Cerbero e Beppi di (o da) Lusiana
Dodicesima di dodici fatiche di Beppi

di Claudio Simeoni

Partita di calcio mondiale della filosofia

Presentazione della Partita Mondiale di Calcio della Filosofia

Le dodici fatiche di Beppi

Beppi di Lusiana e Cerbero

La festa che Demetra aveva organizzato per l'arrivo di Persefone era ancora in corso.

Ganimede versava il vino da giorni nelle coppe degli Dèi e degli eroi bevendo e brindando egli stesso. La festa di primavera era la grande festa che attivava ogni Dio in ogni angolo del pianeta.

La forma delle cose è una rappresentazione delle cose in un contesto di forme che esistono solo entro limiti definiti da misure e da numeri.

Che cos'è la "cosa in sé"?

E' l'oggetto privo di misura, privo di confini, che fluisce in trasformazioni temporali e in manifestazioni emotive sempre diverse. Un flusso di cambiamenti e rappresentazioni che si compenetrano e si differenziano in un continuo mutare privo di forma e di definizione con cui la percezione soggettiva costruisce delle relazioni ma non definizioni.

Ogni volta che si usa una parola per definire un oggetto o una situazione, si limita l'oggetto alla parola che, per sua natura, attribuisce una forma ad un oggetto che in sé è privo di forma. Privo di nome. Privo di quella verità con cui il linguaggio vorrebbe rappresentarlo ad una mente che può pensarlo, raccontarlo, solo in quel modo perché quella mente si perderebbe nella realtà dell'oggetto in sé.

La forma degli oggetti crea delle gerarchie fra oggetti, ma la gerarchia è legata alla forma pensata e svanisce quando il pensatore cessa di pensare gli oggetti attraverso la forma, che attribuisce loro, per abitare gli oggetti che, nella frequentazione, cessano di essere forme per diventare fenomeni con i quali costruire le relazioni. Il fenomeno è un soggetto che costruisce delle relazioni e la sua forma è la dinamica attraverso la quale vive le relazioni perdendo i connotati di forma per assumere i connotati dell'azione.

Il messaggero è il messaggio e il messaggio qualifica il messaggero nei confronti della percezione del soggetto che lo riceve. La percezione del fenomeno qualifica l'oggetto in sé e l'oggetto in sé può costruire delle relazioni con quei suoi, e solo con quei, fenomeni.

Il mondo in cui viviamo può essere fatto da forme che descriviamo con la nostra mente razionale o può essere fatto da fenomeni che abitiamo e con i quali abbiamo, e hanno, delle relazioni modificando continuamente la loro, e nostra, esistenza.

Quando guardiamo il mondo: che cosa vediamo?

Ciò che noi vogliamo vedere!

Ciò che siamo stati addestrati, educati, violentati a vedere!

La nostra percezione fissa la forma del mondo solo se la forma è l'unico modo attraverso il quale siamo in grado di pensare il mondo, anziché abitarlo.

Abitare il mondo, per chi vive la forma del mondo, viene percepito come una continua rottura della forma quel "spezzare le membra" o "sciogliere i legamenti" che bloccano la percezione nella forma.

Chi vive una realtà fenomenologica in cui nulla è fisso nella forma, ma le forme si rappresentano alla percezione in una condizione provvisoria, aleatoria, instabile, sempre suscettibile di cambiamento e in cambiamento nello stesso momento in cui si presentano, giudica sciocco chi abita un mondo di forme fisse e non ammette nessuna modificazione delle forme, nessuna realtà altra della forma al di fuori della forma con cui si presenta, perché non è la forma che è fissa, ma la sua percezione che non può esistere se non fissando forme, fissando verità, per le quali non ammette eccezioni.

Chi vive nella forma in cui un oggetto "è quell'oggetto", per come la sua percezione lo rappresenta; numera gli oggetti; li pesa e li misura; costruisce gerarchie fra gli oggetti; considera sciocco chi pensa agli oggetti in maniera diversa dalla forma che lui percepisce, descrive e misura.

Chi vive nella forma, esercita il "potere della violenza psico-fisica" perché gli oggetti devono perseverare nel loro stato di forma in cui li percepisce e non ammette deviazioni degli oggetti da quello stato. Non ammettendo deviazioni, perché questo comporterebbe una ristrutturazione della sua percezione e una ricollocazione degli oggetti nella sua descrizione, esercita, per quanto possibile, la violenza sugli oggetti affinché gli oggetti persistano, statici ed ubbidienti, nella forma in cui egli li percepisce e descrive.

Chi vive percependo gli oggetti nella forma, è potente nell'attimo presente perché esercita violenza sugli oggetti. Ma gli oggetti, che piaccia o meno si modificano e il mondo in cui vive si modifica. Chi vive della forma degli oggetti è costretto a subire cambiamenti di forma e di stato degli oggetti che non può abitare e che sfuggono, un po' alla volta, alla sua descrizione.

