Sei capace di giocare a calcio?
Cuori spezzati e cieli neri in mari tempestosi attraversati da lava di fuoco. L'universo sembrava collassare su sé stesso compiendo la distruzione di ciò che era stato distrutto perché privo di forma, di volontà, di intento e di scopo.
Il tempo stava roteando in un vortice di trasformazioni che sembrava stessero costruendo equilibri di un presente che cessava di esistere.
Nulla di ciò che era stato sembrava persistere mentre il presente viveva la bonaccia di un'attesa priva di respiro e priva di un cuore che battesse.
Non era silenzio, non era frastuono.
Era il tempo diventato non-tempo dove tutto vuole tornare all'origine, ma non può perché non esiste origine delle non-cose, dei non-presenti che hanno cessato di essere cose o presenti.
"Questa è Atropo" mormorò Fanes "il patto della vita che Nera Notte stipulò con Caos."
"La Moira è figlia di Zeus; mette fine al filo della vita dei nati nella Natura. Ma noi non siamo nati nella Natura" disse Allahu Akbar "noi siamo figli dell'immaginazione umana e per tagliare il filo della nostra esistenza, la Moira dovrebbe tagliare il filo dell'esistenza dell'umanità".
"Il patto d'amore di Nera Notte con Caos consisteva nel fatto che, ad ogni amplesso, da cui germinava un presente possibile, sarebbe seguito un ritorno a Caos perché a modificarsi non era il presente possibile che germinava da Caos, ma era Caos che si modificava fagocitando ogni presente che si manifestava nell'universo come nella vita di ogni singolo Essere della Natura." Ebbe a parlare Fanes "Il sigillo al patto fu Atropo, l'infinitamente piccola e l'infinitamente immensa che fa girare il fuso di ogni vita nell'universo e che taglia ogni filo perché ogni presente ritorni in Caos."
"Questo è il presente dal quale siamo nati" disse terrorizzato Yahweh "se questo presente cessa, cessiamo anche noi di esistere".
Poi Yahweh, rivolto a Beppi di (o da) Lusiana chiese: "Ma tu non hai paura della Moira che taglia il filo della tua esistenza?"
Beppi di (o da) Lusiana poggiò a terra la sua zappa e vi si appoggiò come fosse un bastone buono per sorreggere un corpo che appariva stanco e, guardando Yahweh dritto negli occhi (non c'era umiltà né deferenza negli occhi di Beppi), disse: "Io vi ho creato con la mia immaginazione. All'inizio sembrava una buona idea immaginare qualcuno che soprassedesse ai meccanismi di un mondo che appariva sconosciuto alla nostra ragione. Poi, quell'immaginato prese forma e sostanza. L'immaginato divenne oggetto in sé e non si limitò più ad abitare l'immaginazione, ma pretese di essere il padrone della vita di chi lo aveva immaginato. Voi, immaginati, prendeste sostanza e noi, che vi abbiamo immaginato giocando con la vita, diventammo schiavi di ciò che avevamo immaginato. Sarebbe stato possibile non immaginarvi? Forse, ma così non è stato. Quanti uomini e donne ha annientato e reso sofferenti quest'immaginazione? Ma ora ho capito." Continuò Beppi di (o da) Lusiana, "Voi" disse rivolgendosi a Yahweh e Allahu Akbar "come prodotto dell'immaginazione umana, siete fissi e fermi nello spazio e nel tempo perché gli uomini che vi immaginano hanno le medesime necessità (di dominio su altri uomini) nell'immaginarvi, ma la società umana è composta da uomini in trasformazione che un po' alla volta circoscrivono ed isolano gli uomini che vi alimentano con la loro immaginazione."
Beppi di (o da) Lusiana, rivolto a Fanes disse "La forza che genera coscienza nella materia inconscia, persiste, ma è sempre uguale a sé stessa. La materia modifica il suo presente, ma non si modifica il presente vissuto da Fanes che dalle ali d'oro emerse dall'uovo d'oro deposto da Nera Notte con Caos."
"Dunque" concluse il suo discorso Beppi di (o da) Lusiana "Io solo, come Essere della Natura, posso esistere oltre la Moira. Che Atropo tagli il filo di ogni specifica vita della natura o che tagli il filo dell'esistenza dell'universo, io persisto perché mi trasformo e non necessariamente devo vivere nello stato presente. Io sono trasformazione continua. Caos che diventa ragione, per una frazione di tempo, per tornare ad essere Caos con una coscienza sempre in trasformazione. Sempre uguale e sempre diversa."
"Io sono!" disse Beppi di (o da) Lusiana " e sarò oltre la Moira perché il filo che taglia la Moira è il filo del mio presente vissuto, non il filo della mia coscienza. Muore l'immaginazione umana e, con essa, ciò che vi tiene in vita perché voi, non avendo trasformazione, non avete la forza per affrontare la Moira."
"Quattro arbitri osservano la partita. Due non supereranno la Moira. Uno persiste uguale a sé stesso, uno sarà ucciso dalla Moira per diventare eterno."
"Io taglio sempre il filo della vita" ebbe a dire quella strana voce "taglio il filo della vita degli Esseri tutti i giorni e tutti i giorni gli Esseri ritessono il loro filo. Gli Esseri prendono in mano il filo e lo alimentano con la loro volontà. Il filo della loro vita è fatto di emozione, consapevolezza, coscienza e conoscenza che vengono plasmate nell'azione e nei loro intenti esistenziali. In ogni istante gli Esseri muoiono e in ogni istante gli Esseri rinascono. Rinascono diversi dall'attimo precedente eppure la loro coscienza li fissa nel "è sempre stato" non ricordando come fu che da un ieri, in cui sono morti, sono risorti nell'oggi pensandosi uguali a ieri.
"Io sono Atropo la figlia di Nera Notte da cui Zeus non poté prescindere quando costruì le condizioni affinché nascessero gli Esseri della Natura. Come Essere nell'universo in ogni istante nasce e muore in una continua trasformazione di sé stesso, così gli Esseri della Natura nascono e muoiono in una continua trasformazione di sé stessi. La volontà è Cloto che abita in loro con la quale filano la sequenza di azioni che i comuni mortali chiamano "destino" nei limiti che Lachesi, la specie cui appartiene ogni singolo Essere, determina. Cloto è la trasformazione, il tempo del singolo Essere; Lachesi è lo spazio in cui avvengono le trasformazioni del singolo Essere; io metto fine a tempo e spazio del singolo Essere. Cosa hai costruito in te stesso in ogni singola trasformazione? Come hai sfruttato lo spazio della tua esistenza? Hai sufficiente potere per andare oltre la condizione alla quale io metto fine? Se non ti sei trasformato, così sei nato, così muori e diventi nulla: hai costruito il nulla nella tua esistenza e nel nulla la tua coscienza può solo arrivare."
