Il giardino delle Esperidi e Beppi di (o da) Lusiana
undicesima di dodici fatiche di Beppi

di Claudio Simeoni

Partita di calcio mondiale della filosofia

Presentazione della Partita Mondiale di Calcio della Filosofia

Le dodici fatiche di Beppi

Beppi di Lusiana e il Giardino delle Esperidi

Non sempre si vivono delle belle giornate. Spesso si percorrono strade per pulirle, manutenzionarle, riparare le buche che il gelo apre sull'asfalto. Ci sono alberi da tagliare, potare per impedire che i rami intralcino la circolazione.

Beppi, come al solito, percorreva le strade della periferia di Lusiana cercando di togliere erbe e raccogliere rami caduti. Qualche volta si fermava e buttava qualche badilata di asfalto per riempire qualche buca. Poi, batteva la graniglia di bitume per compattarla al meglio.

Con la sua Ape si stava portando verso Rubbio, ma ebbe cura a fermarsi nel primo posto di ristoro che trovò lungo la strada.

A quell'ora del mattino il posto di ristoro era semideserto. Una donna, piuttosto in carne, era intenta a pulire il bancone e a versare del vino in un bicchiere che subito beveva. Due avventori anziani stavano seduti vicino alla finestra e sembravano divertirsi raccontando storie che trovavano buffe.

"Cosa vuoi" chiese la donna a Beppi.

"Grappa!" rispose Beppi. La donna senza spostare lo sguardo da Beppi portò una mano dietro di sé, prese una bottiglia e gli versò una dose abbondante.

Beppi la guardò con una muta domanda stupito di tanta generosità, poi disse: "A no te pago miga tuta sta roba!"

"Bevi, bevi!" disse la donna, aggiungendo "E poi siediti, le strade possono aspettare, ma la tua strada deve essere riparata dalle buche che vi hanno fatto."

Beppi aveva preso un sorso di grappa poi, preso il bicchiere si diresse verso un tavolo. Mentre si stava per sedere la donna intervenne dicendo: "Non lì, siediti là." e indicò il tavolo dove erano seduti i due anziani che, per un attimo, smisero di ridere; "Siediti là" ripeté la donna "Che adesso arrivo anch'io.".

Beppi obbedì. La donna prese una caraffa di vino e un bicchiere e raggiunse il tavolo. Riempì i bicchieri dei due anziani e si sedette di fronte a Beppi.

"Me li devi restituire" disse la donna rivolta a Beppi.

"Cosa ti devo restituire?" chiese Beppi.

"Erizia ha detto che li hai presi tu e lei non è stata in grado di fermarti. Anche Ladone ha cercato di fermarti, ma lo hai colpito così violentemente sulla testa che se non fosse intervenuto Tifone forse non sarebbe più fra noi. Eppure, lui è immortale."

Beppi rise come se avesse sentito la barzelletta più divertente della sua vita e poi disse:

"Quale delle cento teste?"

La donna e i due anziani si guardarono con stupore, poi la donna disse: "Allora ricordi?". "Aho," disse Beppi, "non facciamo scherzi. I soldi per la grappa li ho lasciati sul bancone.

"La memoria è una cosa, la conoscenza è cosa diversa. Hai conoscenza" disse la donna rivolta a Beppi "ma non hai memoria."

"Da dove vogliamo iniziare?" chiese la donna guardando i due anziani, prima l'uno e poi l'altro.

"E' una storia che non ha un inizio e forse non avrà nemmeno una fine. E' un sentiero percorso e noi possiamo far iniziare il racconto del sentiero dall'ultima grande curva di una strada percorsa e subito cancellata." disse l'anziano guardando il suo dirimpettaio.

E questi iniziò:

"Maestà, non ho dato corso alla prima lettera qui unita, e che ho diretto a Vostra Maestà, perché il Sig. Ministro del Portogallo mi assicurò di aver scritto in proposito, ma non vedendo riscontro, invio a V.M. la stessa lettera. Vi unisco poi la presente per pregarLa a fare tutto quello che può affine di allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice relativa alla istruzione obbligatoria. Questa legge panni ordinata ad abbattere totalmente le scuole cattoliche, soprattutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla religione di Gesù Cristo! Spero dunque che la V.M. farà sì che, in questa parte almeno, la Chiesa sia risparmiata. Faccia quello che può. Maestà, e vedrà che Iddio avrà pietà di Lei. Lo abbraccio nel Signore"

[Pio IX, Lettera a Vittorio Emanuele II, 3 gennaio 1870].

Tratto da: Ernesto Rossi, Il sillabo e dopo, edizione Caos, 200, 143-144

"Nemmeno ero nato" disse Beppi rivolto ad uno degli anziani.

L'anziano lo guardò e disse: "Non importa se tu non eri nato. Stava nascendo il mondo in cui tu saresti nato e l'aria di quel mondo avresti respirato vivendo in quel mondo. Una volta nato, quel mondo si trasformava, si adattava, perfezionava il suo modo di porsi agli uomini negando loro l'accesso al Giardino delle Esperidi."