Chi vive in un mondo fenomenologico, in cui il cambiamento e la modificazione degli oggetti è l'unica realtà dell'oggetto stesso, non fissa il mondo in funzione di sé stesso, ma vive la modificazione e la trasformazione continua del mondo assieme alla propria continua trasformazione. Egli è un fenomeno, un oggetto fenomenologico, che si presenta, mai uguale e sempre diverso, ai fenomeni del mondo con i quali interagisce.

Mentre, chi vive nella forma esaurisce sé stesso nello sforzo continuo di ricondurre il percepito alla forma data con cui presentarlo alla sua coscienza, chi vive il mondo fenomenologico adatta sé tesso alla fenomenologia del mondo in cui vive abitando i cambiamenti, cambiando e nutrendosi di essi.

Chi vive il mondo fenomenologico non è potente nell'attimo presente, ma è potente nelle trasformazioni, nel cambiamento, nel futuro delle trasformazioni costruite dai fenomeni in continuo movimento. Gli oggetti, come fenomeni, si presentano in un enorme numero di sfaccettature, ognuna delle quali è un fenomeno, che cercano un infinito numero di relazioni in un universo dove il fine delle relazioni sono le relazioni stesse.

Tutto era movimento, tutto era trasformazione continua e gli Dèi, che si incontravano ad ogni primavera erano diversi, cambiati, modificati, rispetto all'anno precedente perché in loro, la Demetra che abitava in loro, li spingeva a modificarsi, a cambiare continuamente, a cercare la loro Persefone perduta.

Mentre tutti bevevano, brindavano e si dedicavano alle gioie del sesso, Demetra, sia pur più volte invitata, se ne stava corrucciata in un angolo della festa.

Era da molto tempo che Ade non usciva dall'Ade e, in questa primavera, aveva accompagnato Persefone fuori dall'Ade. Si aggirava, con quello che Demetra chiamava "odioso sorriso", fra gli Dèi. Parlava con Artemide e con Marte come se fossero vecchi amici che si erano lasciati solo ieri. Afrodite dispensava i suoi doni e anche Hera, solitamente molto riservata, sorrideva ai suoi corteggiatori.

Urano stava discutendo con Zeus e Cronos di qualche cosa che sfuggiva alle orecchie della maggior parte degli Dèi presenti. Ma quella discussione non passò inosservata a Nera Notte che intervenne dicendo: "Ade è venuto a prendere Beppi, ma l'operaio non è ancora arrivato."

Cronos si rivolse a Nera Notte dicendo: "Tutto è già avvenuto.". "Si" intervenne Gea "Tutto sta avvenendo ora".

La festa degli Dèi si fermò all'improvviso. Improvvisamente tutti i partecipanti furono coscienti di quanto stava accadendo. Demetra uscì con un balzo dall'angolo in cui stava rannicchiata e triste e si avvicinò ad Ade dicendo: "Ora?". "Si ora" Rispose Ade.

Era il mese di maggio, un maggio piovoso, cosa rara in questi ultimi anni. Beppi era tornato dal solito giro per tener vive le sue vecchie gambe e aveva riposto le stampelle con le quali, ormai ultraottantenne, si aiutava per camminare. Aveva mangiato ed era andato a letto. Dormiva un sonno profondo che ogni tanto veniva interrotto dalle necessità di una prostata che non gli permetteva lunghi e continuati sonni. Si alzò verso l'una di notte, svuotò la vescica, tornò a letto e, improvvisamente, si sentì soffocare. Beppi uscì dalla vagina dell'Essere Natura in cinque minuti razionali. Beppi era stupito da questa nuova luce che lo stava abbagliando mentre Hecate gli tendeva la mano per aiutalo a muoversi.

Ora Demetra sorrideva accanto a Persefone mentre il piccolo cane, Fiocco, riprese le sue sembianze a tre teste diventando un gigante che si mise a fianco di Ade mentre sembrava sorridere a Persefone.

L'operaio era arrivato e non si rese conto che la piccola casa, che aveva acquistato, aveva due guardiani, un antico rosmarino e un'antica vite, che gli anziani vicini ricordavano vecchia quando loro erano bambini.

Erano curiosi quei vicini, tutti anziani, di conoscere questo pazzo e la sua famiglia che avevano comperato quella vecchia casa, appartenuta a persone povere. I venditori avevano certamente imbrogliato quell'operaio così desideroso di un piccolo posto al fresco per poter fuggire dalla calura estiva di Marghera.

La curiosità dei vicini crebbe ancora quando il vecchio cane di un vicino, un piccolo cane dal pelo lungo tenuto alla catena per dodici anni e solo da poco lasciato libero di girare per la piccola contrada, iniziò ad avvicinarsi a questi strani nuovi vicini che avevano un odore diverso.

"State attenti" dissero i vicini all'operaio "quel cane è piccolo, ma ha il vizio di mordere". Ma Fiocco non mordeva, sembrava si fosse affezionato a quei vicini e quando, dopo il fine settimana passato nella contrada, se ne andavano, Fiocco ululava e piangeva davanti a quella casa vuota; a volte per giorni e a volte per ore. E gli anziani vicini erano stupiti per questa manifestazione evidente di affetto.

