Le biografie dei filosofi che partecipano alla partita di calcio
Scrivere la biografia di chi non è mai esistito. Questa è la vera sfida.
Gesù è un'invenzione. Chi lo ha inventato? Non si sa. Si sa perché è stato inventato e per che cosa doveva servire la sua figura.
Esiste "il contenuto ideologico" che chiamiamo Gesù e che viene definito dall'ideologia espressa dai quattro vangeli che il cristianesimo ha usato per imporre agli uomini la sottomissione a Gesù chiamandola "fede". Esistono altri vangeli e, dopo la scoperta di Nag Hammadi, sappiamo che esistevano altri gruppi di seguaci del "Gesù" che descrivevano in maniera diversa il suo contenuto ideologico. Però, quei gruppi o sono stati annientati o non hanno lasciato il segno nelle trasformazioni sociali.
Questo a noi non ci interessa perché ciò che è stato "estinto" o "nascosto" non ha inciso sul divenuto dell'uomo e delle società che hanno dovuto piegarsi alla violenza ideologica chiamata Gesù.
Diciamo che non sono io che devo dimostrare che Gesù non è mai esistito, ma è chi ne afferma l'esistenza che ha l'obbligo di dimostrazione. Dal momento che il cristianesimo ha proceduto nella storia affermando "O credi in Gesù o ti taglio la testa o ti brucio" oggi come oggi, che il cristianesimo ha perso la libertà religiosa di tagliare le teste o di bruciare le persone, non si trova nella condizioni di poter dimostrare l'assurdo che afferma.
Detto questo, iniziamo col nome "Gesù".
Stando alla propaganda cristiana, quella che si vende alla gente che costituisce il gregge, il nome "Gesù" è proprio di quella "persona". In realtà non è vero.
Il "Gesù" come "salvatore" noi lo incontriamo in due parti della storia ebraica. Uno storico e uno mitico.
Il "Gesù" storico è quello che nella bibbia viene chiamato (per distinguerlo da "Gesù") Giosuè.
Riporto da internet:
Gesù è l'adattamento italiano del nome aramaico Yeshu'a, passato in greco biblico come Iesous e in latino biblico come Iesus; si tratta di una tarda traduzione aramaica del nome ebraico Yehoshu'a, ovvero Giosuè, che ha il significato di "YHWH è salvezza", "YHWH salva".
Ora, questo Gesù assieme a Zerubbabel, guidò il ritorno dei deportati da Babilonia. Questo Gesù non era uno qualunque. Era il sommo sacerdote della "linea sadocita". Gesù che riporta gli ebrei da Babilonia fa da base per un "manifesto propagandistico" in cui si parla di un altro Gesù salvatore, che ha affiancato Mosé nel portare il popolo eletto fuori dall'Egitto.
Abbiamo dunque, due Gesù salvatori, uno storico che come gran sacerdote insieme all'ultimo rampollo della casa di Davide riportano in Palestina una parte dei figli dei deportati a Babilonia e l'altro, manifesto di propaganda "mitica", che rievoca una fantomatica uscita dall'Egitto.
D'altro canto, la scelta del nome Gesù, fu fatta a Babilonia e qual è il suo significato?
Ce lo racconta John Allegro nel suo "Il fungo sacro e la croce":
"L'uso del nome di Gesù (in greco iesus) come invocazione per guarire era abbastanza appropriato. La sua origine ebraica yehoshila Joshua (Giosuè), viene dal sumerico IA-U-ShU-A (ShUSh), «sperma, che salva, ristora, guarisce». Gli ebrei ellenizzati usavano per «Joshua» il nome greco Iasan, Giasone, molto propriamente, poiché iasàn, «guaritore», e il verbo deponente iaomai, «guarire», provengono dalla medesima radice sumerica. Nell'apostrofe sarcastica del Nuovo Testamento: «Medico, cura te stesso» (Luca, 4: 23), abbiamo probabilmente un'allusione diretta a questo significato, come certo l'abbiamo nel titolo di Gesù «Salvatore», in greco sater, il cui primo elemento riflette la stessa parola sumerica ShU, «salvare», e quindi è usato correttamente in greco nel significato di' salvare da una malattia, da un pericolo, da un danno, eccetera, ed è un comune epiteto di Zeus e di re. Il dio della fecondità, Dioniso, in greco Dionusos, il cui emblema cultuale era un fallo eretto, fu anche il dio della guarigione, e il suo nome, se lo si priva delle parti originarie, IA-U-NU-ShUSh, . è quasi identico a quello di Gesù, con la semplice aggiunta di una NU, «seme» «sperma, il seme che salva », e si può paragonare al greco Nosios, «Guaritore», un altro epiteto di Giove."
Tratto da John Allegro, Il fungo sacro e la croce, Editore Ciarpanna, 1980, p. 56 – 57
Il nome Gesù, per quei tempi, è un elemento forte della propaganda giudaica, perché non utilizzarlo per una terza salvezza? Il gran sacerdote Gesù che ritorna, ancora una volta, per salvare il popolo ebraico dall'ellenismo dilagante.
L'operazione Gesù fu forse pensata come un tentativo di rendere "unitaria" una situazione sociale di forte disgregazione.
Com'era la situazione sociale che rendeva necessario inventare un "Gesù" salvatore?
La descrizione della situazione sociale in Palestina a quei tempi, la prendo da Giuseppe Flavio. E' un autore, sotto molti aspetti, poco attendibile in quanto antepone la "certezza della fede" alla descrizione dei fatti che piega in funzione della fede. Però, per quanto inattendibile, è sempre un testimone anche se quel testimone viene a dire "dio ha fatto", "dio ha deciso", e non racconta come fa ad affermare che quel medesimo fatto è prodotto dalla volontà di "Dio".