Beppi, sentendo quel nome ebbe un sussulto mentre la donna iniziò a scrutarlo. I suoi occhi sembravano serrare Beppi in una morsa d'acciaio e non abbandonava i suoi occhi mettendo Beppi a disagio.

"Me li dovrai restituire." Disse la donna e prontamente Beppi rispose: "E tu vedi di darmi il resto del conto della grappa."

Non riuscì nemmeno a finire di parlare che la donna gli riempì nuovamente il bicchiere di grappa dicendo: "Questa non la paghi e se vuoi non paghi nemmeno quella di domani, ma me li devi restituire."

Beppi fece per alzarsi quando, l'anziano alla sua sinistra gli prese il braccio dicendoli: "Io ti avevo già visto con gli uccelli del lago Stinfalo quando uno ad uno ghermivano i tuoi compagni di scuola. Tu li guardavi volteggiare sopra le vostre teste mentre gli altri alunni non vedevano nulla."

Beppi ricordò quel primo giorno di scuola quando gli uccello del lago Stinfalo calavano veloci e ghermivano uno ad uno i suoi compagni. Lui li guardava impotente, ma la ribellione rimescolava continuamente la sua volontà e gli uccelli del lago Stinfalo non riuscirono a ghermirlo. Né quella volta, né dopo. Illusione non si impossessò del suo cuore e Speranza non sostituì Determinazione.

Beppi fu assalito da quella sensazione già vissuta e poi in lui emerse l'emozione di quel vissuto. Guardò l'anziano negli occhi e chiese: "Ma voi, al di là di chi siete o potreste essere; che cosa volete da me?"

"Devi restituire quello che hai preso," disse l'altro anziano "ma non puoi restituire quanto hai preso se non riesci a ricordare che cosa hai preso, perché lo hai preso e dove hai nascosto quello che hai preso."

Un giudizio non dissimile va fatto di quella che chiamiamo libertà d'insegnamento. Essendo fuor di dubbio che la sola verità debba informare le menti, perché in essa sola sta il bene, il fine e la perfezione delle nature intellettuali, l'insegnamento non deve perciò dettar altro che il vero, tanto a chi l'ignora quanto a chi lo sa, affinché ne rechi agli uni la notizia, la conservi negli altri. Per questa cagione è stretto dovere degli insegnamenti affrancare gli animi dall'errore, e premunirli contro di esso mediante efficaci argomenti. Dal che apparisce, essere al tutto contraria alla ragione, e tale da pervertire totalmente le intelligenze, quella libertà di cui parliamo, la quale si arroga una sconfinata licenza d'insegnar ciò che le piace; licenza che ai cittadini il pubblico potere non può accordare senza fallire ai suoi doveri. Tanto più che l'autorità dei maestri ha grande influenza sopra i discepoli, e raro è assai che questi possano discernere da se stessi se le dottrine di quelli siano vere o false. E' necessario dunque, che anche questa libertà, perché sia onesta, contengasi entro certi confini, e ciò per non lasciare impunemente che in istrumento di corruttela si converta il magistero. Il vero poi, che ha da essere l'unico oggetto dell'insegnamento, si distingue in due specie, naturale e rivelato. Le verità naturali, quali sono i primi Princìpi e le prossime conseguenze che ne trae la ragione, formano nell'ordine delle idee il patrimonio comune del genere umano: e poiché su quei veri riposano, come su fondamento saldissimo, morale, giustizia, religione, lo stesso umano consorzio, sarebbe la cosa più empia del mondo e più stolidamente disumana permettere che questo sacro retaggio sia impunemente dilapidato. Né va conservato meno gelosamente il preziosissimo e santissimo tesoro della verità che conosciamo per divina rivelazione. Per molte luminose prove si giunge a stabilire, come usarono spesso gli Apologisti, certi punti principalissimi, quali sono: che Iddio ha divinamente rivelato alcune verità; che per rendere testimonianza alla verità l'Unigenito Figlio di Dio si è incarnato; ch'Egli ha fondato una società perfetta, cioè la Chiesa, della quale è capo Egli stesso, e con la quale promise di rimanere sino alla consumazione dei secoli. Tutte le verità insegnate col divino suo labbro Egli volle affidate a questa società, con ordine di custodirle, difenderle e autorevolmente dichiararle; comandando nel medesimo tempo a tutti i popoli di credere e obbedire alla Chiesa sua, come a Lui stesso, pena, chi facesse il contrario, l'eterna dannazione. Così è chiaro, che Iddio è all'uomo il migliore e più sicuro maestro, fonte e principio d'ogni verità: è l'Unigenito, ch'è nel seno del Padre, è via, verità, vita, luce vera che illumina l'uomo, e di cui tutti gli uomini devono essere docili ed ossequiosi discepoli. "E saranno tutti ammaestrati da Dio" (Giovanni, VI, 45)»

