Chirone e i filosofi esistenzialisti contro rinascimentali
fase n. 8, azione 40

La partita di calcio mondiale fra i filosofi

Capitolo 41
Gli Dèi riflettono sui filosofi

di Claudio Simeoni

Continua dal precedente...

Sei capace di giocare a calcio?

Dopo la partenza di Aurora gli Arbitri, seduti attorno al fuoco, sembravano aver perso molti dei loro interessi. Su di loro sembrava calato uno stato d'animo quasi d'indifferenza come se la Partita Mondiale di Calcio a cui avevano assistito si stesse per allontanare dai loro stessi interessi.

"Ma a noi che cosa ci interessa se questi filosofi mortali si scannano per un frammento di gloria che declamano davanti ad altri uomini che li stanno ad ascoltare pendendo dalle loro labbra?" disse Allahu Akbar.

"Incolpano noi delle loro azioni come se loro non fossero i nostri costruttori. Noi siamo generati da una legge che uomini pensarono quando dovettero dare regole ad altri uomini anziché a loro stessi. Quella legge prese sostanza, spessore, venne rivestita di sacralità e da quella sacralità nacqui io, Yahweh. Io non ho corpo senza quella legge. Non ho progetti né intenti e per la legge, che è sostanza del mio corpo, io non ho futuro perché quegli uomini mi definirono come verità immutabile in un tempo infinito. Io domino gli uomini perché sono il prodotto di uomini che intendevano dominare altri uomini. Il desiderio di dominio fatto Yahweh diventa Yahweh che domina, comanda e ordina." Disse Yahweh

"Tutto germina. Quando le idee diventano sostanza, guidano le azioni degli uomini. Le idee cessano di essere un puro strumento dell'immaginazione per diventare oggetti reali pieni dell'energia di quegli uomini che mettono quelle idee a fondamento e guida delle loro azioni. L'idea diventa oggetto, sostanza, materia che realizza sé stessa e in quel momento l'idea acquista coscienza e con la coscienza manifesta la necessità di espandersi, di vivere. L'idea cessa di essere una pura astrazione. In questo modo gli uomini sono costruttori di Dèi. Però, affinché un'idea concentri una quantità sufficiente di energia e diventi un corpo è necessario che quell'idea sia origine e partecipe alle azioni degli uomini. Azioni continue e sistematiche fino ad entrare nella struttura emotiva degli uomini che a quell'idea danno corpo e sostanza. Quell'idea cessa di essere un prodotto della loro immaginazione. Quell'idea si nutre delle loro emozioni e le loro emozioni vengono veicolate nelle loro azioni e, attraverso le azioni, quelle emozioni entrano nella forgia della vita dove le azioni dell'uomo, come un martello, le plasmano, le fondono, e le riassemblano dando nuova sostanza e coscienza a ciò che prima non aveva coscienza e sostanza. E' in questo modo che molti Dèi sono nati ed è in questo modo che molti Dèi sono stati dimenticati anche quando abitano la struttura psico-emotiva degli uomini emergendo, di tanto in tanto, alla loro coscienza." Così intervenne Fanes.

"Dunque," proseguì Yahweh "Io sono ciò che alcuni uomini hanno voluto che io sia e gli uomini, non opponendosi a quegli uomini che mi hanno generato come idea in risposta alle loro necessità, hanno accettato quanto quelli uomini hanno voluto che io sia. Io non nasco dagli uomini che mi hanno generato come idea, io nasco dagli uomini che hanno messo quest'idea a fondamento delle loro azioni. Nasco dall'accettazione di quell'idea e io ho alimentato l'accettazione di quell'idea perché le azioni degli uomini erano il profumo dell'olocausto che nutriva la mia possibilità di vita. Furono coloro che accettarono di sottomettersi che mi costruirono per quello che sono."

"E' vero" continuò Fanes "Gli uomini fecero nascere la tua necessità d'esistenza. Forgiarono la tua coscienza che, una volta forgiata, manipolò gli uomini affinché gli uomini continuassero a nutrire la tua realtà d'esistenza. Alcuni uomini ti idearono, altri uomini ti alimentarono mettendoti a fondamento delle loro azioni, ma tu, una volta che hai sviluppato la tua coscienza e manifestato la tua volontà d'esistenza, hai alimentato negli uomini quei comportamenti e quel modo di essere che potevano alimentare la tua esistenza, il tuo potere, la tua espansione nella realtà oggettiva in cui sei nato. Per te la realtà oggettiva è la vita degli uomini dei cui comportamenti, sottomessi e deferenti, ti nutri."

