Sei capace di giocare a calcio?
Come ebbe pronunciate quella parole, la nebbia era sparita e gli immensi spalti furono illuminati dalla luce di Elios che misero in risalto ogni forma che su quegli spalti aveva preso posto.
Gli arbitri si guardarono intorno fra lo stupore e il timore di quell'immensità di presenze che li sovrastava.
Tutto l'universo era presente.
Tutte le coscienze dell'universo avevano osservato le loro azioni, le loro scelte, le affermazioni dei filosofi e le conseguenze delle loro affermazioni. Nulla era sfuggito. I mormorii ed i commenti stavano riempiendo il sidereo di voci e di tensioni.
Poi, dagli spalti scese un uomo che Yahweh guardò con curiosità dicendo: "E' un cane?". Il volto non era quello di un uomo e apparve strano anche a Allahu Akbar che disse: "A me sembra uno sciacallo!".
"No!" disse Beppi di (o da) Lusiana "E' un uomo con la testa di lupo."
"E' l'individuo che si fa branco e che si fa individuo" fece eco Fanes "E' uno dei guardiani del regno dei morti o, se preferite, del regno in cui gli Esseri della Natura risorgono come Dèi. Regni vietati alla ragione, luminosi od oscuri a seconda della qualità di chi li abita."
Fanes fece una piccola pausa mentre gli altri arbitri lo guardavano. Poi, riprese: "L'arrivo di Anubi significa che la Partita di Calcio della filosofia sta volgendo al termine. Ciò che è fatto è fatto. Ora attendiamo le conseguenze di quanto è stato fatto."
Come per rispondere a Fanes la voce di Anubi entrò nelle teste degli arbitri dicendo: "Io sono un guardiano delle porte dell'infinito. Io dovrei pesare il vostro cuore e accompagnarvi lungo un cammino che voi, però, non percorrerete perché quel cammino è riservato a coloro che diventeranno Dèi. Tuttavia, per voi io devo aprire le porte dell'infinito. Non so per che cosa io le debba aprire, ma so che devo farlo. Lo farò, ma non peserò il vostro cuore. Sappiate che io, Anubi, quando aprirà quelle porte, qualcosa vi entrerà e qualche cosa ne uscirà e non potrò trattenere nessuno, qualunque direzione sarà presa. Oltre quelle porte potrete incontrare il nulla del vostro presente. Io non lo so, ma voi avete fatto le vostre scelte da molto tempo."
"Io, Anubi, ho osservato con attenzione la partita che avete giocato, ma non ho capito le difficoltà che avete avuto nell'interpretare le azioni di gioco alle quali avete assistito."
"Questo naturale sviluppo per cui l'uomo diviene, o si crede divenuto autonomo, piglia diverse forme nella vita privata e pubblica. Il figlio p. es. desidera dapprima, e poi vuole sottrarsi, e poi si sottrae di fatto all'autorità paterna: il discepolo a quella dell'educatore, e così via. Lo stesso, in più grandi proporzioni, è avvenuto nella vita sociale. Gl'individui, in più gran numero o tutti, si sono andati attribuendo molte di quelle facoltà che prima pochi pochissimi, con tacito o espresso consenso di tutti gli altri, esercitavano: e in questo esercizio ripongono, o la speranza della loro felicità, o il possesso di essa, o la maggiore, la più alta dignità della loro vita. E questo è anche naturale. Essi possono errare, ed in gran parte errano di fatti: perché l'esperienza prova che disponendo assai più di sé medesimi, non dispongono per ciò solo sempre meglio: spesso per ciò stesso peggio. Ma se errano nella credenza che hanno che il disporre di più e più liberamente, sia lo stesso che disporre meglio e più ragionevolmente, nessuno potrebbe dire che questa lotta per la libertà sia ingiusta, od irragionevole. Perché quale è in fatti l'uomo, la classe, il ceto privilegiato, che possa dire: io solo, noi soli dobbiamo disporre, e gli altri ubbidire: e in questa ubbidienza è tutta la dignità umana, la bontà dell'animo, la perfezione della vita? Se nella maggioranza degli uomini è entrata la opinione, che tutti o la maggior parte di quelli che si muovono e vivono, devano, possano regolarsi da sé: per non piccola parte ha contribuito a formare in essi questa convinzione, il discredito in cui erano venuti, tutti quelli che s'erano per lo innanzi creduti essi soli in dritto di guidar gli altri. Sotto questo riguardo si dice che la libertà, intesa in senso negativo, è un bene: ma non è forse preferibile il dire che essa sia la possibilità del bene?