Tratto da: Leone XIII, Enciclica Libertas, 20 giugno 1888

L'anziano alla destra si rivolse a Beppi e disse: "Erano tempi in cui si esprimevano instabili equilibri. L'Italia era stata unificata e il nuovo Stato da un lato continuava a rafforzare le vecchie gerarche, dall'altro lato aveva l'esigenza di un nuovo insieme di persone, culturalmente preparate. Si chiedevano come fosse meglio prepararle. Murat a Napoli, settanta anni prima, aveva imposto l'idea di una scuola pubblica, obbligatoria e gratuita, sia per uomini e per donne (un concetto inconcepibile per i cristiani e la chiesa cattolica) che doveva fornire a tutti "uguaglianza di opportunità" valorizzando gli specifici talenti. Cosa diversa dalla dipendenza dell'uomo dal "sapere innato dato da Dio" che alimentava la dipendenza delle pecore dal gregge e dal pastore che le istruiva affinché fossero pecore che si comportavano da pecore. Ciò che percorreva la penisola non era il "vento dell'Unità d'Italia", era il vento di un futuro possibile a cui la chiesa cattolica non era ammessa. La chiesa cattolica ancora ricordava le parole di Giuseppe Garibaldi: "Che diavolo di libertà vuole un popolo che tutti i giorni va a prostrarsi a' piedi d'un prete, piedistallo di tutte le tirannidi e soldato del più atroce de' tiranni d'Italia? Io crederò che il nostro popolo vuol essere libero quando lo vedrò cambiar la bottega di S. Petronio in un asilo di indigenti, quando, sulla chierica del negromante buffone, lo vedrò infrangere il fiasco di s. Gennaro." Impedire alle persone di essere istruite, nemmeno Ladone avrebbe potuto pensare a mostri così paurosi e potenti capaci di impedire agli Esseri Umani di accedere al Giardino delle Esperidi."

Quel nome fece sussultare ancora una volta Beppi. Un ricordo, una sensazione, lo aveva assalito quando il nome di quel luogo veniva pronunciato. Il ricordo del Giardino dai diecimila fiori e diecimila tipi di alberi in un orizzonte infinito di beatitudine dove ogni frutto apriva gli orizzonti della mente e alimentava il desiderio di esplorare l'universo.

"Ricorda?" chiese l'anziano alla sinistra di Beppi. La donna continuava a fissarlo. Beppi si sorprese a pensare: "Io questa donna l'ho vista. L'ho vista ancora, ma non qui. Non la ricordo a gestire questo ristoro." L'anziano alla destra rispose all'altro anziano "Non era ancora nato. La storia che gli ho raccontato gli è estranea, Il sentiero su cui camminò inizierà dopo, ma ancora la premessa di quel cammino non è completata.

"E allora prosegui." Lo invitò l'anziano alla sinistra.

"Di tale cristiana istruzione appare evidentemente cresciuta la necessità sia da tutto l'andamento dei tempi e dei costumi moderni, sia specialmente da quelle pubbliche scuole, prive di ogni religione, dove si tiene quasi per sollazzo il deridere le cose più sante, e del pari sono aperte alla bestemmia e le labbra dei maestri e le orecchie dei discepoli. Parliamo di quella scuola che si chiama per somma ingiuria neutra o laica, ma che non è altro che tirannide prepotente di una setta tenebrosa. Un siffatto giogo di ipocrita libertà voi già denunciaste ad alta voce e intrepidamente, o Venerabili Fratelli, massima in quei paesi dove più sfrontatamente furono calpestati i diritti della religione e della famiglia, anzi soffocata la voce stessa della natura, che vuole rispettata la fede e il candore dell'adolescenza"

[Pio X, Enciclica Editae saepe Dei, 26 maggio 1910].

"Pensare alle persone come create da Dio" aggiunge l'anziano alla sinistra di Beppi "rende la scuola uno strumento con cui controllare le persone e non uno strumento che necessita ai cittadini per il loro sviluppo intellettuale e culturale. Quando gli uomini pensano a sé stessi come "creati da Dio" sono convinti che la loro intelligenza e la loro cultura sia un "dono di Dio" e, per sfruttare quel "dono" si fanno "furbi" costringendo altri uomini a non sviluppare la loro cultura e la loro conoscenza: "guarda io che bravo che sono, tu sei stupido!". Questo è l'atteggiamento che hanno nei confronti dei ragazzi. I ragazzi sono stupidi. Non sanno. Loro, al contrario sanno e anziché usare quel poco di conoscenza che hanno per aiutare i ragazzi, preferiscono entrare in concorrenza conflittuale con loro, umiliandoli, per promuovere sé stessi come ente superiore uguale a Dio. C'è un altro modo per pensare la scuola. Un modo che si sta facendo largo nella coscienza delle persone. Un modo che come un Ladone dalle cento teste inizia ad entrare nell'immaginario collettivo di una nazione giovane dai passi incerti."