Scrive Giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche:
V'era Giuda, figlio del capo bandito Ezechia, che era stato uomo di grande potere e fu catturato da Erode solo con molta difficoltà. Questo Giuda, a Seffori, in Galilea, mise insieme un numero di uomini disperati e assalì il palazzo reale, prese tutte le armi che vi erano immagazzinate, armò ognuno dei suoi uomini e se ne andò con tutte le proprietà che poté prendere. Divenuto ormai lo spavento di tutti, depredava quanti incontrava, aspirava a cose sempre più grandi, la sua ambizione erano ormai gli onori reali, premio che egli si aspettava di ottenere non con la pratica della virtù, ma con la prepotenza che usava verso tutti. Vi era anche Simone, uno schiavo del re Erode, uomo di bell' aspetto, di corporatura eminente dal quale si aspettava che facesse progressi. Dall' attuale sconvolgimento di ogni cosa egli prese coraggio e osò porsi in capo il diadema; messa assieme una raccolta di persone farneticanti si fece proclamare re, lusingandosi di essere meritevole al pari di ogni altro; dopo, diede fuoco alla reggia di Gerico, saccheggiando e rubando quanto vi era dentro. Distrusse col fuoco molte altre residenze reali sparse in molte parti del paese dopo avere concesso ai suoi compagni ribelli di prendere tutto quanto era stato lasciato come bottino. IAvrebbe fatto anche qualcosa di peggio se l'attenzione non si fosse presto rivolta contro di lui. Poiché Grato, ufficiale delle truppe reali che era passato ai Romani con le forze che aveva, andò contro Simone; ebbe luogo una battaglia lunga e feroce e gli abitanti della Perea erano disorganizzati e combattendo con più sconsideratezza che conoscenza, furono distrutti. Simone cercò di fuggire per salvarsi tra le vallate, ma Grato lo intercettò e gli tagliò la testa. Anche il palazzo reale di Ammata presso la sponda del Giordano, fu bruciato da alcuni ribelli simili a quelli di Simone. Fu un periodo di follia che si installò nella nazione perché non aveva un vero e proprio re che con la sua autorità vegliasse e tenesse a freno il popolo e perché gli stranieri che vennero da loro per smorzare le ribellioni erano essi stessi una causa di provocazione con la loro arroganza e la loro superiorità. C'era pure un certo Atronge, uomo che non si distingueva né per nobiltà di natali, né per eccellenza di carattere, né per 1'abbondanza di beni, ma era semplicemente un pastore completamente sconosciuto a tutti, sebbene fosse notevole per la sua grande statura e per la forza delle sue braccia. Costui ebbe la temerarietà di aspirare alla regalità, pensando che ottenendola avrebbe avuto la libertà di agire con violenza; e incontrando la morte in tali circostanze non avrebbe dato molta importanza alla perdita della vita. Aveva quattro fratelli, anch'essi erano alti e ben fiduciosi del successo che avrebbero ottenuto per opera della loro agile robustezza corporea, erano prontissimi ad ardue imprese, ed egli pensava fossero un punto valido per la conquista di un regno; (ognuno) di loro comandava una compagnia di soldati, ogni giorno, infatti, si aggregava a essi una turba di gente. I comandanti erano ai suoi ordini sebbene ogni volta che uscivano per compiere scorrerie combattessero per loro e, sebbene lo stesso Atronge cingesse la corona e tenesse consiglio per discutere quanto c'era da fare, ogni cosa dipendeva dalla sua decisione. Quest'uomo tenne il suo potere per lungo tempo, perché aveva il titolo di re e nulla gli impediva di fare ciò che voleva. Egli e i suoi fratelli si diedero, in modo esuberante, a fare strage dei Romani e degli uomini del re, verso entrambi agivano con ugual odio; verso gli ultimi a motivo dell'arroganza che avevano mostrato durante il regno di Erode e verso i Romani per le ingiustizie che tuttora commettevano. Ma con l'andare del tempo divennero sempre più selvatici (verso tutti); e non v'era persona, in qualunque luogo fosse, che potesse scampare: a volte i ribelli uccidevano per avidità di guadagno, e altre volte per l'abitudine che avevano preso di uccidere. Una volta vicino a Emmaus attaccarono persino una compagnia di Romani che portavano viveri e armi al proprio esercito: circondarono il centurione Ario che comandava il distaccamento e quaranta dei suoi fanti migliori, li trucidarono. I restanti atterriti dal destino che era riservato ai loro compagni si misero in salvo sotto la protezione offerta loro da Grato e dalle truppe regie che erano con lui, lasciando dietro i loro morti. Questo tipo di lotta seguitò per lungo tempo, causò ai Romani non pochi fastidi e inflisse molti danni alla loro nazione. I fratelli vennero poi sottomessi: il primo in uno scontro con Grato, l'altro in uno con Tolomeo. E quando Archelao catturò il più vecchio, l'ultimo dei fratelli, rattristato per l'infausto destino degli altri, dopo avere visto che ormai non aveva più via di scampo ed era solo, totalmente sfinito e completamente esausto, si arrese ad Archelao ricevendo una garanzia giurata nella sua fede in Dio che non avrebbe avuto male alcuno. Ma tutto questo avvenne dopo. La Giudea era piena di brigantaggio. Ognuno poteva farsi re, come capo di una banda di ribelli tra i quali capitava e in seguito avrebbe esercitato pressione per distruggere la comunità causando torbidi a un piccolo numero di Romani e, più raramente, ma provocando una grande carneficina al suo popolo.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, vol. 2, Utet, 2006, p. 1090 – 1092
Sempre da Giuseppe Flavio possiamo conoscere, sempre con la dovuta precauzione, come si muovevano i gruppi filosofici e di pensiero religioso in Palestina.
Quando è stata costruita l'operazione che poi ha preso il nome di Gesù, doveva calarsi in un ambiente culturale al quale, l'ideologia che definisce Gesù, doveva adattarsi.
E' importante definire il contesto culturale in cui l'operazione Gesù si adatta, ma dal quale, l'operazione Gesù, prende gli elementi culturali con cui rivestire la qualità della nuova ideologia.
