La conquista della cintura di Ippolita e Beppi di (o da) Lusiana
Nona di dodici fatiche di Beppi

di Claudio Simeoni

Partita di calcio mondiale della filosofia

Le dodici fatiche di Beppi

La conquista della cintura di Ippolita

Beppi di (o da) Lusiana entrò quella sera nell'Osteria al Ponte a pochi chilometri a sud di Lusiana.

L'osteria quella sera era piena di persone che avevano bevuto parecchio e l'oste, uno specialista in vino e galletti arrosto, si guardava attorno compiaciuto. Gli affari gli andavano bene.

Alcuni erano proprio ubriachi e intonavano canzoni sboccate come:

"e mi, e ti e Toni andrem dalla tettona
Ie palperen la mona, ie palperem la mona!"

Un altro avventore, un po' disgustato, disse: "Prova andar dall'Ippolita, è na bella tettona, e prova a palparghe la mona. Te ariverà ad esser senza denti e sto galetto te gavare da ciuciarlo!"

Beppi si sedette vicino ad un tavolo dove quattro avventori stavano facendo una partita di briscola. Ordinò un bicchiere di rosso e stette ad osservare. Calavano assi, carichi e briscole. Avevano bevuto, ma le carte se le ricordavano.

Dopo un po' un giocatore lasciò il tavolo e anche se a malavoglia Beppi lo sostituì intendendo fare solo qualche partita.

Hera fece un cenno a Poseidone per fargli capire che aveva il tre di bastoni con i bastoni in briscola e Posidone non si fece attendere e caricò la mano con l'asso di coppe. Beppi mise un due di bastoni e subito Hera calò il tre di bastoni, ma Zeus calò l'asso di bastoni. Trentadue punti su sessanta in una sola mano. Poi Zeus calò l'asso di spade mentre Posidone calò il fante di bastoni e Beppi mise il re di bastoni quando Hera calò un cinque di spade.

"Se vuoi," disse Zeus, "cambiamo gioco".

"Perché no", disse Hera "Chi porta la cintura di Ippolita vince tutto quanto quello che è sul tavolo. Quello che si vede e quello che non si vede".

Subito, a scanso di equivoci, Posidone si riprese il tridente e Zeus raccolse le folgori.

Beppi guardò il tavolo, la posta era ricca. Ma sul tavolo c'era qualche cosa che a Beppi sfuggiva, qualche cosa che lo attirava ben più delle monete. Non erano poche per un contadino di montagna. Eppure, quella cosa invisibile che alimentava la sua sensazione stava eccitando la sua determinazione.

Tutti e tre guardarono Beppi che finì di bere il suo bicchiere e si alzò avviandosi per la strada che portava da Ippolita sperando che la motosega, che Ippolita teneva dietro la porta d'ingresso, fosse, almeno quando lui arrivava, quanto meno inceppata. Lunga era la strada a piedi da Ponte ai pressi di Forte Interrotto vicino al quale stava la baita in cui abitava Ippolita.

Le gambe di Beppi avevano iniziato a muoversi da sole, sembrava fossero prese da una nuova frenesia.

Stava camminando da ore. Era buio. Poche le stelle nel cielo che bucavano la foschia. Ore di cammino. Sarebbe stata necessaria tutta la notte e tutto il giorno dopo di cammino senza sosta per fare quei, circa, 40 chilometri e giungere alla casa di Ippolita.

"Forse arriverò a notte inoltrata del giorno dopo!" Stava pensando fra sé e sé Beppi quando una voce di rimando disse: "Anche all'alba di un altro giorno. Non pensarti così veloce". Poi, quella voce rise.

Beppi si guardò attorno e scorse una forma. Avrebbe detto un uomo, ma non ne era certo, che stava come seduta sul ciglio della strada con le gambe che penzolavano dentro uno scolo per l'acqua piovana.

Beppi cercò di mettere a fuoco lo sguardo sulla figura che sembrò dire: "Le persone si fermano a mangiare, a bere e a riposare. Tanti chilometri e tante ore per arrivare, ma non hai calcolato le esigenze del tuo corpo." "Soprattutto" continuò quella forma "le persone dovrebbero essere indotte a pensare. Hai pensato il motivo per il quale Zeus, Posidone ed Hera ti hanno mandato a prendere la cintura di Ippolita?"

"Non ho tempo per questo" disse Beppi "Ho molta strada da fare e parlare con te mi sembra di perdere tempo inutilmente."

La figura si alzò in piedi e si avvicinò a Beppi dicendogli: "Non hai tempo da perdere? Va bene, ti accompagno per un po'." E iniziò a camminare a fianco di Beppi che ancora non riusciva a fissare quella forma che gli appariva ancora più sfuggente.

"Quando eri seduto a quel tavolo" riprese la forma "Hai notato con quanta velocità Posidone si è ripreso il tridente e con quanta velocità Zeus ha preso in mano le sue folgori dopo averle poggiate sul tavolo? Le parole sono importanti per gli uomini, ma i gesti sono importanti per leggere le intenzioni degli Dèi!"

Beppi ci rifletté un po' sopra e disse: "Effettivamente, la posta era quanto era sul tavolo e Posidone e Zeus si sono ripresi il tridente e le folgori prima che la scommessa fosse accettata."

"E tu" riprese la forma "Hai ripreso il tuo?"

"Il mio?" Chiese perplesso Beppi che iniziava a sospettare che qualche cosa non era come lui credeva che fosse.

"Perché" disse la forma "Pensavi di giocare a carte con gli Dèi mettendo sul piatto le poche lire che ti eri portato? Su quel tavolo c'era il potere del mare e c'era il potere del cielo. Solo Hera, apparentemente, non aveva messo nulla di suo per il solo fatto che la tua vita, nata da Hera, era Hera stessa che Hera si stava giocando su quel tavolo. Su quel tavolo c'era la tua vita e tu non ti sei affrettato a riprendertela prima del patto e ora Hera attende che tu porti a termine una missione impossibile: conquistare la cintura di Ippolita senza sapere chi è Ippolita."

La forma fece una pausa e guardò Beppi che ora sembrava affaticato. Il passo appariva pesante e lo sguardo, prima vivace, ora sembrava perdersi nel buio della notte.

"Ma tu chi sei?" Chiese Beppi.

"Sono uno che non viene mai invitato ai tavoli da gioco. Sono uno a cui le persone non offrono un bicchiere di vino. In me fermenta la vita e quando da me la vita si stacca, la vita stessa mi ripudia perché teme il suo luogo d'origine scambiando il luogo d'origine come il luogo in cui si conclude la vita stessa. Io sono il terzo fratello che partecipò alla divisione del mondo. Furono veloci i miei fratelli a prendersi "regni finiti" nei quali circoscrivere la loro azione. Zeus i prese il cielo, ma dove non c'è il cielo, Zeus non è. Poseidone si prese il mare, ma dove il mare non è, Poseidone non è. E mi lasciarono l'immenso infinito, mi misero a guardia dell'immenso abitato da Caos nel quale dovevo mettere un minimo di ordine affinché Poseidone e Zeus potessero far geminare le vite che formano il corpo di Hera.

