La Religione Pagana

E le difficoltà di relazione religiosa fra pagani.

Di Claudio Simeoni

Argomenti di Religione Pagana.

 Spesso si assiste, fra le persone che chiamano sé stesse Pagane, a “diatribe” relative a diverse credenze in relazione agli Dèi o alle Antiche Religioni. Assistiamo spesso al fatto che i Pagani chiamano sé stessi neopagani, quasi a significare che prima di loro ci sia stata una qualche popolazione che si definiva “pagana”. Altre volte, e questo accade spesso con i Wicca o Wiccan, o con “seguaci” di improbabili e fantasiose tradizioni come quelle di “stregheria”, accade che la superstizione si trasformi in fantasia e la fantasia venga riproposta in forma “religiosa”, attribuendo valore reale a desideri fantastici. Desideri che possono trovare spazio nei romanzi di crescita dei ragazzi, ma non in una religione il cui scopo è veicolare le emozioni delle persone in relazione al mondo nel quale tali persone vivono. La questione non è nuova. Da sempre le Antiche Religioni hanno dovuto affrontare la superstizione. Come oggi la Religione Pagana affronta la superstizione del cristianesimo, dell’islamismo e dell’ebraismo, un tempo veniva affrontata la superstizione dello stoicismo e del neoplatonismo. Eppure, allora come oggi, i neoplatonici e gli stoici pescavano a piene mani nel mito. Le allegorie stoiche e i testi di Proclo, gli Oracoli Caldaici e gli Inni Orfici, testimoniano questa attività. Leggendo oggi gli Inni Orfici o i frammenti degli Oracoli Caldaici o le allegorie degli stoici, possiamo comprendere perché le religioni della filosofia, della verità, hanno pescato a piene mani nel Mito che, al contrario, non presenta nessuna verità, ma solo cammini di libertà dell’uomo. Oggi si legge con piacere i testi neoplatonici o stoici in quanto, anche se religioni della verità, sono prive di quell’intento cattivo ed aggressivo proprio del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam, permettendoci di ricordare aspetti fondamentali del mito che, altrimenti, sarebbero andati perduti. Li leggiamo volentieri perché oggi, neoplatonici e stoici, sono autori fuori dal loro mondo: sono decontestualizzati da un presente religioso che opprime l’uomo sottomettendolo ad un dio padrone che vuole far accettare la sua verità. Molte persone che chiamano sé stesse Wicca, Wiccan, o Pagani Tradizionalisti, da quelli legati alle tradizioni dell’impero, ai “celti” ai “vichinghi” o ad ogni altra popolazione che nella storia ha avuto il suo momento di gloria, trattano gli Dèi e il divino con le stesse categorie cristiane. Gli Dèi sono brutte copie del dio padrone cristiano. Il loro agire deve assomigliare alla provvidenza del dio dei cristiani o alla miracolistica del Gesù dei cristiani. Le donne DEVONO viaggiare sulle scope come si farebbe con un aereo e, se ciò non avviene, tutto diventa falso. Le fantasie dei film e dei romanzi per ragazzi diventano “la realtà”. Quando un libro come “Le nebbie di Avalon” ha successo nascono gruppi di evocazione della magia di Morgana o di Merlino. Questi gruppi aggrediscono i Pagani imponendo una verità senza accorgersi che non è altro che la verità cristiana rivestita di altri nomi e altre forme. Oppure, coloro che pensano al Paganesimo come la religione dell’impero Romano o dei Celti si vestono da Druidi o da Imperatori romani, senza rendersi conto che non stanno facendo altro che ripetere la superstizione cristiana. In Cicerone si trova la testimonianza del Pontefice Galio Aurelio Cotta contro la superstizione degli stoici come Zenone, Cleante e Crisippo:

 

"Devo dunque difendere le opinioni che abbiamo ricevuto dagli avi a proposito degli DEI immortali, delle cose sacre, delle cerimonie, delle regole religiose. Ebbene, le difenderò come le ho sempre difese, e mai nessun discorso, né di un sapiente né di un ignorante, mi allontanerà dall'idea che ricevetti dai nostri antenati circa il culto degli DEI. Quando si tratta di religione, io sono con Tiberio Corucanio, P. Scipione, P. Scevola e non con Zenone né con Cleante né con Crisippo. E, in materia di religione, preferisco ascoltare, anziché il più illustre degli stoici, le parole dell'augure, il saggio C. Lelio nel suo celebre e bel discorso. Non ho mai creduto che fosse possibile spregiare alcuna delle tre sezioni che costituiscono tutta la religione del popolo romano: le azioni sacre, gli aruspici, e in terzo luogo ciò che gli interpreti dei Libri Sibillini, o gli aruspici aggiunsero, per quanto riguarda le predizioni, a proposito dei prodigi. Sono convinto che l'istituzione degli Aruspici da parte di Romolo e quella del culto da parte di Numa furono le fondamenta della nostra società, che non sarebbe mai giunta all'attuale livello di potenza se non avesse saputo eccellere nell'arte di conciliarsi gli DEI immortali...."