Antonio Labriola, Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell'educazione, della libertà morale, Bompiani, 2014, p. 669
"In Labriola" inizia il suo discoro Anubi "l'uomo diviene. Supera la condizione nella quale ha maturato sé stesso e inizia il proprio cammino verso un futuro. Un futuro fatto di errori? La conoscenza del reale non è mai una conoscenza assoluta, è una mediazione fra ciò che è e ciò che il singolo soggetto è in grado di considerare o di interpretare di ciò che è e che si presenta a lui nella totalità dei suoi fenomeni che il soggetto percipiente seleziona per semplificare il reale. Il divenire diviene. Sempre e comunque. Non esiste la conservazione di un presente, ma esiste la conservazione di un divenire che può essere modificato o conservato dalle scelte che i singoli fanno nel presente. Mentre la pulsione spinge i figli a superare i genitori, i genitori impongono ai figli la conservazione del presente perché il presente assicura i genitori. Genitori che spingono i loro figli a modificare il presente sono genitori che ancora operano per trasformare il presente in cui vivono. Questa trasformazione, che porta a liberare l'uomo dalle costrizioni che rendono difficoltosa la sua esistenza, alla faccia dei "comunisti" Marx la chiamava "comunismo". Per Marx e per Labriola, il comunismo non era una società ideale o definita, ma era il cambiamento del presente mediante l'eliminazione di ostacoli che impedivano il divenire dell'uomo. La libertà, per Labriola, è la possibilità del bene. Non il bene inteso come verità da commerciare e vendere ma il bene come eliminazione del male che soffoca. La libertà, come possibilità di modificare la propria condizione esistenziale, provoca paura e terrore in chi vede nella modificazione dello stato attuale la cessazione di diritti di potere e di dominio dell'uomo sull'uomo. Labriola centra il problema della modificazione della realtà sociale individuando nella modificazione dell'educazione dell'infanzia la chiave della modificazione sociale."
"Se non andiamo errati, la comprensione del tabù getta un po' di luce anche sulla natura e sulla nascita della coscienza morale. Si può parlare, senza ampliare i concetti, di una coscienza tabù e di un senso di colpa tabù dopo aver trasgredito il tabù. La coscienza tabù è probabilmente la forma più antica nella quale ci imbattiamo nel fenomeno della coscienza morale. Perché che cos'è la "coscienza" morale? Stando alla testimonianza della lingua, è da porsi in riferimento con una conoscenza completa. In parecchie lingue Il coscienza" indica tanto la coscienza morale quanto la consapevolezza. Coscienza morale è la percezione interna della riprovazione di determinati impulsi di desiderio che sorgono in noi. L'accento cade però sul fatto che questa riprovazione non ha bisogno di richiamarsi a nient'altro al di fuori di sé, che è sicura di sé medesima. Questo fatto emerge ancor più chiaramente nel senso di colpa, nella percezione della condanna interiore di atti con i quali abbiamo realizzato determinati impulsi di desiderio. Qui appare superflua una motivazione: chiunque abbia una coscienza deve sentire in sé stesso la giustificazione della condanna, il rimprovero per l'azione compiuta. Ma il comportamento del selvaggi verso il tabù mostra questo stesso carattere: il tabù è un comandamento della coscienza morale, la sua violazione fa sorgere un tremendo senso di colpa che è tanto ovvio quanto è ignota la sua origine. E' quindi probabile che anche la coscienza morale nasca, nell'ambito di un'ambivalenza emotiva, da relazioni umane ben precise nelle quali questa ambivalenza è insita: nasca inoltre nelle condizioni valide sia per il tabù che per la nevrosi ossessiva, che cioè un termine dell'antitesi sia inconscio e sia tenuto in stato di rimozione dall'altro, che domina per coazione. Questa conclusione è confortata da parecchie osservazioni che abbiamo fatto nel corso dell'analisi della nevrosi. Anzitutto, abbiamo constatato che nel carattere dei nevrotici ossessivi spicca il tratto di una meticolosa coscienziosità come sintomo di reazione alla tentazione latente nell'inconscio, e che via via che la condizione morbosa cresce essi sviluppano al massimo grado il senso di colpa.
