Giugno 2023 è il mese che conferma l'ideologia sovranista al governo dell'Italia. I sovranismi che si stanno diffondendo in Europa stanno portando l'Europa verso conflitti armati. L'Unione Europea da organo di unione delle nazioni d'Europa è diventata una tribuna per ogni nazionalismo che tende a minare i diritti dei cittadini in nome dell'assolutismo razzista.
Non più nazioni dove le persone sono cittadini, ma nazioni i cui sovranismi trasformano i cittadini in sudditi che devono obbedire.
Giugno 2023: la Religione Pagana fra filosofia metafisica, psicologia, problemi sociali e cronaca quotidiana.
09 giugno 2023
Ogni evento che viviamo nella vita quotidiana, noi lo possiamo leggere in maniera mitica. Ogni forza, ogni tensione, ogni emozione che concorre a formare quell'evento quotidiano è espressione di Dèi che si incontrano e che si scontrano qualche volta alleandosi e qualche volta combattendosi.
Provate a leggere questo pezzo di Nonno di Panopoli e, anziché pensarvi su un campo di battaglia, pensatevi in ufficio o a lavorare in fabbrica, o nelle mansioni della vita come i lavori di casa, la programmazione di una vacanza e quant'altro.
Problemi che si manifestano, spade da squainare, affrotare i propri compiti con la necessità di raggiungere la conoscenza, di non farsi sopraffare o di raggiungere un qualche risultato.
Questo è un piccolo estratto dalle Dionisiache di Nonno di Panopoli però vi può dare un'idea di come interpretare la quotidianità dal punto di vista della Religione Pagana. Il lavoro dei campi, il lavoro in fabbrica o nel settore dei sevizi o come manager e bancari o, ancora, come casalinghe o uomini costretti al doppio lavoro.
Nonno di Panopoli
Dionisiache
CANTO 36
Con queste parole infonde coraggio e gioia nei comandanti;
dall'altra parte anche Deriade arma i suoi guerrieri.
Persino gli dei abitatori dell'Olimpo, dividendosi
fra i due eserciti, si schierano come nocchieri della guerra,
gli uni per aiutare Deriade, gli altri Lieo.
E Zeus, il signore dei beati, assiso in alto sopra Ceme
tiene la bilancia della guerra che s'inclina; dal cielo
l'umido dio Nerachioma sfida l'infuocato
Sole, Ares sfida l'Occhiazzurra, Efesto l'Idaspe;
la montana Artemide si schiera contro Era,
Ermes con la bella verga viene a battaglia con Latona.
L'eco gemella della battaglia divina rimbomba
fra le due parti dei beati. Così si scagliano nella lotta:
Ares alto sette iugeri attacca Tritogenia,
e scaglia la sua lancia impetuosa, ma senza ferire la dea
colpisce nel mezzo l'egida, e prende la testa
proibita allo sguardo proprio nelle spoglie della chioma
viperina della Gorgone,
scalfendo solo il folto scudo di Pali ade: la punta aguzza
della lancia inflessibile fischiando
graffia le chiome artificiose della falsa Medusa.
Allora la bellicosa vergine attacca anch' essa,
Pallade nata senza madre, e vibra contro Ares la lancia a lei sorella,
proprio quella che portava appena nata, di bronzo coetaneo,
quando balzò su dalla testa puerperale del padre.
L'immenso Ares, colpito, piega al suolo il ginocchio;
ma è proprio Atena a rimetterlo in piedi di nuovo
e a ridarlo intatto alla madre Era dopo la battaglia.
Contro Era lotta Artemide, in qualità di alleata montana
del montano Dioniso. Tende e piega
il suo arco: Era con uguale ardore guerriero
prende la nube di Zeus e ci si copre le spalle
portandola come uno scudo infrangibile. E Artemide
scagliando una dopo l'altra frecce vaganti nell'aria
vuota la faretra colpendo un bersaglio vano,
e copre di dardi l'intera nube senza penetrarla.
Le frecce nell'aria vanno in modo simile alle gru,
che volano una dopo l'altra in cerchio, formando una corona:
si conficcano nella nube scura,
ma il riparo intatto subisce ferite incruente.
Era invece solleva in aria un dardo puntuto
e roteandone con la mano la superficie incrostata di ghiaccio
abbatte Artemide con quel proiettile roccioso.
