Le giumente di Diomede e Beppi di (o da) Lusiana
Ottava di dodici fatiche di Beppi

di Claudio Simeoni

Partita di calcio mondiale della filosofia

Le dodici fatiche di Beppi

Le giumente di Diomede

Accetta o motosega?

Pensava fra sé e sé Beppi di (o da) Lusiana mentre era intento a fare legna in un bosco cresciuto lentamente che suo padre era riuscito a comperare con gli ultimi soldi. Un passato da carabiniere, vissuto in un conflitto continuo fra la propria coscienza e il proprio dovere.

Quel bosco era cresciuto lentamente sulle falde scoscese di quella piccola collina. Terriccio misto a sassi rendeva scivoloso ogni passo che non fosse protetto dalle radici sporgenti degli alberi.

Aveva comperato una piccola motosega. Ancora non la maneggiava con destrezza e ogni tanto il suo sguardo cadeva sull'accetta. Quell'accetta che imparò a maneggiare fin da bambino.

Il bosco è un luogo strano. Quando lo si percorre si ha la sensazione che molti occhi siano nascosti nell'ombra ad osservare e spesso l'ombra stessa sembra abbia occhi per vedere e orecchie per ascoltare. Poi, quando in quel novembre inoltrato, inizia a sollevarsi un po' di nebbia, ecco che i contorni delle cose si fanno confusi, incerti. Quei contorni acquisiscono un significato diverso da come la ragione li identificava nelle loro forme.

Quei contorni sfumati e la fatica fatta nel tagliare e preparare la legna costrinse Beppi a chiudere gli occhi. Poi, scosse la testa riaprendoli. Si guardò attorno e cercò un ceppo su cui sedersi.

Si, ora andava meglio. Poggiò i gomiti sulle cosce e si prese la testa fra le mani respirando forte.

E la nebbia lo portò con sé.

Un uomo avanzava in quella brillante oscurità. Il volto era velato, ma le armi che portava sulle spalle e al suo fianco erano messaggere di morte e di distruzione.

Dietro di lui quattro cavalle si muovevano in quella nebbia.

Una cavalla si avventò su una donna incinta, gli aperse il ventre e ne sbranò il feto.

La seconda cavalla si scagliò su un bambino e lo divorò.

La terza cavalla si scagliò su una donna adulta e la divorò come fosse un filo d'erba.

La quarta cavalla si lanciò contro un vecchio avanti negli anni e, anche se costui alzò le braccia per proteggersi mentre le sue labbra supplicavano, la cavalla lo ridusse in mille pezzi che poi, un po' alla volta brucò.

L'uomo velato spostò il suo sguardo dalla scena al volto stupito di Beppe.

Beppe era perplesso: avviare la motosega o brandire l'accetta?

L'uomo velato aveva mosso le sue mani e una si era posata sull'elsa di una spada, che pareva molto antica, e l'altra si era posata sul calcio di una pistola che appariva fin troppo moderna agli occhi di Beppi.

Come avrebbe potuto affrontarlo? Si domandò Beppi pensando fra sé e sé.

Mentre la tensione saliva, la cavalla che aveva sbranato il feto si fece avanti. Adagio, lentamente, quasi volesse evitare di spaventare e alimentare uno scontro. La cavalla si fermò col muso non lontano da Beppi frapponendosi fra Beppi e l'uomo velato.

E la cavalla parlò a Beppi con le parole di Nikolaus Lenan:

Hai visto un momento felice passare,
mai più ritrovato,
è bene guardare in un fiume,
dove tutto fluttua e trascorre.

Fissa dunque nella corrente lo sguardo,
più lieve sarà rinunciare a ciò
che ti fu strappato dal cuore,
a ciò che più ami.

Guarda fisso nel fiume,
fino a quando le lacrime scorreranno
e attraverso il loro flusso caldo
vedrai i flutti allontanarsi.

In sogno giunge l'oblio
a sanare le piaghe del cuore;
attraverso la sua pena vede l'anima
trascorrere sé stessa.

Nikolaus Lenau da: Poesia moderna e contemporanea, Editore Pagine, 2001, pag. 75-77

Dopo di che la cavalla si allontanò.

