Walter F. Otto nel suo scritto del 1923, "Spirito classico e mondo cristiano", mette in rilievo una serie di differenze fra cristianesimo e paganesimo nell'affrontare la vita. Vale la pena di ricordarle. Le differenze che Walter Otto rileva fra cristianesimo e paganesimo non consistono nella diversità con cui si pensano gli Dèi, ma nel modo con cui gli uomini affrontano la vita. La differenza dei valori morali che vengono cercati e coltivati nella società civile dai pagani e dai cristiani.
Per il cristiano il mondo è creato dal suo Dio ed egli ritiene di onorare il suo Dio sottomettendosi ad esso; per il Pagano il mondo è un insieme di Dèi, nati e divenuti nelle condizioni e nelle contraddizioni della vita; li onora vivendo nelle condizioni e affrontando le contraddizioni del mondo. Per il Pagano sono gli Dèi nel mondo che manifestano la vita che continuamente diviene e si trasforma da un presente che ne favorisce e condiziona il divenire e lo sviluppo. Il Pagano, onora la vita solo nella misura in cui è partecipe di quello sviluppo con tutto il bagaglio di pulsioni, desideri e bisogni, di cui la vita lo ha dotato affinché si trasformi esso stesso in un Dio.
Walter Otto era ben consapevole della necessità del comportamento eroico come atteggiamento con cui il singolo individuo affronta le condizioni e le contraddizioni della sua esistenza. Un Pagano sa che trasformerà la morte del corpo fisico in nascita del corpo luminoso solo se la sua vita sarà una partecipazione appassionata alla costruzione del futuro della Natura e della società in cui vive.
Un Pagano sa perfettamente che non esiste un paradiso e per chi vive di obbedienza esiste solo la dissolvenza nel nulla della propria esistenza.
Walter Otto lo ha intuito perfettamente: per questo amiamo il figlio di Era, Ares, che ci indica la via della passione con la quale affrontare le contraddizioni della nostra esistenza. Noi nasciamo per affrontare la vita con passione, come ogni Essere Animale e Vegetale della Natura. Solo l'educazione, la violenza del cristianesimo sull'infanzia, costringe l'uomo all'obbedienza e alla sottomissione anziché fornirlo di mezzi per vivere con partecipazione nella società come nella Natura.
Scrive Walter Otto:
"Il sentimento servile, che neppure nei sogni vola mai al di sopra della sua meschinità, ma si fa anzi un onore di idealizzarla, questo sentimento servile ha dato una corona al dolore e alla sofferenza. Cristo stesso, della cui bocca sono uscite tante parole di superiore grandezza [delirio di onnipotenza, nota Claudio Simeoni], è stato in questo caso un precursore, con la sua beatificazione di colore che piangono e sono poveri e la sua riprovazione per coloro che ridono e sono ricchi [coloro che vivono nella ricerca della felicità e che attendono al benessere sociale: nota Claudio Simeoni]. Si ricordi che anche i filosofi greci avevano altamente valutate le difficoltà della vita. Ma come suona diversamente la lode della sofferenza in quella virile [attiva nei confronti delle condizioni del mondo: nota Claudio Simeoni] dottrina educativa! Quando i nobili Pitagorici dichiarano che la fatica è cosa buona, essi pensano alla cima luminosa della ripida salita che può superare solo chi è instancabile e severo con sé stesso. Da qui la formula simbolica che si deve aiutare il prossimo caricandosi un peso, non però se lo si vuole deporre. Così l'attività, la gioia di combattere [le condizioni e le contraddizioni della vita: nota Claudio Simeoni] e di vincere vengono stimolate dalla pena [da ciò che potrebbe succedere se non portiamo a termine i compiti: nota Claudio Simeoni]: e per questo essa è buona e sacra. "Oh tu compagna dei colossi, tu saggia natura corrucciata, ciò che da un gran cuore viene deciso germoglia alla tua scuola". Come del severo canto di Holderlin, così dal riconoscimento che gli antichi davano alla sofferenza risuona un esultante e contenuto grido di forza; noi lo riconosciamo quel tono di gioia e di letizia, che secondo Spinoza è il fondamento e il segno caratteristico di tutto ciò che è buono. Essa è la divina promotrice della vita, essa, come scrive Goethe, "mette in movimento tutto quello che vi è nell'uomo", essa dà all'attività virile il suo ricordo colorito. "Gioia e letizia", dice Seneca, "sono il carattere naturale della virtù", il che significa della prodezza.