Sigmund Freud, Totem e Tabù, Boringhieri, 1976, p. 107 - 108
"Il tabu è un'imposizione educazionale" Dice Anubi riprendendo il suo discorso "Nessun tabù è imposto alla vita che, da parte sua, non tollera nessun ostacolo al suo sviluppo nel mondo in cui è venuta in essere. I tabù sono dei marchi imposti agli individui con cui una società intende sottomettere i nuovi nati a sé stessa e ai propri interessi. Prima nasce la necessità della società di dominare le persone e poi vengono elaborate le tecniche del dominio che assumono connotati morali da imporre con la violenza fisica alle persone. La coscienza degli Esseri della Natura è in continua trasformazione. La coscienza si accende quando il singolo corpo fisico "nasce" e si dissolve quando muore il corpo fisico. Fra i due limiti c'è tutto il processo di trasformazione e di divenire della coscienza. Una coscienza che continuamente muore all'insorgere di nuove emozioni e continuamente si ricostruisce, si ristruttura, rinasce, inglobando l'emozione insorta e gli elementi che hanno spinto l'emozione a insorgere dentro all'individuo. L'individuo consapevole che la coscienza è in continua trasformazione, può determinare la direzione della trasformazione della propria coscienza mediante il controllo delle condizioni e delle motivazioni attraverso le quali sollecitare l'insorgenza emotiva che, disgregando la coscienza in essere, sollecita una ristrutturazione della coscienza inglobando la nuova esperienza. Per contro, una società che alimenta negli individui l'insorgenza di emozioni caratterizzate da ansia, paura e angoscia, li spinge a costruire una coscienza che tende a separarsi dal mondo per non dover subire il dolore dell'ansia, della paura e dell'angoscia. Questa coscienza si impone dei "tabù" per non dover subire dei "sensi di colpa" che la renderebbero soggettivamente inadeguata a vivere nella società. Gli uomini non dicono "Dio boia" perché temono la riprovazione sociale anche se sanno che quel Dio è il boia che ha macellato l'intera umanità col diluvio universale e che, imposto agli individui, li trasforma in tanti assassini. Controllare l'insorgenza emotiva negli individui e la direzione nella quale l'insorgenza emotiva destruttura la coscienza, significa liberare dalle costrizioni o rendere schiavi gli individui sottomettendoli a dalle costrizioni. I principi del dovere, emotivamente imposti alla coscienza, sono il sistema per rendere gli individui psicologicamente schiavi di un qualche agente diverso da loro mentre l'insorgenza di emozioni di felicità, di piacere, di vendetta dalle costrizioni o del piacere della conoscenza e delle scoperte, porta ad espandere la coscienza attraverso l'introiezione di esperienze capaci di espandere l'individuo nel mondo. Il desiderio soggettivo che si veicola nel mondo espande l'individuo nella vita; il desiderio che viene represso, allontana l'individuo dalla vita. E i comportamenti inadeguati sollecitati dal desiderio? Non è il desiderio che spinge a mettere in atto comportamenti inadeguati. I comportamenti inadeguati nascono dalla guerra messa in atto contro il desiderio; azioni che trovano opposizione da parte del desiderio che, non trovando veicolazioni socialmente adeguate, si esprime in maniera inadeguata creando problemi sociali."
"L'animo religioso, secondo la sua natura finora spiegata, riposa nell'immediata certezza che tutte le sue involontarie affezioni di sé siano impressioni provenienti dall' esterno, apparizioni di un altro ente. L'animo religioso trasforma se stesso nell'ente passivo e Dio in quello attivo. Dio è la sua attività alienata, di cui a sua volta si riappropria solo rendendosi oggetto di questa attività, dunque indirettamente. Dio è l'attività; ma ciò che lo determina all'attività, ciò che trasforma la sua attività, inizialmente solo come onnipotenza, potentia, nell'attività effettiva, il motivo vero e proprio, il fondamento non è egli stesso - al quale non occorre nulla e che è senza bisogni -, bensì l'uomo, il soggetto o l'animo religioso. Chi determina Dio all'attività è l'uomo, ma nel contempo questi è a sua volta determinato da Dio, di cui si rende passivo; riceve da Dio determinate rivelazioni, determinate prove della sua esistenza. Dunque nella rivelazione l'uomo, essendo il motivo determinante, il soggetto determinante di Dio, è determinato da se stesso - in altri termini, la rivelazione è soltanto l'autodeterminazione dell'uomo, tuttavia, fra sé come determinato e sé come determinante, egli inserisce un oggetto - Dio, un altro ente. L'uomo attraverso Dio media la sua propria essenza con se stesso - Dio è il legame, il vinculum substantiale fra l'essenza, il genere, e l'individuo. La fede nella rivelazione svela nel modo più evidente la caratteristica illusione della coscienza religiosa. La premessa generale di questa fede è la seguente: l'uomo da se stesso non può sapere nulla di Dio; tutto il suo sapere è soltanto vano, terreno, umano. Dio però è un ente oltreumano: Dio solo conosce se stesso. Dunque non sappiamo nulla di lui tranne quanto ci ha rivelato. Appunto il contenuto comunicato da Dio è un contenuto divino, oltreumano, soprannaturale. Per mezzo della rivelazione conosciamo dunque Dio attraverso se stesso; infatti la rivelazione è proprio la parola di Dio, l'esprimersi di Dio su se stesso."
Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, Laterza, 2003,p. 223
"Ogni singolo uomo è il Dio che pensa." Riprende il discorso Anubi "Molte donne e molti uomini hanno visto, vissuto, evocato e compartecipato agli Dèi che abitano nel mondo. Spesso non avevano nemmeno coscienza di essere in relazione con gli Dèi. Il Dio che loro immaginano è il sé stesso nel mondo. Immaginano sé stessi. E questo immaginare sé stessi è l'immagine positiva di Dio o degli Dèi che loro hanno. Si tratta dell'immagine dell'uomo prodotta da Platone. Per Platone l'uomo è solo un cadavere, materia immobile e inconsapevole, che viene abitato da Dio attraverso l'anima. E' l'anima, quale manifestazione di Dio nell'uomo, che vive le relazioni con il mondo. Umiliare il corpo e le sensazioni che si producono nel corpo è, secondo i cristiani e Platone, un modo per liberare l'anima dal corpo che la tiene prigioniera e che, con i suoi desideri, ne sporca l'essenza divina. Dall'umiliare il corpo di Platone e i cinici; dall'umiliare e mortificare il corpo dei cristiani; dall'umiliare il corpo per eliminare l'attaccamento dei buddisti; sono tutti tesi ad esaltare l'anima che abita il corpo ma, di fatto, queste idee servono esclusivamente per controllare i corpi e rendere gli uomini sottomessi nella loro quotidianità. Se fosse un'anima che abita un corpo, anche il desiderio dovrebbe essere considerato una necessità che l'anima esprime attraverso il corpo e, se davvero tenessero all'anima, dovrebbero onorare quel desiderio perché in quel modo onorerebbero l'anima. Nella relazione che il cristiano intrattiene con Dio, egli è il Dio con cui intrattiene la relazione. Quel Dio gli è stato imposto nell'infanzia. Si è fatto leva sulle paure, si è fatto leva sul terrore instillato mediante la relazione parentale, Dio è il papà, Dio è la mamma, e il bambino, per sopravvivere, deve obbedire alla mamma e al papà perché teme l'abbandono. E mentre lui teme l'abbandono, il papà e la mamma diventano gli Dèi onnipotenti alla cui onnipotenza lui aspira anche se la società, nella quale prima o poi dovrà vivere, frustrerà le sue aspirazioni all'onnipotenza invitandolo, più o meno violentemente, ad un ruolo più consono alla sua vita. Mentre quel bambino sognava di essere il Dio onnipotente che stermina i cattivi di Sodoma e Gomorra o che macella l'umanità col diluvio universale, ora la sua onnipotenza si limita a vessare, a bullizzare, il compagno malcapitato, troppo debole per difendersi da chi pensa sé stesso come Dio in diritto di uccidere donne e bambini per la sua gloria. E' Dio che si esprime su sé stesso!
"Parecchi dotti hanno creduto che il Pentateuco non può essere stato scritto da Mosè. Dicono che dalla stessa Scrittura è accertato che il primo esemplare conosciuto fu trovato al tempo del re Giosia, e che questo unico esemplare fu portato al re dal segretario Safan. Ora, tra Mosè e questa vicenda del segretario Safan ci sono ottocentosessantasette anni secondo il calcolo ebraico. Difatti Dio apparve a Mosè nel roveto ardente nell'anno della creazione 2213, e il segretario Safan pubblicò il libro della legge nell'anno della creazione 3380. Questo libro ritrovato sotto il regno di Giosia restò sconosciuto fino al ritorno dalla cattività in Babilonia; ed è scritto che fu Esdra, ispirato da Dio, a riportare alla luce tutte le sacre Scritture. Ora, sia Esdra o un altro ad aver scritto questo libro, ciò è assolutamente indifferente dal momento che questo libro è ispirato. Nel Pentateuco non si dice che Mosè ne sia l'autore; sarebbe dunque permesso attribuirlo a un altro uomo cui lo Spirito divino l'avesse dettato se la Chiesa da parte sua non avesse deciso che il libro è di Mosè. Alcuni contestatori aggiungono che nessun profeta ha mai citato i libri del Pentateuco, che non se ne parla né nei salmi, né nei libri attribuiti a Salomone, né in Geremia, né in Isaia, insomma in nessun libro canonico. Le parole che corrispondono a Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio, non si trovano in nessun altro scritto né dell'Antico né del Nuovo Testamento."