Fu l'uomo velato, con le mani ancora sulle sue armi, che parlò a Beppi dicendo:

"Che futuro aveva quel feto? La madre gli aveva prosciugato la vita nel tentativo di vivere una vita che aveva negato a sé stessa. La scena era truce? Ti ha scosso? Le tue emozioni volevano correre in soccorso di quel feto e uccidere la cavalla che lo stava sbranando? Dov'eri quando la madre subiva violenza al punto tale da far violenza a suo figlio per sopravvivere? Dov'era la volontà della madre capace di nutrire la volontà di suo figlio per poterlo proiettare nelle trasformazioni? Non puoi incolpare la morte perché tu dovrai morire; puoi incolpare te stesso per le scelte che hai fatto che ti hanno portano verso la morte. Si pensa che il feto sia innocente, ma il feto non è un oggetto in sé. Il feto è parte della madre, un suo organo. La coscienza del feto è la coscienza della madre. Le emozioni del feto sono le emozioni della madre. La carne del feto è la carne della madre. Una madre che non libera il feto da sé stessa è una madre che cannibalizza sé stessa divorando la psiche, le emozioni e la carne del feto. Vorresti correre in aiuto del feto, ma nessuno può aiutare il feto, solo la madre. La madre può liberare il feto facendolo diventare un individuo; la madre può trasformare il feto in cibo di cui nutrirsi."

Poi, l'uomo velato tacque. I pensieri di Beppi si erano allontanati dalla motosega e dall'accetta e anche le mani dell'uomo velato si stavano rilassando anche se ancora non erano lontane dalle sue armi.

La seconda cavalla si fece avanti e prese il posto della prima cavalla puntando il muso verso Beppi.

E la cavalla parlò a Beppi con le parole di Richard Dehmel:

Abbiamo un letto, abbiamo un bambino, donna mia!
Abbiamo anche lavoro, per te e per me,
e abbiamo il sole, e pioggia e vento.
e solo una piccola cosa ci manca
per essere liberi come gli uccelli:
solo il tempo.

Quando è domenica e andiamo per i campi, bambino mio,
e ovunque sulle spighe saettare
vediamo le rondini azzurre,
oh, non ci mancano certo i vestiti
per essere leggiadri come gli uccelli:
solo il tempo.

Solo il tempo!
Fiutiamo le tempeste nell'aria, noialtri, il popolo.
Solo una piccola eternità;
nulla ci manca, donna mia, bambino mio,
se non tutto ciò che per opera nostra cresce,
per essere arditi come gli uccelli.
Solo il tempo!

Richard Dehmel, Il lavoratore, da: Poesia moderna e contemporanea, Editore Pagine, 2001, pag. 137

Il volto velato dell'uomo non fece trasparire il sorriso mentre guardava Beppi che, stupito, tentava di meditare sulle parole pronunciate da una cavalla che aveva, da poco, sbranato un bambino.

"Noi abbiamo." iniziò a parlare l'uomo velato "Noi possediamo, noi deteniamo il bambino. Il bambino non è. Il bambino non parla. Il bambino vive nei sogni di un adulto a cui manca il tempo dell'esistenza che gli ha annientato i desideri di essere libero come un uccello. Lui non è libero, perché gli manca il tempo. Il tempo che gli manca lo toglie al bambino che è suo. Fiuta tempeste nell'aria. Ma non evita le tempeste, prende atto che le tempeste stanno arrivando e quelle tempeste lo travolgeranno. Cosa ha divorato quell'adulto se non il futuro del bambino ricorrendo un sogno che lo ha privato del proprio tempo? Il tempo è mutazione, trasformazione. E' la trasformazione che chiamiamo tempo, tempo di vita. Senza la trasformazione non c'è tempo, non c'è vita. Spighe e rondini abitano la vita dell'uomo, ma non il bambino, non la donna. A noi ci manca ciò che cresce per opera nostra, dice quest'uomo che non si guarda intorno e non vede suo figlio crescere perché lui è privo di tempo. Non accusare la cavalla per aver mangiato il bambino, accusa suo padre che non aveva tempo per costruirlo come uomo."