 

Come è precisato nella pagina sulla Religione di Roma Antica Cotta rileva la realtà nella quale vive. Dalla realtà vissuta determina la bontà dell’insieme religioso in cui Roma ha fatto le sue scelte. Egli lo dice: “Io non sono in grado di spiegare perché ciò che ci è stato dato dagli avi funzioni, ma funziona! Perché devo accettare le elucubrazioni di Zenone, Cleante o Crisippo? Perché devo piegare la realtà quotidiana ad un’idea immaginata o desiderata, anziché costruirmi un’idea su una realtà che verifico e che funziona? Non sono in grado di spiegare perché funziona, ma funziona.” Lo stesso vale per i Wicca o per i “tradizionalisti” che inseguono il mito del “buon selvaggio” rielaborato in chiave culturale. A differenza del Pontefice Galio Aurelio Cotta, noi, oggi, sappiamo spiegare come e perché le azioni sacre, gli aruspici e i “libri sibillini” funzionano. Lo sappiamo perché usciamo dalla superstizione della ritualità formale (o cerimoniale), perché usciamo dall’ideologia del “destino” dei tarocchi, degli astrologhi, dei cartomanti o della provvidenza del dio padrone, perché usciamo dal delirio di onnipotenza imposto dalla religione cristiana. Perché usciamo dal mito della razza o della discendenza del sangue che tante idee preconcette e superstiziose hanno imposto agli Esseri Umani deviandone le scelte dalla compartecipazione della realtà vissuta. Noi invochiamo gli Dèi, ma la forma che invochiamo non ha nulla di quanto viene spacciato come “vero” dalla bibbia, dal corano e più in generale dai libri sacri dei monoteisti. I wicca, i pagani tradizionalisti, vanno spesso alla ricerca del dio come forma di dipendenza da un “superessere”, come hanno imparato dall’educazione cristiana. Emotivamente per loro non c'è differenza fra il dio padrone cattolico e Zeus; non c'è differenza fra la grande madre e la madonna cattolica. In questo superessere ci credono e devono costringere altre persone a crederci. Ma, se così fosse, cosa accadrebbe? Se gli Dèi degli Antichi ritornassero nella forma che i wicca o i tradizionalisti evocano, che cosa succederebbe? Se la realtà degli Dèi fosse violentata dalla forma, dalle categorie, dall’idea degli Dèi propria del cristianesimo; come reagirebbero i Pagani? Coloro che si rifanno al Mito? Per comprendere che cosa succederebbe se il “ritorno” degli Dèi fosse quello auspicato da tradizionalisti, wiccani, stregheria o quant’altro, riporto questo brano tratto dall’Artefice di Borges. Il finale della storia si adatta perfettamente al dio dei cristiani e a qualunque altra forma assuma quando le persone proiettano le categorie di pensiero cristiano sugli antichi Dèi.

 

Il luogo era la facoltà di Lettere e Filosofia; l’ora, il crepuscolo. Tutto (come suole accadere nei sogni) era indistinto; le cose erano leggermente alterate e come ingrandite. Leggevamo auctoritates; io parlavo con Pedro Henrìquez Ureña (…) Bruscamente, ci stordì un clamore, di manifestazione o di musici ambulanti. Grida umane e animali giungevano dal Basso. Una voce gridò: “Vengono!”, e poi “Gli dei! Gli dei!” Quattro o cinque esseri uscirono dalla turba e occuparono la pedana dell’aula magna. Tutti applaudimmo, piangendo; erano gli dei che tornavano, dopo un esilio di secoli. Ingigantiti dalla pedana, la testa gettata all’indietro e il petto in fuori, ricevettero superbi il nostro omaggio. Uno reggeva un ramo, che senza dubbio si addiceva alla semplice botanica dei sogni; un altro, con largo gesto, protendeva una mano che era un artiglio; una delle facce di Giano guardava con diffidenza il becco ricurvo di Thoth. Forse eccitato dai nostri applausi, uno, non so più quale, proruppe in uno strido vittorioso, incredibilmente aspro, qualcosa tra il gargarismo e il fischio. Le cose, da quel momento, cambiarono. Tutto cominciò col sospetto (che forse era eccessivo) che gli dei non sapessero parlare. Secoli di vita fuggitiva e ferina avevano atrofizzato quello che in essi c’era di umano; la luna dell’Islam e la croce di Roma erano state implacabili con questi profughi. Fronti basse, denti gialli, baffi radi di mulatti o cinesi e musi bestiali rendevano evidente la degenerazione della stirpe olimpica. Le loro vesti non corrispondevano a una povertà decorosa e onesta, ma al lusso deplorevole delle bische e dei lupanari dei bassifondi. A un occhiello rosseggiava un garofano sanguigno; sotto una giacca attillata s’indovinava la sporgenza di un pugnale. Bruscamente, sentimmo che giocavano l’ultima carta, che erano astuti, ignoranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se ci fossimo lasciati vincere dalla paura o dalla compassione, avrebbero finito col distruggerci. Estraemmo le pesanti rivoltelle (d’improvviso ci furono rivoltelle nel sogno) e gioiosamente demmo morte agli dei.