"In queste generalità rimane a parere mio sufficientemente indicatala possibilità dell'educazione e il valore proprio dell'istruzione come mezzo educativo. Perché istruire non vuol dire ammaestrare teoricamente circa i possibili casi della vita, né comunicare le massime cui le particolari operazioni devano essere in seguito conformate, né tampoco coartare la volontà a divenire docile istrumento di passiva esecuzione, ma invece adoperarsi perché nello svolgimento interiore, che mette capo nella personale autonomia, prevalgano quegli appunto fra gli elementi della vita spirituale, nei quali si prepara il predominio dell'ideale etico. Le operazioni educative sono adunque indirette, in quanto che non si ha in mira di ottenere per mezzo loro il nudo effetto dell'imitazione, ma sì di promuovere i principi interiori della retta scelta e della retta operazione. Attività ordinata, rivolta a produrre attività, ecco il preciso assunto del compito educativo."

Antonio Labriola, Dell'insegnamento della storia, pag. 934

"La lotta è forte ed atroce." continua l'anziano a sinistra di Beppi "I cattolici temono che una diversa istruzione scolastica faccia perdere i loro fedeli, specialmente i ragazzi che non vengono più indottrinati e costretti a credere nella loro superiorità di razza in quanto cattolici. I cattolici sono convinti che l'imposizione della loro fede passi attraverso l'insegnamento scolastico e prescolastico. Questo lo credono anche chi vorrebbe allontanare i cattolici dall'insegnamento scolastico. In realtà, la fede che porta alla sottomissione viene imposta mediante la percezione, da parte del feto e del neonato, della struttura emotiva della madre e dell'ambiente parentale prima ancora che il bambino impari a parlare. Tuttavia, la chiesa cattolica non vuole perdere il controllo sulla scuola come non vuole perdere il controllo della struttura sanitaria e delle strutture carcerarie che alimentano il loro potere di controllo sulle persone fragili, deboli e facilmente utilizzabili per giustificare il loro potere nella società civile."

«Ma dove non potremo mai essere d'accordo è in tutto ciò che vuol comprimere, menomare, negare quel diritto che la natura e Iddio hanno dato alla famiglia e alla Chiesa nel campo dell'educazione. Su questo punto Noi non vogliamo dire di essere intrattabili, perché la intrattabilità non è una virtù, ma soltanto intransigenti, come non potremmo non essere intransigenti se ci domandassero quanto fa due più due. Fa quattro e non è colpa nostra se non fa né tre, né cinque, né sei, né cinquanta. Quando si trattasse di salvare qualche anima, di impedire maggiori danni di anime, ci sentiremmo il coraggio di trattare col diavolo in persona. Ed è proprio per impedire un male maggiore che, come tutti hanno potuto ben sapere, in qualche momento abbiamo trattato, allorché si decideva la sorte dei Nostri cari esploratori cattolici; abbiamo fatto dei sacrifici per impedire mali maggiori, ma abbiamo documentato tutto il cordoglio che sentivamo per essere costretti a tanto»

[Pio XI, Discorso agli allievi del collegio Mondragone, 16 maggio 1929].

"Ed è questo il punto" continua l'anziano alla sinistra di Beppi "il controllo militare della scuola è il controllo militare dell'educazione che, anche se non è funzionale per imporre la fede cattolica, è funzionale ad impedire ai ragazzi di uscire dall'educazione cattolica affinché continuino a prostrarsi confidando in Dio anziché far uscire la forza della cultura e della conoscenza da sé stessi. La lotta si faceva sempre più serrata."

Il problema dell'educazione è un problema pratico e difficile, e conviene distinguerne gli elementi essenziali. La scuola riceve delle individualità già in qualche modo formate, dei subbietti formati, e ogni parola che il maestro dice, trova una rifrazione nella mente del fanciullo. Il maestro si deve preoccupare di tutto ciò che v'è d'erroneo nell'educazione, e fare che qualunque sua azione educativa sia miglioratrice, modificatrice; che sia sorrettrice delle tendenze naturali del fanciullo, non abolitrice. La questione della scuola popolare non è questione puramente amministrativa, ma sociale e morale. Col crescere degli anni cresce la reazione all'azione educatrice, e cresce coll'individualità. L'educazione non deve servire a deprimere l'individualità, ma deve convertirla in persona. E se si è combattuta l'educazione dei cenobi [religiosi cattolici], ciò non fu per spirito anticlericale, ma perché la loro educazione deprimeva l'individualità. La personalità ha un valore infinito, e senza di essa non vi è né libertà, né morale. L'azione educativa che ha luogo nel periodo compreso tra la fanciullezza e la maturità si converte in personalità umana. La nostra disciplina rispetta l'individualità, perché l'istruire non è rifare da capo tutta la vita intellettuale, ma è dirigere le attitudini naturali dell'individuo.

Labriola, pag. 1017

"La lotta era in corso" disse l'anziano alla sinistra di Beppi mentre l'anziano alla destra annuiva "la differenza non stava nelle idee, ma nel denaro e nel potere sociale che la chiesa cattolica aveva contro chiunque avesse idee diverse dall'imposizione della sottomissione in nome di Dio."

Beppi ascoltava attentamente, aveva intuito che questo era solo il prologo. Stava per ascoltare una storia che aveva costretto le sue emozioni a trasformarsi per costruire e legittimare una prospettiva di futuro che qualche potenza negava agli uomini.