Voltaire, Tutti i romanzi e i racconti, Dizionario filosofico, Newton, 1995, p. 649
"L'inganno è la base della religione istituzionalizzata." Continua Anubi "L'inganno è l'arte razionale con cui individui vuoti, alimentano le illusioni e i desideri delle persone i cui sentimenti sono esposti ai sentimenti del mondo. Confezionano una realtà del mondo a cui i loro sentimenti devono attenersi. "Ecco, dice l'individuo vuoto, Dio dice che tu devi amare il tuo padrone perché lui agisce per volontà di Dio. Io ho trovato gli "antichi testi" che Dio ha fatto scrivere ai "profeti". Io sono l'inviato di Dio a cui tu ti devi sottomettere perché io sono il portatore della verità di Dio". Gli uomini vuoti non dicono: io affermo questo! Se lo facessero dovrebbero giustificarlo, argomentarlo, dimostrare agli uomini come il "questo" sia utile agli uomini o svelare come il "questo" sia utile a sé stessi, ma distruttivo per gli uomini. Gli uomini vuoti hanno sempre qualcuno, un'autorità (o spacciata per tale), dietro alla quale nascondersi. Come Platone nascondeva le sue farneticazioni dietro ad antichi manoscritti che qualcuno aveva trovato, così oggi, qualcuno si nasconde dietro Platone per reiterare affermazioni distruttive nei confronti dell'uomo e della sua vita. Questo meccanismo si è sempre riprodotto nella storia quando si dovevano dominare gli uomini imponendo loro delle regole per controllare il loro sentimento emotivo. Esdra doveva dominare gli uomini e "scoprì" lo scritto che gli concedeva il dominio sugli uomini in nome di Dio. Delirio di un uomo vuoto o calcolo del potere per dominare l'uomo? Solo malafede e vigliaccheria manifestata da una mente delirante che aveva consumato troppo oppio e che vedeva, nella superiorità della sua razza, l'ideale divino. Gli uomini che hanno sentimenti di apertura emotiva al mondo non si rendono conto quanto siano vuoti molti degli uomini che li circondano. Sono accecati dalle loro stesse emozioni. E' la forza delle loro emozioni a renderli fragili e vulnerabili. In questa condizione gli uomini vuoti dicono agli uomini aperti al mondo come loro devono incanalare le loro emozioni. Gli uomini vuoti vivono appropriandosi delle emozioni degli uomini aperti al mondo. Gli uomini e le donne che mano il mondo, lo amano talmente tanto da disarmare le loro emozioni e renderle preda della vuotezza di ragioni espresse da uomini e donne che vivono una assoluta separazione fra sé e il mondo. Fintanto che le persone che amano il mondo non armeranno le loro emozioni saranno sempre prede di uomini e donne vuoti. Ma quando le persone, che amano il mondo, armeranno le loro emozioni, allora su di loro si verserà la collera e la rabbia degli uomini e delle donne vuoti che, non potendoli usare, saranno travolti dal loro fallimento esistenziale."
"Tutto ciò che produce un effetto deve essere più eccellente dell'effetto stesso. Quanto più una cosa è libera dalla materia, tanto più è superiore. Per cui la causa deve sempre essere più libera dalla materia di quanto lo sia l'effetto. Pertanto nessun effetto può essere più libero dalla materia di quanto lo sia la propria causa. La potenza vegetativa è pienamente indipendente dalla materia, dal momento che, come abbiamo dimostrato altrove, essa compie moltissime operazioni che si collocano al di sopra e al di là dell'ordine degli elementi. La potenza sensitiva è ancora più indipendente dalla materia, perché nell'atto stesso di sentire coglie le forme delle realtà corporee senza la materia di cui esse sono fatte. Infatti, la vista non coglie il colore della parete insieme con la parete, ma percepisce l'immagine spirituale del colore. Di molto superiore, poi, da questo punto di vista, è l'azione dell'intelligenza; come mostreremo nei libri successivi. Dunque, poiché queste potenze dell'animo sono notevolmente indipendenti dalla materia, esse non possono derivare da una causa tale da essere o di natura materiale o immersa nella materia. Gli umori sono totalmente corporei. Per cui essi unendosi e armonizzandosi insieme non possono in alcun modo generare siffatte potenze; molto meno dunque possono generare l'anima che è la fonte di tali potenze. Se la sostanza dell'anima avesse il proprio fondamento nelle qualità degli umori, di certo tutto ciò che ad essa giungerebbe lo percepirebbe tramite le affezioni degli umori, attraverso le quali vengono percepite solo le forme corporee."