"Ade!" mormorò Beppi.

"Quanto ti manca per arrivare da Ippolita?" Chiese quella forma che ora chiamiamo Ade.

"Ho fatto alcuni chilometri, me ne mancano ancora più di trenta." disse Beppi.

"Io non ti ho chiesto quanta strada devi fare per arrivare alla baita di Ippolita, ma quanto ti manca per arrivare da Ippolita." Precisò Ade.

"Tu puoi bussare, in una notte buia, alla porta della baita di Ippolita e sentire il rumore di quella corda tirato che mette in moto la motosega, oppure puoi arrivare da Ippolita." Disse Ade

"Ancora non ti capisco" disse Beppi

"Quante volte hai visto Ippolita al mercato a Lusiana o a Roana? Certamente molte volte. Molte volte l'hai guardata ammirandone le forme, come molti dei tuoi compaesani. Ma l'hai guardata veramente? E perché rifiuta sempre i corteggiatori preferendo quella sorta di eremitaggio in quella baita presso il forte Interrotto?" Chiese Ade a Beppi.

"In effetti", disse Beppi, "per essere bella è bella, ma a volte sembra giovane e a volte sembra vecchia, ho la sensazione che sia proprio vecchia, ma quando la guardo mi sembra giovane, molto giovane."

"Si!" aggiunse Ade "Molto bella. Con un bellissimo seno, ma nulla in confronto al seno di Hera dal quale ogni vivente della natura succhia per alimentare la propria vita."

"Visto che le gambe le devi muovere ti aiuterò a percorrere la strada che porta a Ippolita. Tu però, mentre percorri quella strada, guarda bene dove metti i piedi, perché non è agevole percorrere due strade insieme, vivere nell'una e nell'altra nello stesso tempo." Disse Ade.

"Ippolita nacque nelle steppe di un nord ancor prima che Atene diventasse un piccolo villaggio. Era abile nel cavalcare i due cavalli e nel colpire le aquile con le sue frecce. Molto abile."

Ade si interruppe sussurrando: "Abile!"

"Sòi philtàte theòn: per te, fra tutti gli Dèi, la più cara. O: fra tutte le Dee per te la più cara? Nella lingua omerica che dispone del genitivo femminile plurale theàon non permette di decidere se Artemide si ricolleghi alla collettività degli Dèi o al gruppo femminile delle Dee. Quanto all'affetto che Artemide esprimeva nei confronti di Ippolito in assenza del suo devoto, essa si guarda bene dal ripeterne l'espressione, ora che egli c'è, ed ecco Ippolito restituito ai suoi propri sentimenti, in virtù dei quali Artemide gli è "la più cara".
"Vedi mia signora che cos'è di me misero?"
A cui Artemide risponde:
"Vedo. Ma agli occhi è vietato versare una lacrima."

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 13-14

"Fu allora che nacque Ippolita" Disse Ade "Era abile con i due cavalli, con il suo arco e con le frecce, ma il mondo cambiava e qualcuno prima sottrasse ad Ippolita i cavalli, poi strapparono l'arco dalle sue mani e vollero rinchiuderla lontano dagli sguardi del mondo".

"Fu allora che gli occhi di Ippolita iniziarono a perdere la luce. Ippolita l'eterna, senza la quale la vita non è".

Ade sembrava ora misurare le parole mentre Beppi si rese conto che arrivare ad Ippolita non era un andare da Ippolita e solo camminando assieme ad Ade avrebbe potuto raggiungerla.

"Così su una coppa di Berlino, la più celebre di questa serie, ma che comporta parecchi tratti eccezionali, si vedono la maschera di Dioniso di profilo, inquadrata da rami, ed un ricco abito ricamato che nasconde il pilastrino. Davanti a questa statua, a destra, c'è un altare visto di profilo, macchiato dal sangue dei sacrifici e ornato con una minuscola immagine dipinta raffigurante un personaggio seduto. A sinistra di questo complesso statua/altare una donna suona l'aulòs, scatenando con la sua musica la danza sfrenata di una decina di donne che ballano in cerchio lungo tutto il perimetro del vaso, con le chiome scarmigliate, volteggiando ognuna su se stessa e non in un movimento d'insieme, a catena, come nel vaso di Boston. La danza attorno alla maschera di Dioniso, di fronte alla quale ognuna di loro si trova a turno, sembra costituire un elemento essenziale di questo rituale dionisiaco."

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 214

"Ci fu un tempo" continuò Ade col suo racconto "in cui Ippolita danzava nei riti di Dioniso. Lontana dai doveri e seguace solo di sé stessa. Come Artemide, essa stessa Artemide e non-Artemide come potrai costatare, correva fra boschi e cascate anche se era impegnata ad alzare muri, tracciare strade, per costruire città. Nessuno imponeva doveri ad Ippolita perché l'inebriante succo di Dioniso e il piccolo arciere che segue Afrodite impedivano ai doveri di invadere il territorio del piacere."

"Le Baccanti di Euripide ci portano lontano da questo potere misurato e composto intorno al vino pronto ad essere consumato. Ancora una volta il vaso su cui è riprodotta la scena è raffigurato nell'immagine: questa rappresentazione di tipo riflessivo propone allo spettatore una visione maschile di un rituale femminile in cui le Ateniesi sono delle menadi molto rassicuranti. Vedremo più avanti, a proposito dei modelli mitici del femminile, altre versioni, più violente, del menadismo. "

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 215

"Era il tempo in cui Ippolita non si ribellava ad un "potere costituito" su di lei perché nessun potere era ancora costituito su di lei imponendogli doveri di obbedienza". Continuò Ade.

Mentre Ade parlava, Beppi si trovò a camminare fra monti diversi in cui le donne danzavano al chiaro della Luna e al mattino, esauste, dormivano sotto gli alberi appena coperte dalle fronde. E poi, quelle voci, quegli zoccoli che battevano il terreno che accompagnavano greggi di nomadi fra grandi spazi aperti e monti nelle cui valli scorrevano torrenti.

Voci di uomini e di donne, voci di bambini.

Fra tutti quei cavalli che correvano c'era Ippolita, un arco a tracolla, una faretra di frecce e un lungo coltello al fianco che conduceva una mandria di mufloni lungo la costa di una montagna verso un torrente.