Di tutti gli anziani della contrada, nessuno si curava di quel piccolo cane. Solo Beppi gli dava da mangiare e quando il temporale arrivava con i suoi tuoni e i suoi fulmini, Fiocco, impaurito, correva a rifugiarsi da Beppi perché solo Beppi gli dava sicurezza e attenuava le sue paure. Nemmeno colui che avrebbe dovuto, secondo gli uomini, essere il suo "padrone", non fu mai capace di essere suo amico.

L'operaio ascoltava il suono del silenzio rotto da un battere la terra che sentiva in lontananza.

Si diresse in quella direzione e a fatica vide un uomo molto vecchio che alzava ed abbassava la zappa conficcandola di poco in terra mentre tentava di strappare delle erbe.

L'operaio stette un po' a guardarlo finché costui, alzato lo sguardo lo salutò dicendo: "Ancora niente acqua quest'anno!". "Sì! E' un anno secco" Rispose l'operaio mentre l'uomo riprese a strappare erbacce. "Crescono veloci mentre zucche e rape non crescono." Riprese l'uomo che sembrava felice di aver trovato un ascoltatore a cui parlare. "Porco Dio, ancora una ghe ne se!" sbottò l'uomo quando la zappa andò a sbattere contro un sasso più grande degli altri. L'uomo prese un ferro da un portaoggetti e iniziò a scavare per liberare il sasso dalla terra e toglierlo. L'operaio commentò: "Stiamo tirando bestemmie!" "A chi?" chiese l'uomo "al porco? Al porco che si pensa padrone di tutto e che pretende di essere il padrone? Anche a calci lo prendo se lo trovassi!"

L'operaio rimase perplesso. L'operaio non cercava un uomo e non cercava un Dio. Che cosa stava, in realtà, cercando? Cercava un figlio della Natura che avesse il potere di affrontare l'arroganza delirante e ogni Dio senza essere soggiogato o intimorito dal loro "potere".

Lo aveva trovato.

"Come ti chiami?" chiese l'operaio.

"Beppi" rispose l'uomo.

"Beppi" ripeté l'operaio "Qui siamo nel paese di Lusiana, se non mi sbaglio" L'uomo annuì e chiese: "E tu?". "Di Marghera e sono convinto di essere ancora a Marghera, ma oggi per me i luoghi si sovrappongono e il tempo ha perso il suo senso" disse l'operaio. "Ultimamente succede spesso anche a me, troppo spesso". Rispose Beppi mentre continuava a zappare.

"Io ti chiamerò Beppi di (o da) Lusiana! E tu sei il quarto!"

"Il quarto di cosa?" Chiese Beppi di (o da) Lusiana.

"Lo saprai. Però potrai prendere a calci il Dio che associ al porco."

"Mi piacerebbe" disse Beppi di (o da) Lusiana.

Sulla panchina di Piazza Mercato a Marghera l'operaio allungò una gamba giusto in tempo per fare lo sgambetto ad un borseggiatore che stava tentando di sfilargli il borsello. Il borseggiatore cadde e l'operaio si affrettò a recuperare il borsello.

Il borseggiatore lo guardò e disse: "Sei arrivato! Era ora." Dopo di che si alzò e fuggì via, non senza essersi sentito dire dall'operaio: "Ma va a cagare!".

Beppi prese la mano che Hecate gli tendeva. Il bagliore scomparve.

Veloce, Demetra, si avvicinò a Beppi e, salutandolo, gli porse una zappa luminosa dicendo ancora: "Era da molto tempo che aspettavo di dartela." Ganimede versò una coppa di vino ma, mentre tentò di porgerla a Beppi intervenne Dioniso: "Dalla a me, lui non beve!".

Beppi iniziò a guardarsi attorno. Il mondo era sempre lo stesso, ma lui era diverso. La sua percezione era diversa, i suoi interessi erano diversi, le sue priorità erano diverse. I sentimenti erano uguali, ma si dirigevano per sentieri che, al momento, per Beppi erano sconosciuti.

Fu allora che Beppi vide il "mostro a tre teste", imponente, enorme. Stava guardando Beppi mentre le tre teste si stavano avvicinando a quella che, avrebbe detto, essere la sua faccia. Beppi era un po' intimorito, un po' perché si accorse che chi gli stava attorno non era allarmato.

Quando la testa centrale fu abbastanza vicino, Beppi la sentì dire: "Ciao Beppi! Grazie di tutto". E un'enorme lingua gli lavò quella che Beppi avrebbe detto essere la sua faccia.

"Ciao Beppi". A quel ciao, Beppi si scosse e riconobbe Ade guida di molte avventure. Beppi sorrise mentre Ade continuò "Bisogna essere degli eroi per diventare amici di Cerbero, però, ora, lo riporto a casa".

Hera si avvicinò a Beppi dicendogli: "Ben fatto Beppi!".

In quel momento Latona porse a Beppi una coppa delle "fredde acque del lago di Mnemosine" e Beppi fu cosciente di che cosa avrebbe potuto fare.

Lusiana, 28 luglio 2024

 

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