Marsilio Ficino, Teologia platonica, Bompiani, 2011, p. 573
"Il delirante vive la condizione materiale come una costrizione." Continua Anubi "La condizione materiale che lo coinvolge nella quotidianità gli crea sofferenza e il delirante fugge da quella sofferenza per rifugiarsi nel suo delirio che, staccando la sua percezione dalla realtà materiale del suo vivere, lo porta ad abitare mondi virtuali. In quei mondi virtuali la materia è annullata. La quotidianità è annullata. Tutto è spirito, tutto è sogno, tutto è superiorità divina in cui il delirante si identifica. Ecco il nostro delirante affermare: " Per cui la causa deve sempre essere più libera dalla materia di quanto lo sia l'effetto". Ma l'affermazione è priva di argomentazione dal momento che il nostro delirante non ha mai visto, sotto i suoi sensi, fenomeni sganciati o indipendenti dalla materia e dall'energia che forma la materialità del mondo. Quando Ficino afferma " La potenza vegetativa è pienamente indipendente dalla materia, dal momento che, come abbiamo dimostrato altrove, essa compie moltissime operazioni che si collocano al di sopra e al di là dell'ordine degli elementi" certamente ha assistito a "potenza vegetativa" senza la presenza della materia al di sopra e al di là dell'ordine degli elementi. Eppure tutto, sotto i suoi occhi, è materia che si trasforma. Materia vivente che trasforma sé stessa e che si espande anche generando altra materia vivente. Materia consapevole che espande sé stessa. Materia inconsapevole che viene trasformata in materia vivente (cibo). Ficino ha visto tutto questo, ma tutto questo non ha generato stupore e meraviglia dentro di lui. Per Ficino la meraviglia è la "potenza vegetativa" indipendente dalla materia che abita la sua fantasia. Lo stesso colore, per Ficino, è un'immagine spirituale e non è una qualità della materia (concedendo che non poteva conoscere la formazione del colore, ma non gli era permesso di distinguere il colore separandolo dall'oggetto). Eppure, Ficino ha la necessità, come Platone, di controllare l'uomo mediante il controllo della sua "anima", del suo "spirito", e per questo separa le condizioni che chiama "anima" o "spirito" dalle condizioni del corpo vivente affermando che " Dunque, poiché queste potenze dell'animo sono notevolmente indipendenti dalla materia, esse non possono derivare da una causa tale da essere o di natura materiale o immersa nella materia". Appare un'impresa quasi impossibile per un individuo, che pensa che il mondo sia creato da una "potenza creatrice", riuscire a percepire la materia con tutte le sue qualità per le quali definiamo quella materia come "materia vivente" in alternativa a quella che definiamo "materia non-vivente". La materia è vivente non perché è un involucro di una potenza spirituale, ma perché è materia che si emoziona. Materia che desidera. Materia che ha bisogno di espansione. Per farlo si è adattata generando anche nuove e diverse forme di sé stessa affinché sia meglio dotata per espandersi nel mondo in cui è venuta in essere. L'"anima" o lo "spirito" che abita l'uomo è un oggetto statico che abita una materia statica; al contrario, una materia che si emoziona è una struttura in continua modificazione, in continuo cambiamento, in un continuo adattamento alle condizioni incontrate: si chiama vita!"
"La separazione dei buoni dai cattivi - cosa che, mentre la chiesa progredisce verso la perfezione, non sarebbe stata conciliabile appunto con questo fine da essa perseguito (poiché la mescolanza degli uni con gli altri era necessaria precisamente, sia per mettere alla prova della virtù i buoni, sia per ritrarre i cattivi dal male con l'esempio dei buoni) - ci è rappresentata come l'ultima conseguenza della fondazione completa dello Stato divino. A questo si aggiunge pure l'ultima prova della stabilità di questo Stato, considerato come una potenza, cioè la sua vittoria sui nemici esteriori, che sono precisamente considerati anch'essi come membri di uno Stato (lo Stato infernale). Con tale vittoria, tutta la vita terrena ha fine, poiché "l'ultimo nemico (degli uomini buoni), la morte, è distrutto" e per le due parti, per la salvezza degli uni e per la dannazione degli altri, comincia l'immortalità; la forma stessa di una chiesa cessa di esistere; ed il vicario sulla terra entra in una sola classe con tutti gli uomini, che ha elevato fino a Lui in qualità di cittadini celesti, e così Dio è tutto in tutto."