"In altre parole," intervenne Beppi di (o da) Lusiana "Gli Dèi manipolano il loro ambiente per farlo funzionare per loro stessi e l'ambiente degli Dèi è la vita degli uomini o di una parte di essi." Poi continuò "Che gli Dèi nascano è nelle cose; che gli Dèi danneggiano la vita degli uomini per garantire la loro stessa vita, questo mi spaventa un po'."

"Tutti coloro che vivono danneggiano l'ambiente!" intervenne Fanes "Vivere significa saccheggiare l'ambiente perché la vita, qualunque vita, non solo adatta sé stessa al mondo ma con le sue azioni modifica il mondo. Modificare il mondo significa danneggiare un presente che se porta vantaggi ad alcuni, porta danni ad altri. La domanda che devi farti è: quali vantaggi ti porta la modificazione dell'ambiente? Quando modifichi l'ambiente sai distinguere i vantaggi immediati dai vantaggi a lungo termine? Quando Yahweh manipolò gli uomini per assicurarsi nutrimento perpetuo dalla loro sottomissione, ha valutato gli effetti che produceva nella società degli uomini e, dunque, nel suo stesso ambiente? Se gli uomini, oggi come oggi, si distruggessero, di che cosa vivrebbe Yahweh? Distruggerebbe anche sé stesso! E lo stesso è per Allahu Akbar. E io" continuò Fanes pensoso "non sarei più lo stesso. Il mondo continuerebbe, ma ogni volta che una vita si trasforma, scompare o nasce, tutto cambia, tutto si modifica, tutto muore e rinasce per percorrere altre e diverse vie di trasformazione."

Beppi di (o da) Lusiana spostava lo sguardo dall'uno all'altro arbitro, osservò e poi sbottò: "Ora ho capito. Ma gli uomini sanno quanto voi dipendete da loro? Non sono importanti gli Dèi, ma sono importanti gli uomini che alimentano gli Dèi a seconda dei loro desideri. Gli Dèi provvedono ad alimentare o a reprimere i desideri degli uomini per controllare gli uomini e nutrirsi delle azioni degli uomini. In queste condizioni, cosa resta all'uomo?"

"Il suo essere un Dio che si muove fra Dèi usando la propria volontà per alimentare la sua esistenza." Intervenne Fanes "E' questo che gli uomini si rifiutano di comprendere e che sembra apparire chiaro in questa partita di calcio della filosofia. Gli uomini sono Dèi a cui altri uomini vogliono strappare loro la natura divina per trasformarli in pecore di un gregge incapaci di modificare il loro presente. Tu scegli!" disse ancora Fanes guardando Beppi di (o da) Lusiana "Quando scegli sei un Dio, quando scegli quanto ti hanno insegnato o indotto a scegliere, ti dimetti dal ruolo di Dio che governa la propria vita. Sottile è il confine fra l'illusione di scegliere e il scegliere. Spesso scegliere e l'illusione di scegliere si confondono o hanno confini imprecisi, ma l'uomo ha la sua volontà e ha i suoi bisogni e anche se si illude di scegliere, il fatto stesso di decidere di scegliere, libera una parte delle sue energie dalla sottomissione."

Ad interrompere Fanes fu un rumore di zoccoli. Dapprima lontano poi sempre più vicino finché agli arbitri non apparve in tutta la sua possanza il figlio di Crono e Filira figlia di Oceano e Teti. Era come se stesse cavalcando proveniente dal cielo mentre il rumore degli zoccoli battevano l'aria come se fosse solida roccia.

A poco a poco la figura del centauro iniziò a fissarsi nella nebbia diventando sempre più consistente. Era come se la luce delle stelle fosse scesa sulla terra e la nebbia stessa sottolineava lo splendore di quell'apparire.