"Io sono Atropo e sono venuta per tagliare il filo di questa partita di calcio della filosofia in cui gli uomini hanno espresso la loro volontà nel loro abitare il mondo. Io mi trasformo attraverso le azioni degli Esseri e ogni volta che taglio un filo dell'esistenza; ogni volta che quotidianamente e continuamente taglio i fili di una qualsiasi coscienza dell'universo, qualche cosa del tagliato resta dentro di me e io cambio, mi modifico. Io non sono più l'Atropo che nacque da Nera Notte, io sono l'Atropo che, nato da Nera Notte ha vissuto le trasformazioni di un numero infinito di Esseri nell'immenso spazio dell'universo. E attraverso loro sono cresciuta, sono cambiata, mi sono modificata, sono diventata un gigante pur rimanendo infima, nella forma e nella rappresentazione perché nulla cambia se taglio il filo di un virus o di una galassia, e appaio immensa nella realtà dell'universo."
Dopo aver raccontato di sé stessa, Atropo si interruppe come per riflettere. Poi, rivolgendosi agli arbitri disse ancora. "Io so esattamente come tagliare il filo della vostra esistenza. Non so ancora come tagliare il filo di questa partita mondiale di calcio della filosofia."
"Abbiamo dunque costatato che l'errore fondamentale della "nuova tendenza" della socialdemocrazia russa è di sottomettersi alla spontaneità di non comprendere che la spontaneità delle masse esige da noi, socialdemocratici, un alto grado di coscienza. Quanto più grande è la spinta spontanea delle masse, quanto più il movimento si estende, tanto più aumenta, in modo incomparabilmente più rapido, il bisogno di coscienza nell'attività teorica, politica e organizzativa della socialdemocrazia. La spinta spontanea delle masse in Russia si è prodotta (e si produce ancora) con tale rapidità che la gioventù socialdemocratica ha mostrato di non essere preparata all'adempimento di questi compiti giganteschi. Questa impreparazione è la disgrazia di noi tutti, la disgrazia di tutti i socialdemocratici russi. La spinta delle masse è cresciuta e si è estesa continuamente e di giorno in giorno; senza cessare dov'era incominciata, si è estesa a nuove località e a nuovi strati della popolazione (sotto l'influenza del movimento operaio si è ravvivato il fermento fra la gioventù studentesca, fra gli intellettuali in genere e persino fra i contadini). I rivoluzionari sono rimasti indietro al progresso del movimento, e nelle loro "teorie" e nella loro attività non sono riusciti a creare una organizzazione che non abbia soluzioni di continuità, un'organizzazione permanente capace di dirigere l'insieme del movimento."
Lenin, Opere scelte in sei volumi, vol. 1, Che Fare, Editori riuniti edizioni progress, 1972p. 285 - 286
"Il problema di Lenin è la necessità di un'elaborazione teorico-razionale delle spinte emotive che i corpi manifestano nella loro oggettività come processi di adattamento ai fenomeni dolorosi che arrivano a loro dal mondo." Inizia il suo discorso Atropo e continua "Ogni forma di costrizione sociale, chiamiamola schiavitù, genera forme di ribellione. Ogni società ha formato dei meccanismi socio-emotivi per riassorbire quelle spinte e tentare di ripristinare l'equilibrio che quella ribellione ha compromesso. Solo che l'equilibrio non viene mai ripristinato come un ritorno allo stato precedente la ribellione, ma viene ripristinato con modalità di controllo sociale che tengono conto dell'esperienza maturata nella repressione di quella ribellioni. Le spinte di ribellione abbattono un muro della coercizione, ma non abbattono i costruttori del muro della coercizione che sono già all'opera per costruire un nuovo e più efficiente muro coercitivo. Lenin deve affrontare lo stridere fra spinta emotiva di ribellione di una certa quantità di individui (che poi sono quelli che modificano la realtà) alla percezione di condizioni coercitive; la realtà oggettiva delle condizioni coercitive; le possibilità di modificazione delle condizioni coercitive come immaginate da chi si ribella e la possibilità reale di costruire condizioni diverse capaci di modificare le condizioni coercitive facendo percepire a quegli individui condizioni diverse nella loro esistenza soggettiva. Cosa vogliamo, cosa facciamo e cosa otteniamo. Quando il problema diventa "che cosa otteniamo non soddisfa che cosa volevamo" la situazione cammina su un filo di rasoio dove il ritorno alle condizioni coercitive precedenti è sempre in agguato. Questo succede perché l'individuo che desidera è un individuo formato in quel tipo di coercizione. Mentre immagina un mondo paradisiaco fuori da quella coercizione, lui non è stato attrezzato per affrontare condizioni esistenziali diverse e, fuori da quella coercizione, si trova smarrito e non sa che cosa fare. Sono i Masaniello che vogliono essere come il re, ma il pesce va pescato, la terra deve essere zappata, il ferro battuto e l'uva raccolta dai campi. Non esiste un mondo in cui la terra non viene zappata, il ferro battuto, il pesce pescato o l'uva raccolta. Modificare le condizioni coercitive del presente, di ogni presente, significa migliorare le condizioni di chi zappa la terra, di chi pesca il pesce, di chi batte il ferro e di chi raccoglie l'uva. Chi paventa mondi paradisiaci, non cambia il presente, semmai aggrava le condizioni coercitive della massa di persone cercando per sé condizioni comode per dominare quella massa di illusi che, comunque, dovranno zappare la terra, pescare il pesce, battere il ferro e cogliere l'uva. Una volta modificate le condizioni coercitive è necessario mantenere la situazione sociale in equilibrio affinché, generazione dopo generazione, nasca un nuovo tipo di individuo adattato alle nuove condizioni che sappia gestirle e pensare ad un futuro partendo da queste condizioni nuove, coercitive o meno che siano. Io taglio il filo del presente e spesso, nel tagliarlo, sono triste nell'osservare ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere. Io taglio il filo di una realtà che termina. Ciò che viene dopo è ciò che ha prodotto la realtà che termina."
