali gli operai possono esercitare un certo potere (interinali, lavori a progetto, precari, ecc.), agli operai non interessa più una "coscienza di classe", ma ne negano l'esistenza in funzione del piacere del nuovo dominio che possono esercitare sugli emarginati che magari fanno il loro stesso lavoro. Gli operai, intesi come insieme e chiamati impropriamente "classe operaia", non esercitano più il proprio potere come elemento propulsivo della società, ma esercitano il proprio potere come elemento coercitivo della società. Questa è la regola, salvo nei rari momenti in cui le fabbriche vengono chiuse e, dall'oggi al domani, operai che avevano fino ad ieri uno stipendio sicuro ora diventano emarginati. Allora chiedono solidarietà perché passano dal ruolo di vessatori dei precari e degli emarginati al ruolo di precari ed emarginati a loro volta."
"Per conoscere direttamente una cosa o un certo insieme di cose, occorre partecipare di persona alla lotta pratica che modifica la realtà, che modifica quella cosa o quell'insieme di cose; solo così è possibile prendere contatto con i loro aspetti fenomenici e scoprirne l'essenza e comprenderle. E' questo il processo della conoscenza che ogni uomo segue nella realtà, sebbene alcuni, deformando di proposito i fatti, sostengano il contrario. I più ridicoli a questo mondo sono i "saccenti" i quali hanno solo un'infarinatura di cognizioni casuali e frammentarie ma si considerano "superiori a tutti", il che testimonia la loro incapacità di valutare serenamente se stessi. Il sapere è scienza, e questa non ammette la minima disonestà o presunzione; esige invece proprio il contrario: onestà e modestia. Per acquisire delle conoscenze, bisogna partecipare alla pratica che trasforma la realtà. Per conoscere il gusto di una pera, bisogna trasformarla mangiandola. Per conoscere la struttura e le proprietà dell'atomo, bisogna modificare lo stato dell'atomo, facendo esperimenti fisici e chimici. Per conoscere la teoria e i metodi della rivoluzione, bisogna prendere parte alla rivoluzione."
Mao Zedong, Opere scelte in 5 volumi, vol. 1, Casa editrice in lingue estere, Pechino, 1969, p. 318
"Il problema della formazione della conoscenza è ben descritto in Mao Zedong." Continua Kreios il suo discorso "Per conoscere l'universo io, Kreios, ho partecipato alla costruzione dell'universo. Ho vissuto ogni singola trasformazione e ogni attimo in cui l'universo si trasformava formava la mia conoscenza, il mio conoscere di un presente che era premessa alle possibilità future. Conoscere significa trasformare sé stessi in funzione della conoscenza che si reputa necessaria per poter operare nella quotidianità. Non si conosce la realtà con la mente, ma con il corpo che abita la realtà. Tutta la vita è analisi, sperimentazione, errore e capacità continua di ripetere gesti all'infinito per interiorizzare le finalità che i gesti devono portare. Il saccente, indicato da Mao Zedong, non è colui che abita il mondo e che, magari, interpreta in maniera errata origine ed effetti di fenomeni percepiti, ma è colui che all'analisi dei fenomeni sostituisce la sua immaginazione. Non analizza il fenomeno, non lo vive, non lo considera nelle sue azioni, ma lo relega in un sottofondo della propria percezione perché attribuisce a quel fenomeno significati, origine e intenti che non sono propri del fenomeno, ma appartengono all'immaginario soggettivo. Il conoscere è un abitare col corpo che viene modificato ogni volta che il conoscere qualcosa di nuovo penetra l'individuo e la sua struttura emotiva. I concetti di cui parla Mao Zedong, onestà e modestia, non sono delle categorie morali, ma sono metodi di lavoro dove l'onestà consiste nell'analizzare l'oggetto e i suoi effetti prima di dare un giudizio sull'oggetto e la modestia è l'atteggiamento che alimenta la convinzione che la scoperta di meccanismi non comporta l'espressione di una verità, ma comporta l'aver ampliato la comprensione di oggetti o fenomeni del mondo nella consapevolezza di altre cose che sono da scoprire, da svelare e da descrivere. La realtà che gli uomini vivono è una realtà in continua modificazione. I meccanismi, attraverso i quali la realtà si trasforma non si possono descrivere, possono solo essere vissuti, partecipati e compresi nella loro realtà solo se l'uomo partecipa a quelle trasformazioni e a quei mutamenti. Il sapere e la scienza non ammettono nessuna presunzione. Tu non puoi presumere che il mondo sia stato creato da Dio e dedurre i meccanismi del mondo come effetto della volontà di Dio. Questa idea, che metti a fondamento del tuo vivere il mondo, ti impedisce di analizzare le cose, il loro perché, e di individuare i meccanismi che le modificazioni mettono in moto nell'ambiente in cui si esprimono. Il corpo abita il mondo, percepisce il mondo, subisce le reazioni del mondo e risponde ai fenomeni del mondo. La mente dell'uomo, quando non è impegnata nelle azioni del corpo, immagina. L'immaginazione è cibo per la mente, ma se l'immaginazione non è legata al vivere dell'uomo e al suo abitare il mondo, quella mente tende a farneticare immaginando un mondo diverso dalla realtà fattuale."