"Io sono figlio del mutamento, della trasformazione. Questo è il motivo per cui io porto equilibrio nei corpi malati usando la medicina, le erbe e quanto è disponibile in natura. Io risano corpi malati ed aiuto bambini a diventare uomini forti e coraggiosi perché uomini deboli e pavidi rendono debole e pavida la società in cui vivono. Io sono colui che ha rinunciato all'immortalità quando il dolore di vivere divenne troppo insopportabile e proprio perché ho rinunciato all'immortalità io sono diventato l'eterno Chirone che prende per mano gli uomini accompagnandoli lungo il sentiero della propria vita." In questo modo si presentò Chirone agli arbitri. Poi, guardando Beppi di (o da) Lusiana, Chirone continuò "Quando ho rinunciato alla mia immortalità, io l'ho donata a Prometeo e ad ogni uomo affinché il suo fuoco, che arde in ogni uomo, alimentasse il Dio che cresce dentro di loro." Sorrise Chirone guardando Yahweh: "Sì! Prometeo ha colto dall'albero della vita e lo ha donato all'uomo ed io ho reso l'uomo, se vuole, eterno. Ora sta a lui scegliere fra ciò che è e ciò che vuole essere."

"Di tutto questo - per tornare finalmente al nuovo proposito - risultano chiare le seguenti frasi della Scrittura: "il profeta ebbe lo spirito di Dio", "Dio infuse il suo spirito agli uomini", "gli uomini furono pieni dello spirito di Dio e di Spirito Santo", ecc. Infatti esse non significano altro se non che i profeti possedevano una virtù singolare e al di sopra del comune, e che coltivavano la pietà con grande fermezza d'animo. Inoltre, che i profeti percepivano la mente o il sentimento di Dio; abbiamo infatti dimostrato che in ebraico "spirito" significa sia mente sia sentimento, e che perciò la stessa Legge, in quanto esplica il pensiero di Dio, è chiamata Spirito o mente di Dio; per cui con eguale diritto, l'immaginazione dei profeti, in quanto per essa si rivelano i decreti di Dio, si poteva anch'essa chiamare mente di Dio e si poteva dire che i profeti avevano la mente di Dio."

Spinoza, Trattato teologico-politico, Bompiani, 2001, p. 95 - 97

"L'immaginazione, il desiderio si trasforma in idea per soddisfare il desiderio. L'idea diventa immaginazione e sull'immaginazione l'uomo fantastica alimentando il desiderio e la necessità di soddisfare sé stesso cercando il piacere nel desiderio soddisfatto. In questo modo l'uomo che desidera si sente pervaso da uno "spirito" esterno e alimentando quello spirito trae piacere. Un piacere che cresce e che diventa delirio che stacca l'uomo dalla realtà portandolo ad immaginare altre e diverse realtà da sovrapporre alla realtà vissuta. Ma quell'uomo ha paura. Il sé stesso che delira lo intimorisce e preferisce separare l'origine del proprio delirio dal proprio vissuto e attribuire la fonte del delirio non a sé stesso, ma ad un altro da sé. E così prende vita "lo spirito di Dio" che parla attraverso il profeta non dicendo assolutamente nulla se non esprimendo il desiderio di essere riconosciuto come "spirito di Dio" al quale si richiede la sottomissione degli ascoltatori. Così, chi è interessato a controllare gli uomini dice "ecco l'uomo santo, ispirato da Dio, nella verità dell'onnipotente. Ascoltatelo ed obbedite alla volontà di Dio" e gli uomini non si chiedono che cosa loro vogliono, ma preferiscono sottomettersi a cosa Dio vuole da loro. Preferiscono obbedire piuttosto che essere sé stessi e combattere quel Dio per soddisfare i propri bisogni trovando il proprio piacere nella soddisfazione dei propri desideri."

"...il predicatore il cui compito è di istruire il popolo rozzo per rimuoverlo dal vizio e per indurlo a seguire la virtù e a lasciarsi guidare alla fine verso il regno celeste, se tratta le questioni naturali o matematiche e in generale tutte quelle che non sono pertinenti alla teologia e tenta di dimostrare le verità di fede con le ragioni naturali, non adempie affatto al suo compito, ma è piuttosto privo di carità e di sapienza ed è giudicato gonfio fino al punto di scoppiare di ignoranza, temerarietà, arroganza, vanagloria, ambizione, avarizia, dolo, frode e insomma di ogni iniquità."