"Alcuni dicono che l'anima è innanzi tutto (principio) motore. Ritenendo impossibile che ciò che non si muove da sé sia in grado di mettere in moto un altro (corpo), hanno postulato che l'anima sia uno dei corpi che si muovono. Così, Democrito afferma che 1'anima è una sorta di fuoco e di calore; degli infiniti atomi e delle loro infinite figure ... Afferma inoltre, e della stessa opinione è anche Leucippo, che nella panspermia atomica consiste il principio di tutta la natura, e di questi elementi 1'anima è costituita da quelli sferiformi, perché questa configurazione si rivela più di ogni altra in grado di penetrare attraverso ogni cosa e, muovendosi, di muovere anche i restanti atomi, visto che questi filosofi concepiscono l'anima come la realtà che apporta ai viventi il movimento. - Sostenendo che il movimento sia (per natura) proprio dell'anima, Democrito ha detto che essa è fuoco in virtù della sua mobilità. Infatti, egli afferma che il fuoco è costituito dagli atomi sferiformi, in quanto la sfera è il corpo più mobile, poiché tocca la superficie in un solo punto. E ancora, dato che l'anima è (principio) motore e che proprio quest'ultimo deve più di ogni altro muoversi (in quanto più si muove più mette in moto), egli giunge ad affermare che sia l'anima sia il fuoco sono composti dagli atomi più mobili, ossia da quelli sferiformi ... Ebbene, a questo proposito (ossia il denominare fuoco l'anima) sembra concordare con Eraclito; L'unica differenza consiste nel fatto che, per Eraclito, come per noi, il fuoco (di cui è costituita l'anima) è un corpo continuo, mentre Democrito lo nega." [da Aristotele "De anima"]
Democrito, Raccolta dei frammenti, Bompiani, 2007, p. 543
"Quando io taglio la vita degli Esseri nati nella Natura, taglio anche ciò che anima quella materia. Il corpo manifesta la qualità che lo anima e la qualità che lo anima cessa quando il corpo muore." Continua Atropo "In questo senso Democrito coglie l'unità del corpo con quanto lo anima a differenza di Aristotele che, separando l'oggetto che chiama "anima", dal corpo che la manifesta ritenendo quest'ultima un corpo continuo oltre la morte del corpo della natura che l'ha manifestato. Per Aristotele l'uomo è un oggetto definito privo di modificazioni; persistente nel tempo e sempre stato come la sua anima persiste nel tempo e sempre è. Per Democrito l'uomo nasce e muore. La sua anima cessa con la morte del corpo fisico. E' indubbio che l'uomo distingue fra ciò che è animato da ciò che non è animato attribuendo a ciò che è animato la caratteristica del "possesso" di un'"anima" o di ciò che lo anima. Ma ciò che anima quella materia, che chiamiamo corpo vivente, non è un'anima posseduta da una materia. E' una materia organizzata per abitare in un determinato modo il mondo che l'uomo descrive. Esterno a quell'abitare il mondo e compartecipe di azioni simili, vuole separare le caratteristiche dell'abitare dal corpo che abita. Separare le caratteristiche di un corpo vivente dal corpo stesso è solo un atto della sua volontà e del suo desiderio. Non esistono corpi viventi senza le caratteristiche che li animano, ma non esiste, quello che Aristotele definisce "anima", separata da un corpo che la manifesta. Gli effetti che Democrito e Aristotele, per ragioni diverse, non colgono, sono gli effetti prodotti dal corpo vivente che abita il mondo. Cosa succede dentro un corpo che abita il mondo? Un corpo che abita il mondo plasma un altro corpo, un corpo di energia, fisico, complesso, autonomo dal corpo fisico ma che, prodotto da questo, ha su di sé la coscienza del corpo fisico che l'ha formato. Solo che quella non è la coscienza razionale, ma è la coscienza che agisce in un mondo privo di forma e di quantità. Quando io, Atropo, taglio il filo della vita, metto fine a quel corpo e alla sua anima, ma non è detto che io metta fine alla sua coscienza che continua ad esistere. Non libero quella coscienza dal corpo perché quella coscienza, costruita dal corpo vivente, è altro dal corpo e anche se nella sua formazione collabora col corpo è dal corpo generata, come un padre o una madre generano un figlio. Il figlio contiene qualche cosa del padre e della madre, ma è altro dal padre e dalla madre. Solo che quando parliamo della coscienza generata da un corpo fisico che ha plasmato la sua energia vitale, le sue emozioni, nella sua attività del vivere, parliamo di un corpo altro. Un corpo la cui materia è organizzata in maniera talmente diversa dalla materia propria della Natura che possiamo definirlo solo come "corpo luminoso". Quando io taglio il filo della vita, la separazione fra i due corpi è definitiva, ma la separazione, spesso, avviene anche prima che io tagli il filo della vita fisica. In ogni caso" terminò il suo discorso Atropo "E' corretto sostenere che ciò che anima un corpo della Natura, l'anima, nuore con il corpo perché, quanto viene attribuito all'anima, non sono qualità separate dal corpo, ma sono caratteristiche del corpo. Di Quella materia."
"Il costume di falsare le citazioni nell'"interesse della piena verità" e per i "doveri che si hanno verso un pubblico libero da vincoli di corporazione", è cosa che abbiamo già imparato a conoscere nel processo fatto dal sig. Duhring a Darwin. Esso si rivela sempre più come una necessità intima della filosofia della realtà, ed è certamente un "procedimento" molto "sommario". Per tacere completamente il fatto che il sig. Duhring, per di più, attribuisce a Marx di aver parlato di ogni e qualsiasi "anticipazione", mentre qui si tratta solo di un'anticipazione che vien fatta in materie prime, mezzi di lavoro e salario; e che cosi riesce a far dire a Marx una pura e semplice assurdità. E poi ha la faccia tosta di trovar comica l'assurdità che egli stesso ha ammannito. Come si era costruito un Darwin fantastico per dar saggio della sua forza contro di lui, cosi qui si costruisce un Marx fantastico. "Maniera di concepire la storia in grande stile" in effetti! Abbiamo già visto sopra, a proposito della schematizzazione del mondo, che riguardo a questa linea nodale dei rapporti di misura di Hegel, per cui in certi punti del cambiamento quantitativo interviene improvvisamente un mutamento qualitativo repentino, il sig. Duhring ha subito il piccolo infortunio di averla riconosciuta ed applicata, egli stesso, in un momento di debolezza. In quel capitolo abbiamo dato uno degli esempi più noti: quello della trasformazione degli stati di aggregazione dell'acqua, che, a pressione normale, a 0 gradi centigradi passa dallo stato liquido al solido, e a 100 gradi centigradi dallo stato liquido al gassoso, fenomeno nel quale, in questi due punti critici, il semplice cambiamento quantitativo della temperatura causa una modificazione qualitativa dello stato dell'acqua."