Scrive Giuseppe Flavio in Antichità giudaiche:
Dai tempi più remoti i Giudei hanno tre filosofie che fanno parte delle loro tradizioni; quella degli Esseni, quella dei Sadducei e in terzo luogo quella detta dei Farisei. Certo, di esse ho parlato nel secondo libro della Guerra Giudaica, ciononostante anche qui ne farò una breve menzione. I Farisei rendono semplice il loro modo di vivere non facendo alcuna concessione alla mollezza. Seguono quanto la loro dottrina ha scelto e trasmesso come buono, dando la massima importanza a quegli ordinamenti che considerano adatti e dettati per loro. Hanno rispetto e deferenza per i loro anziani, e non ardiscono contraddire le loro proposte. Ritengono che ogni cosa sia governata dal Destino, ma non vietano alla volontà umana di fare quanto è in suo potere, essendo piaciuto a Dio che si realizzasse una fusione: che il volere dell'uomo, con la sua virtù e il suo vizio, fosse ammesso nella camera di consiglio del Destino. Credono alla immortalità delle anime, e che sotto terra vi siano ricompense e punizioni per coloro che seguirono la virtù o il vizio: eterno castigo è la sorte delle anime cattive, mentre le anime buone ricevono un facile transito a una nuova vita. Per questi (insegnamenti) hanno un reale ed estremamente autorevole influsso presso il popolo; e tutte le preghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti conforme alle loro disposizioni. La pratica dei loro altissimi ideali sia nel modo di vivere sia nei ragionamenti, è l'eminente tributo che gli abitanti delle città pagano all'eccellenza dei Farisei. I Sadducei ritengono che le anime periscano come i corpi. Non hanno alcun'altra osservanza all'infuori delle leggi; giudicano, infatti, un esercizio virtuoso discutere con i maestri sul sentiero dottrinale che essi seguono. Pochi sono gli uomini ai quali è stata fatta conoscere questa dottrina; e tuttavia costoro appartengono alla classe più alta. Essi non compiono praticamente nulla (di loro autorità), poiché allorché assumono un ufficio, involontariamente e per forza, lo sottopongono, loro malgrado, a quanto dicono i Farisei; perché in altra maniera non sarebbero tollerati (dal popolo). La dottrina degli Esseni è di lasciare ogni cosa nelle mani di Dio. Considerano l'anima immortale e credono di dovere lottare soprattutto per avvicinarsi alla giustizia. Mandano l'offerte al tempio, ma compiono i loro sacrifici seguendo un rituale di purificazione diverso. Per questo motivo sono allontanati dai recinti del tempio frequentati da tutto il popolo e compiono i loro sacrifici da soli. Per il resto, sono uomini eccellenti che si dedicano unicamente all' agricoltura. Sono ammirati da tutti per quella loro giustizia che mai fu trovata tra i Greci o tra i Barbari, neppure per breve tempo, mentre per loro è una pratica costante e mai interrotta, avendola adottata da tempi antichi. Perciò mantengono i loro averi in comune sia chi è ricco più degli altri, sia colui che non possiede nulla. Le persone che praticano questo genere di vita sono più di quattromila. Costoro né introducono mogli nella comunità, né tengono schiavi, poiché ritengono che la pratica di quest'ultima abitudine favorisca l'ingiustizia e ritengono che la prima sia fonte di discordia. Essi invece vivono da soli e svolgono scambievolmente i servizi l'uno dell'altro. Alzando le mani eleggono uomini onesti che ricevano le loro rendite e i prodotti della terra, e i sacerdoti per preparare pane e altro cibo. Il loro genere di vita non è diverso da quello dei cosiddetti Cristi tra i Daci, ma chiuso il più possibile. Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia. Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo «padrone». Ma la maggioranza del popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali circostanze, che posso procedere oltre la narrazione. Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi, sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa minimizzare l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene. Questa frenesia iniziò ad affliggere la nazione dopo che il governatore Gessio Floro con le sue smisurate prepotenze e illegalità provocò una disperata ribellione contro, i Romani. Tale è il numero delle scuole filosofiche tra i Giudei.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, vol. 2, Utet, 2006, p. 1106 – 1109
A queste scuole va aggiunta l'ellenica. L'ellenismo imperversava a Gerusalemme, nella Palestina e fra gli ebrei fuori dai confini Palestinesi, da Alessandria a Roma, da Atene a Cirene.
Un esempio è la questione del tempio di Gerusalemme fatto costruire da Erode il Grande.
Scrive Linda Marie Gunther in "Erode il grande":
Quanto alle intenzioni del committente, nei più recenti studi sul Tempio erodiano si è cercato di rispondere con una nuova lettura dell'insieme architettonico, che nel Portico reale scorge il modello della basilica romana.In tale interpretazione un ruolo non indifferente è svolto dall'ipotesi secondo cui il complesso costruito sulla montagna del Tempio sarebbe stato ricalcato sul Cesareo di Alessandria, il maestoso impianto riservato al culto ellenistico-romano del sovrano. Immaginando dei «portici animati da un'intensa vita culturale e religiosa, il cui svolgimento era in parte legato, ovviamente, a ciò che accadeva all'interno del complesso monumentale, cioè nel Tempio», si è arrivati a ipotizzare che il cortile dei gentili svolgesse la funzione di una piazza di mercato, nel senso dell'agorà greco-ellenistica, quindi di un centro cittadino. Il portico reale, in tutto questo, avrebbe occupato una posizione centrale, sul modello della basilica romana, che era parte integrante del Foro romano. Ma il portico reale, collocato a sud-est del cortile dei gentili, era realmente «destinato a finalità comunali e commerciali di ogni tipo». Poiché non appare supportata da elementi archeologici, né da indizi di carattere storico-letterario, l'ipotesi va rigettata, al pari della conclusione che se ne è tratta, secondo cui la costruzione sulla montagna del Tempio di questo complesso architettonico di rappresentanza, ispirato a un modello ellenistico-romano, mirava in ultima istanza a umiliare il popolo giudaico. Non da ultimo, appare problematico il legame tra l'interpretazione sopra delineata, che legge il complesso architettonico come un'imitazione del Cesareo e il portico reale come una sorta basilica, e la netta caratterizzazione del committente secondo l'immagine del sovrano ellenistico, tipica di quei tempi. In tutto ciò, l'intenzione di costruire il più sfarzoso dei templi per glorificare il suo Dio, diviene, al più, uno dei tanti motivi che spinsero il re all'impresa. Casi, Erode non appare quasi più come un Ebreo. Ma quando si arriva a sostenere che il monumentale progetto - il cui fine era senza dubbio anche quello di accrescere la gloria del committente, del suo regno e della città di Gerusalemme - non corrispondeva «alle esigenze e alle possibilità del monoteismo giudaico», ci si ritrova sprovvisti di argomenti. In questo senso, la costruzione del Tempio, e specialmente quella del portico reale, va legata al significato di Gerusalemme in quanto luogo di pellegrinaggio, e a quello del santuario in quanto "centro del traffico religioso". Anche per A. Schalit l'edificio del Tempio era una sorta di «argine di protezione [ ... ], una barriera che difendeva il re dalle maledizioni che il fanatismo giudaico gli lanciavano contro, e al tempo stesso una sorta di garanzia per la durata' del suo regno: con questa opera pia di dimensioni colossali Erode sperava di placare la divinità e assi- curarsene il favore, in eterno, per lui e la sua famiglia».