Pietro Pomponazzi, Tutti i trattati peripatetici, Bompiani, 2013, p. 1529

"A Pietro Pomponazzi la questione è chiara." Continua Chirone "Il teologo deve rimanere nell'ambito della farneticazione, fuori della realtà che si può osservare e misurare. La scienza, l'analisi della natura, non forniscono prove nell'ambito della dimostrazione dell'esistenza di Dio, anzi, proprio perché la natura vive di necessità, Dio non solo non è necessario alla natura, ma è il suo più acerrimo avversario. Inoltre, il predicatore non dovrebbe interessarsi di scienza. La scienza non è una verità in essere, è una scoperta progressiva dei meccanismi della realtà vissuta mentre la teologia cristiana è verità in essere, definita, circoscritta, assoluta che trova la sua naturale condizione nel delirio farneticante di chi, in quella dimensione, ha conchiuso sé stesso e la sua esistenza. La filosofia metafisica è argomentazione attorno ad una realtà immaginaria che deve stare a monte di ogni scelta delle persone. Quella realtà immaginaria va argomentata, giustificata. Quando quella realtà immaginata vuole scendere nella vita reale per dimostrare la propria validità rispetto alla vita deve argomentare dimostrando l'immaginario in una relazione fra gli oggetti immaginati e gli oggetti reali che ricadono sotto i sensi o sotto le necessità dell'uomo. Sottile è la linea di confine fra l'immaginazione che convive e con-partecipa alla vita reale degli uomini dal delirio che imprigiona la vita degli uomini in un'infinita farneticazione di mondi immaginari e virtuali. Il desiderio soggettivo spesso non trova soddisfazione nella realtà vissuta e l'uomo si rifugia in sé stesso cercando realtà nella sua immaginazione. Ed è nell'immaginazione che deve essere conchiusa la teologia cristiana perché, quando esce dall'immaginazione e si confronta con la vita degli uomini, la teologia cristiana rivela non solo i suoi limiti, ma tutta la malvagità che mette in atto contro l'uomo e il suo divenire."

"L'ambiguità delle parole consente di far credere, per mezzo dell'identità della parola, all'identità di una cosa che non si ha presente in modo chiaro. Così, nel corso di un discorso si sposta impercettibilmente il senso. Con le parole si può nasconde, tramite il loro significato immediato, ciò che annienta il significato autentico. Grazie ad un tale uso delle parole io posso, mascherandolo come il suo opposto, fare e dire qualcosa che, se conosciuto e nominato direttamente, non riuscirebbe mai e risulterebbe insopportabile. L'ambiguità delle parole consente di non dire in realtà nulla anche parlando molto; consente di mantenere l'apparenza di una comunicazione senza in realtà comunicare alcunché. "La parola è stata data all'uomo per nascondere i propri pensieri." [citazione da Aristotele, Contraddizioni sofistiche] Il silenzio sarebbe dunque più vero che parlare, poiché il parlare distrae da ciò che si è effettivamente taciuto e inganna sull'opinione di colui che parla."