Friedrich Engels, Antiduring, Editori Riuniti, 1971, p. 134
"La storia come mutamento e trasformazione. Fatti passati che modificano il loro presente e che costruiscono un presente diverso da quello che gli uomini hanno vissuto. Ma anche uomini diversi; coscienze diverse; percezioni della realtà diverse; modi diversi di abitare e di relazionarsi nel mondo. La storia non è un susseguirsi di avvenimenti, ma un susseguirsi di uomini desideranti, appassionati, rabbiosi, determinati, passivi, remissivi, codardi e coraggiosi. La storia è tutta riassunta nel mondo in cui gli uomini abitano oggi. Tutto il passato ha manifestato questo, ma questo non è il passato. Questi non sono gli uomini del passato; la situazione sociale non è la situazione del passato; le condizioni dell'Essere Umano non sono le condizioni del passato. C'è un oggi prodotto dalle scelte passate e c'è un domani che si genera dalle azioni di oggi. Quando si parla di storia, si parla di trasformazioni, mutamento. Mettere l'attenzione sul mutamento avvenuto nel passato, pur senza conoscere gli infiniti fattori che hanno determinato quel passato, permette di comprendere come ogni azione fatta oggi concorre nel mutare il futuro che da questo presente può germinare." Riprende il suo discorso Atropo "Cosa faccio io, Atropo, quando taglio il filo dell'esistenza degli Esseri della Natura? Metto fine alla loro esistenza. Ma non a tutti. Correttamente sarebbe che io metto fine a quella "qualità della loro esistenza". In quella qualità gli Esseri della Natura hanno agito, hanno plasmato sé stessi. Quella qualità ha prodotto una certa quantità di azioni che hanno messo in atto e nelle quali hanno coinvolto le loro emozioni, la loro energia vitale. Possiamo dire, da un certo punto di vista e semplificando, anche se è impreciso da altri punti di vista, che la quantità di azioni prodotte dal vivere degli Esseri della Natura produce la qualità del loro corpo luminoso che, quando io taglio il filo della loro vita, continua ad esistere e a modificarsi in condizioni diverse. Dalla quantità delle azioni della loro esistenza, gli Esseri della Natura, producono la qualità di una diversa esistenza. C'è una storia del divenire umano, c'è la storia del divenire della Natura, c'è la storia del divenire del singolo Essere Umano come del singolo Essere della Natura di qualunque specie. Storia significa trasformazione. Mettere l'accento sulla storia significa mettere l'accento sulla trasformazione perché ogni giorno, l'uomo e la donna che agiscono cambiano in misura minore o maggiore a seconda dell'intensità emotiva che hanno impegnato nel loro agire. Ogni giorno, io Atropo, taglio il filo di coscienze che si ricostruiscono subito dopo perché lo sviluppo di una coscienza è un continuo nascere e morire dove ciò che nasce non è più quello di prima ma è un qualche cosa che comprende la coscienza di prima ma è riorganizzata comprendendo nuove esperienze. E questo vale anche per la storia. Certi salti qualitativi nella percezione della realtà della storia umana sono avvenuti perché molte azioni li hanno preceduti e quei fatti, che l'uomo pensa, costituiscono uno spartiacque fra ciò che l'uomo, come individui d'insieme, pensava prima e ciò che pensa dopo. Il dopo deve sedimentarsi. La qualità esplosa deve diventare normalità e in quella normalità devono svolgersi fatti e avvenimenti coinvolgenti fino a quando l'accumulo di attività produrrà la nuova necessità che sgorgherà come qualità generata dalla qualità precedente che ha accumulato esperienza. Dalla quantità emerge la qualità che diventa quantità per nuove qualità in un processo continuo di trasformazione del presente che chiamiamo, appunto, storia."
"La prima cosa che osserverò è che, nelle vostre Brevi considerazioni, voi assumete che la forza sia necessaria soltanto ad aver ragione dell'ostilità degli uomini per la riflessione e l'esame; mentre qui, nella vostra risposta a me, voi fate della forza un mezzo necessario a dominare l'ostilità degli uomini ad abbracciare ed obbedire la vera religione. Le due cose sono tanto diverse, che la prima giustifica l'uso della forza al solo scopo di far riflettere, mentre l'altra giustifica l'uso della forza per far abbracciare la religione. Se, quando avete scritto il primo trattato, intendevate dire la stessa cosa, non è stato molto onesto esprimervi con parole non atte a far cogliere dal lettore il vostro vero significato: dato che è cosa molto diversa usare la forza per far riflettere gli uomini, che è un'azione che è in loro potere compiere od omettere, ed usare la forza per far loro abbracciare cioè credere una religione, che è cosa che nessuno ha il potere di fare o non fare a suo piacimento. Se dite che con il vostro primo scritto intendevate unicamente la riflessione, come tutto il suo andamento indurrebbe a credere, vedo allora che la vostra ipotesi è suscettibile di essere corretta, come abbiamo visto relativamente ad altre sue parti, e di crescere, col tempo, fino alla piena maturità. Un'altra cosa che vi farò notare è che, nel vostro primo scritto, oltre alla predicazione e alla persuasione, e alla grazia di Dio, non era necessario nient' altro che la forza. Qui, nel secondo, sono i miracoli oppure l'autorità: e vedremo ora in che modo lo dimostrate. Poiché voi avevate affermato che "non vedevate ragione, in base agli esperimenti che si sono compiuti, per aspettarsi che la vera religione abbia qualcosa da guadagnare dalla tolleranza" io vi ho fatto l'esempio del successo del Vangelo nei primi tempi del Cristianesimo, in virtù della sua propria bellezza, forza e ragionevolezza. Voi replicate che esso non possiede ora la medesima bellezza, forza e ragionevolezza che aveva allora, a meno che io "includa anche i miracoli, che ora sono cessati; e - voi ci dite - essi non ci furono tolti fino al momento in cui, grazie al loro aiuto, il Cristianesimo ottenne di essere accolto come religione dell'impero, e di essere incoraggiato e sostenuto dalle sue leggi. Se dunque crederemo, sulla vostra parola, che la forza è necessaria (perché dimostrare che è necessaria non lo potrete mai), voi siete venuto a parte delle intenzioni di Dio, e ci dite che, quando non si poteva avere a disposizione la forza, si usavano i miracoli, per supplire alla sua mancanza: "Non posso fare a meno di pensare - voi dite - che sia altamente probabile (se ci è concesso fare ipotesi sulle intenzioni dell'infinita sapienza) che Dio si sia compiaciuto di continuarli fino ad allora [cioè fino a quando le leggi dell'impero vennero a sostenere il Cristianesimo] non tanto perché essi fossero sempre necessari a rendere manifesta la verità della religione cristiana, quanto per supplire alla mancanza dell'appoggio del magistrato". Vi concedete di fare ipotesi molto liberamente, se fate usare a Dio i miracoli per supplire ad un mezzo che in nessun luogo egli ha autorizzato o designato."