La vita va vissuta con passione. Le contraddizioni e le sfide della vita vanno affrontate e, spesso queste sfide procurano dolore a chi le affronta. Ma il dolore vissuto non è una dimensione assoluta. Il dolore è circoscritto alla sfida e alla contraddizione dell'esistenza. Una volta risolta la contraddizione che provoca dolore, anche il dolore svanisce.
Era dura, ho stretto denti e pugni per affrontare la montagna; a volte ho sofferto la sete; a volte sono stato preso dallo sconforto. Il dolore è forte, ma una volta giunto in vetta, ho alzato la mia bandiera. Il dolore è svanito. Tutti gli sforzi messi in atto per giungere alla meta mi hanno procurato dolore, ma quel dolore non si è impossessato di me, quasi mi ha spronato per giungere alla meta e vincere il dolore.
Quel dolore che Walter Otto sottolinea è il dolore come parte della vita, quello che l'uomo pagano affronta per modificare la realtà della sua esistenza e costruire o provvedere al futuro.
Questo tipo di dolore si oppone al dolore cristiano. Il dolore cristiano si trasforma in sofferenza che imprigiona l'uomo e lo costringe a soffrire per il soffrire. Una sofferenza senza una meta se non la sofferenza stessa. Una sofferenza che nel cristiano si cala così profondamente da costringerlo ad esorcizzare quella sofferenza elevandola a santità. La sofferenza, come l'impotenza sessuale di Paolo di Tarso, diventa espressione del "comportamento eroico" del cristiano che soffrendo e imponendo sofferenza agli uomini della propria società, imita Cristo che soffre per il piacere di soffrire e giustifica la sua sofferenza criminalizzando gli uomini (sono peccatori e vengono salvati dal peccato attraverso la mia sofferenza).
Il dolore del pagano è un dolore finalizzato a raggiungere uno scopo o provocato da altri per costringerlo a giungere ai loro scopi. La sofferenza del cristiano è la padrona del cristiano che vuole imitare Cristo soffrendo senza scopo e alimentando la sofferenza nella sua stessa società. Il problema, il peso, si sposta da una spalla ad un'altra spalla. Un cristiano può farsi carico della sofferenza di un altro, ma non è in grado di risolvere la condizioni e togliere la sofferenza a sé e all'altro. Il cristiano non affronta i problemi sociali, si limita a spostarli caricando altri dei suoi problemi.
Walter Otto sottolinea quest'aspetto:
Il cristianesimo invece glorifica lo stato di sofferenza per sé stesso: perciò infatti cerca anche di provocarlo artificialmente, e nel modo più tremendo, nell'esistenza morale, per mezzo dell'inquisizione della coscienza. Simile stato deve essere buono in sé e per sé, e più conveniente all'uomo che non il senso del benessere e del vigore. Deve anche renderlo più cosciente che non la felicità. Più cosciente di che cosa? Si è dimenticato che lo stato di sofferenza è il più pericoloso di tutti e solo per chi è ardito ed orgoglioso diventa un campo di battaglie per la libertà, come Holderlin sa dire a proposito della pena: "E quando nelle sue tempeste svanisce anche un Eliso e mondi tremano al suo tuonare, ciò che è grande e divino resiste". Ma gli orgogliosi e gli arditi sono appunto quelli che il cristianesimo non vuole. Per esso al contrario la sofferenza è una scuola di sottomissione e così anche scuola della coscienza sottomessa. Si ignora dunque lo sguardo angusto e cupo del sofferente, la sua inclinazione e il suo piacere a falsare i valori della vita, la sua bigotta gioia di scoprire tutti gli angoli e le fogne del putridume e di soffocare col denso fumo della decomposizione l'alito fiorito del mondo si ignora il raggrinzimento psichico e l'avvelenamento morale di animi sentimentali per effetto del dolore, l'amara falsità di giudizio con cui esso si mette sulla difensiva verso il prossimo: in breve quella miseria e quella malattia incurabile, per la quale il comandamento cristiano di amare il