Sterminare gli indifesi è l'ordine del Dio degli ebrei e dei cristiani in nome del potere assoluto di Dio contro i diritti degli uomini.
Ottobre 2024: la filosofia metafisica della Religione Pagana.

11 ottobre 2024 cronache della religione pagana
Riflessione sul deliro dionisiaco

Claudio Simeoni

Cronache mese di ottobre 2024

11 ottobre 2024

Breve riflessione sulla colonna IV del Papiro di Derveni

Scrive il Papiro di Derveni sulla colonna IV, per quello che è rimasto:

...quello degli dei
che ha alterato ciò che è stabile... consegnare [a Dike? alle
Erinni?]
piuttosto ciò che è dannoso [alla razza umana].
Perché egli non consentì che se ne impadronisse ciò che è
affidato alla sorte.
Non è forse per causa sua che il cosmo ha un ordine?
Allo stesso modo Eraclito facendo appello alle verità comuni
rovescia le credenze personali; proprio lui che parlando come
un astronomo disse:
"Il Sole secondo la natura del cerchio, ha l'ampiezza di un piede
umano
non eccedendo in misura i limiti propri della sua ampiezza;
altrimenti le Erinni, ministre di Dike, lo scoveranno.
E [lo puniranno], affinché non oltrepassi..."
...sacrifìcio...
...di giustizia...
...nel mese stabilito...

Da: Papiro di Derveni in "Eleusis e Orfismo", a cura di Angelo Tonelli, Editore BUR, 2022, pag. 501.

Le cose sono ciò che appaiono. Possono essere diverse da come appaiono, ma per come appaiono l'individuo agisce nei loro confronti.

Noi sappiamo che il Sole non è come afferma Eraclito, ma nella nostra vita quotidiana, quello è il Sole, quella è la grandezza del suo apparire alla nostra percezione e con quella grandezza noi affrontiamo la quotidianità.

Questa colonna del Papiro di Derveni sottolinea come l'ingiustizia non è intesa come un atto morale, ma come alterazione della stabilità, dell'armonia. Una stabilità e un'armonia che, una volta alterata, necessita di essere ripristinata e questo avviene, secondo gli Orfici del Papiro di Derveni, per l'intervento di Dike e delle Erinni.

Il cosmo ha un ordine perché noi osserviamo e definiamo, per quanto possiamo percepire quell'ordine come oggetto in sé, indipendentemente dal suo divenuto. Qual che sia la causa di quell'ordine, noi non lo sappiamo; sappiamo, però, dal Papiro di Derveni, che una volta che l'equilibrio è rotto, si produce una condizione di ingiustizia che viene ovviata da Dike e dalle Erinni.

Altro non è possibile dedurre da questo frammento.

 

11 ottobre 2024

Riflessione sul deliro dionisiaco

L'atto del sacrificio dionisiaco può essere descritto in mille modi e non c'è dubbio che gli apologisti cristiani associassero quell'atto dello smembramento a "sacrifici umani" per negare la componente sacra e simbolica del rito. Come Porfirio, che predicava il vegetarianesimo, condannava la rappresentazione rituale delle baccanti in nome di una sottomissione che negava il diritto di mangiare carne degli animali.

Le baccanti, anche per bocca di Euripide che con Socrate e Platone ne condannava la ritualità e la pratica, erano qualche cosa che sfuggiva alle possibilità del controllo sociale e per questo venivano raccontate in modo tale da suscitare orrore e condanna.

La scena delle Baccanti in Euripide dipinge le donne trasformate in tigri assetate di sangue che con le mani sventrano capre e tori per bere il loro sangue.

I racconti sembrano le cavalcate delle Streghe medioevali, di Wotan e di Arlecchino con un Dioniso che diventa una maschera teatrale.

Euripide ha la necessità di indicare la follia nell'estasi religiosa in contrapposizione ad una società ordinata e sottomessa al dittatore che determina le leggi.