Là vide Ippolita fermarsi e prendere delle erbe in mano. Beppi non capiva. Non capiva perché Ippolita si stava trasformando assumendo, ai suoi occhi, una diversa forma, una diversa figura. Ippolita raccolse le cime di quelle erbe ormai ingiallite, sembravano con piccoli e sottili spini sulla sommità, e le mise in un piccolo sacchetto di lana che pendeva dalla sua cintura al fianco opposto al quale era appeso il lungo coltello.

Ade, a quella vista, sorrise mormorando: "Demetra, Demetra!" per poi fare un lungo e profondo respiro.

"Proprio perché la riduzione al medesimo, olistica e unificante, che Platone teorizza nella Repubblica, si iscrive nel progetto di una società totalitaria. E' per assegnare loro un posto definitivo, utile e controllabile che la città ideale punta sulle attitudini non specifiche delle donne. Ed è dal disprezzo per i talenti e l'eccellenza tradizionalmente femminili - tessitura e cucina, c'è da ridere - che il filosofo dà fiducia alle virtù guerriere delle donne guardiane, questi esseri viventi dotati di qualità etologiche comparabili a quelle delle cagne. Questi esseri che, secondo l'antropogonia del Timeo, devono la loro comparsa sulla terra alla viltà di alcuni tra i primi uomini, questi esseri che sono dunque l'incarnazione stessa della vigliaccheria umana, saranno in grado di accedere al mondo della guerra e del coraggio, virile per definizione, solo per analogia con gli animali, la parte più bassa della scala tassonomica. Poco coraggiose per natura, per una mancanza di audacia che le costituisce come tali, le donne riceveranno fin dalla primissima infanzia un'educazione, un vero addestramento che, compensando il loro difetto innato, permetterà loro di fornire prestazioni sempre meno clamorose e gloriose di quelle degli àndres. E' ovvio che quando si tratta di sapere e di potere, quando si parla di filosofi incaricati di governare la città, gli interlocutori del dialogo non menzionano in alcun modo le donne. Ciò che li interessa per la loro utopia è sottrarre i figli all'influenza delle madri e delle nutrici, responsabili della cattiva educazione dei cittadini. E' per la diffidenza e la disistima, oh quanto transculturale, verso ciò che le donne sanno fare tradizionalmente, a cominciare dalla maternità e dall'allevamento, che il filosofo insegna alla città l'uso corretto della sua metà femminile. D'altronde, tutto ciò che Platone dice delle donne mostra che esse non rappresentano mai un fine in sé, che non è mai per il loro bene o nel loro interesse che egli formula le regole che le concernono. Ogni volta che è preconizzata l'integrazione massima, come nelle Leggi, quando Platone si preoccupa del modo di vivere delle donne - pasti comuni, residenza, coniugalità -, il fine ricercato non coincide mai con ciò che si supporrebbe fossero i bisogni o i desideri di questi attori sociali. L'intento rimane sempre civico e collettivo. E in rapporto a queste finalità esclusive, le donne, con ciò che presentano in proprio, sembrano recitare strutturalmente la parte dell'ostacolo. Esse sono dunque ciò che bisogna aggirare, il peso morto che bisogna recuperare. La loro natura, il loro gusto della chiacchiera e del segreto le rende importune e pericolose per l'omogeneità del corpo sociale. "

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 94-95

"La storia dell'uomo cambia" dice Ade "le persone diventano oggetto di proprietà. Uomini, donne e bambini sono un capitale da usare per arricchire qualcuno e alimentare il suo potere. La capacità di partorire è il grande potere che domina la società. Partorire non è un semplice "fare figli", ma è la capacità della donna di scindere in due la propria coscienza perché la coscienza del figlio altro non è che una frazione della coscienza che la madre ha ceduto al figlio. Un pezzo di sé stessa. Il legame che esiste fra madre e figlio è il primo legame che i dominatori sociali devono spezzare per poter controllare le società. La donna deve essere trasformata in una schiava della società. Non gli devono essere riconosciuti diritti sociali e la società deve avere il diritto, attraverso il ruolo del maschio, di strappare e allontanare dalla donna i figli che lei ha partorito per impedire alle assonanze di quelle coscienza di continuare ad alimentarsi dalla fonte della loro stessa coscienza."

"La forma di famiglia che corrisponde alla civiltà e che con essa arriva a dominare definitivamente è la monogamia, il dominio dell'uomo sulla donna e la famiglia singola come unità economica della società."

Engel, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, 1963, pag. 206

"La famiglia monogamica" dice Ade "E' il caravanserraglio in cui la donna viene rinchiusa. Un po' alla volta, quasi senza accorgersene, le donne giunsero alla loro condizione di schiave. Schiave che dovevano essere obbedienti e sottomesse. Schiave per produrre un bestiame umano in pessime condizioni di vita. La maggior parte delle donne moriva di parto. Non fu tutto uguale nella storia. Platone non trionfò nella sua epoca. Platone sarebbe sparito, ma il desiderio di schiavizzare le donne era ormai in atto. Rinchiuse nelle categorie del lavoro domestico, a fatica trovavano spazi di ribellione."

"Quando Gaio scriveva le sue Istituzioni, da molto tempo era stato posto riparo alla degradazione della condizione giuridica delle donne, In primo luogo Augusto aveva soppresso ogni controllo degli agnati sulle donne - sposate o no - che avessero messo al mondo tre figli. I giureconsulti accordavano la loro interpretazione della legge alle realtà demografiche del tempo, e non esigevano che questi bambini fossero sopravvissuti alla nascita: i bambini morti appena nati (e anche, stabilisce la casistica, i mostri) giovavano alle madri tanto quanto i bambini resistenti e vitali; di modo che non c'erano tre vite, ma tre gravidanze condotte a termine (quattro per le affrancate) che, fin dal principio dell'Impero, liberavano ogni donna dalla tutela legale, Claudio successivamente aveva soppresso senza condizioni la tutela agnatica delle donne libere. Di fatto c'era solo l'autorità del patrono sulle affrancate che non avevano partorito quattro volte. La maggior parte delle donne, dal momento che non era più sotto dominio paterno amministrava da sé il proprio patrimonio, ad eccezione della dote, affidata all'amministrazione del coniuge. Esse, in particolare, potevano disporre della loro fortuna con il testamento, senza passare attraverso l'autorità di un garante. Fino ad Adriano, esse avevano dovuto perciò passare attraverso la formalità della coemptio fiduciaria testamenti faciendi causa: sopravvivenza formale del tempo in cui le matrone, per fare liberamente testamento, avevano dovuto liberarsi dalla tutela degli agnati del marito; quest'ultimo arcaismo fu cancellato all'inizio del II secolo d.c. Ormai l'influenza giuridica dell'ambiente familiare si limitava, come per gli uomini, al potere del paterfamilias: alla morte del padre, una donna possedeva una capacità patrimoniale quasi comparabile a quella dei fratelli. "

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 161 - 162

"Non pensare alla magnanimità di imperatori come Augusto, Claudio o Adriano nel concedere alcuni spazi alla donna rinchiusa nella schiavitù sociale. Ognuno di loro era affiancato da donne nelle quali Ippolita sorgeva dentro di loro e, ogni tanto, metteva la sua mano alla spada o all'arco costringendo l'imperatore, o qualunque altro che si faceva imperatore nei confronti delle donne, a decisioni che avevano l'apparenza della magnanimità." Disse Ade.