John Looke, Scritti sulla tolleranza, Utet, 1997, p. 608 - 609
"Quanti fili di vite ho tagliato di uomini illusi, pieni di immaginazione nei loro desideri spesso violenti, criminali, nell'esercitare la forza sui più deboli affinché facessero proprie le loro illusioni e il loro desiderio di possesso." Riprende il discorso Atropo "In cosa consiste la tolleranza? La tolleranza è l'azione del più forte sul più debole che "mal tollera" di essere un oggetto posseduto ed usato per fini e scopi non suoi. Looke non mette in discussione il "diritto" del più forte nei confronti del più debole, Looke discute sui mezzi usati dal più forte per sottomettere il più debole e impedire al più debole di liberare sé stesso dalla sottomissione. Per Looke la schiavitù dell'uomo è una condizione naturale voluta da Dio, Infatti, nella "bellezza dei vangeli" Gesù non è mai uno schiavo sottomesso, è un padrone, figlio del Dio padrone, che rivendica il diritto di possedere uomini come si racconta che li possiedono i Farisei. E' la "bellezza del possesso" dove il posseduto "ama" chi lo possiede e si sottomette al suo "diritto" di possederlo e di usarlo per soddisfare i desideri di chi lo possiede. Non esiste, e non è mai esistita, la "predicazione" del vangelo senza la violenza. La frusta con cui Gesù picchia i mercanti al tempio per impossessarsi del tempio e la minaccia di torturare le persone "là dove c'è pianto e stridor di denti" o di trasformarle in loglio e mettere le persone nei forni crematori, sono indicazioni della necessità di esercitare la violenza con cui diffondere il vangelo. Looke se ne guarda bene dal condannare la violenza di Gesù, preferisce condannare la violenza con cui un'autorità usa tale violenza per i suoi scopi. Non mette nemmeno in discussione il diritto dell'uomo di possedere altri uomini che, del resto, nemmeno Gesù mette in discussione nei vangeli. Le rimostranze di Looke contro l'uso della forza e della violenza per imporre la sottomissione al cristianesimo sono quelle di chi vuole collaborare a sottomettere gli uomini. Sono rimostranze di chi dice al potere "dammi un po' del tuo potere perché anch'io voglio collaborare a ridurre uomini in schiavitù e raccogliere un po' di beneficio da questo". Il trattato sulla tolleranza di Looke altro non è che "tollerare e collaborare con altre associazioni che stuprano e violentano l'uomo per sottometterlo". In questo modo il potere assoluto di uno diventa il potere assoluto di molti che collaborano affinché tutti gli uomini siano schiavi dei molti uniti per un unico fine: mantenere la schiavitù degli uomini in nome dei vangeli. L'intolleranza che Looke censura non è l'intolleranza del padrone per lo schiavo, ma è l'intolleranza del padrone per alcuni che, sottraendosi dal suo controllo, vogliono diventare padroni come lui e collaborare con lui a mantenere la schiavitù degli uomini. Dal punto di vista politico si chiama "liberalismo". Mentre il padrone assolutista non tollera nessuno suo pari, ma solo sottoposti, il padrone liberale collabora con altri pari per mantenere gli uomini sottomessi. Il cattolicesimo era assolutista, poi arrivarono gli ortodossi, gli anglicani, i protestanti e poi altre forme di interpretazioni dei vangeli. Tutte queste forme avevano lo scopo di tener sottomessi gli uomini, solo che si dividevano le "sfere di influenza" collaborando fra loro nell'intento principale: ridurre l'uomo in schiavitù! La tolleranza di Looke consiste in questo: un numero maggiore di padroni che si relazionano alla pari sono più efficaci a gestire la schiavitù degli uomini sottomessi a Dio che non un solo padrone. Dunque, secondo Looke, tollerate altri padroni di uomini e collaborate con loro. Il controllo degli schiavi sottomessi e devoti, sarà più efficace."