Imanuel Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, 2018, p. 149
"Ora, la Rivoluzione Francese ha vinto e l'illuminismo kantiano della Critica alla Ragion Pura non è più apprezzato come un tempo. "Riprende il discorso Anubi "Nel 1792/93 Kant sente l'esigenza di tornare fra le braccia di "santa madre chiesa" per diventare un cittadino celeste e incontrare il Dio creatore che è tutto in tutto. Nella Critica alla Ragion Pura, Kant si è ribellato a "santa madre chiesa" dimostrando come la dimostrazione ontologica della realtà di Dio fosse solo il prodotto di una mente delirante. Quel ragionamento ha incontrato il plauso degli studiosi europei, ma ora l'applauso è cessato. Il sipario si è abbassato e Kant smarrito chiede di rientrare fra i "prediletti di Dio". Ci sono i "buoni" e ci sono i "cattivi"; i cristiani devono separare i "buoni" dai "cattivi" e i "cattivi" vanno messi nei forni a bruciare come loglio. Ma i cristiani, che bruciano le persone come loglio nei forni: sono "buoni" o "cattivi"? In questa attività, Kant ricorda che: " A questo si aggiunge pure l'ultima prova della stabilità di questo Stato, considerato come una potenza, cioè la sua vittoria sui nemici esteriori, che sono precisamente considerati anch'essi come membri di uno Stato (lo Stato infernale). Uno Stato di "buoni" che distruggono i nemici infernali e i nemici infernali sono quei rivoluzionari che hanno appena tentato di sviluppare concetti come quelli di libertà, fratellanza e uguaglianza contro la morale del Dio dei cristiani. Il Dio dei cristiani intende la libertà come il diritto dell'uomo di pensarsi suo schiavo; considera la fratellanza con orrore dal momento che nessuno può essere fratello di Dio; considera l'uguaglianza, allo stesso modo, perché nessuno può essere uguale a Dio. Erano concetti che piacevano agli illuministi, ma gli illuministi della gironda sono, almeno per ora, sconfitti perché hanno trionfato i giacobini che sono democratici e non illuministi. Kant vagheggia pensando che con la vittoria dei cristiani si vince l'ultimo nemico dell'uomo, la morte e inizia l'immortalità di salvezza o di dannazione eterna. Tutto questo con Gesù che eleva gli uomini buoni a cittadini celesti. La ragione porta a questo quando la ragione cessa di essere uno strumento dell'uomo per vivere diventando la padrona del pensiero umano."
"Dopo migliaia di secoli di vani sforzi per rinvenire in sé, la Divinità, perduta e sparsa nella materia che ella anima e mette in movimento, trova un punto d'appoggio, una sorta di focolare per il proprio raccoglimento. E' l'uomo; ossia la sua anima immortale imprigionata in un corpo mortale. Ma ogni uomo individualmente considerato è infinitamente ristretto, e troppo piccolo per rinserrare l'immensità divina; non può contenerne che una piccolissima parte, immortale come il Tutto, ma infinitamente più piccola del Tutto. Ne risulta che l'Essere divino, l'Essere assolutamente immateriale, lo spirito, è divisibile come la materia. Ecco ancora un mistero di cui bisogna lasciare la soluzione alla fede. Se Dio tutto intero, potesse abitare in ciascun uomo, ciascun uomo sarebbe Dio. Noi avremmo allora un'immensa quantità di Dei, ciascuno dei quali si troverebbe limitato da tutti gli altri, e non essendo per questo meno infinito; contraddizione che implicherebbe necessariamente la mutua distruzione degli uomini, l'impossibilità che ce ne fosse più d'uno. Quanto alle particelle, è un 'altra cosa; nulla di più ragionevole, in effetti, che una particella sia limitata da un 'altra, e che essa sia più piccola del tutto. Ma qui si presenta un 'altra contraddizione. Essere più grande o più piccolo è un attributo della materia, non dello spirito come l'intendono gli idealisti. E' vero che, secondo i materialisti lo spirito non è che il funzionamento dell'organismo affatto materiale dell'uomo, e la grandezza o piccolezza dello spirito dipendono dalla più o meno grande perfezione materiale dell'organismo umano.