Beppi ebbe un sussulto e, rivolto al suo compagno di viaggio, disse. "Parli proprio tu che fra fulmini e la terra che si squarcia, rapisti Persefone in un campo fiorito di crochi. Non fosti tu a fare violenza alle donne?"

Ade sorrise e rispose: "Hai presente quel lungo tremore della terra che chiami "terremoto"? Hai presente una montagna che crolla verso il mare? E' avvenuto, avviene, con tutta la sua violenza. Dopo che è avvenuto, la vita cerca un nuovo equilibrio, si riorganizza in un presente che splende. Lo splendore che tu osservi nel mondo che ti circonda è frutto di travolgimenti che, secondo il modo di giudicare umano, è frutto di atti di violenza. Tutti gli squilibri che nascono nell'equilibrio della realtà vissuta sono atti di violenza attraverso i quali la realtà si trasforma e diviene. Tu puoi dire che io ho "rapito" Persefone come un uomo rapisce una donna a cui ruba un po' di piacere? O puoi dire che Persefone, per poter continuare ad esistere diversa da Demetra, doveva entrare nell'Ade per renderlo fecondo? Cosa si sarebbe raccontato se Persefone avesse usato il carro infuocato del Sole per superare le porte dell'Ade, annullare l'opera di Caronte, e diventare il motore vivente dell'Ade? Si sarebbe parlato della violenta Persefone, fornendo un modello diverso alle persone religiose. In questo modo, con Ade che "rapisce Persefone", il motore della vita si fa vittima, si occulta agli occhi dell'uomo e l'uomo, attraverso la compassione per Persefone, alimenta Persefone generatrice di vita. Davvero pensi che Zeus avrebbe approvato il rapimento della propria figlia se le categorie del rapimento fossero state quelle degli uomini del tuo tempo? Persefone Siciliana è questo! Persefone, fuori dall'Ade è Demetra che alimenta ogni crescita e ogni trasformazione di ogni verità presente. Nell'Ade Persefone è Persefone; colei che alimenta la vita in ogni seme, ogni uovo, ogni utero. O forse che tu non fai violenza al seme quando lo introduci nella terra affinché diventi fecondo? La vita nasce, cresce e non tollera coercizioni. I tempi della vita sono lunghi. Le contraddizioni che la vita affronta non si risolvono a colpi di spada, ma attraverso modificazioni di un presente che, spesso, agli uomini appare statico. Come l'azione dell'amazzone Ippolita, l'amazzone che sorge nel petto di donne che si ribellano ad una condizione che vorrebbe omologarle." E Ade concluse dicendo: "Spesso le spiegazioni richiedono più parole delle domande perché nelle domande l'interlocutore sta immaginando delle risposte consone alle proprie idee e non immagina l'esistenza di cose diverse da quanto abita il suo pensiero."

"Tuttavia le Vestali non sono né matrone né fanciulle, come ha mostrato M. Beard (1980). Le Vestali, che non hanno né marito né figli, non sono matrone; non sono nemmeno fanciulle, perché portano costantemente l'abbigliamento della donna maritata, ma anche l'abito lungo (stola) e le bende dell'acconciatura (le vittae) della matrona; d'altronde le Vestali celebrano certi riti con le matrone. Di fatto le Vestali erano insieme fanciulle e matrone; meglio ancora, erano anche uomini per tutta una serie di privilegi legali dai quali le fanciulle e le matrone erano escluse, almeno fino al principio dell'Impero. Esse avevano diritto ad un littore, potevano testimoniare in tribunale, sfuggivano alla tutela di un padre o di un marito, potevano cioè disporre liberamente dei propri beni e fare testamento: In altre parole, lo statuto sessuale delle Vestali era ambiguo, interstiziale, come la natura del fuoco di Vesta che esse rappresentavano. Si comprende così facilmente perché le Vestali potessero detenere certi poteri religiosi tradizionalmente riservati agli uomini."

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 432 (vol 1)

E ancora:

Nel culto Misterico di Iside, uno dei culti più diffusi a quell'epoca in tutto il mediterraneo: "Che Osiride sia identico a Dioniso chi dovrebbe saperlo meglio di te, Clea, tu che guidi le Tiadi di Delfi e sei stata consacrata dal padre e dalla madre alle cerimonie del culto di Osiride?" Plutarco, Tratto da "Le religioni dei Misteri"

Paolo Scarpa, Le Religioni dei Misteri, Il culto di Iside, ed. Lorenzo Valla

"Ciò che la società può negare ad una parte della popolazione per "ragioni sociali", il sistema religioso antico liberava. Quando non poteva liberare, forniva un modello di libertà relativo alla condizione del vissuto culturale. Il sistema religioso era una gerarchia formale che forniva modelli antigerarchici in una società gerarchica. Una specie di bilanciamento dei poteri dell'esistere dove Afrodite, l'armonia della vita, ha due compagni come Ares (la contraddizione che può sfociare nella guerra) e Efesto (il costruttore che tutto può distruggere perché tutto partecipa a costruire). Le Vestali erano delle vere e proprie guerriere della vita. Non erano solo coloro che mettevano legna sul fuoco per alimentare la fiamma o che cucinavano la mola salsa per i sacrifici. Le Vestali furono coloro che combatterono per onorare Pretestato, l'ultimo antico pontefice. Le Vestali hanno assistito alla fine dell'antico quando la moglie di Stilicone tolse il gioiello dalla statua di Giunone per adornarsene. Era Ippolita che vedeva spegnersi un mondo nel quale non era riuscita ad "andare oltre" come la sua tensione d'esistenza desiderava. Altro stava arrivando in quel mondo per uccidere Ippolita dentro ad ogni donna."

Intanto Ade continuava a camminare a fianco di Beppi in quel mondo irreale in cui le cose apparivano e sparivano continuamente all'orizzonte della loro vista. Eppure Beppi sapeva che la realtà che lo circondava era il buio di una notte profonda e nemmeno l'accendersi delle immagini allontanavano quella sensazione di buio che accarezzava la sua pelle. Per lui era difficile distinguere se quel buio era l'ombra degli alberi del bosco che nascondevano le stelle e la luna o fosse il buio che Ade stava alimentando per farlo camminare in un mondo nascosto agli occhi degli uomini.