"Non chiamerò persecutore Diocleziano, giacché egli fu per diciotto anni il protettore dei cristiani; e se, negli ultimi tempi del suo impero, non li salvò dai risentimenti di Galerio, non fu che un principe sedotto e travolto dall'intrigo nonostante il suo carattere, come tanti altri. Tanto meno chiamerò persecutori i Traiano, gli Antonino; mi sembrerebbe di pronunciare una bestemmia. Chi è il persecutore? è quello il cui orgoglio ferito e il furioso fanatismo irritano il principe o i magistrati contro uomini innocenti, che non hanno commesso altro crimine se non quello di non pensarla come lui. "Impudente, tu adori un Dio, predichi la virtù, e la pratichi; hai servito gli uomini, li hai consolati; hai sistemato l'orfana, hai soccorso il povero, hai mutato i deserti, dove pochi schiavi si trascinavano in una vita miserabile, in campagne fertili popolate di famiglie felici; ma io ho scoperto che tu mi disprezzi, e che non hai mai letto il mio libro di controversie; sai che sono un furfante, che ho contraffatto la scrittura di G* * *, che ho derubato * * *; potresti benissimo dirlo, bisogna che io ti prevenga. Andrò dunque dal confessore del primo ministro, o dal podestà; mostrerò loro, piegando il collo e torcendo la bocca, che hai un'opinione erronea sulle celle in cui furono rinchiusi i Settanta; che dieci anni fa parlasti anche in modo poco rispettoso del cane di Tobia, che tu sostenevi essere un barboncino, mentre io avevo provato che era un levriero; ti denuncerò come nemico di Dio e degli uomini." Questo il linguaggio del persecutore; e se queste parole non escono precisamente dalla sua bocca, sono incise nel suo cuore con il bulino del fanatismo immersero nel fiele dell'invidia. Così il gesuita Le Tellier osò perseguitare il cardinale di Noailles, così Jurieu perseguitò Bayle. Quando si cominciò a perseguitare i protestanti in Francia, non furono né Francesco I, né Enrico II, né Francesco II a spiare quegli sventurati, ad armarsi contro di loro di premeditato furore, e a consegnarli alle fiamme per esercitare su di essi le loro vendette. Francesco I era troppo occupato con la duchessa d'Estampes, Enrico II con la sua vecchia Diana, e Francesco II era troppo piccolo. Chi causò l'inizio della persecuzione? Dei preti gelosi, che armarono i pregiudizi dei magistrati e la politica dei ministri. Se i re non fossero stati ingannati, se avessero previsto che la persecuzione avrebbe prodotto cinquant'anni di guerre civili, e metà della nazione sarebbe stata sterminata dall'altra, avrebbero spento con le loro lacrime i primi roghi che lasciarono accendere. O Dio di misericordia! se qualche uomo può assomigliare a quell'essere malefico che ci viene dipinto come perennemente occupato a distruggere la tua opera, questi non è proprio il persecutore?"
Voltaire, Tutti i Romanzi e i racconti e Dizionario filosofico, termine "persecutore", 1995, Newton, p. 662 - 663
"Le storie che si racconta sul passato, sono vere o sono immaginarie? Degli avvenimenti sono successi. Persone furono uccise. L'uccisione delle persone o è o non è. Anche se spesso i cristiani hanno contraffatto i documenti per accreditarsi meriti e lenire le proprie "colpe" d'odio. Ma le cause, quali sono le cause? La storia di Diocleziano viene raccontata dai cristiani. Indubbiamente Diocleziano era un dominatore di Roma, ma perché ad un certo punto decise di perseguire i cristiani? Perché adoravano un Dio diverso? A Roma c'erano un universo di Dèi provenienti da ogni angolo dell'impero e tutti convivevano senza che nessuno avesse la necessità di sopraffare gli altri. Solo i cristiani esercitavano la violenza per imporre il proprio culto. Solo il cristianesimo, a differenza di ogni altro culto presente a Roma, elevava la violenza e la prevaricazione a modello imitativo del suo Dio. Il Dio della Bibbia che, accusando gli uomini di "malvagità" si permette di sterminarli tutti col diluvio universale dimostrando, con questo, tutta la sua malvagità. La Bibbia cristiana è infarcita di odio contro coloro che non si mettono in ginocchio davanti al loro Dio. Il Dio dei cristiani incita il "popolo eletto" a sterminare tutti gli altri popoli per la sua gloria. Quanti filo d'esistenza ho tagliato!" Continua Atropo "Quando, invece, gli avvenimenti sono più recenti con i cristiani che usano gli eserciti per bruciare gli "eretici" e che ammazzandosi si contendono il potere perché ognuno di loro proclama che "Dio è con noi!", allora l'odio cristiano non è più in discussione. Appare in tutta la sua devastazione sociale. Le persone devono chiedersi "quanti azioni criminali commisero i cristiani per costringere il potere di allora a perseguitarli?". Il Dio dei cristiani, Yahweh, domina gli uomini con la paura e il terrore. Gli uomini devono pensarlo buono perché, altrimenti, lui li fa ammazzare. Gesù domina gli uomini con la paura perché se gli uomini non lo omaggiano lui li fa gettare là dove "c'è pianto e stridor di denti". Come anticipo, i cristiani costruiscono una società di miseria nella quale costringono gli uomini a vivere. Uomini privati del loro futuro. Uomini miserevoli che come la donna cananea: " Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". "E' vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni" [Matteo 15]. Ridurre gli uomini a pezzenti miserevoli a cui i cristiani, se ne hanno voglia, possono gettare le briciole dei loro avanzi. Come in Africa, Asia, nelle Americhe, e in tutta Europa dove una gran parte della popolazione vive nella povertà e nell'indigenza. Perseguitare le persone perché non sono sufficientemente sottomesse come vuole il rappresentante di Dio di turno è prerogativa esclusiva del cristianesimo che poi si è trasferita, come pratica, ad altri sistemi religiosi. Quanti fili di esistenze ho tagliato. Vite che i cristiani hanno spezzato per la gloria del loro Dio. E quante altre vite spezzeranno quando il loro dominio inizierà a vacillare. Chi domina con la violenza e per la violenza farà della violenza la sua attività fino all'ultimo respiro della sua esistenza. Io taglierò i fili della loro esistenza, ma intanto loro continuano a filare e tessere la trama di un'esistenza malata che distrugge vita dopo vita."
"Quando pertanto dal concetto dell'anima come sostanza si vuole concludere alla persistenza della stessa, questo può farsi solo in vista d'una possibile esperienza, ma non può valere dell'anima come d'una cosa in sé ed al di là di ogni possibile esperienza. Ora la condizione di ogni nostra possibile esperienza è la vita; quindi si può concludere solo alla persistenza dell'anima durante la vita, perché la morte dell'uomo è la fine di ogni esperienza intorno all'anima come oggetto di esperienza, fino a quando non sia dimostrato il contrario, ciò che è appunto in questione. Quindi si può dimostrare soltanto la persistenza dell'anima durante la vita dell'uomo (dimostrazione della quale si farà senza), ma non dopo la morte (ciò che veramente importa), ed invero per la ragione generale che il concetto di sostanza deve essere considerato come necessariamente connesso col concetto di persistenza solo in virtù d'un principio dell'esperienza possibile ed in vista della costituzione di quest'ultima."
Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni metafisica futura, Rusconi, 1995, p. 187
"Kant afferma che non è possibile dimostrare l'anima se non come esperienza, ma l'esperienza dell'anima c'è solo nella vita del corpo fisico perché non è possibile dimostrare la persistenza dell'anima oltre la morte del corpo fisico." Riprende il discorso Atropo "Il problema per i cristiani, per i platonici, per i neoplatonici, per gli islamici e per i buddisti è che tutto quello che del corpo attribuiscono all'anima altro non sono che qualità del corpo vivente e, dunque, possono persistere solo nella vita del corpo vivente. Le qualità del corpo muoiono con il corpo. Secondo i cristiani (e gli altri) l'uomo non è "padrone" della sua "anima", del suo sentire e percepire il mondo, in quanto questa sarebbe emanazione di Dio nell'uomo e l'uomo, vivendo con le emozioni del corpo, insozza la sua anima attraverso il peccato. L'uomo va punito, secondo i cristiani, perché, con le emozioni del suo corpo, offende Dio. Questo tipo di farneticazioni portano i cristiani ad affermare che loro "bruciano i corpi per salvare le anime". Ma dal momento che quanto loro chiamano "anima" sono qualità del corpo, bruciavano corpi annullando le loro qualità trasformandoli in cadaveri attraverso la sofferenza che dona piacere a loro e al loro Dio. Diversa cosa dall'anima sono le emozioni che danno piacere. Per i cristiani, per i platonici e i neoplatonici, le emozioni che danno piacere sono frutto della "corruzione della carne". Cristiani, platonici, neoplatonici e buddisti sono nemici del desiderio. Il desiderio è l'oggetto da distruggere nell'uomo in funzione di quella sottomissione assoluta che chiamano "purezza spirituale". Il desiderio e la veicolazione del desiderio esprime quella corruzione che danneggerebbe la purezza dell'anima come manifestazione di Dio negli uomini. Eppure, è proprio l'emozione che fa vibrare di piacere il corpo ed è questa la condizione che plasma l'energia vitale delle persone. E' la forza che plasma il loro corpo luminoso attraverso l'energia emotiva che i soggetti impegnano nel corso della loro vita. Se gli uomini sono sottomessi ad una condizione morale, che i cristiani definiscono propria dell'anima, sono costretti a rinunciare a veicolare le loro emozioni nella loro attività e vengono costretti a rinunciare a una vita intensa, piena e soddisfacente e, in ultima, come rinuncia ad una vita piena ed appassionata, le persone vengono costrette a rinunciare a plasmare il loro corpo luminoso."
"Le nostre ipotesi sull'Io cominciano a farsi più chiare, e le sue svariate relazioni a guadagnare in perspicuità. Possiamo ora vedere l'Io nella sua potenza e nelle sue debolezze. Gli sono affidate funzioni, importanti; in forza della sua relazione con il sistema percettivo, stabilisce l'ordinamento cronologico dei processi psichici e li sottopone all'esame di realtà. Mediante l'inserzione dei processi di pensiero ottiene di procrastinare i deflussi motori e controlla le vie di accesso alla motilità. Quest'ultima forma di controllo è tuttavia più formale che effettiva: in rapporto all'azione, l'Io ha più o meno la posizione di un monarca costituzionale, senza la cui ratifica nulla può essere legiferato, ma che esita a lungo prima di opporre il proprio veto a una proposta del parlamento. Ogni esperienza di vita che proviene dall'esterno arricchisce l'Io, l'Es però è l'altro suo mondo esterno, che egli si sforza di sottomettere a sé. L'Io sottrae libido all'Es, e ne trasforma gli investimenti oggettuali in strutture dell'Io. Con l'aiuto del Super-Io assimila, in una maniera che ci è ancora oscura, le esperienze dei tempi remoti accumulate nell'Es. Ci sono due strade lungo le quali il contenuto dell'Es può farsi largo nell'Io. La prima è diretta, l'altra passa attraverso l'ideale dell'Io; e per un certo numero di attività psichiche il fatto di compiersi attraverso l'una o l'altra di queste due vie può assumere un'importanza decisiva. L'Io evolve dalla percezione delle pulsioni alla loro padronanza, dall'ottemperanza alle pulsioni alla loro inibizione. Una parte considerevole di questo lavoro è svolta dall'ideale dell'Io, che infatti è in parte una formazione reattiva nei confronti dei processi pulsionali propri dell'Es. La psicoanalisi è uno strumento inteso a rendere possibile la conquista progressiva dell'Es da parte dell'Io."
Sigmund Freud, L'Io e l'Es, Boringhieri, 1982, p. 82 - 83
"Ragione e pulsione. Freud costruisce degli schemi attraverso i quali vuole definire le attività della coscienza, del conscio e di ciò che definisce "inconscio" dell'uomo. Schema a tre Io, Es e Super-Io dove i ruoli non sono ben definiti. Le pulsioni, i desideri e, in ultima analisi, gli impulsi emotivi, secondo Freud, sono manifestazione di una struttura intima che chiama Es. Le pulsioni di vita esistono nella materia quando noi definiamo quella materia come "viva". Che cos'è l'Io? L'Io è la coscienza razionale dell'uomo, la sua capacità di descrivere il mondo. Una coscienza razionale che pretende di essere padrona dell'individuo." Continua Atropo "Che cos'è il Super-Io? E' la soluzione che Freud ha trovato per legittimare sia l'idea reincarnazionista di Platone che l'idea indiana di karma. Secondo Freud, le esperienze razionali passate si accumulano nel Super-Io " Con l'aiuto del Super-Io assimila, in una maniera che ci è ancora oscura, le esperienze dei tempi remoti accumulate nell'Es". Per Freud è fondamentale il controllo delle pulsioni. Freud non considera che le pulsioni sono manifestazioni di vita, sono la vita stessa che si è adattata al mondo in cui l'individuo è nato. Il sistema pulsionale, per Freud, non è uno strumento al servizio dell'individuo, ma è un apparato che deve essere bloccato dall'individuo. Quando Freud dice "L'Io evolve dalla percezione delle pulsioni alla loro padronanza, dall'ottemperanza alle pulsioni alla loro inibizione." Dimostra la necessità di inibire la vita stessa per controllare l'individuo. L'individuo che si emoziona e che veicola nella società le sue emozioni è un individuo che si trasforma continuamente e non è possibile controllarlo. Per controllare le persone è necessario inibire il loro apparato emotivo. L'attività di quello che Freud chiama Es è la forza dell'espressione delle tensioni pulsionali, emotive, che rispondono adattando l'individuo al mondo. Queste forze pulsionali hanno preso una direzione prima rispondendo alle emozioni della madre mentre il feto era nella sua pancia e poi si sono adattate allo specifico mondo sociale in cui l'individuo è nato. Esiste una "memoria atavica", ma è relativa alle risposte automatiche che l'individuo mette in atto davanti ai fenomeni del mondo interpretandoli, mediante associazione, ad esperienze passate."