Karl Jaspers, Della verità, Bompiani, 2015, p. 1123

"La parola è ambigua!" Continua Chirone "La parola è un simbolo usato da una persona per significare cose e intenzioni che abitano nel suo animo. Fintanto che la parola definisce oggetti reali che ricadono sotto i sensi tutti possono concordare che la parola "tavolo" indica quella cosa che la mano indica. Diverso è quando dall'oggetto reale si passa a questioni soggettive. "Fare questa cosa è bello" non dipende da un "bello" come dato oggettivo, ma da un "bello" come impressione soggettiva che viene affermata partendo da un desiderio che viene soddisfatto da quel fare che, in quel caso, può, soggettivamente, essere definito come "bello". Ma se è "bello" per i miei bisogni soggettivi, non è necessariamente bello per altre persone che esprimono altri e diversi bisogni. Il bello cessa di essere bello in sé, ma è bello per me e io trasmetto un'impressione soggettiva dandogli un valore di oggettività. Quando io pretendo che quel valore di oggettività venga fatto proprio da altre soggettività e il "bello per me" deve diventare il "bello in sè", altro non faccio che costruire inganno e violenza che ha nelle parole la sua fonte d'origine. La parola diventa un oggetto ambiguo e anche se le società agiscono affinché le parole assumano dei significati precisi e circoscritti, la parola rimane sempre un'espressione soggettiva portatrice di ambiguità che pretende, in quanto parola, di essere espressione di una verità che quando non è accettata viene imposta mediante la violenza. La parola è fonte di inganno. Si dice una cosa sapendo che l'altro può interpretarla in maniera diversa da quello che si intende dire perché il suo desiderio vuole interpretare quella parola (o le parole che indicano un concetto) in maniera diversa. La parola è uno strumento umano attraverso il quale comunicare le proprie emozioni e i propri bisogni, ma proprio perché è uno strumento serve per nascondere i propri bisogni e le proprie emozioni per ingannare il proprio interlocutore quando è incapace o impossibilitato ad accedere alle emozioni che stanno all'origine delle parole. Il Dio dei cristiani è parola, logos, verbo, e come tale è inganno, fallace, ambiguo e malvagio. Le sue azioni sono malvage e quando gli si chiede conto delle sue azioni, il Dio dei cristiani si nasconde dietro a parole prive di senso e di significato costringendo l'interlocutore a riempire quelle parole del significato che desidera. L'azione: li ho ammazzati! Parola: loro erano malvagi! Logica: se li hai ammazzati, tu sei malvagio! Ma tu pensa quanto loro erano malvagi, io li ho dovuti ammazzare. Già, poverino, hai dovuto ammazzarli, ma quanto erano malvagi! Magari, se mi avessi detto in che cosa consisteva la loro malvagità avrei potuto valutare la profondità della tua malvagità."

"Su questo senso comune per il vero e per il giusto, che non è un sapere dimostrato, ma che permette di scoprire il verosimile, Vico fonda il significato e il valore autonomo dell'eloquenza. L'educazione non può, secondo lui, percorrere la via dell'indagine critica. I giovani hanno bisogno di immagini per la fantasia e per formare la loro memoria. Questo non si ottiene con lo studio delle scienze nello spirito della nuova critica. Vico pone quindi accanto alla critica del cartesianesimo il complemento dell'antica topica. Essa è l'arte di trovare gli argomenti e serve a formare una sensibilità per ciò che è convincente, sensibilità che opera istintivamente e in modo estemporaneo, e perciò non può essere sostituita dalla scienza."

Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, 2014, p. 67

"Le parole ingannano, ma le azioni devono ottenere un effetto. L'effetto che le azioni ottengono svelano le intenzioni delle azioni al di là di come le parole descrivono o nascondono le intenzioni delle azioni." Continua Chirone "Se io Chirone do un medicamento a una persona sofferente, l'azione di dare il medicamento è. Se la persona diminuisce la sua sofferenza, la mia azione ha raggiunto il suo fine, ma se la persona continua a soffrire, la mia azione era inadeguata. Posso usare le parole per nascondere gli intendimenti diversi o usare le parole per creare inganno, ma io ho fatto quell'azione e quell'azione ha prodotto quello e solo quel risultato. Se io Chirone, come Vico, voglio controllare le persone e renderle schiave e sottomesse, devo riuscire ad imprigionarle mediante le parole che alimentano le loro fantasie, Devo allontanarle dal reale, dall'analisi critica del presente in cui quelle persone vivono e devo allontanare la loro immaginazione dalla pratica dell'analisi del reale e dell'esercizio critico perché, quando una mente, specialmente giovane, viene addestrata ad analizzare il reale o a sviluppare il senso critico, la sua immaginazione non si stacca più dal reale vissuto, ma quanto immagina è un reale possibile da analizzare. Si controllano e si dominano le persone quando si staccano dalla realtà e le si costringono a vivere in una realtà immaginata della quale si può avere il controllo o attraverso il dominio (controllare la volontà di Dio) o attraverso l'informazione (sviluppo di dati e di informazioni che alimentano le fantasie irreali). Chi analizza la realtà, chi ive di critica in funzione di un futuro possibile, chi soddisfa i propri bisogni e desideri nella realtà vissuta, non è controllabile al di fuori delle sue stesse analisi della realtà in cui vive. Per questo Vico incita ad alimentare le fantasie, spesso fantasie di onnipotenza come quella secondo cui tutto si ripete in continui ricorsi storici. La necessità di Vico è costruire uomini incapaci di analizzare cause e situazioni che producono il reale in cui vivono. Uomini incapaci di cogliere le differenze e le variabili della realtà complessa in cui abitano. I giovani, dice Vico, hanno bisogno di Dio, di pensare ad una realtà immaginifica che li alieni alla realtà vissuta. Ma a quel punto, che ne è della capacità del giovane di analizzare la realtà vissuta e di proiettarla in possibilità di trasformazione del proprio reale se vive nella fantasia virtuale, costretto alla fantasia virtuale e separato dalla realtà in cui sarà chiamato a vivere? E' come se voi costringeste una persona a vivere seduta fin dalla nascita e poi, quando ha vent'anni, pretendete di vederla correre i cento metri in dieci secondi. Avete costretto i giovani a vivere aspettando la venuta di Gesù che con grande potenza sulle nuvole venga a cambiare il loro presente? Ed ora aspettatevi che i giovani, una volta adulti, si accodino ad ogni uomo del destino senza essere critici per le eventuali conseguenze delle loro azioni."