proprio nemico avrebbe dovuto servire di lenimento e di orpello. E infine si ignora il pericolo da cui è minacciata la conoscenza, perché chi soffre soccombe volentieri alla seduzione di cercare solo ancora la pace e di acconsentire a qualunque soluzione che gli porti la quiete. E come avrebbe potuto una dottrina che avrebbe dovuto considerare il bisogno di pace come il suo più forte alleato, riconoscere il pericolo che era insito in lei? Così dunque il povero Pascal ha detto che la condizione di un corpo paralizzato e distrutto dalla malattia è per il cristiano la più desiderabile, la più conveniente, perché rende semplicemente impossibili le emozioni e le azioni proibite. Può un animo servile esprimersi con più chiarezza? A questa sua concezione della vita corrisponde il nuovo rango assegnato dalle virtù: le virtù della sofferenza, cioè appunto quelle che le menti ben educate di tutti i tempi hanno tratto con sospetto, ottengono il posto più alto. La compassione diventa una prova di nobiltà dell'anima, la mancanza di sicurezza e l'inclinazione all'autoaccusa un segno di purità dei sentimenti. Si cita con ammirazione la massima di un dottore della chiesa, secondo cui rivela buon cuore il riconoscere una colpa anche dove non c'è. E infine la facoltà dell'obbedienza: essa deve fare vergognare i cuori di tutti coloro che hanno un'anima ardente e uno spirito superiore. Con questa idealizzazione la frenesia malata della natura servile si è esaltata nel modo più sfacciato. Niente è più significativo per il suo carattere che la pretesa di meritare l'amore per mezzo dell'ubbidienza, quell'amore che cerca non ciò che è forte, lieto, raggiante, ma ciò che è debole e si sottomette. E secondo questi gusti si capovolgerà tutto il quadro del mondo.
La divinità stessa non dovrà possedere qualità più nobili della misericordia e tutti i tratti seducenti che le erano naturali e innanzi ai quali i Pagani stavano con gli occhi scintillanti, dovranno impallidire davanti alla compassionevole condiscendenza con cui essa ricerca le persone dappoco e si sacrifica per i più miseri [rendendo miseri anche quelli che sono affinché non si vantino davanti a Dio "Paolo di Tarso": nota Claudio Simeoni]. La sua maggior gloria è quella di essere consolatrice e medico. E così, dal punto di vista dei cristiani, tutto il mondo è diventato un grande sanatorio per poveri malati, Dio stesso un premuroso ed umano assistente, aspirazione suprema la pace tra le sue braccia e infine il riposo domenicale della vita eterna, l'ultima pace perfetta per amore della quale, come dice Agostino, si deve esercitare la giustizia in questa vita. Quanto lontano era stato cacciato questo misero globo terrestre dalla sfera di quel sole vitale, alla cui gioconda luce i Greci riconoscevano la somma felicità nella perfezione di un'interrotta attività; e l'eternamente giovane Holderlin ha elevato il suo canto trionfale sulla miseri dell'immane visione della fine: "Nella più sacra delle tempeste crolli la parete del mio carcere, e più eccelso e più libero vada fluttuando il mio spirito in terra sconosciuta. Qui sanguina spesso l'ala dell'aquila; anche là aspetti lotta e dolore. Combatta sino alla fine degli astri questo cuore nutrito di vittoria"."
"La somma felicità" era riconosciuta da Epicuro, non dai Greci in generale. Stoici, cinici, platonici, avevano nella sofferenza, nella continenza e spesso nella povertà gli ideali che spacciavano agli uomini per preservare il dominio dei dittatori.
Come Pagani queste differenze le abbiamo sempre sottolineate partendo dalle esigenze moderne della vita quotidiana. Quando cerchiamo le ragioni di autori ribelli al loro presente che ci hanno preceduto nel tempo, scopriamo che le ragioni della loro ribellione erano sempre le stesse. La ribellione dall'imposizione della sottomissione e accettazione della sofferenza e del dolore.