La punta di pietra spezza l'arco ricurvo.
Ma la sposa di Zeus non tronca la battaglia: colpisce infatti
Artemide nel mezzo del petto: questa colpita
dalla lancia di ghiaccio rovescia a terra la faretra.
Allora la moglie di Zeus la deride:
"Artemide torna a colpire le fiere! Perché ti opponi a chi è più forte?
Sali sulle rocce: che c'entri tu con la battaglia? Indossa gli stupidi
calzari da caccia, lascia gli schinieri ad Atena.
Scuoti le tue trappole di reti; i cani da selvaggina
cacciano per te, non le frecce alate.
Tu non hai il dardo che uccide i leoni: i sudori
delle tue insulse fatiche sono i leprotti imbelli;
pensa piuttosto ai cervi, e al tuo carro dai bei corni,
pensa ai tuoi cervi: che te ne viene a onorare un figlio di Zeus
cocchiere di leopardi, auriga di leoni?
Se proprio vuoi, prendi l'arco, dato che Eros tende l'arco.
Vergine che fuggi le nozze, che porti le doglie, dovresti
piuttosto avere il cinto ch'è tramite di amore, che aiuta il parto,
assieme alla dea Pafia, assieme a Eros: tu infatti presiedi alla nascita.
Su allora, nocchiera della vita che nasce,
va' al talamo delle donne feconde,
e colpiscile con i dardi del parto,
fatti simile al leone che sta accanto alla compagna nel parto,
aiuta il travaglio invece di pensare alla guerra. E smettila
di andare fiera di quella fascia pudica:
non vedi che il sommo Zeus prende il tuo aspetto,
proprio per unirsi con vergini ignare di nozze? Ancora
i boschi d'Arcadia gridano contro la tua immagine seduttrice,
che ha sposato Calli sto ignara di nozze; le convalli
ancora piangono la tua orsa, testimone consapevole,
che biasima quella falsa immagine di Arciera vogliosa,
quando uno sposo-donna s'introdusse nel letto di una donna.
Meglio che getti la tua inutile faretra
lascia perdere la lotta con Era, che è più forte di te: se proprio vuoi,
combatti come ostetrica con la puerperale Citerea!".
A queste parole, Era passa oltre la colpita Artemide.
Allora Febo la porta via dalla battaglia, ubriaca dal terrore,
abbracciandola in una compassionevole stretta,
e la depone nella macchia solitaria.
Poi ritorna, senza farsi vedere, a gettarsi nella battaglia divina.
Dinanzi al campione degli abissi si erge l'eroe di fuoco,
Febo sfida Poseidone: tende sull'arco
la freccia, porta il fuoco con la falce di Delfi
con pari destrezza nelle mani, per armare
il suo lampo contro le onde e l'arco contro il tridente.
La lancia infuocata e le frecce d'acqua
cozzano insieme. All'armarsi di Febo
l'Etere paterno rimbomba il suo canto di guerra,
il fragore del tuono; mentre la tromba delle tempeste
fa risuonare all'orecchio di Febo il fragore del mare.
Tritone dall'ampia barba tuona con la sua conchiglia
simile a un uomo, ma incompiuto, verde pesce dai fianchi.
Gridano le Nereidi: l'arabo Nereo
s'affaccia dal mare e mugghia, scuotendo il tridente.
Sentendo l'eco superno della torma celeste
Zeus infero brontola, temendo che lo Scotiterra
colpendo la terraferma con le frustate squassanti dei flutti
rovesci l'armonia del cosmo con il tridente.
Non vuole che smuovendo la base degli abissi
renda visibile l'invisibile fondamento della terra,
che squarci ogni vena delle ime pIaghe
versando l'acqua fuori dalla sua sede in quei recessi sotterranei,
sommergendo la tenebrosa caverna infera.
Così enorme è il fragore che sorge dallo scontro degli dei,
e le trombe degli inferi mugghiano: ma sollevando
la sua verga Ennes, il pacificatore, trattiene entrambe le parti.
Egli rivolge un comune discorso a tre dei:
"Fratello di Zeus, e tu suo figlio: tu, inclito Arciere,
getta ai venti il fuoco e l'arco; e tu il tridente appuntito.