"Questa angoscia nel creato si può chiamare con ragione angoscia oggettiva. Essa non fu generata dal creato, ma nacque dal fatto che questo si trovò in tutt'altra luce quando, col peccato di Adamo, la sensualità fu abbassata e, in quanto il peccato continua ad entrare nel mondo, viene continuamente abbassata a significare la peccaminosità. Si comprende facilmente che questa interpretazione tiene aperti gli occhi, anche nel senso che respinge l'opinione razionalista che la sensualità come tale sia peccaminosità."

Kierkegaard, Il concetto dell'angoscia, Biblioteca Ideale Tascabile, 1995, p. 47

"L'angoscia è l'emozione che l'uomo vive quando si sente impotente nell'affrontare i problemi del mondo e della vita." Continua Chirone "Se tu hai fatto in modo che la mente dell'infanzia sia conchiusa in una realtà virtuale, quando quella mente deve affrontare la realtà vissuta, non incontra, in quella realtà vissuta gli elementi della realtà virtuale, ai quali era solita intrattenere il suo pensiero e le sue elaborazioni. La realtà vissuta richiede a quella mente uno sforzo enorme di adattamento e spesso quella mente non è in grado di afferrare i fenomeni che concorrono alla formazione della realtà in cui vive perché tende sempre a sovrapporre loro le idee virtuali e fantasiose alle quali è stata costretta ad adattarsi. Quella mente quando può, sostituisce i fenomeni reali con i fenomeni immaginari e piega la realtà vissuta all'immaginazione a cui è stata costretta. Da qui nasce il concetto d'angoscia che altro non è che l'inadeguatezza dell'individuo costretto a rinunciare, fin dall'infanzia, alla sua capacità critica di una situazione nella quale è nato ed è divenuto fino a che, la realtà sociale, gli chiede, improvvisamente, di essere pronto ad affrontare la realtà oggettiva e di essere un individuo propositivo che rinuncia a quelle stesse fantasie che la società stessa gli ha imposto fin dall'infanzia. Angoscia è l'unico sentimento in cui l'individuo veicola la sua emozione che, cortocircuitando le sue emozioni in sé stesso per una percezione di ostilità del mondo, lo porta alla disperazione. La società ha costruito un individuo incapace di affrontare la realtà in cui dovrebbe vivere ed ora ha ottenuto un angosciato pronto a qualunque violenza pur di uscire dal proprio stato d'angoscia e di liberarsi da qualsiasi cosa che potrebbe spaventarlo. La società ha costruito il suo criminale perfetto. Il suo aguzzino al quale gli angosciati applaudiranno riscontrando in lui la loro stessa angoscia e ripotendo in lui la speranza che la guerra, che sta facendo ai fenomeni reali in funzione dei fenomeni virtuali, serva anche a loro per liberarli dall'angoscia. Ma dopo l'angoscia, per i disperati rinchiusi in una realtà virtuale, c'è solo e ancora angoscia. Quando l'analisi della critica invita le persone a veicolare le loro emozioni nella sessualità, il mondo virtuale impediva loro di farlo perché, la morale della negazione della sessualità, era il fenomeno socialmente imposto. Mentre il desiderio premeva come oggettività nel vivere reale della persona, la morale, virtualmente imposta, impediva alla persona di affrontare la realtà oggettiva portandola in uno stato d'angoscia dove tutto moriva in sé stesso. La guerra per imporre la moralità e distruggere la vita reale è l'unica soddisfazione che attraversava l'angosciato."