Poi, come prima, l'uomo velato tacque. Ora nuovi e diversi pensieri attraversavano la mente di Beppi. Le cavalle afferrano l'attenzione, sgomentano la ragione, ma le cavalle agiscono in una realtà le cui condizioni sono volute da altri. Scelte e conseguenze. Scelte e conseguenze.

E mentre così parlava, un'altra cavalla si pose davanti al viso di Beppi. Arrivavano sempre più vicino al suo volto e Beppi iniziò a sospettare che prima o poi lo avrebbero divorato.

E la cavalla parlò a Beppi con le parole di Ernest Stadler:

Alte stanno le porte di tutti i cieli aperti al buio,
che silenzioso le ingorga, risucchiando la terra
in un imbuto senza fondo. Più fitte si levano le ombre
dai pori allentati di zolle colme di notte.
I pioppi che a stento stillavano sole,
sono confitti – come tronchi mozzi in nere croci – nella campagna.
Grigi crescono i campi minacciosi – pianure di torbide scorie.
La notte si avvita dalle fosse di nubi, su cui passano le folate
di venti ormai freddi, e nell'irto cespuglio che annera
dei pallidi salici, dove è andata a posare rantolando,
vitra si fa l'ultima luce.

Ernst Stadler, Sera greve, da: Poesia moderna e contemporanea, Editore Pagine, 2001, pag. 259

Forse la ragione di Beppi iniziava a vacillare. Quella cavalla che parlava di una sera in arrivo, dopo aver sbranato una donna adulta, lo stava sconvolgendo. Poi, lentamente, volse lo sguardo dentro sé stesso e colse l'attimo di una notte che dentro di lui stava crescendo.

L'uomo senza volto lo stava scrutando. Beppi non vedeva i suoi occhi, ma li sentiva dentro di lui. Eppure non c'era ostilità da parte dell'uomo velato anche se la sua presenza alimentava il timor in Beppi.

E l'uomo velato riprese il suo discorso.

"Il buio scende quando le prospettive hanno chiuso le porte e uomini e donne cannibalizzano loro stessi nel vago tentativo di sopravvivere ad un buio che li travolge. Il nulla in cui un'esistenza è diventata. Nata fra progetti e tensioni, ha visto, a poco a poco, spegnersi ogni desiderio, ogni progetto, ogni tensione. Avvolti nella noia di un presente che esorcizzano risata dopo risata, camminano stanchi stillando frammenti di luce da ricordi di esperienze vissute ma dimenticate. Ci fu un tempo in cui quei cuori pulsavano di vita, ma ora sono spenti attraversati da venti freddi nella notte della vita che non vedrà mai più albe. Cosa produsse lo spegnersi della vita? Lo spegnersi di quella vita? In quante battaglie fu trascinata, da quando da cucciola tentava di gattonare nel mondo? Le battaglie affrontate da uomini e donne rubano loro un frammento di esistenza e ad ogni battaglia lasciano sul terreno un frammento della loro disperazione. Pochi sono coloro che splendono nella luce dopo tante battaglie. La vita consuma la luce della nascita. Uccide i progetti e lascia le persone vuote in un'esistenza che si spegne costringendole a supplicare di essere sottratte a quel dolore a cui non possono fuggire."

Ancora una volta, l'uomo velato tacque mentre la quarta cavalla soffiò dalle narici direttamente nel naso di Beppi che iniziava a capire in quanto, quel buio, non gli era così estraneo.

E la cavalla parlò con le parole di Paul Celan dicendo:

Questo è l'occhio del tempo:
guarda bieco
da sopraccigli di sette colori.
Ha la palpebra lavata da fuochi,
vapore è il suo pianto.

La stella cieca gli vola incontro
e si fonde sul ciglio ardente;
si fa caldo nel mondo
e sbocciano i morti
e fioriscono.

Paul Celan, Occhio del tempo, da: Poesia moderna e contemporanea, Editore Pagine, 2001, pag. 373

Quando la cavalla fece un passo indietro, Beppi si trovò a pensare che la scelta della motosega, per risolvere la questione, non era da scartare del tutto. Improvvisamente, il respiro gli si fermò nella gola. L'uomo velato aveva alzato il velo scoprendo un volto tanto antico da avere il sapore di un corpo fisico in putrefazione.