Che i Titani non abbiano a ridere della guerra dei beati,
che, dopo la lotta che minacciò l 'Olimpo,
non vi sia di nuovo una guerra intestina fra gli immortali;
non vorrei vedere un altro scontro dopo la mischia con Giapeto,
né dopo Zagreo vorrei che Zeus per Bacco nato tardi
bruci adirato col suo fuoco tutta la terra,
inondi di nuovo la volta del cosmo eterno,
bagnando con pioggia di flutti l'etere; e non vorrei vedere
il carro della Luna bagnato dalle onde nell'aria.
Non vorrei che tu, Sole, avessi di nuovo raffreddato il tuo bagliore di fuoco.
Dunque, cedi al più anziano nocchiero del mare,
fa' cosa grata al fratello di tuo padre: in fondo
lo Scotiterra, signore dell'oceano, onora la tua Delo sul mare.
Che non ti abbandoni l'amore della palma, il ricordo dell'olivo.
E tu Scotiterra, quale secondo Cecrope c'è qui a giudicare?
Quale altro Inaco ha dedicato la sua città a Era,
giacché tu ti sei armato contro Apollo, come contro Atena,
e hai un altro scontro dopo l'antica lotta con Era?
Quanto a te, padre cornigero del grande Deriade,
dopo la face di Bacco sta' attento al bagliore di Efesto,
che non ti bruci col fulmine dalla punta di fuoco".
Con queste parole pose fine alla guerra intestina degli dei.
Nel frattempo Deriade, infuriato e rancoroso, mette mano di nuovo
alla battaglia, come vede le Baccanti in salvo.
E scorgendo Dioniso ristabilito che combatte,
incalza alla lotta i suoi comandanti in fuga;
e urla ai fanti e ai cavalieri
un'unica barbara minaccia dalla gola cupa:
"Oggi o io trascinerò Dioniso per i riccioli,
o l'esercito bacchico annienterà la stirpe degli Indiani.
Voi dovete costringere i Satiri a fuggire:
Deriade si armerà contro Dioniso.
Le foglie delle viti e gli altri bizzarri strumenti di Dioniso,
bruciateli, e incendiate le tende; portate le Menadi
come ancelle per il vanto di Deriade.
Consumate i tirsi assassini col fuoco, mietete
la messe delle teste dei Sileni cornuti
e della varia razza dei Satiri col ferro devastatore
e coronate tutti i palazzi con quei crani bovini.
Che il Sole non giri i suoi cavalli affocati a Occidente,
prima che io trascini i Satiri e Bacco legato
in ceppi indissolubili, con indosso il suo chitone
screziato, lacerato dalla mia lancia, squarciato sul petto,
dopo avergli fatto gettare il tirso; e quanto alle donne dai lunghi capelli,
incenerite con la mia fiaccola quelle chiome vitifere.
Siate arditi, e dopo la battaglia indiana
cantate la gloriosa vittoria di Deriade,
perché anche gli eserciti futuri tremino
a sfidare gli invitti Indiani figli della terra!".
Così disse. Passando da uno all'altro dei suoi campioni
incita gli aurighi dei longevi elefanti,
rinsalda alla lotta i capi della fanteria,
che combatte serrata. Con simile ardore nella lotta
Dioniso folle col tirso scatena all'assalto una schiera
di fiere selvagge: e i guerrieri cresciuti fra i monti
baccheggiano ruggendo, colpiti dalla frusta divina.
Un gran numero di belve infuriate armano le loro fauci:
i serpenti sputando dai denti carnivori
scagliano nell' aria gocce lungisaettanti di veleno
con la gola spalancata che sibila cupa,
strisciando obliqui; balzando sui nemici
le frecce anguifere trovano da sole il bersaglio.
I corpi degli Indiani sono fasciati e stretti dalle spire
attorte, la catena inchioda i piedi degli uomini
nello slancio della corsa. Le donne folli di guerra
imitano la lotta di Fidaleia, l'arciera di vipere
che una volta, spinta dal pungolo di una guerra lottata da donne,
vinse i nemici con serpentini corimbi.
Un serpente, lanciando dalla bocca la sua lancia dalla lunga ombra,
sputa una freccia velenosa contro Deriade,
e la corazza d'acciaio è bagnata dal fiotto assassino.
I morti giacciono a terra colpiti da un dardo vivente,
tenendo senza vita una freccia animata. Scagliandosi
sul collo ricurvo degli elefanti dai piedi diritti
le pantere si appendono in alto con un balzo.