"Tra i moralisti e i santi nulla è più raro dell'onestà; forse essi dicono il contrario, forse persino lo credono. Se infatti una fede è più utile, più efficace, più convincente di una ipocrisia consapevole, l'ipocrisia diventa subito, per istinto, innocenza: primo principio per comprendere i grandi santi. Anche tra i filosofi, santi di un'altra specie, l'intro mestiere implica che essi ammettano soltanto determinate verità: quelle, cioè, per le quali il loro mestiere ha la pubblica sanzione - kantianamente parlando, verità della ragion pratica. Essi sanno quello che debbono dimostrare, in ciò sono pratici - si riconoscono l'un l'altro dal fatto di concordare sulle "verità"."

Nietzsche, Serie di 4 opere, Il crepuscolo degli idoli, Newton, 1989, p. 184

"Nietzsche non può vedere, dal momento che si identifica con un assoluto di cui si ritiene espressione, il ragionamento del "santo" o del "moralista" che commette crimini e immoralità in tutta onestà." Continua Chirone "I santi e i moralisti sono portatori di crimini orrendi contro l'umanità. Per questo motivo sono santi e moralisti. Quanti educatori, che legavano le mani ai ragazzi affinché non si masturbassero, son stati elevati agli altari e venerati come santi da coloro che fanno della repressione sessuale manifestazione della volontà di Dio? Quanti assassini, da Tommaso d'Aquino a Agostino d'Ippona, da Carlo Magno a Ignazio di Loyola, da Padre Pio a Pio XII e ogni altro papa cristiano, sono stati elevati agli altari pur essendosi macchiati di crimini gravissimi nei confronti dell'umanità? I loro crimini sono in funzione della gloria di Dio e, dunque, moralmente legittimi, come dice Paolo di Tarso che non è peccato (infamante) commettere crimini per lo "spirito", ma solo se quei crimini sono commessi per interessi personali (per la carne). Come se non ci fosse un interesse personale nel commettere crimini in nome di Dio o dello Stato contro gli uomini e la vita. Lo stesso vale per i filosofi che proclamano delle verità o delle verità che confutano altre verità che non devono essere manifestate perché qualcuno vorrebbe indicare le verità avverse come immorali o crimini. In questo modo il Dio dei cristiani, il macellaio di Sodoma e Gomorra, il delinquente che stermina l'umanità col diluvio universale, deve essere trattato filosoficamente come il Dio buono, il Dio della provvidenza anziché il Dio che costruisce il male, diffonde l'odio e costringe gli uomini alla miseria materiale e morale. I filosofi, per tradire la società civile, si accordano affinché "certe cose" non debbano essere dette e, quando proprio non se ne può fare a meno, devono essere dette con tanti e diversi giri di parole in modo che "il volgo" non intenda quello che si può e si deve dire. Ma, alla fine, che cosa dimostrano? Dimostrano il loro legame con Dio, con lo Stato, con un "potere di possesso", non dimostrano la loro onestà intellettuale. Dimostrano la loro dipendenza morale e psichica da un'autorità che loro venerano e dalla quale loro dipendono. Non dimostrano la loro morale e la loro etica culturale. Affermano una morale e un'etica. Dimostrano di mettersi al servizio di distruttori di società e non al servizio di uomini che tentano di costruire un futuro possibile. Questi filosofi sono come "Padre Pio" che ruba alle persone indifese e speranzose per arricchire lo Stato del Vaticano e lo Stato del Vaticano premia Padre Pio per le sue truffe e le sue rapine elevandolo agli altari come esempio che va imitato a maggior gloria dello Stato del Vaticano. Dopo di che, arriva il covid-19 e tutta la miracolistica di "Padre Pio" e dei "Santi cattolici" è ridotta a pura immondizia che la chiesa cattolica tenta di nascondere dietro ad una frenetica attività scientifica sperando di poter annullare il problema covid-19 prima che le persone, il "popolo di Dio", inizia ad inveire e a tirare sassi contro i santi cattolici."