 

Il brano di L'artefice di Borges; l'ho trovato nella prefazione di Salvatore Settis al libro di Jean Seznec, La sopravvivenza degli antichi dei, Bollati Boringhieri, 2008 (la mia ristampa per la collana Universale Bollati Boringhieri, ma in realtà questa seconda edizione dell'opera è del 1980). Quando si ricorre ad “auctoritates” che distribuiscono verità di forma o di morali, tutto si riduce a riprodurre la forma del cristianesimo. Si prende atto che ogni individuo rompe la forma della coercizione religiosa cristiana partendo dalla propria visione soggettiva, dalle proprie percezioni soggettive, dalle proprie necessità soggettive, come risposta alle sollecitazioni del mondo in cui vive. Quando l’individuo riversa la sua soggettività sotto forma di “verità” nell’oggettività imponendo all’oggettività di accettarla acriticamente come parte di essa, allora non fa che riprodurre il cristianesimo sotto una diversa forma. Nei suoi confronti il cristianesimo sarà tollerante perché lui, come i cristiani, non lotterà per la “libertà degli uomini nella società”, ma per la “sua libertà di imporre il suo credo” anche se questa libertà se la deve conquistare nei confronti degli stessi cristiani. Come l’islam è tollerante nei confronti del cristianesimo e intollerante per ogni forma religiosa che incontri gli Dèi negli oggetti del mondo. La frusta che Gardner, il fondatore della wicca, usava nei rituali, era uno strumento di eccitazione sessuale la cui sensazione gli dava piacere, ma se accettassimo questo, al di fuori delle predilezioni soggettive, trasformandolo in una credenza religiosa, faremmo un atto di violenza imponendo alle persone una morale, attraverso una pratica, a loro estranea. La fusta nel rituale di Gardner non è diversa dalla morale cattolica: sono delle violenze alla società quando vengono imposte alla società. Gli Dèi del Mito non hanno la stessa natura del dio dei cristiani. Gli Dèi del Mito vengono scorti dagli Esseri Umani nella vita quotidiana. Vengono scorti nelle azioni fatte nel mondo. Vengono scorti nelle passioni del mondo. Non sono soggetti al di fuori del mondo. Non sono il parto della patologia da onnipotenza come il dio dei cristiani. Non sono il delirio di vaneggiamento di un Gesù che pretende di essere il padrone degli uomini perché figlio del dio padrone. Gli Dèi del Mito appartengono alla vita, ma non alla ragione. Sono la vita stessa, ma non la forma. Gli Dèi del Mito sono il SACRO del e nel mondo in cui viviamo: le sue infinite “anime”. Essi divengono col mondo; si trasformano col mondo e con le azioni che fanno e che subiscono nel mondo. Questo modo di pensare gli Dèi e il Sacro, proprio del Mito, è inimmaginabile per una persona educata nel cristianesimo. Come può, chi è educato nel cristianesimo, pensare che ogni sua azione, fatta nella sua quotidianità, sia un gesto sacro quando impegna le sue emozioni? Come può chi è educato nel cristianesimo pensare che ogni gesto lo rende responsabile nello spazio e nel tempo di ogni variazione di adattamento di tutti i soggetti che nello spazio e nel tempo metteranno in atto? Si nasce e si muore, come esseri della Natura, soli; ma nel vivere si è partecipi ad un immenso divino che le patologie da sottomissione negano e uccidono dentro l’uomo. Così chi è malato di sottomissione cerca delle scappatoie chiamando la propria sottomissione con nomi diversi da quelli del dio cristiano o del Gesù. Solo che non si rende conto che qualsiasi nome darà alla sua sottomissione, rinnoverà la sottomissione stessa. Così fra Pagani non ci si riconoscerà per i nomi che si danno agli Dèi, ma per l’atteggiamento psico-emotivo che si terrà nei confronti della vita e, come conseguenza nei confronti degli Dèi.

Marghera, 12 luglio 2009

 

Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

E-MAIL: claudiosimeoni@libero.it

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