Tratto da: Linda Marie Gunther, Erode il Grande, Salerno editrice, 2007, p. 253 – 254
Odiato dai fondamentalisti ebrei, Erode viene diffamato dagli ideologi di Gesù quale autore della "strage degli innocenti" che, come racconta Giuseppe Flavio, ripreso dalla Gunther, altro non era che repressione di colpi di Stato orchestrati nel palazzo di Erode, spesso dagli stessi familiari, per defenestrarlo.
Scrive Linda Marie Gunther:
Nel racconto di Giuseppe Flavio i disordini della famiglia asmonea sono trattati come un unico blocco narrativo, che inizia con il ritorno di Erode, riconfermato re da Ottaviano, e finisce con la morte dei "figli di Baba": «sicché della famiglia di Ircano non rimase vivo nessuno e il regno passò completamente in mano a Erode, non essendovi alcuno di alto grado che osasse sbarrare la strada alle sue azioni illegali» (ivi,266). Nella primavera del 30 Erode si era visto riconsegnare dal nuovo dominatore di Roma, e quindi anche dell'Oriente ellenistico, il diadema che simboleggiava la regalità. E aveva apertamente reclamizzato quell'atto di legittimazione in una serie di monete di bronzo. Ma per circa tre anni dovette difendere il potere dai nemici interni, lottando con gli Asmonei e con avversari anche più pericolosi. La minaccia maggiore venne dagli elementi della nuova classe dirigente giudaico-idumea che si erano imparentati con la famiglia reale. Grazie all'aiuto di sua sorella Salome, egli riuscì comunque a sventare la pericolosa saldatura tra questi rivali e gli ultimi esponenti della famiglia asmonea, a scoprire per tempo i loro complotti.
Tratto da: Linda Marie Gunther, Erode il Grande, Salerno editrice, 2007, p. 142
L'odio ebraico per l'ellenismo era feroce. Condannare Erode, diffamandolo, era la vendetta degli integralisti ebrei. Una vendetta che nella descrizione dell'ideologia di Gesù la vedremo esternare anche con l'episodio dei vangeli in relazione alla "Cacciata dei mercanti dal tempio" quando il tempio aveva i cortili dedicati sia al commercio, alle relazioni sociali, alla discussione e alla cultura.
Per gli ebrei integralisti, cacciare i mercanti dal tempio di Erode, era cacciare gli ellenisti dalla Palestina. Non a caso la frusta che Gesù usa nel vangelo di Giovanni diventa la frusta con cui Hitler legittima il genocidio ebraico. E' Hitler che scaccia gli ebrei dal tempio tedesco mettendoli nei forni crematori.
L'ideologia della legittimazione del genocidio come metodo è un modello che serviva agli ebri integralisti e che, nella costruzione della nuova ideologia chiamata Gesù, non poteva mancare. E' Gesù il superuomo che scaccia i mercanti dal tempio.
A Gesù viene inserito nel modello di uomo che nasce da una donna messa incinta da "un dio". Questo modello era un modello proprio del Mito e viene usato per legittimare il diritto a sottomettere gli uomini. Un grande numero di semidei nascono da una donna e un dio o da un uomo e una dea. Queste nascite avevano lo scopo di manifestare un potere che fosse utile alla comunità. Con Gesù che nasce da Maria, non solo Maria legittima la violenza subita esaltando il suo ruolo di schiava di Dio, ma chi nasce come figlio di Dio pretende di essere il padrone degli uomini in quanto figlio del dio padrone suo padre. Essere figlio del Dio, noi lo troviamo in tre modelli molto particolari che, a mio avviso, hanno influito in maniera importante nella costruzione dell'ideologia che chiamiamo Gesù.
L'ellenizzazione di Gerusalemme è avvenuta dopo il 330 a. c. con l'arrivo di Alessandro Magno che affermava che sua madre era stata messa incinta dal Dio Ammon. Il secondo episodio riguarda Scipione l'Africano che affermava che sua madre era stata messa incinta da una grande luce. Infine, il terzo episodio riguarda Platone come operazione fatta dall'Accademia di Atene per divinizzare Platone. Secondo il successore di Platone all'Accademia di Atene, la madre di Platone fu messa incinta da Apollo e Platone era considerato capace di fare i miracoli in quanto fratello di Esculapio.
In sostanza, i modelli ideologici sono già su piazza, si tratta di selezionarli e renderli funzionali ai progetti di chi elabora l'idea di Gesù per i propri fini ideologici.
Scrive Deschner:
Le nascite da vergini furono talmente familiari e diffuse nel mondo antico, che i maggiori Padri della chiesa giunsero a propagandare la nascita immacolata di Gesù per mezzo di miti consimili. Nel nostro tempo, dice il teologo Bossuet, ciò è «così chiaro, che non ha più alcun senso ammassare ancora dei paralleli, collezionando tutte le leggende sui figli di dio venuti alla luce miracolosamente». Assai prima che la Chiesa (ma solo nel 353) fissasse al 25 dicembre la data della nascita di Cristo, si festeggiava nel medesimo giorno il genetliaco di Mitra, l'invitto dio del sole. Anche le formule liturgiche dei credenti pagani durante la festa del solstizio, ossia nella notte dal 24 al 25 dicembre, recitavano già: «La vergine ha partorito, la luce crescerà», oppure «E' nato il grande re, Osiride il benefattore». E dalle festività misteriche scaturisce inoltre il proclama «Per voi è nato oggi il salvatore». In Luca, l'angelo dice «oggi vi è nato un salvatore»
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 31
Quando poi si parla della nascita di Gesù, il modello era già presente nella cultura.