"Come in tutte le chiese dei Santi, le donne nelle riunioni tacciano, perché non è stata affidata a loro la missione di parlare, ma stiano sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono essere istruite in qualche cosa, interroghino i loro mariti a casa, perché è indecoroso che una donna parli in un'assemblea. Forse è uscita da voi la parola di Dio? O è giunta soltanto a voi? Se uno crede di essere profeta o avere i doni dello Spirito, riconosca che quanto scrivo è un ordine del Signore. Se qualcuno non lo riconosce, non sarà riconosciuto."

Paolo di Tarso 1 Corinti 14, 34-38

"Voglio tuttavia che sappiate questo: Cristo è il capo di ogni uomo, l'uomo è capo della donna e Dio è capo di Cristo. Ogni uomo che prega e profetizza a capo coperto, disonora il suo capo; al contrario, ogni donna che prega o profetizza a capo scoperto, disonora la sua testa, perché è come se fosse rasa. Se una donna, dunque, non vuol portare il velo, si faccia anche tagliare i capelli! Ma se è vergognoso per una donna essere rasa, si copra col velo. L'uomo, invece, non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio; mentre la donna è gloria dell'uomo. Infatti, l'uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall'uomo; né fu creato l'uomo per la donna, bensì la donna per l'uomo. Quindi la donna deve portare sul capo il segno della podestà per riguardo agli angeli."

Paolo di Tarso 1 Corinti 11, 3-10

"In queste condizioni" riprese Ade "tre soli modelli di donne vennero accettate nella nuova organizzazione sociale. Le altre erano delle "paria" emarginate, isolate, punite, torturate. Si doveva uccidere l'Ippolita dentro di loro."

Ade si fermò un attimo per riflettere.

"I nuovi padroni temevano Afrodite. L'Afrodite che emergeva nelle donne doveva essere annientata, silenziata. Però non potevano impedire la pratica sessuale perché, altrimenti, non sarebbero nati bambini. Era necessario uccidere le emozioni che si veicolano attraverso la sessualità trasformando la donna in un oggetto da stuprare che rifiutava il piacere per "compiacere Dio". Il modello imposto dai cristiani fu quello di Maria: la stuprata che alza le sue lodi al suo stupratore. La stuprata che si compiace dello stupro subito perché lo stupratore ha scelto proprio lei. (vangelo di Luca, 1 26-70) Le altre due figure furono quelle della donna come serva sottomessa e quella della donna sottomessa che si offre al padrone (Luca 10, 38-42). Queste furono le tre figure di donne tollerate dal cristianesimo mentre il cristianesimo provvedeva a distruggere Ippolita dentro le donne."

"Ma le Vestali non sono l'unica eccezione. Parecchi sacerdoti romani avevano una moglie che, anch'essa, faceva sacrifici, in particolare alle divinità che regolavano il tempo. Le nostre fon ti sono molto lacunose, e le sole informazioni conservate concernono la sposa del flamine di Giove e quella del re dei riti sacri (rex sacrorum), ma si può ragionevolmente supporre che le spose degli altri flamini fossero incaricate di riti simili. Mentre il marito doveva sacrificare a Giove ogni mese, il giorno delle Idi (il 13 o il 15, secondo i mesi), la flaminica di Giove (Faminica Dialis) offriva tutti i giorni di mercato (nundinae) un ariete a Giove. Quanto alla sposa del re dei riti sacri, la regina sacrorum, ella offriva nel primo giorno di ogni mese (alle calende) una scrofa o un'agnella a Giunone. Come le Vestali, la flaminica Diale aveva diritto al coltello sacrificale."

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 432 (vol 1)

Ade riprende il discorso rivolto a Beppi: "E' un altro mondo sociale umano che si sta aprendo. Un mondo fatto di violenza in nome della fede. In nome di un Dio padrone che funge da modello ad ogni uomo affinché sia un padrone di qualche cosa o riconosca sé stesso di essere, in quanto schiavo di Dio, schiavo di un padrone a cui deve obbedire con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima. Se l'uomo non riesce "per grazia del suo Dio" a farsi padrone di qualche cosa, riconosca che il suo Dio lo ha destinato ad essere uno schiavo e sia uno schiavo con tutto il suo cuore e con tutta la sua anima ringraziando il padrone per avergli fatto la cortesia di usarlo come schiavo."

"Gli schiavi siano sottomessi ai loro padroni in tutto: cerchino di piacere a loro, non li contraddicano, non li frodino, ma si diportino sempre con perfetta fedeltà, per far onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore."

Paolo di Tarso, Lettera a Tito 2, 9

"Tutti coloro che sono sotto il giogo della schiavitù stimino i loro padroni degni di rispetto, affinché non si dica male del nome di Dio né della sua dottrina. Quelli, invece, che hanno padroni cristiani, non pensino di poterli disprezzare col pretesto che sono fratelli, anzi, li servano con ancor maggior impegno, proprio perché sono credenti e cari a dio. Ecco le cose che devi insegnare e raccomandare."

Paolo di Tarso, lettera a Timoteo 6, 1-2

"Ippolita freme nel cuore delle donne." continua Ade. Poi, Ade guardando negli occhi Beppi gli dice: "Nessuno mai scrisse la storia dei sacrifici delle donne per difendere la società umana. Per leggere quella storia dovresti scendere nell'Ade dove la memoria di ogni cosa si conserva. Anche la memoria di ogni lacrima versata dalla più "insignificante" donna il cui piede toccò la terra. Ma io mi limito a sintetizzare una storia infinita e non perché il tempo razionale di quella storia sia infinito, ma perché sono infinite le azioni, le passioni, i desideri che in quel tempo si sono riversati nel calderone della vita. E da quel calderone Persefone si abbevera affinché nulla vada perduto."

"La storia della rappresentazione della donna è condizionata da idee semplici e, perciò, impossibili da estirpare dalla coscienza collettiva. L'anatomia, per vie traverse, è venuta a confermare il disprezzo dei teologi che, traendo spunto dalla Genesi, erano naturalmente inclini a vedere nella donna un prodotto secondo e quindi inferiore all'uomo. In effetti, con una notevole intuizione sulla differenziazione degli organi, Aristotele, ma soprattutto Galeno, per il pensiero medievale, avevano avuto l'idea di una somiglianza inversa degli organi maschili e femminili. Nel Canone di Avicenna questa proposizione si enuncia così: "Dico che lo strumento della generazione nella donna è l'utero (matrix) e che è stato creato simile allo strumento della generazione nell'uomo, cioè la verga e ciò che l'accompagna". Tuttavia l'uno di questi strumenti è perfetto e proteso verso l'esterno, l'altro è rimpicciolito e fissato verso l'interno, costituendo in qualche modo l'inverso dello strumento virile. L'analogia è precisata organo per organo e così viene stabilita una equivalenza tra testicoli e ovaie. Disgraziatamente questo confronto è accompagnato da giudizi che sottolineano, senza motivo, la piccola dimensione degli elementi dell'apparato femminile. Le difficoltà incontrate dai medici medievali nella loro lettura dell'anatomia femminile derivano da una triplice ragione: il principio rigoroso dell'analogia che è stato appena formulato e che sottomette il corpo della donna al modello maschile, il principio assoluto di finalità presente nel gioco etimologico e nel pensiero teologico, infine il principio di sottomissione assoluta all'autorità. Questi tre imperativi si uniscono per impedire ogni osservazione effettiva.