Era come se un mondo si definisse nella testa di Beppi. Il mondo vissuto è come una nebbia caotica dalla quale emergono forme che si fissano nella mente. Nella nebbia non emergono forme perché le forme vogliono emergere. Emergono forme perché ognuno di noi le delimita dall'insieme in cui sono avvolte e di cui sono parte. Delimitiamo i contorni e attribuiamo loro una forma e quella forma la pensiamo come sostanza per permetterci di dare un significato alle azioni fenomenologiche che subiamo continuamente. Noi stessi siamo forme che emergono dalla nebbia per altre coscienze che delimitano una forma in quella nebbia per dare un significato alle azioni fenomenologiche che subiscono.

Una storia, un mondo, si stava delineando dai racconti di questi anziani che non cessavano di portarsi il vino alla bocca e non cessavano di fissare Beppi. Lo fissavano come un madre fissa il proprio bambino dormiente nell'attesa che si svegli. La sensazione di svegliarsi stava attraversando Beppi che in una sensazione di sonno senza sogni vedeva un mondo tumultuoso prendere forma.

In realtà ogni volta che si ricorre a questa distinzione del privato dal pubblico, il motivo della tentata distinzione è il desiderio di praticamente limitare l'azione dello Stato per rivendicare e garentire all'individuo una sfera d'interessi che sfugga alla competenza dello Stato. E questo dei limiti dello Stato è stato uno degli argomenti classici dell'individualismo, in cui tende sempre a cadere la dottrina liberale. I cattolici se ne sono fatti in ogni paese un cavallo di battaglia per sottrarre allo Stato, almeno parzialmente, l'educazione della gioventù, chiedendo ad esso il consenso ad una scuola privata parallela e indipendente dalla pubblica. Ma in tali richieste sfugge per solito che nella stessa richiesta è implicita la negazione della premessa e la conseguente affermazione della pubblicità di ogni scuola, ancorché detta privata; e in generale, l'affermazione della presenza dello Stato oltre a limite che egli riconosca alla propria attività. Giacché non è possibile ammettere la legittimità di una scuola privata, senza definite questa scuola e regolarla: in pratica, senza assoggettarla al controllo statale. E il carattere privato si ridurrà al potere iniziativa nella fondazione della scuola, al finanziamento o ad altri particolari che non possono peraltro non essere conosciuti e quindi autorizzati dallo Stato, e non rientrare perciò in qualche guisa nell'azione sovrana di esso.

Giovanni Gentile, L'attualismo, editore Bompiani, 2014, pag. 1360 – 1361

"La comprensione della necessità del controllo dell'informazione, alla quale adeguare le persone, stava uscendo dall'ambito della chiesa cattolica e altri, per i propri fini e per i propri scopi, peraltro non dissimili da quelli della chiesa cattolica, stavano comprendendo la necessità del controllo dell'informazione. La lotta fra poteri che si contendevano il controllo dell'infanzia per assicurarsi il controllo delle persone in età adulta era la sostanza della lotta fra mafie che si stava concretizzando. Lo Stato non poteva togliere il monopolio di Dio alla chiesa cattolica, ma poteva togliere l'uso del monopolio di Dio per controllare le persone a proprio uso."

Il concetto dell'educazione esprime un'idea di rapporto; non però di rapporto generico di uomo ad uomo, in quanto l'uno sia capace di influire di proposito o per accidente su la condizione d'animo dell'altro, ma sì bene specificato precisamente, così dalla differenza di età e di coltura che corre fra l'educatore e l'educando, come dall'intenzione che è nel primo di spiegare l'attività sua su l'altro, come in obbietto da elaborare. Ove si ponga mente alla natura specifica del rapporto, si vede che in esso sono diversi lati, che offrono materia a svariate considerazioni. E in prima l'educatore non merita cotal nome, se non ha nell'animo un certo concetto della vita e del mondo, che gli si appresemi come meta a raggiunger la quale l'educando debba essere ammaestrato. Cotesto concetto o ideale, per quanto varia l'indole e l'origine sua, costerà ad ogni modo d'un insieme di rapporti pregevoli del pensare e del sentire che si avrà in mente di trasfondere nell'animo dell'educando, perché lo informi e lo governi. E pure, appunto come ideale, che assume nella mente dell'educatore una certa forma d'interiore evidenza teorica, non si trova in alcuna diretta relazione causale con 1 individualità naturale dell'educando; dentro della quale è mestieri accadono più maniere di svolgimenti, perché di lui si faccia una persona capace di uniformarsi liberamente all'ideale stesso. Il processo educativo non va quindi considerato come semplice effettuazione causale; e rassomiglia piuttosto ad una peculiare maniera di mediazione, i cui caratteri e le cui modalità sono il proprio obbietto della scienza pedagogica. E gli è per ciò che il concetto dell'educazione rimanda a più maniere di ricerca scientifica, e non al semplice appuramento di uno o più concetti generali, dati i quali si possa venir cavando conseguenze per via della deduzione. Che in fatti le nozioni varie che si riassumono nel comune concetto della pratica educativa son dapprima del tutto disparate, e non connesse da naturale relazione causale o finale. La materia educabile è l'animo, poniamo, di un giovanetto, animo che non è semplice ricettività, ma naturale individuazione psichica, in via di svolgersi in varie combinazioni di atti intellettivi, volitivi e di sentimento.