Anche oggi che Ratzinger è andato in Africa ha inveito contro l'uso del preservativo come metodo per contenere gli effetti dell'AIDS. Come ha sempre fatto, il cristianesimo usa la sofferenza per imporre sofferenza ulteriore. La guerra all'uso del preservativo fatta da Ratzinger è finalizzata ad imporre la sofferenza per la sofferenza e impedire alle persone di vivere in maniera piena ed eroica la loro esistenza. In Walter Otto troviamo le stesse esigenze anche se Walter Otto non sottolinea come la sofferenza venga imposta psicologicamente attraverso l'educazione dai cristiani. Walter Otto divide le persone in base al loro carattere e allo spirito con cui affrontano il presente. Walter Otto non vede come la sottomissione delle persone che accettano la sofferenza sia stata, di fatto, costruita dall'educazione cristiana in tutti quegli istanti dell'umana esistenza che vanno dal concepimento fino alla giovinezza. Walter Otto non scorge la costruzione della distruzione psico-emotiva che il cristianesimo mette in atto nei confronti dei bambini.
Walter Otto divide le persone in ciò che sono nell'attimo presente assumendo, di fatto, una categoria cristiana che non gli consente di progettare il futuro. Se le persone sono ciò che sono, nulla può essere fatto per l'umanità affinché i sofferenti e i sottomessi non siano la maggioranza delle persone.
Noi non possiamo correre in aiuto dei sofferenti e dei sottomessi, in quanto sofferenti e sottomessi. Noi possiamo lenire le cause sociali della sofferenza e stimolare le condizioni affinché "Ogni cittadino sia indotto a svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.", ma nulla possiamo fare per aiutare le persone sottomesse ad uscire dalla loro condizione di sottomissione e dipendenza. Non possiamo costringere le persone alla libertà.
Possiamo far in modo che i sofferenti e i sottomessi non elevino la sofferenza e la sottomissione a categoria sociale. Possiamo dibattere e discutere diffondendo idee e modi di essere affinché i sottomessi e i sofferenti non impongano la sofferenza e la sottomissione come norma morale o giuridica nella società in cui viviamo. Possiamo far in modo che la ricerca di sofferenza o di benessere nella sottomissione non sia economicamente e psicologicamente vantaggiosa nella società in cui viviamo.
Non possiamo correre in aiuto a chi si compiace della sofferenza e della sottomissione però possiamo costruire le condizioni affinché la condizione psichica di sottomissione e di sofferenza non si riproduca nelle generazioni successive. E' un dovere morale, un debito che abbiamo nei confronti del futuro sociale. Dobbiamo tentare di far in modo che il delirio della costruzione della distruzione psico-emotiva dei bambini ad opera del cristianesimo per farne servi obbedienti, paurosi e sottomessi, venga interrotta e i futuri cittadini siano aiutati ad appropriarsi degli strumenti coerenti con cui affrontare il futuro in questa società.
Questa è la differenza fra i Pagani attuali e Walter Otto: sono tempi diversi. La staticità dell'individuo, che Walter Otto ferma in un presente privo di divenuto, viene superata dal Paganesimo attuale che ne analizza il divenuto per porre le basi per un diverso futuro
Esiste, indubbiamente, uno scontro sociale fra la pretesa del cristianesimo di imporre la sofferenza agli uomini e la necessità degli uomini di sviluppare quello stato psicologico di felicità che il cristianesimo nega loro. Una guerra fra cristiani e pagani che non sarè risolta dai cristiani o dai pagani, ma sarà risolta dalla vita. Sono le condizioni dell'esistenza che determinano se gli uomini possono cercare la felicità o se possono cercare il dolore e la sofferenza. A noi pagani non resta che far sì che gli uomini siano liberati dalle costrizioni e lasciati liberi di scegliere il meglio per la propria esistenza e per l'esistenza delle future generazioni.
Marghera, 18 marzo 2009 [ritoccato il 12 giugno 2022]
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Non esiste, nella società in cui viviamo, una disciplina o delle regole per chi voglia costruire una Religione o, più in generale, un pensiero religioso autonomo e diverso dalla religione cattolica che domina ogni anfratto dell'esistenza umana. Chi lo fa viene visto con sospetto. Un nemico da combattere e quando viene aggredito, le Istituzioni tendono ad ignorare le aggressioni. Eppure, costruire una religione è l'unico modo per agire sulle proprie emozioni e costruire i legami fra sé stessi e il mondo in cui siamo nati.
Marghera, 18 marzo 2009 [ritoccato il 12 giugno 2022]
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
Membro fondatore
della Federazione Pagana
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Tel. 3277862784
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Diana di Roma!
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