Si attaccano salde alla testa delle fiere
e frenano la corsa di quegli animali dalle lunghe gambe.
Ne cade un grande sciame, solo al sentire
il terribile ruggito che i leoni selvaggi emettono dalle cupe gole.
Un elefante è vinto dalla paura dei muggiti del toro,
vedendo le torve punte delle sue coma
che saettano oblique nel!' aria; un altro
vaga per la paura, temendo i morsi dell'orso;
uno dopo l'altro alI'unisono con le grida delle altre fiere
i cani di Pan invitto abbaiano a gola aperta,
e gli Indiani dal volto bruciato temono un assalto di latrati.
Ambedue le schiere lottano unite.
La terra assetata si bagna nelle onde di sangue
dei caduti da una parte e dall'altra: muoiono a frotte
e il Lete è stipato da tanta massa di cadaveri;
smuovendo di sua mano il nero chiavistello Ade
apre gli immensi portoni del suo palazzo,
che trabocca di morti da ogni parte: mentre questi si accalcano nell' abisso
le rive di Caronte mugghiano il loro tartareo boato.
Grande è il fragore della furiosa battaglia: e i nemici
sono uccisi dai più vari tipi di ferite. Uno
scivola da cavallo, colpito alla gola,
un altro, colpito al petto nell'arco rotondo della mammella;
un altro cade dal carro, trapassato in mezzo al ventre;
un altro colpito da una freccia appuntita proprio sull'ombelico
rotola e si unisce ai morti vicini;
un altro è preso sopra il centro della pancia; un altro nella spalla;
un altro mentre fugge a piedi cade, trafitto alla schiena da una lancia,
dopo aver abbandonato il veloce cavallo a sua volta colpito.
Un altro, ancora imberbe, caduto piange la sua giovinezza;
un altro colpito nel fegato da una freccia in modo inguaribile
piomba a capofitto da un elefante nella polvere:
recIinando la testa sul suolo, abbraccia
la terra coperta di sangue stringendola con la mano disperata.
Uno si mette di fianco per affrontare un cavaliere,
riempie la cavità dello scudo di terra,
pianta il piede al suolo, e aspetta l'assalto dell'altro:
tendendo con braccio ardito lo scudo ben lavorato,
getta su tutto il muso del cavallo la sabbia;
agitando furiosamente la testa e levando in alto. il muso
il cavallo si alza scuotendo la criniera impolverata,
e sputa le punte ricurve delle briglie gemmate:
sfregando la bocca dai curvi denti, imbiancata di schiuma,
si agita alzandosi; vibra il collo diritto
e in preda al furore, senza briglie, si pianta a terra
con le zampe di dietro, scuote la polvere con gli zoccoli
e getta al suolo il cavaliere, lanciandolo in avanti.
Con ferocia l'altro corre su quello disteso:
sguaina veloce la spada e taglia la gola
del combattente dalla pelle scura sdraiato al suolo.
E il cavallo impaurito si allontana per fuggire,
e sentendo il rumore della frusta del cavaliere vicino,
calpesta il proprio auriga che muore fra i lamenti,
che giace colpito e si contorce nella polvere.
Nonno di Panopoli, Dionisiache, canto 36, 1-240 Editore BUR, 2004, p. 619 volume Terzo.
09 giugno 2023
09 giugno 2023
Non pensavo di aver accumulata così tanta tensione in sette anni di minacce e ricatti giudiziari. La sentenza di ieri rispetto ai ricatti del cacciatore che mi ha aggredito e che mi accusava di averlo aggredito a mia volta togliendogli il fucile e puntandogli il fucile alla pancia, ha fatto piazza pulita di quelle accuse infami. Mi ha tolto un peso enorme dalle spalle specialmente tenendo presente che il Giudice di Pace aveva dato ragione al cacciatore e ignorato prove e argomentazioni che avevo portato. Ora io ne sono uscito pulito: il fatto (ciò che io ho fatto o, secondo il giudice, posso aver fatto) NON COSTITUISCE REATO! Articolo 530 codice di procedura penale comma 1! Però, i fatti commessi dal cacciatore sono avvenuti e questi, già sotto processo, saranno giudicati a settembre in una sentenza non lontana.
09 giugno 2023
Stamane il mondo mi appare meno fosco!
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