Labriola, 931 - 932

"Il concetto di educazione scolastica, come metodo per la manipolazione mentale dei ragazzi, non è più conosciuto solo dalla chiesa cattolica (bibbia ebraica, Deuteronomio), ma inizia ad essere un concetto socialmente condiviso e analizzato." continua l'anziano alla sinistra di Beppi "La lotta che si svolge nella società è una lotta a tutto campo fra fazioni che si contendono il controllo dell'infanzia e il desiderio dell'infanzia di non essere controllata. Nel primo caso osserviamo il contendersi fra fazioni, nel secondo caso osserviamo forme di ribellione dell'infanzia al potere di manipolazione che agisce su di essa. Più che la libertà di apprendere dei ragazzi, in funzione dei loro bisogni e delle loro necessità, è la libertà di insegnamento che viene richiesta e rivendicata dagli insegnanti e dai loro referenti politici e sociali."

Noi vogliamo il regno della libertà; e però desideriamo assolutamente liberi la stampa, le associazioni, l'insegnamento: vogliamo che la libertà sia vera regina, e non già la vittima che i sacerdoti dell'antichità incoronavano per immolarla sugli altari di un Dio sanguinario. E pur troppo nel nostro paese vi sono uomini i quali hanno la libertà sulle labbra, ma l'odio per essa nell'animo. Non intendiamo dire con ciò che tutti coloro che consigliano e predicano la piena libertà d'insegnamento siano di questo numero; vi sono molti che la vogliono sinceramente; e noi non possiamo far altro che lodarli di questo nobile desiderio, che è pure il nostro. Ma possiamo noi credere in buona pace che l'alto clero in generale e tutti coloro che nella Camera legislativa, nella stampa, ed in ogni faccenda pubblica, per educazione, per istituto, per odi ereditari si mostrano i più fieri nemici delle nostre libere istituzioni, invochino la libertà d'insegnamento perché amano la libertà? Coloro che negano la libertà del pensiero, che sottopongono la ragione ciecamente all'autorità individuale, che sono gli occulti alleati dei nemici d'Italia, che benedicono a tutti i prìncipi traditori della nostra comune patria, sono sinceri quando si affaccendano a volere l'insegnamento libero? Noi non lo crediamo. Essi invocano la libertà come mezzo per distruggere la libertà medesima.

Bertrando Spaventa [La libertà religiosa, in "Progresso", 27 luglio 1851]

"La libertà di insegnamento, per gli insegnanti, precede la libertà dell'apprendere da parte degli studenti. Secondo i sistemi di potere che si avvalgono dell'insegnamento, gli studenti non hanno né conoscenza, né consapevolezza di quanto devono imparare per poter vivere. E' vero che lo studente elementare non sceglie, ma subisce. Ma lo studente cresce in quella conoscenza imposta e, a mano a mano che cresce, trasforma la propria consapevolezza, il proprio essere nel mondo rivendicando forme di insegnamento che gli appaiono più consone per le proprie trasformazioni. Tanto più gli insegnanti rivendicano libertà dai poteri che detengono il controllo dell'insegnamento, tanto più gli studenti, a mano a mano che cresce la loro conoscenza modificando la loro coscienza, rivendicano forme diverse di conoscenza e di relazione fra sé, gli educatori e i poteri che agiscono nella società. Tuttavia, tali poteri sociali, quando messi in discussione, riaffermano, in tutti i modi, compresa la violenza fisica, il loro diritto a manipolare i ragazzi affinché approvino il loro controllo su di essi."

Nella sua missione educativa, la Chiesa è immune da ogni errore "Pertanto, nell'obietto proprio della sua missione educativa, cioè nella fede e nella istituzione dei costumi, Dio stesso ha fatto la Chiesa partecipe del divino magistero, e, per beneficio divino, immune da errore; ond'è degli uomini maestra suprema e sicurissima, e le e insito inviolabile diritto a libertà di magistero" (Enciclica Libertas, 20 giugno 1888). E, per necessaria conseguenza, la Chiesa è indipendente da qualsiasi potestà terrena, come nell'origine così nell'esercizio della sua missione educativa, non solo rispetto al suo obietto proprio, ma anche rispetto ai mezzi necessari e convenienti per adempirla. Quindi, rispetto ad ogni altra disciplina ed insegnamento umano, che in sé considerato è patrimonio di tutti, individui e società, la Chiesa ha diritto indipendentemente di usarne e principalmente di giudicarne in quanto possa essere giovevole o contrario alla educazione cristiana. E ciò, sia perché la Chiesa, come società perfetta, ha diritto indipendente sui mezzi al suo fine, sia perché ogni insegnamento, al pari di ogni azione umana, ha necessaria relazione di dipendenza dal fine ultimo dell'uomo, e però non può sottrarsi alle norme della legge divina, di cui è custode, interprete e maestra infallibile la Chiesa"

Pio XI, Enciclica Divini illius magistri, 31 dicembre 1929

"L'uomo è la merce sociale che l'educazione, insieme ad altro, trasforma in un prodotto, un valore d'uso, che i poteri sociali usano per riaffermare sé stessi e il loro potere. Il valore d'uso diventa "valore del potere coercitivo sociale" Disse ancora il vecchio alla destra di Beppi guardando Beppi.