M. Bakunin, Dio e lo Stato, Samonà e Savelli. 1971, p. 46
"Mentre i cristiani combattevano i materialisti facendo apparire la Madonna e Gesù piangenti per le "offese del materialismo", i materialisti pensavano che un buon ragionamento logico potesse chiarire ogni cosa." Continua Anubi "I concetti si formano nella mente, dicevano. Ma non era così. I concetti imposti all'infanzia mediante la violenza permangono nella struttura emotiva dell'individuo e l'individuo passa la sua esistenza a cercare ragioni sufficienti per legittimare quei concetti che gli sono stati imposti. Puoi spiegare al credente che " Ma ogni uomo individualmente considerato è infinitamente ristretto, e troppo piccolo per rinserrare l'immensità divina; non può contenerne che una piccolissima parte, immortale come il Tutto, ma infinitamente più piccola del Tutto." E la logica può essere accettata dall'individuo la cui psiche è stata manipolata dai cristiani. Poi, l'individuo entra in sofferenza. La sua fede in Gesù, in Dio, è scossa. La sua psiche si ribella: possibile che lui, proprio lui, è stato ingannato? E la psiche soccorre il malcapitato. Un lampo, un guizzo ed ecco apparirgli la Madonna, ecco apparirgli Gesù che soffrono per l'affronto che hanno subito dai materialisti. Quanto soffre il nostro cristiano, quanto soffre Gesù, quanto soffre la Madonna, ma in quel momento il cristiano trova la forza: non ha logica, non ha argomenti da opporre alla logica e agli argomenti del materialista, ma Gesù, la Madonna sono apparsi nella sua psiche, nei suoi sogni, nelle sue visioni per dirgli che lui ha ragione. Lui crede nella verità e, anche se non ha argomenti sufficienti, è lui che conosce Dio, non il materialista. Davanti alle visioni, alle apparizioni, alla malattia mentale, la logica dei materialisti non ha argomenti: la fede trionfa. Nell'800 e nel '900 non conoscevano la malattia mentale. La malattia mentale era la follia con la quale gli uomini si ribellavano alla volontà di Dio. Sia quando si ribellavano alla morale imposta, sia quando si ribellavano a norme sociali, imposizioni religiose, imposizioni parentali o quant'altro. Non conoscevano la malattia mentale del delirio. Per loro era solo possessione diabolica, oppure, era epifania di Dio o della madonna che agivano dentro l'individuo. Il materialismo è in grado di affrontare aspetti della vita, ma per affrontare l'intera vita psichica delle persone o si conoscono i meccanismi della vita psichica, oppure si agisce sull'infanzia riempiendo la psiche dei bambini di immagini psicologiche, modelli di interpretazione della realtà psichica, diverse, più attinenti ai loro bisogni psichici. Ma questo, i materialisti dell'800, non lo conoscevano. Soprattutto non conoscevano l'importanza di combattere il Dio dei cristiani come il nemico numero uno dell'umanità. I discorsi ontologici e teologi sono sempre stati "snobbati" dai "materialisti" considerandoli come pure farneticazioni o dimostrati come illogici, come fa Bakunin. Una volta dimostrati come illogici: cosa resta? Gli uomini continuano a manifestare quella necessità psico-emotiva. Una necessità tanto più impellente quando maggiormente sono stati costretti in essa dalla violenza dell'educazione. Il vuoto della critica materialista non colma la necessità. Questa permane come un desiderio di fondo che spinge continuamente l'uomo a negare o ad ignorare la critica materialista perché necessita di ritornare ai modelli psico-emotivi imposti dall'educazione."
Anubi alzò il suo sguardo da lupo. Abituato ad osservare il bagliore della luce del deserto abbagliando il sole a sua volta, guardò gli arbitri. "Io sono qui per voi. Il mio compito è spalancare le porte del vostro infinito, quello che vi siete costruiti vivendo e scegliendo. Io apro solo le porte, pronto per accompagnarvi nella qualità dell'infinito che vi attende. Questa partita di calcio della filosofia sta volgendo al termine. Ancora poche azioni che vi saranno raccontate dagli abitatori del mondo di sotto o di sopra, del prima o del dopo, chiamatelo come volete. Le porte sono aperte sul mondo in cui il vostro presente si risolve nel nulla. Io attendo, dietro la porta che ho aperto. Osservate gli spalti, sono gremiti di Dèi. Dèi che furono, Dèi che sono e Dèi che saranno oltre il presente in cui, per voi, l'universo si è fermato."
Poi Anubi tacque mentre il sole illuminava l'immenso in cui la nebbia era sparita.
Il significato delle azioni della partita di calcio della filosofia spiegate dagli Dèi.
Marghera, 26 gennaio 2022
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Ultima formattazione 26 gennaio 2022
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