Scrive Deschner:
Molto tempo prima di Gesù si erano descritte e rappresentate altre divinità (Zeus, Ermete, Dioniso) giacenti in fasce in un sacro canestro, oppure in una greppia. Alla sua nascita, già Mitra era adorato da pastori recanti frutti e primizie dei loro greggi. Come Maria partorì il bambino Gesù durante il viaggio, anche altri figli di vergini vennero spesso al mondo durante un viaggio o una fuga. Così il divino bambino della dea Iside; ma anch'essa (sia detto per inciso) fu venerata molto prima di Maria quale «regina celeste» e «madre amorosa», nonché «regina del mare», «donatrice di grazia», «salvatrice», «immacolata», «sancta regina» e «mater dolorosa»; anche lei fu rappresentata con azzurro mantello trapunto di stelle, col divino bimbo sul braccio o al seno.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 31
A proposito dell'inizio della "predicazione di Gesù", Deschner ci racconta come il modello era già presente nella cultura del tempo:
Prima di iniziare il suo insegnamento, Gesù si ritira in solitudine; qui cade in tentazione, viene condotto su un alto monte, gli si additano tutti i regni del mondo ... non diversamente da come Eracle, prima di intraprendere la sua attività pubblica, cerca la solitudine, cade in tentazione, viene portato su una vetta da dove gli vengono mostrati i domini del re e del tiranno. Ma anche su Zarathustra esiste un'analoga storia di seduzione.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 32
Anche lo spacciarsi per "salvatore del mondo" è un modello già visto.
Scrive Deschner:
Ma anche gli altri salvatori del paganesimo sono - assai prima di Gesù intercessori, rivelatori, redentori. I quali già hanno annunciato: «lo sono una luce per l'umanità», «chi crede sarà salvato, chi non crede sarà giudicato», e via sentenziando. Costoro operano già per amore verso gli uomini, legittimando se stessi mediante profezie e miracoli. Vaticini e divinazioni ci sono tramandati da Buddha, da Pitagora, da Socrate e da molti altri; e, al pari dei cristiani, già i pagani discutevano se una profezia traesse origine dalla divinità per il suo esatto tenore oppure soltanto per il suo contenuto.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 32
Per non parlare dei miracoli operati a Gesù.
Ci racconta Deschner:
… già Pitagora ha cominciato il suo insegnamento e i suoi prodigi con un miracolo dei pesci, in cui egli invero - elevandosi molto al disopra di Gesù - comanda di rimettere in libertà i pesci, di cui risarcisce il valore. Oltre a ciò, Pitagora guarì infermi nel corpo e nell'anima, e placò inoltre la tempesta sul mare, un'impresa che Empedocle - uno dei suoi forse occasionali uditori - compì poi così spesso da meritarsi addirittura l'epiteto di «domatore del vento». E non solo; Empedocle, infatti, già curava gli appestati e risuscitava i morti.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 32 – 33
E ancora sulle "nozze di Cana", ci racconta Deschner:
Il miracolo alle nozze di Cana (dove il Cristo giovanneo trasforma da 600 a 700 litri di acqua in vino, come risulta chiaramente dal testo di Giovanni, 2,6, anche se devoti esegeti vogliono talvolta ridurre l'ingente quantità, minimizzando inutilmente il prodigio), era stato già compiuto da Dioniso, come ci testimonia Euripide. Dioniso, il dio più amato dal mondo antico - che lo venerava dall' Asia alla Spagna con sontuose processioni - deve cedere a Cristo, nel Vangelo di Giovanni, uno dei suoi titoli più ambiti, quello di «vite», che nel Vangelo si trasforma in «la vera vite». (Senonché, tutto ciò che prima era falso, nel Cristianesimo sembra diventare vero.) Vero è che Dioniso ha operato molti miracoli del vino: e i suoi sacerdoti, in seguito, ripeteranno nelle feste dionisiache con consapevole raggiro esattamente gli stessi prodigi, come più tardi i sacerdoti cristiani nella ricorrenza delle nozze di Cana (il 6 gennaio, cioè lo stesso giorno in cui si celebrava una popolarissima dionisiaca!) replicavano fraudolentemente la trasformazione dell'acqua in vino.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 33
E per quanto riguarda le guarigioni miracolose attribuite a Gesù, ci racconta Deschner:
Fama di grande taumaturgo ebbe nell'antichità il medico e dio guaritore Asclepio, sopra i cui altari campeggiava in lettere giganti la parola soter (salvatore), e di cui tutto il mondo conosceva le portento se guarigioni in Epidauro, città che cominciò appunto a prosperare nel V secolo prima di Cristo, come Lourdes ai nostri giorni. Ebbene, quante gesta di Gesù risalgano ad Asclepio, quanto strettamente imparentate siano le attività taumaturgiche di entrambi, l'ha evidenziato, in sintesi pregnante dei risultati della ricerca, il teologo Carl Schneider: «Al pari di Asclepio, Gesù guarisce con la mano protesa o imposta, oppure con un dito, che egli infila nella parte malata del corpo, o anche mediante altri contatti con l'infermo. Come in Asclepio, fede e guarigione interagiscono l'una con l'altra, ma non sempre: in qualche occasione viene guarito anche un miscredente. In entrambi i casi, si pretende tuttavia un ringraziamento dai risanati. Un cieco guarito da Asclepio vede, per prima cosa, solo degli alberi, come uno guarito da Gesù. Da Asclepio e da Gesù ricevono la guarigione: paralitici, muti, sciancati, persone ammalatesi in lontananza. Dopo la guarigione, i miracolati portano via la loro barella da soli. Questi guaritori non fanno differenze di classe sociale, guarendo ugualmente giovani e vecchi, poveri e ricchi, uomini e donne, schiavi e liberi, amici e nemici. Alle guarigioni fanno seguito prodigi naturali. Asclepio ha richiamato in vita sei morti; e i particolari dell'impresa sono identici a quelli dei due morti risvegliati da Gesù: sono presenti molti testimoni, gli increduli sospettano trattarsi di morte apparente, si dà da mangiare ai redivivi. Perciò Gesù assume anche gli epiteti peculiari di Asclepio: è semplicemente "medico", ma anche "signore sulle forze del morbo" e "salvatore"».
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 33
Dei modelli miracolistici, afferma Deschner:
Osserva il teologo Bossuet: «Si trasferirono su Gesù storie di ogni genere, ancora vive nella tradizione popolare, attribuite in precedenza a questo o a quell' operatore di miracoli, corredando le narrazioni evangeliche già note di spunti e motivi fantastici in circolazione». E il teologo Martin Dibelius: « ... i narratori giudaico-cristiani fecero di Gesù l'eroe di ben note leggende di profeti e di rabbini, mentre i novellieri rimaneggiavano storie di Dèi, di salvatori e taumaturghi, ricalcandole sul salvatore cristiano». In tal modo i miracoli tipizzati - specie quelli di molte «religioni superiori» - fanno ritorno nel Nuovo Testamento. Diverse azioni inesplicabili (in particolare esorcismi di demoni, camminate sull'acqua, placamento di tempeste, moltiplicazione portentosa di pane e cibi) erano fenomeni ben familiari al mondo antico, e vanno quindi annoverati tra le meraviglie ricorrenti e tipiche di quei tempi. Ma persino risvegliare il morto non costituiva un fatto straordinario, essendoci addirittura formule speciali a tal fine. A Babilonia, dove l'idea di far risuscitare i morti era assai diffusa, molti Dèi si chiamavano senz'altro «rianimatori di morti».