Beppi trasalì, come se un'onda lo stesse attraversando. Un ricordo divenne vivo e Beppi cercò nella sua esperienza quanto stava affiorando. Ma come descriverlo?

"Dopo circa quindici giorni dall'inizio delle lezioni cominciarono le prime vivaci proteste dei ragazzi sistemati nell'ex presidenza e questa viene momentaneamente sgomberata. Il comune aveva promesso due locali, ma risulta ben presto chiaro che le cose vanno per le lunghe. Un'altra classe viene sistemata nell'ex presidenza. A questo punto intervengono i genitori. Mandano al preside una lettera in cui protestano e offrono all'autorità scolastica, nella quale peraltro hanno ancora fiducia, il loro appoggio per chiedere al consorzio dei comuni di Cascinette, Burolo, Bollengo e Chiaverano un intervento risolutivo. Il risultato della lettera è che al posto della seconda B è messa in quella specie di aula la prima B, con un allievo in più. Alcuni genitori di ragazzi, ritenendosi presi in giro, rifiutarono per un giorno di mandare i figli a scuola. La tensione cresce. Entrano in gioco allora rappresentanti di altre componenti sociali che saranno poi accusati di "pescare nel torbido" e di essere "sobillatori" secondo uno schema assai caro alle autorità per cui le masse sarebbero buone e pazienti se non ci fossero coloro che le "strumentalizzano". Le insegnanti Luisa D. e Luciana D. dopo il vano tentativo di coinvolgere nell'azione i colleghi rompono gli indugi, e contravvenendo alla prassi corrente di tacere e coprire sempre e comunque le magagne dell'istruzione, denunciano, in riunione con genitori e allievi, la scandalosa situazione. Dall'altro lato intervengono alcuni giovani del movimento studentesco di Ivrea che in quel periodo cercava di organizzare i ragazzi delle scuole medie inferiori e di stimolare il dibattito sulle contraddizioni vissute dagli studenti più giovani. Probabilmente ad esponenti del movimento studentesco si riferiscono alcuni genitori in una lettera di solidarietà mandata più tardi al preside e al sindaco "Trovarono che con esse [professoresse] presiedeva l'adunanza anche il sig. ... e altri tre giovani di cui non si conoscono i nomi, uno dei quali aveva lunghi capelli e baffoni alla cinese".

E' interessante notare come le assemblee che si tengono nel corso dell'anno scolastico con la partecipazione di insegnati, studenti, movimento studentesco e genitori (di una delle quali, svoltasi all'inizio di febbraio 1970, è riportato il resoconto nel "Risveglio", settimanale cattolico di Ivrea) non si limitano ad esaminare questioni particolari, sia pure importanti, come l'edilizia scolastica di Cascinette; la discussione parte da questi aspetti per allargarsi alla funzione sociale discriminatoria del voto, all'utilità delle cose insegnate a scuola, al costo dei libri di testo, al rapporto fra genitori, alunni e insegnanti. Il fatto che le riunioni non avvenissero nel quadro dell'ordinamento scolastico (e anche fisicamente avvenissero fuori dalla scuola), che vi partecipassero insegnanti, studenti, esponenti del movimento studentesco e genitori, per lo più operai della Olivetti e della Chatillon, rendeva impossibile quella burocratizzazione della discussione che avviene solitamente negli incontri scolastici con i genitori, quando la preoccupazione per il risultato scolastico del singolo allievo è largamente dominante e il genitore mette in ombra la sua identità sociale, di operaio, per esempio, per assumere quella generica, e facilmente manipolabile in senso interclassista, di "padre".

Anche a Cascinette ciò si verifica puntualmente. Il preside convoca, il 22 novembre 1969, l'assemblea dei genitori degli alunni nel tentativo di recuperare il controllo di una situazione che sta diventando tesa...... "

Tratto da: "Chi insegna a chi? Cronache della repressione nella scuola", di Vari autori, Einaudi Editore, 1972, pag 104-105

Ora Beppi stava ricordando. Le proteste, le manifestazioni. I manganelli della polizia contro gli studenti che chiedevano una scuola diversa e che avevano conquistato la dimensione dei cittadini che in quella società avevano diritti che venivano sistematicamente negati. La scuola doveva cambiare. La scuola cambiò anno dopo anno, protesta dopo protesta.

E la scuola cambiò. Il tipo di istruzione cambiò. Anche quando il potere di controllo cercava soluzioni, mediando, per riaffermare il proprio dominio sui ragazzi.