Scrive Euripide mettendo in bocca al mandriano che ha assistito all'arrivo dei gruppi di baccanti:

"Una mandria di buoi guidata avevo poc'anzi al sommo d'una rupe. Il sole scagliava sulla terra ardenti i raggi.
E tre schiere di femmine vid'io. Guida è alla prima Autònoe, tua madre Agave alla seconda, Ino alla terza.
AI sonno abbandonate avean le membra, tutte, poggiate alcune alla frondosa bassa rama d'un pino, altre reclino sopra foglie di quercia aveano il capo, compostamente; e non, come tu dici, ebbre, fra coppe e strepito di flauti, di voluttà segrete invano in traccia per la foresta.
Ora, tua madre udì il muggito dei buoi.
Fra le Baccanti si levò, e gridò che dal sopore scuotan le membra.
Ed esse, dalle ciglia scacciato il greve sonno, in pie' balzarono, giovani e vecchie e vergini non dome, a meraviglia costumate.
E prima sciolsero giù per gli omeri le chiome; e a quelle che slacciate avean le nebridi, ricomposero i nodi; e tutte ai velli variopinti fecero corone di serpi che lambiano a lor le gote.
E quante ancor fresche di parto, prive dei lor pargoli, gonfie avean le mamme, stringendo al seno, fra le braccia, un daino, od i selvaggi cuccioli d'un lupo, di bianco latte lo nutriano; e al capo ghirlande si ponean di quercia, d'ellera, di fiorito smilace.
E, in pugno stretto alcuna il tirso, percotea la rupe, e polle di fredda acqua ne sgorgavano: con la ferula un'altra il suoi batteva, e spicciar vino ne faceva il Dio; e quante brama avean di puro latte, graffiando il suolo con le somme dita, ne attingevano; e giù dai tirsi d'ellera stillavano di miei rivali dolci.
Sì, che se fossi stato lì, se avessi visto, con preci avvicinato avresti il Nume ch'or di vilipendio cuopri.
Noi, bifolchi e pastori, ci adunammo, parlammo, contendemmo. Ed uno, pratico della città, di pronto eloquio, disse: "o voi che in queste sacre alpestri piagge dimora avete, ché non si distoglie la madre di Pentèo dai riti bacchici, per ingraziarci il nostro rei",
Ci parve che bene egli parlasse, e ci appiattammo tra i cespugli e le frondi.
Or, giunta l'ora di celebrare l'orge, i tirsi scossero, Bacco invocando ad alte grida, il figlio di Giove, Bromio. E insieme risonò ogni monte, ogni fiera; ed era tutto un avventarsi, un correre.
Vicino Agave a me passò nella sua corsa.
Per afferrarla, dal cespuglio io balzo dove mi rimpiattavo; ed ella grida: "O mie cagne veloci, ad assalirci son venuti questi uomini: seguitemi, seguitemi: e le man' coi tirsi armate!"
Con la fuga evitammo che le Mènadi ci facessero a brani.
Esse piombarono sopra le greggi che pasceano l'erba, senz'arme in pugno: e n, questa vedevi in due squarciare una mammosa vacca muggente; l'altra lacerare a brani a brani le giovenche: e fianchi e bifidi zoccoli su e giù lanciar vedevansi, e sanguinanti penzolar dai rami.
E i tori violenti, avvezzi al rabido cozzo dei corni, al suoI giacean fiaccati, tratti giù dalle mani innumerevoli delle fanciulle; e in men che tu le palpebre, o re, non serri, fatti erano in pezzi.
Corser poi come uccelli alzati a volo pei bassi campi che lunghesso l'Asopo maturano ai Tebani il pingue grappolo.
E in 'sia, e in Eritria, che sotto il giogo del Citerone sorgono, piombando come nemiche, tutto a sacco posero.
Dalle case rapiano i pargoletti; e quanto si ponean sopra le spalle, o bronzo o ferro, senza alcun legame vi aderia, né cadea sul negro suolo.
E portavano fuoco sopra i riccioli, né le bruciava - , terrazzani corsero furiosi sull'orme delle Mènadi; e fu, signore, un orrido spettacolo: ché di lor sangue tingere le cuspidi non potevano questi; e quelle, i tirsi scagliando, li ferivan, li fugavano, esse donne: ma un Dio le soccorreva.
Poscia tornàr novella mente ai fonti che per esse sgorgar faceva il Nume, e detersero il sangue; e da lor gote lo stillante sudor lambiano i serpi.
Questo Dèmone dunque accogli, o re, qual che egli sia, nella città: ché sommo è in tutto; ed ai mortali, a quel che dicono, donò la vite che sopisce il duolo.