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 34
E per quanto riguarda la crocifissione, rileva Deschner:
Altri Dèi morti sulla croce sono Prometeo, Licurgo, Marsia, Dioniso. Le comunità dionisiache, come è ormai assodato, hanno venerato il loro Dio già prima dell'èra cristiana sopra un desco d'altare con botti da vino in croce. Secondo il teologo Hermann Raschke, la crocifissione di Gesù altro non è che una forma evolutiva della crocifissione di Dioniso. Comunque, per quanto anche altre tradizioni possano avervi esercitato certe suggestioni, possiamo ben riassumere con Raschke: «Dioniso che cavalca sull'asino (e qui io rammento che l'asino è per Dioniso, come poi sarà per Gesù, l'animale della pace) Dioniso sulla nave come signore del mare, Dioniso e i fichi secchi, Dioniso e la vite, Dioniso la cui carne viene mangiata e il sangue bevuto, e perfino il bacchico Orfeo sulla croce: bastino solo questi fuggevoli cenni per riconoscere che il patrimonio dei miti evangelici è tutto costellato di motivi dionisiaci». Nei più minuti particolari si ripete in parte - nella morte di Gesù - quanto già era accaduto nella morte delle divinità pagane. Così, Bel Marduk, la più celebrata divinità di Babilonia, conosciuto come creatore del mondo, dio della saggezza, dell'arte medica e della magia, ma altresì come redentore inviato dal padre, risuscitatore di morti, signore di tutti i signori e buon pastore - ebbene, Marduk fu fatto prigioniero, sottoposto a interrogatorio, condannato a morte, frustato e infine giustiziato insieme con un delinquente, mentre un altro malfattore veniva liberato. "...e una donna asciugò il sangue del dio, scaturito dalla ferita inferta da una lancia". Alla morte di Cesare, il popolo ateniese lo esaltò come salvatore, mentre quello romano credette universalmente che fosse salito al cielo per diventare un dio: e il sole si oscurò, calarono le tenebre, la terra si squarciò e i defunti risalirono sulla superficie della terra. Eracle, già nel 500 prima di Cristo venerato come figlio di Dio e intercessore dell'umanità, ma al tempo di Gesù anche quale salvatore del mondo, alla fine viene assunto in virtù delle sue opere dal padre divino, al quale nel commiato raccomanda il suo spirito: «Raccogli il mio spirito, ti supplico, su tra le stelle ... ecco, il padre mio mi chiama e apre il cielo - eccomi, o padre, io sono qui». Più tardi - nel Vangelo di Luca - si dirà: «E Gesù, gridando con gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio!». Ancora più considerevoli sono le concordanze tra la religione di Eracle e il Vangelo di Giovanni. Mentre nei primi tre Vangeli il discepolo prediletto non si trova sotto la croce (e vi manca pure la madre di Gesù, perché qui le donne stanno a guardare «di lontano»: a questo punto Luca scrive persino «ma tutti i suoi conoscenti e le donne stavano a guardare da lontano»), nel Vangelo di Giovanni, in contrasto con quelli, la madre e il discepolo prediletto stanno presso la croce. Similmente, nella morte di Eracle, furono presenti sua madre e l'allievo prediletto. Come Eracle, assunto in cielo, invoca «non piangere, o madre ... tra poco entrerò in cielo», così il risorto Cristo giovanneo dirà: «Donna, perché piangi? ... Io salgo al padre mio». Come Eracle muore esclamando «E' compiuto!», altrettanto dirà il Cristo giovanneo. Inoltre, ad Eracle toccò pure l'appellativo di Logos, prima che fosse applicato a Cristo, secondo Giovanni. E se nella religione di Eracle si affermava che «non è per danneggiare o per punire, bensì per salvare, che il Logos è qui presente», nel Vangelo di Giovanni si dice «Perché Dio non ha mandato suo figlio al mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato da lui». Da ultimo, come il colpevole della morte di Eracle si impicca per il pentimento e l'angoscia, così finisce per impiccarsi Giuda, anche se i più antichi scritti cristiani lo fanno morire ben tre volte, in modo tale che ogni variante esclude l'altra.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 35
Della resurrezione di Gesù, così ci racconta Deschner:
Anche la celebre storia biblica del sepolcro vuoto («Aperta è la tomba - scrive Goethe beffandosene - Che gran meraviglia! il Signore è risorto! Chi lo crede? Burloni ... voi via ve'l portaste), ebbene, anche quella s'era potuta leggere già prima nel notissimo romanzo greco Le avventure di Cherea e Calliroe di Caritone. Nel terzo libro di quell'opera, Cherea corre sul far del giorno alla tomba di Calliroe: è in preda alla disperazione, quand'ecco ... la pietra è scoperchiata, l'accesso liberato. Per lo spavento, Cherea non osa metter piede nel sepolcro. Sparsasi la notizia, altri accorrono, anch'essi pieni di spavento, quando finalmente qualcuno entra e grida al miracolo: la defunta non c'è più, la tomba è vuota. A questo punto, anche Cherea entra e vede confermato l'incredibile. Parte integrante della leggenda dell'inviato da Dio, tipica dell'antichità, era, però, che l'immortale, dopo la sua dipartita, tornasse a manifestarsi entro un certo tempo. Perché si esigevano delle prove. E infatti il risorto Apollonio di Tiana - un contemporaneo di Gesù e degli apostoli - comparve a due dei suoi discepoli, esortandoli perfino a stringergli la mano, per convincerli del fatto che era tornato in vita. E poiché - secondo un'antica opinione giudaica, già espressa nel quinto libro di Mosè e ricorrente spesso nel Nuovo Testamento - la presenza di due o più testimoni acquistava già forza probatoria, anche Cristo dovette apparire dinanzi a parecchie persone affinché risultasse «veracemente» risorto.