"I sociniani, che sono considerati dei bestemmiatori non riconoscono la divinità di Gesù cristo. Essi osano sostenere, con i filosofi dell'antichità, con gli ebrei, i maomettani, e tante altre nazioni, che l'idea di un dio uomo è mostruosa, che la distanza di un dio dall'uomo è infinita, e che è impossibile che l'essere infinito, immenso, eterno, sia stato contenuto in un corpo perituro. [...] citano San Paolo, che non chiama mai Gesù Cristo Dio, e che spesso lo chiama uomo. Spingono la loro audacia fino al punto di affermare che i cristiani impiegarono tre secoli interi per formare a poco a poco l'apoteosi di Gesù, e che elevando questo sorprendente edificio si limitarono a seguire l'esempio dei pagani, che avevano divinizzato dei mortali. Inizialmente, secondo loro, Gesù fu visto solo come un uomo ispirato da Dio; in seguito come una creatura più perfetta delle altre. Qualche tempo dopo gli fu dato un posto al di sopra degli angeli, come dice San Paolo. Ogni giorno accresceva la sua grandezza. Divenne così un'emanazione di Dio prodotta nel tempo. Non era abbastanza; lo si fece nascere prima del tempo. Infine, lo si fece Dio consustanziale a Dio. Crellius, Volquelsius, Natalis Alexander, Hornebeck, hanno fondato tutte queste bestemmie su argomentazioni che stupiscono i dotti e pervertono i deboli. Fu soprattutto Fausto Socini a spargere i semi di questa dottrina in Europa; e verso la fine del XVI secolo c'è mancato poco che non fondasse una nuova specie di cristianesimo: ce n'erano già più di trecento!"
Voltaire, Tutti i romanzi e i racconti e Dizionario filosofico, Dizionario filosofico, Newton, 1995, p. 551
"L'idea della presunzione che si sostituisce alla conoscenza è ben presente in Voltaire." Riprende a parlare Kreios "Voltaire presume che Socini bestemmia mentre sta analizzando una situazione che, per quanto l'analisi possa apparire di allora, aveva la forza di modificare l'ottica sulla credenza diffusa attorno a Gesù dimostrandone incongruenze ideologicamente false e inaccettabili. Voltaire difende la realtà del cristianesimo, come enunciata dai vangeli e come interpretata dai cattolici. Non analizza le affermazioni di Socini, ma sulle affermazioni di Socini proietta le sue convinzioni fideistiche. L'idea di un "Dio uomo" che agisce come "Dio padrone" fra gli uomini, è, oggettivamente, un'idea mostruosa. Voltaire difende l'idea del cristianesimo, in quanto cristianesimo, in quell'ottica illuminista dove il nemico dell'uomo non è Dio o Gesù, ma è la chiesa cattolica che usa, secondo loro in maniera inappropriata, Dio o Gesù. Il proposito di Voltaire è di mantenere la fonte dell'odio sociale e criminalizzare chi usa quella fonte per i propri interessi come se la fonte in sé avesse dei propri interessi diversi dall'uso che ne viene fatto. Se definisci un insieme religioso, come quello cristiano, sei responsabile delle affermazioni di ogni sua parte e dei problemi che ogni sua parte suscita fintanto che non condanni quelle parti che altri individuano come criminali. Che ne è del cristianesimo se condanni l'attività di Dio nel macellare l'umanità col diluvio universale? Se condanni quell'attività togli al cristianesimo il diritto di assassinare impunemente gli uomini, ma soprattutto togli al cristianesimo il diritto del suo Dio di essere impunito nella sua attività di criminale. Voi uomini vi pensate onnipotenti quando in nome del Dio cristiano ammazzate altri uomini, ma gli uomini e le donne sono la ricchezza che forma una società e se voi non siete capaci di portare quegli uomini e quelle donne dalla vostra parte, anziché ammazzarli, perdete una ricchezza sociale, diventate più poveri e miserabili. Nel vostro essere più poveri e miserabili farneticate attorno alla grandezza di Gesù o di Dio mentre la miseria esistenziale vi avvolge e vi soffoca. Il cristianesimo, un sistema religioso inventato per dominare l'uomo, è sempre stato incongruente e pieno di contraddizioni inumane. Di volta in volta gli uomini individuano questa o quella contraddizione, ma non sono mai in grado di produrre una visione generale in grado di togliere la sottomissione emotiva che il cristianesimo ha imposto nelle emozioni dell'uomo costruendo il suo "diritto" a sottomettere l'uomo."