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 59 - 60 (vol 2)

"Non esiste nessuna conoscenza medica del corpo delle donne" riprende Ade "Tutto è sconosciuto, tutto è preconcettuato, tutto vive nella fantasia e nel desiderio di dominio di un'autorità che si fa maschia nei confronti dei subordinati e si fa femmina rispetto al superiore fino a farsi femmina davanti a Dio. E' questo il contesto medico che insulta Ippolita. Solo le donne hanno un po' di conoscenza del loro corpo e quando le donne, agendo rispetto agli squilibri del proprio corpo, riescono a ripristinare un equilibrio, vengono subito aggredite, tacciate come eretiche o streghe. Ippolita emerge nelle donne e molte donne aiutano le donne finendo, spesso, ad alimentare roghi per aver sfidato il libero arbitrio di Dio. Ma, soprattutto, a dominare è il concetto di Paolo di Tarso secondo cui lo schiavo, la schiava, deve amare il proprio padrone e il matrimonio, che viene istituito durante il cristianesimo, altro non è che un contratto di acquisto e di vendita delle donne che passano da una schiavitù maschile ad un'altra schiavitù maschile. Le donne non manifestano una sessualità, manifestano una lussuria che deve essere perseguita in nome e per conto di Dio. Il Dio cristiano, il padrone, si impossessa della sessualità delle donne, la controlla, la stupra, come fece con Maria, al fine di controllare l'uomo, come stupratore delle donne e, con esso, l'intera società. E' una strategia che ha funzionato per millesettecento anni e che ancora oggi sta funzionando perché nessuno intende rinunciare a quelli che considera essere i suoi privilegi. Ippolita si agita nel cuore e nella mente delle donne, ma spesso la sua azione le procura tristezza e sconforto per una sorta di impotenza nella quale quella donna deve vivere incapace e impossibilitata a modificare la condizione nella quale vive. Tu pensi" continua Ade rivolto a Beppi "che io abbia costretto Persefone, ma Persefone ha scelto l'Ade. Lo ha scelto mangiando il chicco d'uva consapevole che mangiare nell'Ade avrebbe comportato la permanenza nell'Ade. Mangiando il chicco d'uva, Persefone si è definitivamente separata dalla madre. Io non ho intristito Persefone, è Persefone, figlia di Zeus, che ha trasformato l'Ade in un generatore di vita. Anche quando la vita delle donne viene imprigionata."

"Sono tutte donne caste che la classificazione delle virtù, così come si assesta nel secolo XIII nelle opere teologiche e pastorali, non esita a definire donne virtuose: sanno infatti praticare quella particolare e provvidenziale forma di temperanza, detta castità o continenza, che mette ordine e misura nel disordinato e rischioso mondo dei piaceri sessuali. Rimedio della concupiscenza cui l'intera umanità è stata condannata dopo il peccato originale, la castità è raccomandata spesso a uomini e donne, ma più spesso alle donne. La riflessione sulla castità, sia nei testi teologici sia nei testi pastorali, si traduce quasi sempre nell'esemplificazione delle tre possibili forme di castità praticate da vergini, vedove e donne sposate. E' come se la vittoria della castità sulla concupiscenza, una volta conseguita sul terreno più difficile, presso quel- la parte dell'umanità per natura più incline alla lussuria e più debole di fronte ai desideri della carne che è la donna, risultasse poi più vicina e possibile per tutti. Le donne insomma diventano una specie di banco di prova, un luogo teorico e un'esperienza concreta in cui un'intera società ha pensato e verificato un particolare concetto di sessualità. Ora la castità di vergini, vedove e donne sposate colloca la sessualità in uno spazio compreso tra il rifiuto e il controllo ai fini della procreazione e mostra come, sia nel rifiuto sia nel controllo, la battaglia si giochi sul prevalere dell'aspetto spirituale e razionale su quello corporeo e sensuale. Come tutte le virtù la castità è esigente; non si accontenta di repressione e disciplina esteriori, richiede intenzionalità, razionalità, assenso; è virtù del corpo, ma anche e soprattutto virtù dell'anima. "La castità - scrive Tommaso d'Aquino - ha la sua sede nell'anima, pur avendo nel corpo la sua natura". La vergine è tale non tanto e non solo per l'integrità del suo corpo, ma soprattutto per la purezza dei suoi pensieri, lontani da ogni concupiscenza grazie alla scelta meditata che ha saputo fare e mantenere; se dovesse subire violenza senza acconsentire e provare piacere la sua verginità non verrebbe meno. La vedova vive virtuosamente la sua condizione non solo grazie a un evento casuale che ha liberato il suo corpo dall'obbligo dei rapporti sessuali, ma soprattutto se, a partire da questo evento, sa liberare la sua mente da ogni desiderio carnale. La donna sposata vive virtuosamente la sua sessualità all'interno del matrimonio perché le sue intenzioni restano pure e caste, volte come sono all'adempimento del debito coniugale e alla propagazione della specie. "

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 99-100 (vol 2)

"Ora Ippolita è prigioniera. Lei che si ergeva nel cuore delle donne rendendole fiere della loro sessualità, della loro capacità di vivere nel piacere, della loro disponibilità a condividere piaceri e fatiche, viene ora derubata da chi trasforma la percezione del piacere in un delitto da perseguitare. Un delitto di lesa maestà. Afrodite è sempre viva negli uomini e nelle donne, ma non è più l'Afrodite del piacere. E' l'Afrodite che cerca il piacere in un mondo che l'accusa di peccato. Togli Ippolita ad Afrodite e rimane solo un rapporto sessuale senza persone capaci di andare oltre la sola azione del sesso. E, allora, lo stupro diventa la norma e la violenza caratterizza le relazioni. Il sesso diventa un'arma con cui umiliare l'altro e ad essere umiliata è sempre la donna che soccombendo alla violenza viene disprezzata perché si è fatta sopraffare dalla violenza. Controllare il sesso e trasformare la donna in un oggetto d'uso per produrre merce umana è stata la grande impresa dei cristiani che hanno devastato tutto ciò che hanno toccato e continueranno a devastare quanto toccheranno. La donna non sarà solo privata di diritti sociali, ma il diritto a fare violenza sulle donne sarà il premio a beneficio di ogni autorità che potrà esercitare il proprio dominio assoluto sulla donna qualunque sia il suo grado di sottomissione ad ogni altra autorità".