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 35 – 36
E che dire della discesa agli inferi di Gesù?
Così ci racconta Deschner:
Ma le discese delle divinità agli inferi costituivano un tema troppo popolare, perché nel Cristianesimo vi si potesse rinunciare. Di fatto, nelle antiche credenze nell' immortalità, esse avevano assunto un'importanza decisiva, tanto che le incontriamo diffusamente nei miti egizi, babilonesi, ellenistici. Nell'antico Egitto, Re e Osiride lottavano contro le potenze del mondo infernale. A Babilonia, già nel III millennio, si conosceva una discesa agli inferi della dea Ishtar. Nel XIV secolo anteriore all'era cristiana è testimoniata anche quella del dio Nergal, il quale espugna il mondo sotterraneo sbaragliando le sue schiere: il che provoca un terremoto, come nella discesa agli inferi di Cristo. Nella discesa del babilonese Marduk, creatore del mondo e buon pastore, la cui storia presenta sconcertanti paralleli con quella dell'oggetto di culto cristiano, viene testimoniato anche il motivo della violenta apertura del carcere e dei prigionieri che contemplano lietamente il liberatore. Ma anche il viaggio agli inferi di Eracle, il cui destino - come tramandano sia l'immagine filosofica sia la religione di Eracle - mostra indubbiamente le più numerose analogie con quello dell'eroe cristiano, mira già a trionfare sulle forze dell'oltre mondo sotterraneo, spezzando la legge demoniaca. Non diversamente da Cristo, Eracle volle già portare la luce ai defunti languenti, affrancandoli dalla prigionia. «La morte spaventosa è sconfitta, tu hai vinto il regno della morte». E anche il Pitagora storico - evento documentato nel III secolo precristiano - compì il suo viaggio agli inferi. Seguendo modelli siffatti, in un'epistola falsificata sotto il nome di Pietro, che rappresenta il principale supporto biblico del dogma, si fece scendere anche Gesù all'inferno e liberare per giunta i prigionieri. E siccome molte ascensioni in cielo di personaggi viventi non erano note soltanto ai pagani (presso i quali erano spariti quasi per incanto Cibele, Eracle, Attis, Mitra, condottieri come Cesare, poeti come Omero), ma erano note altresì agli Ebrei (con gli esempi di Henoch, Mosè, Elia), non era possibile che Gesù fosse da meno di costoro. Ma quante incongruenze ancora una volta! Il Vangelo di Matteo non solo non conosce alcuna ascensione in cielo, ma addirittura la esclude, secondo alcuni studiosi. Quella del Vangelo di Marco si legge in una prolissa conclusione, rifiutata come spuria persino da esegeti cattolici, ma respinta totalmente dalla teologia critica. Secondo il Vangelo di Luca, l'ascensione di Cristo avvenne il giorno medesimo della risurrezione, la sera della domenica di Pasqua; secondo gli Atti degli Apostoli, invece, 40 giorni più tardi. Stando al Vangelo di Luca, poi, la cosa avvenne presso Betania; stando agli Atti, invece, partendo dal Monte degli Ulivi .
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 36 – 37
Parlare della vita di Gesù descritta nei vangeli fa saltare subito all'occhio come la vita e il comportamento di Gesù sia simile a quello di Socrate descritto nell'Apologia.
L'impianto è lo stesso. Sullo schema della vita di Socrate si innestano gli elementi ideologici che interessano ai vari personaggi che scrivono di Gesù per gestire il gruppo di cui hanno il controllo.
Conclude il capitolo su "Il dogma della divinità di Cristo" Deschner:
Ma ipotizziamo pure, per una volta con la teologia storico-critica, la storicità di un uomo chiamato Gesù. Supponiamo pertanto ch'egli sia battezzato, che abbia predicato, guarito, proclamato l'approssimarsi del Regno, promuovendo l'amore per Dio, per il prossimo, per i nemici, combattendo contro il culto e la devozione ipocrita, contro l'oppressione dei deboli e lo sfruttamento dei poveri, subendo alla fine - da radicale conseguente - un'iniqua condanna a morte ... Ebbene, più di tanto, la teologia critica non potrà rivendicargli; semmai, qualcosa di meno. Eppure essa chiede: in che modo un uomo simile è diventato il creatore dell'universo?
Tratto da: Karlheinz Deschner, La chiesa che mente, Massari editore, 1991, p. 37
Lo schema della vita di Socrate nell'Apologia è lo schema generale che regge il racconto della vita di Gesù. Uno schema sul quale si innesta la miracolistica. Come il Dio Apollo afferma che "Socrate è l'uomo più saggio del mondo", così il dio cristiano dice a Battista che quello è suo figlio e, pertanto, il padrone del mondo.
E' talmente pesante l'influsso del Platonismo nell'ideologia espressa dai vangeli dei cristiani che spesso risulta difficile distinguere le idee di Platone da quelle di Gesù. Più facile è individuare nei vangeli cristiani gli elementi dogmatici ed etici propri delle antiche religioni misteriche precristiane che vengono violentati per costruire l'ideologia ella sottomissione.
Lo stesso atteggiamento tenuto da Gesù al processo, come descritto nei vangeli, è lo stesso atteggiamento arrogante tenuto da Socrate al processo. E quell'atteggiamento arrogante di disprezzo per le persone conclude entrambi i processi allo stesso modo, con la morte del reo. Con questo stile propagandistico lo "spettatore-tifoso" può indignarsi contro i giudici e identificare tutte le ingiustizie subite nella sua esistenza nella presunta ingiustizia che il reo sta subendo nel processo.
E' un modello propagandistico ben oliato ed usato anche ai giorni nostri.
La costruzione dell'immagine di Gesù non è avvenuta nemmeno su un "modello umano" del suo tempo. Il modello è costruito in funzione di un progetto politico-sociale elaborato in chiave filosofica. Questo progetto ideologico, per funzionare, non doveva essere identificabile con nessuna persona storica.
Chi ha progettato questo modello?
Si possono fare ipotesi, ma tutte hanno dei limiti perché non si comprende da dove sia partita "l'idea chiave" che ha messo in moto il meccanismo di rielaborazione continua che ha forgiato un Gesù sempre modificato a seconda degli interessi di ogni estensore.
Nessuna elaborazione è avvenuta prima di Filone d'Alessandria. Nessuna elaborazione è conosciuta prima della distruzione del tempio di Gerusalemme.