Baccanti, Euripide, tratto da: Henri Jeanmaire, Dioniso - Storia del culto di Bacco, Editore Saecula, 2003, p. 74-77

Il Demone di Platone che possiede le donne e le trasforma in Baccanti. Il Demone distoglie le donne dai telai e le incita a baccheggiare, a partecipare alle orge, sui monti.

Incita le donne a squartare capre, mucche, giovenche e tori e a cibarsi del loro sangue.

Donne che si coprono di serpenti e con i serpenti le baccanti vanno in guerra al seguito di Dioniso anche in Nonno di Panopoli.

I serpenti erano uno dei simboli legato alle Baccanti.

Delle baccanti e del delirio scrive Nietzsche in "La nascita della tragedia":

L'estasi dello stato dionisiaco, abolendo le abituali barriere e i confini della vita, ha un fattore letargico in sé per tutta la sua durata, fattore in cui va sommerso tutto quello che è stato individualmente vissuto nel passato, e questo abisso d'oblio scinde il mondo d'ogni giorno dalla realtà dionisiaca. Ma non appena la realtà giornaliera riaffiora alla coscienza, viene sentita con disgusto per quello che è in realtà: una disposizione ascetica dell'animo a negare la volontà è il frutto di quella circostanza. In questo senso l'uomo dionisiaco assomiglia ad Amleto: entrambi hanno gettato un giorno uno sguardo lucido alla realtà delle cose, e ormai provano ripugnanza all'azione; poiché la loro azione non può mutar nulla dell'eterna sostanza delle cose, sentono che è ridicolo o insultante che si chieda loro di rimettere a posto un mondo uscito dai cardini. La conoscenza uccide l'azione, all'azione soccorre il velo dell'illusione: questo è l'insegnamento di Amleto, e non la saggezza a buon mercato del sognatore, che per troppo riflettere, quasi per eccesso di possibilità, non giunge mai all'azione; non la riflessione - no! - ma la vera conoscenza, la vista dell'orribile verità soffoca ogni motivo che spinge all'azione, tanto in Amleto quanto nell'uomo dionisiaco. Allora il conforto non ha più presa; il desiderio si lancia di là da un mondo verso la morte, di là degli stessi dei, l'esistenza è negata e con questa anche il suo splendido rispecchiarsi nella vita degli dei o in un aldilà immortale. Nella consapevolezza della verità, ormai rivelata al suo sguardo, l'uomo non vede, ovunque si volga, che lo spavento o l'assurdo dell'esistenza, adesso comprende il senso simbolico del destino di Ofelia, capisce la saggezza del dio silvestre Sileno: tutto è per lui disgusto.

Nietzsche, Nascita della tragedia, Editore Demetra, 1996, p. 67-68

La visione di Nietzsche delle baccanti altro non è che il desiderio negato dell'uomo e della donna sottoposti a doveri. La società di oggi impone codici morali e chi vive l'oppressione di quei codici morali desidera violare ogni regola, ogni disposizione, sottraendosi a quelle regole (magari buone per altri).

Regole ci sono in ogni mondo, comunque sia percepito, e il delirio delle Baccanti si svolge si in un mondo che, rispetto a quello razionale, appare privo di regole ed obblighi, ma è pieno di regole ed obblighi che impongono doveri a chi quei mondi intende abitare e percorrere.

[Dal Settimo volume della Teoria della Filosofia Aperta]

 

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Claudio Simeoni

Meccanico

Apprendista Stregone

Guardiano dell'Anticristo

Membro fondatore
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