"E' la consapevolezza di ciò che siamo" disse Beppi mentre nelle sue mani apparvero degli strani frutti dorati "La conoscenza non è determinata da ciò che conosci, ma dalla volontà del conoscere. Per entrare nel giardino delle Esperidi è necessario voler conoscere ciò che serve conoscere in base a propri progetti. Una scuola, qualsiasi scuola, ti concede un certo grado di informazioni. Quelle informazioni sono cose, non conoscenza. La conoscenza è quell'informazione che suscita emozione; che illumina la tua coscienza per un attimo." I due anziani e la signora, che all'inizio serviva dietro al bancone, guardarono Beppi.

Uno dei due anziani si rivolse verso l'altro dicendo: "Te lo dissi che avrebbe ricordato!"

Intanto la signora continuava a riempire i bicchieri degli anziani di vino e di grappa il bicchiere di Beppi. Beppi guardava e fra sé pensò: "Tu versa che io bevo, ma se speri che teli paghi questi bicchieri è meglio che te lo scordi!" La donna sorrisse.

"Il frutto del giardino delle Esperidi" continuò l'anziano come se non avesse sentito Beppi "E' il frutto che distrugge, disarticola, la coscienza dell'individuo. Il frutto che demolisce le certezze quando quelle certezze vanno ricostruite in una nuova e diversa coscienza. Mangiare il frutto significa presentarsi al mondo con una nuova e diversa coscienza, ricca di informazioni e di nuova cultura interiorizzata e fagocitata."

Beppi si fermò. Ebbe la sensazione che dal suo ragionamento mancasse qualche cosa che non afferrava, ma avvertiva che ciò che mancava era importante.

"Cristiani e Stato volevano controllare una scuola affinché fosse funzionale ai loro progetti, ignorando noi che da quella scuola dovevamo apprendere. In quegli anni noi decidemmo di essere persone e di aver diritto ad una cultura al di là di come cristiani o Stato volevano utilizzarci. Per questo motivo entrammo nel Giardino delle Esperidi e dicemmo ai cristiani "Il vostro Dio deve essere umile davanti a noi!" e allo Stato dicemmo: "Tu sei al nostro servizio, non noi, studenti, al tuo!" continuò Beppi.

Per superare il possente ed immortale figlio di Foci e Ceto è necessario entrare nei recessi dell'oscura terra della non conoscenza affrontandolo col fuoco della necessità del proprio apprendere e della trasformazione soggettiva che, quanto si è appreso, modifica la coscienza nella sua descrizione della realtà del mondo. Davanti al fuoco della necessità soggettiva, il figlio di Foci e Ceto indietreggia. Ma non loro, le sorelle di Eris, Moros, le Moire, Nemesi. Le Esperidi non indietreggiano. Il loro potere è il potere delle Furie. Tanto più è forte, violento e determinato colui che vuole appropriarsi dei frutti del giardino delle Esperidi tanto più forti e violente diventano le Esperidi. Nessun fuoco intimorisce le Esperidi; nessuna emozione è in grado di travolgerle.

In quel momento, quattro ragazzine, si direbbero studentesse di scuole inferiori, erano entrate nell'osteria. Una di loro teneva per i capelli una testa mozzata, una seconda stava giocherellando con dei denti, una terza aveva il viso sporco di sangue, ma, era chiaro, il sangue era di qualcuno, non suo; infine, una quarta ragazzina teneva nella mano un cuore che ancora tentava di battere.

Queste quattro ragazzine si schierarono davanti a Beppi con aria minacciosa e dissero: "Avanti Beppi, dì loro come hai fatto a superarci e a prendere i frutti del giardino che nessuno può prendere senza il nostro permesso?"

I due anziani e la signora in carne si guardarono l'un l'altro. Erano curiosi di conoscere la risposta. Beppi guardò i frutti che aveva nelle mani e disse: "Io mi sentivo forte, potente. Ero sicuro che potevo sopraffarle e prendermi i frutti della conoscenza. Loro erano determinate a fermarmi. Fu allora che mi assalì una strana sensazione che si impose dentro di me e mi scoprii a dire "Scusate del disturbo; posso prendere i frutti della conoscenza?". "Accomodati, dissero!" Le ragazzine risero.

La donna in carne che serviva dietro al bancone scoppiò in una risata ritardata anch'essa, poi disse: "I frutti della conoscenza del giardino delle Esperidi vanno rubati per accedere alla conoscenza, ma non necessariamente devi usare il randello quando puoi, più semplicemente, chiedere che ti aprano la porta!"

"Me li devi restituire!" aggiunse la donna in carne.

"Li devi rubare, ma non li puoi possedere. Questo perché devono essere rubati ancora, e ancora, e ancora, all'infinito." Disse Beppi mentre porgeva i frutti alla donna in carne.

Questa li prese e li consegnò alle ragazzine. Una delle ragazzine, Aretusa, prese i frutti che la donna gli porgeva e si dissolse con le altre ragazzine.

Una figura d'uomo con i sandali alati apparve sulla porta del ristoro e con tono perentorio disse: "Ade, Posidone, Era, subito sull'Olimpo."

Beppi si trovò sulla sua ape. Fermò il motore. Scese. Prese una piccola motosega e si mise a tagliare i rami di un albero che era appena caduto colpito da un fulmine.

Lusiana, 10 giugno 2024

 

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