"E il primo dei suoi attributi che sembra di dover essere qui considerato consiste in questo, ch'egli è verissimo ed è la fonte di ogni luce, sì che è impossibile che c'inganni, cioè che sia direttamente la causa degli errori cui siamo soggetti e che sperimentiamo in noi stessi. Poiché, sebbene l'abilità di potere ingannare sembri essere un segno di sottigliezza di spirito fra gli uomini, non di meno la volontà d'ingannare non procede mai che da malizia, o da timore e da debolezza, e quindi non può essere attribuita a Dio."

Cartesio, I principi della filosofia, Libritalia, 1996, p. 96

"I filosofi ingannano le persone e i popoli in nome e per conto di Dio. Cartesio si riferisce al Dio della bibbia cristiana." Continua Chirone "Un Dio "portatore di luce" che definisce "verissimo" senza analizzare le azioni per le quali lo definisce "verissimo". In questo modo, con la logica razionale che lo distingue, Cartesio nega e annulla tutti i fenomeni, parole e fatti, che qualificano quel Dio e lo ammanta di aggettivi, verissimo, rivestendolo di illusioni: "portatore di luce". Cartesio può dire: "Dal momento che penso verissimo Dio, io sono!". Cartesio negherebbe sé stesso se, al contrario, analizzasse i contenuti della rappresentazione ideologica di Dio. Ma questo lui non lo può fare, non lo vuole fare, perché se lo facesse si riterrebbe un malvagio che mette sotto analisi Dio e i suoi attributi. Solo che il potere di ingannare e lo stesso inganno, come atto malvagio nei confronti delle persone, procede da Dio perché è l'unica forma per la quale Dio può esistere a discapito dell'uomo. E con Dio ogni potere che fa del possesso delle persone la propria ragione d'essere."

E a questo punto Chirone tacque.

Chirone riprese dicendo: "Io Chirone fui padre di molti figli che non ho generato, ma che ho condotto nella vita mostrando loro il mondo e le arti affinché diventassero cittadini forti e rispettabili. Io sono padre di Aiace, Achille, Aristeo, Asclepio, Atteone, Ceneo, Enea, Eracle, Fenice, Giasone, Oileo, Palamede, Peleo, Telamone, Teseo e anche Dioniso mi chiama "padre". Li ho condotti nella vita liberando la loro mente dagli inganni e mostrando loro un mondo nel quale potessero camminare con orgoglio e dignità. Io, figlio di Crono, non mi sono mai erto a padrone delle persone né mai ho visto, fra gli Dèi immortali, qualcuno che lo facesse. Quando Eracle mi colpì con una freccia avvelenata al ginocchio e pianse per il suo errore io ho continuato a dire ai figli degli uomini di continuare il loro cammino verso l'eternità. Per questo motivo, quando il dolore insopportabile mi indusse a cercare la morte, cercai il possente Prometeo che Zeus aveva reso mortale. Prometeo, l'amico dell'uomo che è l'uomo egli steso albergando nel cuore degli uomini, aveva donato la dignità all'uomo rendendolo uguale agli Dèi mediante la scintilla divina, la conoscenza e il desiderio di conoscenza, che egli ha rubato agli Dèi. Zeus non aveva motivo di adirarsi con Prometeo. Prometeo aveva rubato il fuoco agli Dèi, ma non li aveva resi più poveri, al contrario, aveva acceso milioni di fuochi nei cuori di coloro che avrebbero partecipato alla vita degli Dèi. Per mettere fine al mio dolore ho rinunciato all'immortalità. Io ho ceduto la mia immortalità a Prometeo e alla scintilla divina che abita nel cuore di ogni Essere Umano. Prometeo ha colto dall'albero della conoscenza e io gli ho portato in dono i frutti dell'albero della vita. Per questo mio gesto Zeus mi volle abitatore del cielo affinché gli uomini abbiano sempre qualcuno che li guidi nella loro breve vita."

Poi, Chirone, improvvisamente, di nuovo, tacque. Ci fu uno scalpiccio e poi più nulla. Attraverso la nebbia, agli arbitri sembrò che la costellazione del Centauro fosse incredibilmente luminosa.

 

Continua...

Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.

 

Marghera, 31 luglio 2021

 

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