L'uomo velato rivolse lo sguardo alle cavalle e poi si girò verso Beppi dicendo. "Anche tu vuoi essere liberato dal dolore?"

Beppi di (o da) Lusiana si alzò dal ceppo, fissò quel volto antico e parlò con le parole di Bertolt Brecht:

Davvero vivo in tempi oscuri!
La parola innocente è stupida. Una fronte liscia.
Indica sensibilità. Chi ride
E' solo perché non ha avuto ancora
La tremenda notizia.

Che tempi sono questi, in cui
Un discorso sugli alberi è quasi un delitto
Perché implica un tacere su tanti misfatti!
Quel tale che cammina tranquillo per strada
Forse è già irraggiungibile per gli amici
In difficoltà?

E' vero: mi guadagno ancora da vivere
Ma credetemi: è solo un caso. Niente
Di quel che faccio mi autorizza a saziarmi.
Sono stato risparmiato per caso. (Se la fortuna mi lascia sono perduto).

Mi dicono: mangia e bevi! Sii contento che qualcosa ce l'hai!
Ma come posso mangiare se quel che mangio
Lo strappo all'affamato e l'acqua
Che bevo manca all'assettato?Eppure mangio e bevo.

Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri è scritto quel che è saggio;
Star lontano dalle lotte del mondo e vivere
Senza terrore quel po' che c'è da vivere
Farcela anche senza la violenza
Ricambiare il bene con il bene
Non soddisfare i propri desideri ma dimenticarli
Questa è saggezza.
Tutto ciò non so farlo:
Davvero vivo in tempi oscuri!

Venni nelle città al tempo del disordine
Quando regnava la fame.
Venni tra gli uomini al tempo della rivolta
E protestai con loro.
Così passò il tempo
Che mi fu dato in terra.

Le strade ai tempi miei portavano in palude.
La lingua mi tradiva al carnefice.
Poco potevo fare. Ma i dominatori
Sedevano più sicuri senza me, questo speravo.
Così passò il tempo
Che mi fu dato in terra.

Le forze erano poche, la meta
Assai lontana
Era chiara e distinta, anche se per me
Irraggiungibile.
Così passò il tempo
Che mi fu dato in terra.

Voi che emergerete dalla marea
Che ci ha inghiottito,
Quando parlerete delle nostre debolezze
Pensate anche ai tempi oscuri
Da cui siete scampati.
Passammo infatti, cambiando i paesi più spesso delle scarpe,
Tra le lotte di classe, disperati
Quando solo ingiustizia c'era e non protesta.

Pure sappiamo:
Anche l'odio per le bassezze
Stravolge i tratti.
Anche la rabbia per l'ingiustizia
Arrochisce la voce. Ah, noi che volevamo
Preparare il terreno per la gentilezza,
Non ci fu dato d'essere gentili.

Voi però, quando sarete al punto
Che l'uomo è di aiuto all'uomo,
Pensate a noi
Con indulgenza.

Bertolt Brecht, Ai posteri, da: Poesia moderna e contemporanea, Editore Pagine, 2001, pag. 309

Poi Beppi disse ancora."L'umanità vive sempre in tempi oscuri perché le tenebre coprono la sua esistenza. Uomini e donne squarciano il velo delle tenebre con sforzi immani portando raggi di luce in un cammino fatto di fallimenti e di cadaveri. Quando una via, nella quale ci trasformiamo, è fatta di fallimenti e il fallire sembra essere l'unico risultato dell'azione, l'azione nel fallire è l'unica cosa che ci trasforma. Ci rende uomini e donne vivi e presenti in un mondo illusorio che continua ad esistere nell'oscuro della propria esistenza."

Così dicendo, Beppi con la mano sinistra afferrò la motosega e con la destra la mise in moto. Quel volto putrefatto tentò di esprimere un sorriso che apparve sul volto come un ghigno. Le cavalle nitrirono mentre la nebbia dissolse la visione.

Beppi stava ancora seduto sul ceppo.

Si alzò lentamente, caricò un po' di legna sul piccolo carretto da bosco e si avviò verso casa.

Marghera, 27 ottobre 2023

 

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