L' "idea chiave" che costruisce la biografia di Gesù è nata fra il 40 e l'80 d.c., comunque non vide la luce che attorno al 100 d. c. Nell' "idea chiave" probabilmente non c'è il nome "Gesù", ma sicuramente un insieme di strategie socio-religiose da tradurre in termini militari contro i non-credenti. Queste idee militari diventano il sostrato ideologico sul quale costruire la figura di Gesù.
Fra i testi considerati comunemente fra i più antichi del cristianesimo è annoverato il vangelo di Marco. Ma quale valore ha il vangelo di Marco quando ci viene riferito da Bart D. Ehrman che tutta l'ultima parte del vangelo è un'aggiunta molto tarda e che non ha nulla a che vedere con il resto del vangelo? Il resto del Vangelo che cosa ha a che vedere con un uomo chiamato Gesù? Nulla perché se dobbiamo identificare un Gesù lo dobbiamo identificare non in una persona, ma in un'ideologia spacciata per una persona.
Tutti i vangeli sono delle bufale. Bufale antiche che vengono integrate da bufale più recenti per renderli attuali.
Scrive Bart D. Ehrman in "Gesù non l'ha mai detto":
Secondo il racconto di Marco, Gesù viene crocifisso e poi sepolto da Giuseppe d'Arimatea la vigilia del sabato (15,42-47). Il giorno dopo il sabato, Maria di Magdala e altre due donne tornano alla tomba per imbalsamare il corpo come si conviene (16,1-2). Al loro arrivo, scoprono che la pietra è stata ribaltata. Entrando nel sepolcro, vedono un giovane vestito di bianco che dice loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. è risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto». Poi ordina alle donne di informare i discepoli che Gesù li precede in Galilea e che lo vedranno là, «come vi ha detto». Ma le donne fuggono dal sepolcro e non dicono niente a nessuno, «perché erano piene di timore e di spavento» (16,4-8). A questo punto in molte moderne traduzioni vengono gli ultimi dodici versetti di Marco, una continuazione della storia. Si dice che lo stesso Gesù appare prima a Maria di Magdala, che va ad annunziarlo ai discepoli, senza però essere creduta (vv. 9-11), poi ad altri due (vv. 12-14) e, infine, agli undici discepoli (i dodici meno Giuda Iscariota) riuniti insieme a tavola. Gesù li rimprovera per non avere creduto e quindi li incarica di andare e predicare il suo vangelo «a ogni creatura». Chi crederà e sarà battezzato «sarà salvo», ma chi non crederà «sarà condannato». Seguono due dei più interessanti versetti del brano: E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno (vv. 17-18). Gesù viene poi assunto in cielo e siede alla destra di Dio. I discepoli vanno a predicare il vangelo nel mondo e le loro parole sono confermate dai miracoli che le accompagnano (vv. 19-20). è un brano formidabile, misterioso, commovente e potente. è uno dei passi usati dai cristiani pentecostali per dimostrare che i seguaci di Gesù saranno in grado di parlare in «lingue sconosciute», come accade nelle loro funzioni, ed è il passo principale cui si richiamano gruppi di «maneggiatori di serpenti degli Appalachi», che ancor oggi prendono in mano serpenti velenosi per dimostrare la loro fede nelle parole di Gesù, stando alle quali, così facendo, non si faranno alcun male. Ma c'è un problema. Il passo in origine non era nel Vangelo di Marco. Fu aggiunto in seguito da uno scriba. Questo problema testuale è per certi versi più controverso di quello del passo sull'adultera, perché, senza questi ultimi versetti, il finale di Marco è ben diverso e difficile da comprendere. Ciò non significa che gli studiosi siano propensi ad accettare i versetti, come vedremo fra poco: i motivi per considerarli un'aggiunta sono validi, quasi indiscutibili. Tuttavia, gli esperti dibattono su quale fosse la vera conclusione di Marco, considerato che questa, presente in molte traduzioni (anche se di solito segnalata come non autentica) e in tardi manoscritti greci, non è l'originale. Le prove che questi versetti non sono originali di Marco sono di natura analoga a quelle per il passo sull'adultera e ancora una volta non è necessario trattarle in dettaglio in questa sede. Questi versetti non figurano nei nostri due più antichi e migliori manoscritti del Vangelo di Marco e in altre importanti testimonianze; lo stile di scrittura varia rispetto a quello che troviamo altrove in Marco; la transi- zione fra questo passo e il precedente è di difficile comprensione (per esempio, nonostante sia citata nei versetti precedenti, Maria di Magdala viene presentata nel versetto 9 come se non fosse stata già menzionata; inoltre, un altro problema legato al greco rende questo passaggio ancor più maldestro) e nel brano compaiono una quantità di parole ed espressioni altrimenti assenti in Marco.
Tratto da: Bart D. Ehrman, Gesù non l'ha mai detto, Mondadori, 2007, pag. 76 – 78
La quantità e la qualità di modifiche certificano come quella di Gesù sia solo un'invenzione ideologica.
Non solo Gesù non è mai esistito, ma non è mai esistito un uomo che possa aver compiuto una qualche azione che sia stata attribuita a Gesù.
Davvero qualcuno pensa che esista un dio padrone che ha creato l'universo? Davvero qualcuno legittima il genocidio per la gloria del dio padrone che avrebbe creato l'universo?
Purtroppo molte persone hanno interesse a costruire sottomissione, miseria sociale, legittimare lo stupro dei bambini, legittimare l'emarginazione sociale, indurre i miserabili ad identificarsi nella bontà del padrone anziché cambiare la propria condizione di miserabili.
Troppe persone hanno questi interessi e alimentano l'immaginario di una fake new quale è Gesù, una bufala il cui fine è quello di rubare l'esistenza e la vita degli uomini.
Non si può fare una biografia di Gesù perché Gesù non è mai esistito. Possiamo fare una biografia della sua non esistenza e sfidare chi ne ha affermato l'esistenza a provare le sue affermazioni o ad essere condannato per complicità in tutti i delitti che, in nome di questa figura immaginaria, sono stati commessi.
Marghera, 19 ottobre 2018
Pagina tradotta in lingua Portoghese
Tradução para o português: Capítulo 106 A biografia de Jesus dito filho de Yahweh - vigésima terceira biografia
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Claudio Simeoni
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