"Ora, continuò Atropo, io dovrei tagliare il filo della vostra esistenza. Nel mondo del tempo noi non percepiamo le forme e non abbiamo coscienza di forme che si modificano e che si trasformano come non abbiamo coscienza della direzione in cui le forme si trasformano. Nel mondo del tempo noi viviamo in un presente privo di passato e di futuro, eppure le nostre azioni sono sempre nuove e sempre diverse perché nuovo e sempre diverso è il nostro corpo che compie quelle azioni. Eppure, l'esistenza può essere interrotta. I mutamenti possono finire e la presenza delle azioni nel mondo del tempo rimangono fissate in un presente prive di passato e prive di futuro alle quali ogni spettatore può attingere per alimentare le proprie predilezioni e stimolare i propri mutamenti. Quell'avvenimento è accaduto, ha inciso sulle trasformazioni di chi lo ha abitato, ma l'avvenimento in sé è privo di trasformazioni. L'avvenimento non si trasforma, è fisso nel tempo, gli Esseri si trasformano in quanto protagonisti di altri avvenimenti. Ma nel tempo quell'avvenimento è là. E là sono frammenti di attenzione di coloro che quell'avvenimento hanno vissuto. Nel mondo del tempo i soggetti sono mutamento mentre gli avvenimenti sono fermi, non mutano, ma attendono di essere visti, vissuti, abitati."
Atropo fermò il flusso delle parole nella sua bocca. Guardò gli arbitri e disse: "Quanti di voi sono corpi che mutando sono sostanza nel mondo del tempo e quanti di voi sono avvenimenti, privi di un ieri e di un oggi, dove i corpi, che produssero l'avvenimento che siete, hanno percorso mutamenti per nuovi e diversi avvenimenti? Io non posso tagliare il filo dell'avvenimento perché i fili che Cloto e Lachesi tessono sono fili di corpi che alimentano avvenimenti nel mondo del tempo."
Atropo si rivolse a Yahweh e Allahu Akbar dicendo: "Non posso tagliare il filo della vostra esistenza perché voi siete avvenimenti, rappresentazioni senza vita né trasformazione. Esistete solo in questo mondo, nel mondo del tempo, permanendo come un'idea priva di sostanza e di rappresentazione. Voi rimarrete all'infinito nel mondo del tempo mentre gli Esseri della Natura mutano e si trasformano. Siete prigionieri e vi rappresentate come "un'idea" che prende forma nei desideri di alcuni Esseri. "Un'idea" che alcuni Esseri portano nella loro esistenza e che muore con loro quando taglio il filo della loro vita. Siete come dei parassiti che attendono di invadere un qualche corpo per illudersi di essere ancora nell'esistenza."
Atropo si rivolse a Fanes: "Lo taglierò il filo della tua vita nello stesso momento in cui taglierò il filo della mia vita. Io mi chiedo: "Cosa tessi della tua esistenza tu che non hai un corpo, ma che abiti ogni corpo; tu che non hai coscienza ma che sei il fondamento di ogni coscienza; tu che non hai trasformazione, ma sei la costante che forma la base di ogni corpo consapevole che si trasforma?","
"Io sono la forza" rispose Fanes "che si agita per essere tessuta. Non ho intelligenza, non ho un progetto e non ho uno scopo. Sono l'Intento. Un intento che si esprime solo fintanto che i corpi vivono."
Poi Atropo si rivolse a Beppi di (o da) Lusiana e disse: "Te lo farò il regalo. Taglierò il filo della tua esistenza. Uomo beato. Hermes è pronto per accompagnarti nella dimora degli Dèi là dove i coraggiosi continuano a trasformarsi per sempre."
Immediatamente Fanes svanì nella Terra. Yahweh e Allahu Akbar divennero immagini indistinte, ricordi sbiaditi per chi voleva ricordare. Beppi di (o da) Lusiana posò la zappa e la stampella e indossò i sandali alati che Hermes gli porgeva e, con un'agilità che non ricordava da molti decenni, balzò nel cielo verso la dimora degli Dèi dove fu accolto per un cammino nell'eternità.
Il tempo entrava nel mutare delle cose e le cose apparvero come il mondo della forma in cui predicatori di ogni tipo chiamavano gli uomini a seguire vecchi e nuovi messia in funzione di luminosi avvenire.
Un operaio si alzava la mattina, in cui Aurora ancora non era giunta, per raggiungere un luogo in cui avrebbe messo in funzione macchine e spostato merci che sarebbero apparse su qualche mercato del mondo.
Una zappa veniva impugnata per spaccare una terra arsa sulla quale un cielo avaro non voleva versare le sue lacrime.
Una persona avrebbe iniziato a pulire una casa dalla troppa polvere e un'altra avrebbe lavato i piatti delle infinite cene del giorno prima.
Piedi iniziarono a percorrere strade perché quei piedi cercavano un domani mentre un insegnate chiese ai suoi allievi:
"Voi, che cosa volete fare della vostra vita?"
Le sue parole sembravano cadere nel vuoto in cui ragazzi vessavano il malcapitato di turno che si rifiutava di prendere una pasticca o di muovere il culo al suono di una batteria.
Nell'angolo di un orto semiabbandonato una vecchia zappa fu assalita dai tarli e dalla ruggine iniziando a diventare, essa stessa, parte di quell'orto che tante volte aveva zappato.
Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.
Marghera, 23 ottobre 2022
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