"L'idea del tempo non deriva, ma è supposta dai sensi. Non si può infatti rappresentare se le cose che cadono sotto i sensi siano simultanee o successive, se non per mezzo dell'idea del tempo; la successione non genera il concetto del tempo, ma a esso si richiama. Perciò la nozione del tempo, come se fosse stata acquisita per mezzo dell'esperienza, assai male si definisce come una serie di cose attuali che esistono l'una dopo l'altra. E non capisco che cosa significhi la parola dopo (post), se non ho già prima il concetto di tempo. Sono infatti l'una dopo l'altra quelle cose che esistono in tempi diversi, così come sono simultaneamente (simul) le cose che esistono nello stesso tempo."
Kant, Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile, Rusconi, 1995, p. 95
"La ragione suppone l'esistenza del tempo." Continua Kreios " Questo perché la ragione è separata dal tempo, dal mutamento, come è separata dal mutare della ragione. La ragione vive un presente che non ha divenuto e non vede motivi o necessità per divenire. Il mutamento è misura del tempo. Il mutamento è azione del tempo in essere. Un'azione che sospende la ragione, sospende la verità in essere, perché si appresta a manifestare una nuova e diversa verità che scaturisce da quel mutamento. La ragione non comprende. La coscienza non comprende, ma il corpo abita, il corpo vive, il corpo si trasforma mentre la coscienza, osservando il corpo trasformato, afferma che è sempre stato così. Ora, prima o dopo, sono presenti che la coscienza razionale descrive ricordando una descrizione precedente e confrontandola con la descrizione attuale. "Ieri nevicava e oggi c'è il sole". Due presenti. Uno collocato in "ieri" e l'altro collocato "ora". Ma sempre due presenti dove la presenza di un presente annulla l'altro che viene relegato in un passato immaginario mentre vengono cancellati tutti i meccanismi di trasformazione che hanno portato dal presente che colloco nell'ieri al presente che chiamo oggi. Uno annulla l'altro. Quando la mia coscienza concentra sé stessa sul presente che chiamo "ieri" annulla il presente che chiamo "oggi" e tenta di richiamare alla mente, alla coscienza, le emozioni vissute nell'ieri. Il tempo, la trasformazione, appartiene al corpo e non può essere pensata mediante la ragione. Questo è il motivo per cui ogni ragione ha maggior facilità nel dichiarare "l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio" piuttosto che dichiarare "l'uomo diviene in sé e per sé". Nella prima idea l'immagine è statica e la ragione può descrivere quella realtà senza vivere il pericolo di dover essere disgregata in funzione di una diversa descrizione mentre, al contrario, accettare l'idea che "l'uomo diviene in sé e per sé" significa che la ragione è costretta a prendere coscienza di vivere all'interno di un processo di disgregazione continua della ragione che deve continuamente distruggere la propria descrizione del mondo per formulare nuove e diverse descrizioni del mondo nelle quali deve introdurre continuamente nuovi e diversi fenomeni."
Poi Kreios, Crio, tacque.
Fu il silenzio che avvolse gli arbitri. La nebbia imperversava su di loro come fosse una dissolvenza capace di separare i diversi momenti di formazione della conoscenza.
Nel frattempo gli arbitri, pur consapevoli che Kreios, Crio, era sempre presente, vivevano una sorte di sospensione della loro coscienza nell'attesa dell'arrivo di una nuova e diversa presenza di un Dio che sapevano doveva arrivare.
Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.
Marghera, 10 settembre 2021
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