La figura del marito rimane in tutta questa trattatistica la figura centrale; l'obbligo per la moglie di portare allo sposo reverenza, affetto e soprattutto obbedienza non è contestato e nemmeno attenuato né dagli scrittori religiosi, né da quelli laici. Anzi, gli umanisti, riproponendo in maniera fedele il modello aristotelico del padrone di casa come centro di tutti i rapporti familiari, accentuano ulteriormente il suo peso all'interno della famiglia ed insistono sull'esigenza di una subordinazione assoluta della moglie. Impegnato nell'amministrazione della casa e degli affari, il marito deve trovare nella moglie una valida collaboratrice per il raggiungimento di un benessere tutto mondano; a lei chiederà soprattutto di perpetuare il lignaggio, mettendo al mondo un cospicuo numero di figli legittimi, sani, forti, belli e maschi; a lei demanderà, ma solo dopo una minuziosa istruzione, la gestione domestica quotidiana; al suo comportamento irreprensibile e alla sua buona reputazione affiderà la tutela dell'onorabilità della famiglia; manterrà invece per sé la gestione degli affari più importanti, debitamente registrati in scritture destinate a rimanere segrete, e si assumerà totalmente la cura dell'educazione dei figli. Padrone, guida e maestro della sposa, il marito "umanista" è una figura ossessivamente presente e dominante, per il quale il matrimonio va affrontato con la stessa oculatezza con cui si conclude un buon affare e la moglie costituisce l'elemento più prezioso del patrimonio.

Duby e Perrot, Storia delle donne, l'antichità, Nicole Loraux, Editore Laterza, 1995, p. 157 (vol 2)

"Ippolita era diventata questo. Aveva riposto l'arco e il coltello per poter sopravvivere in un mondo che viveva solo attraverso il controllo della sua persona. Un mondo che non poteva vivere senza le donne, ma che faceva delle donne il bestiame privo di diritti che avrebbe dovuto accudire e soddisfare il mondo stesso."

Poi Ade tacque mentre continuava a camminare accanto a Beppi. L'indistinto, in cui Beppi stava camminando, iniziava a prendere forma e i contorni dei boschi di faggio, di pini e di abeti iniziarono a consolidare la loro forma e la loro rappresentazione.

Ade aveva portato Beppi ad assistere alla storia attraverso la quale si era fissato l'orrore fra gli uomini rendendo la donna prigioniera. Beppi aveva assistito alla trasformazione di una società umana che ora si stava divertendo ad alzare i roghi e a bruciare i diversi, le donne, gli indifesi e i malati, i maledetti dal Dio dei cristiani.

Poi Ade riprese.

"Ora dovrei raccontarti come le donne sono uscite da questo orrore, ma non lo farò. Ti parlerò di un "meccanismo segreto" attivato il quale, al di là dei singoli avvenimenti che la storia razionale è in grado di registrare, è il meccanismo alla base di ogni trasformazione sociale".

Ade sembrò fare un lungo respiro e Beppi fu scosso nel vedere Ade che si stava trasformando. La forma stava sparendo.

"Dove vai?" chiese Beppi.

"In nessun luogo" disse Ade "ma ora a parlare è il Dio e Ade come Dio non ha forma, non ha confini."

La forma terminò di scomparire quando alle orecchie di Beppi altre e diverse parole iniziano a presentarsi.

Ade che è Ade. Ade il senza forma raccontò a Beppi una storia diversa da quante Beppi aveva sentito.

Scissione o divisione cellulare è il processo attraverso il quale, quella che noi chiamiamo "vita elementare", "cellule", procedono nella costruzione del loro divenire. Gli Esseri bisessuati che partecipano alla Natura sono figli di un Apollo e di un'Artemide. Ma il corpo fisico degli esseri procede, nel suo crescere e divenire, attraverso un continuo processo di scissione e divisione cellulare attraverso il quale la struttura del corpo tende a rigenerarsi continuamente. Tutte quelle cellule sono portatrici di coscienza, conoscenza e scopo per poter divenire nelle condizioni in cui sono nate La formazione di questo modo di guardare al mondo, nel tuo tempo, nasce dall'osservazione scientifica degli ultimi 200 anni. Questa idea non è esplicitata nelle Antiche Religioni prima dell'avvento della filosofia. Eppure, le antiche religioni pre filosofiche avevano chiara l'idea che la coscienza dell'individuo non nasce da sé, ma nasce dalla scissione della coscienza della madre. Da una coscienza che l'ha preceduta e dalla quale si separa.

"Gli Esseri Umani non sanno, scientificamente parlando, il rapporto che esiste fra il corpo fisico e la coscienza che viene espressa dal corpo fisico fino a dire "Io sono", ma sanno che la coscienza del "figlio uscito dall'utero" ha affinità e assonanze con la coscienza della madre. Quando il bambino nasce e la levatrice poggia il bambino sul petto della madre, il bambino non ascolta il "battito del cuore" ma ritrova parte delle emozioni nelle quali è vissuto mentre era nella pancia della madre. Il padre può dire "questo è mio figlio", ma lo può dire solo dal punto di vista sociale e dal punto di vista fisico (biologico), per aver contribuito a formare le condizioni nelle quali quel figlio è germinato. Solo la madre che può dire "questo è mio figlio" dal punto di vista emotivo perché, le emozioni del figlio, hanno una relazione diretta con le emozioni della madre. La coscienza del figlio è la coscienza scissa della madre che, per questo è in grado di riconoscere le pulsioni emotive proprie della madre. Il potere del padre sui figli è determinato solo dalle relazioni sociali. Tanto più la donna è violentata e sottomessa, tanto più i neuroni specchio del figlio indicano nei rapporti di forza che sottomettono il modello da imitare per vivere da persona adulta.

Il figlio inizia la gestazione nella pancia della madre iniziando con una frazione scissa della coscienza della madre e anche se fin da subito differenzia da qualità della sua coscienza dalla qualità della coscienza che è rimasta alla madre, il sostrato fondamentale su cui viene manipolata la sua coscienza, rimane quello della madre. Fintanto che il bambino è nella pancia della madre, la madre non percepisce la perdita di una parte della sua coscienza, ma quando il bambino nasce la madre percepisce quella mancanza. Quella mancanza a volte porta la madre in uno stato depressivo, ma più spesso alimenta nella madre l'"amore per sé stessa" che ritrova nel figlio.

La coscienza del figlio in gestazione è la coscienza ceduta dalla madre al figlio.

Quella coscienza è formata da spinte dettate dalla necessità e pulsioni che trasformano le spinte in una guida dell'espressione emotiva. Nella necessità e nella pulsione si riassume la necessità e le pulsioni di tutte le formazioni delle coscienze che hanno preceduto la coscienza del nuovo nato, da cui si sono sistematicamente scisse, e che rimangono come potenziale di necessità e pulsione come direzione per la nuova coscienza nel suo agire. Ogni generazione, nella coscienza scissa, aggiunge le necessità che ha vissuto e la qualità delle pulsioni che ha espresso nel corso della vita. Molto, delle infinite coscienze che hanno preceduto quella coscienza, è materiale ridondante e, in quanto tale, superfluo per la quotidianità. Per questo la nuova coscienza tende a relegarlo in una sorta di rumore di fondo della consapevolezza che costituisce il potenziale dal quale ogni nuovo nato può attingere..

Il rumore di fondo è una "riserva di possibilità" dalla quale il nuovo nato può attingere quanto potrebbe servirgli per rispondere e adattarsi alle sollecitazioni del mondo in cui nasce. Si tratta di pulsioni, tensioni in risposta, veicolazione di bisogni e di desideri stimolati dall'insorgenza emotiva. Non si tratta mai di costruzioni razionali fatte di forma e di quantità. La memoria della coscienza non è fatta di forma, ma di pulsioni, di tensioni e di emozioni.

Una volta scissa la coscienza del figlio dalla madre, la madre continua con la sua esperienza e continua a modificare la propria coscienza mentre, la parte della coscienza ceduta al figlio, fin dalla fase di gestazione del figlio, inizia una modificazione propria relativa alle esperienze che il figlio affronta sia nella pancia della madre che nel mondo in cui nasce.

La coscienza del figlio diventa altro rispetto alla coscienza della madre a mano a mano che il figlio affronta le contraddizioni della propria vita. Le affronta, interpretandole soggettivamente, e soggettivamente risponde a quelle sollecitazioni in maniera diversa da come avrebbe risposto la madre in possesso della dimensione razionale delle sue esperienze a cui ha adattato la propria struttura emotiva.

La differenza fondamentale fra la coscienza che la madre cede facendola diventare la coscienza del figlio, o della figlia, e la coscienza che rimane alla madre è data dal corpo. Il corpo della madre che ha vissuto, oltre alla coscienza ha anche l'esperienza razionale, descrittiva, per quanto ricorda, degli avvenimenti vissuti mentre, il nuovo nato deve costruire questo tipo di esperienza e, nel farlo, modifica la propria coscienza.

La coscienza del nuovo nato è una coscienza che affronta lo stesso mondo della madre ma, alle condizioni che incontra, dà risposte diverse. La coscienza del nuovo nato è naturalmente e necessariamente divergente dispetto all'omologazione subita dalla madre nel corso della sua esperienza esistenziale."

Dopo questo lungo racconto Ade si interruppe. Ora si stava intravvedendo la baita in cui abitava Ippolita e il tempo di Ade stava per terminare. Beppi lo guardava, la comprensione di questo in Beppi si trasformò in conoscenza facendo emergere l'emozione della comprensione che travolse la sua coscienza. Per un attimo Beppi rimase inconsapevole, come inebetito, poi, un po' alla volta si riprese. Una nuova coscienza si era strutturata in lui.

"Il divergente" mormorò Beppi "In ogni generazione di nati, un gran numero di donne sono divergenti. Si adattano alle condizioni, ma modificano un poco i confini entro i quali sono rinchiuse. Un processo silenzioso, fatto da una massa incalcolabile di donne. Una massa che, di tanto in tanto, presenta un volto di eccezionalità sul quale il dominio si scaglia feroce. Ma non è il volto dell'eccezionalità che cambia le condizioni di vita, ma una massa di azioni che sfuggono ad ogni analisi e ad ogni classificazione tanto sono diluite fra un numero infinito di azioni non registrabili dalla "grande storia". Questa è Ippolita."

Beppi si guardò attorno, Ade non c'era più. Davanti a lui c'era la porta della baita di Ippolita.

Ora il cuore gli batteva forte mentre si apprestava a bussare. Già immaginava il rumore della motosega che si metteva in moto e la velocità con la quale Ippolita maneggiava la motosega. Erano storie che si raccontavano in paese.

Poi Beppi bussò.

Nessuna motosega si mise in moto e la porta si aprì.

Cosa successe, dopo che la porta si richiuse, a noi non riguarda. A noi basta sapere che, quando Aurora dalle rosee dita si affacciò sulla montagna, Beppi uscì da quella casa con in mano il reggiseno che Ippolita gli aveva donato.

Beppi intraprese il viaggio di ritorno.

Arrivato all'osteria di Ponte Beppi entrò. Il tempo si era fermato e Posidone, Hera e Zeus erano ancora a quel tavolo. Monete e qualche cosa d'altro era ancora sul tavolo.

Beppi si avvicinò, si versò un bicchiere di vino dalla bottiglia che Zeus aveva appena posato, si portò il bicchiere alla bocca e, dopo un lungo sorso disse: "Ecco la cintura di Ippolita!". Zeus sorrise e Posidone ebbe una sorta di ghigno guardando Hera.

Fu Hera a parlare: "Nessun uomo può fare questo senza l'aiuto di Ade, ma Ade non può vivere se gli uomini e le donne non diventano consapevoli. Pochi uomini sono capaci di distruggere così repentinamente la propria coscienza e riforgiarne un'altra. Nemmeno mio figlio Efesto potrebbe farlo in così pochi mutamenti. La consapevolezza è potere. Potere progettuale. Ne sei diventato cosciente mentre Zeus, per poterlo fare, ha dovuto fagocitare Meti. Questa è la cintura di Ippolita e questa è la posta che ti spetta. Ora puoi progettare il futuro sapendo che qualunque progetto metti in atto non riuscirai a beneficiarne. Il futuro non riguarda il singolo uomo o la singola donna, ma l'intera specie umana e l'intera vita sul pianeta: io stessa!"

Beppi allungò le mani, raccolse quanto stava sul tavolo, lo mise in sacchetto di carta che poi infilò in una specie di zaino mettendoselo sulle spalle.

Beppi uscì dall'osteria al Ponte, guardò il cielo e le stelle sembravano raccontargli delle infinite possibilità che ora poteva cogliere. Poteva continuare a zappare nell'orto, piantando patate e pomodori, ma questo non gli avrebbe impedito di progettare un futuro diverso da quello che stava vivendo.

Marghera, 05 dicembre 2023

 

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